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Autore: _Nimphadora_    18/08/2015    3 recensioni
Liam e Louis sono due estranei con nulla in comune se non Londra, la città in cui vivono.
Liam a ventun'anni non ha niente se non un lavoro in una vecchia caffetteria e una marea di brutti ricordi alle spalle.
È un uomo disilluso, senza progetti.
Le sue giornate sono fatte di lavoro e sesso per noia.
Louis invece di anni ne ha ventitrè e dedica la sua vita all'arte da sempre.
Represso in una relazione in crisi senza i suoi preziosi colori rischia di impazzire.
Ma uno sguardo, poche parole e un latte macchiato cambiano tutto.
Gli occhi di Liam e Louis si incontrano senza più volersi lasciare andare, peccato che nessuno dei due creda ancora nell'amore.
•••
«E allora?»
«Allora cosa?»
«Vuoi dirmi come ti chiami o è una specie di segreto di stato?»
Ecco, una richiesta chiara, con l'impazienza di Liam da leggere fra le righe.
«Louis»
Louis.
E suona bene con quella leggera inclinazione francese.
Suona bene uscita da quelle labbra sottili e pallide.
«Mi piace Louis»
E lo sanno entrambi, è una frase fuori luogo ma il moro sorride, arrossisce anche e questo basta a Liam per renderlo soddisfatto di averlo detto.
•••
8719 parole.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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11 Ottobre, 11:17 a.m.
Christie Café.
 
 
Il sole è ridotto a uno spicchio pigro avvolto da nubi scure e pesanti.
Sembra voglia venire a piovere da un momento all'altro.
Liam guarda il cielo con aria assorta, oltre le grosse vetrate del Christie Café, osserva le strade vuote di quel giovedì mattina.
Londra sembra ancora addormentata, sotterrata da uno strato grigio di fredda stanchezza.
È sempre stata una città stanca, schiacciata dalle aspettative e da litri di pioggia.
Una città che piange.
Liam l'ha sempre vista in quel modo. Ma forse questo è semplicemente dovuto alla sua scarsa fantasia, al suo cinismo cronico.
Liam Payne è così dopotutto.
È quello che non si lascia mai andare, quello che si veste sempre di bianco, di grigio e di nero perché i colori su uno come lui sono quasi volgari
Quello che ha lasciato la facoltà di lettere dopo nemmeno un anno perché ehi! Cosa credevi di fare? Non hai la testa per queste cose. Non sei mai stato bravo con le parole.
Effettivamente Liam non parla molto, preferisce osservare, a volte, scrivere.
Pensandoci bene non scrive da un bel po', e su cosa dovrebbe poi?
La sua vita è una distesa piatta, una tranquillità intossicante.
Liam ha deciso di farsela piacere.
Certo, non è sempre stato così ma questa è un'altra storia. Troppe ferite e troppe lacrime. Chi vorrebbe sentirla questa storia, poi? Lui non ha voglia di raccontare.
Così Londra rimane la città che piange e Liam rimane il ragazzo senza voce.
Ora ha ventun'anni, lavora come cameriere in questo vecchio Café, ha una buona paga e una casa tutta sua.
Ha un suo equilibrio.
Tutto va bene, non ci sono margini di errore. Liam ha già sbagliato troppe volte, ma quella è vita vecchia ormai.
«Payne sbrigati! Manca l'ordine del tavolo 3!»
La voce della vecchia Christie viene dalla cucina, un po' irritata.
Liam alza gli occhi al cielo e nemmeno risponde, semplicemente, fa il suo lavoro.
Al tavolo 3 ci sono due persone. Un uomo sulla quarantina e un bimbo biondo che avrà sei, sette anni.
Si sorridono e il bambino sembra ridacchiare spesso alle battute del padre.
Per qualche istante, solo una manciata di secondi, Liam vorrebbe essere quel bambino, poter correre tra le braccia di suo padre e sentirsi protetto.
Poi la sua mente fa spazio solo a un sorriso da divisa e una breve ordinazione.
«Papà vuoi anche tu un po' di pancake?»
 
«Papà vuoi un po' di torta?»
La voce del piccolo Liam è sottile quanto un soffio di vento.
Ha le guance rosse e lo sguardo sulle punte delle scarpe logore.
Mostra fra le mani, timido, un piatto con un po' di dolce.
È il giorno del suo compleanno e Nicola, sua sorella, l'ha aiutato a preparare una piccola torta alla panna.
Liam ha da poco spento le sue sei candeline in cucina mentre il padre era sulla poltrona a guardare il football americano, con la solita birra in mano, in salotto.
Liam è troppo piccolo per capire quanto quell'uomo porti sofferenza in quella casa, quello è semplicemente il suo papà. Eppure anche per un bambino non è difficile leggere il dolore negli occhi delle sue sorelle, quelli di sua madre.
«...papà?»
L'uomo non risponde, non lo guarda nemmeno e Liam pensa che forse ha lavorato troppo, forse oggi è troppo stanco per ascoltarlo e gli va bene, davvero, a lui basta sapere che ne abbia mangiato un pezzetto.
Gli basta sapere che è stato bravo, che gli sia piaciuta.
«Papà allora la lascio qui, ok? È buona, Nicola ha detto che...»
«Cazzo vuoi stare un po' zitto Liam?! Non riesco a sentire la partita se non chiudi quella dannata bocca!»
E in un gesto secco, che Geof fa senza nemmeno guardare, spinge il bambino.
Il piatto di ceramica bianca finisce in pezzi, la panna sul pavimento. Liam non sa nemmeno come ma si è tagliato e la manina si tinge di rosso scarlatto, colpa dei cocci.
«S-scusa p-papà»
 
04:03 p.m
 
 
Su Londra si è abbattuto un pesante acquazzone.
Il Café è deserto.
Non è stata una gran giornata a dire il vero. I clienti avuti si potevano contare sulle dita di una mano ma per Liam non era un problema.
Solitudine vuol dire silenzio e il silenzio, intervallato dai ticchettii della pioggia autunnale, vuol dire meno spazio a pensieri superflui.
Persino Christie si è rintanata nel suo ufficio da più di un'ora.
Così Liam si siede dietro al bancone, senza fretta aspetta la fine del suo turno. Osserva oltre le vetrate appena pulite e per un po' finge di essere un'altra persona.
Magari quell'uomo in giacca e cravatta in cerca di un taxi, quella ragazzina con il pancione da mamma, anche il vecchio randagio che si diverte a scorrazzare sotto la pioggia gli sembra interessante. Forse è la noia.
Poi però c'è qualcosa che attrae la sua attenzione più delle altre in quella piccola folla.
Un ragazzo, corre sotto la pioggia ormai zuppo, con uno zainetto alle spalle e delle cartelline fra le mani.
Quando entra al Christie Café quasi ruzzola sul pavimento perché le sue scarpe sono ancora bagnate e non riesce a fermare la corsa.
Scarpe di tela con quel tempaccio?
Gocciola sul pavimento e Liam sta davvero per urlargli conto perché, insomma, l'ha lavato appena dieci minuti fa quel pavimento e adesso quel tipo strambo non fa che imbrattarlo ma...
Ecco.
Eccolo lì Liam, senza parole. 
Solo che questa volta non è per noia.
È stupido, tremendamente stupido, essere corso verso di lui in quel modo per poi stare fermo, in silenzio come una statua ma Liam non riesce a pensare a nulla, nulla che non siano quei due occhi azzurri come il cielo a primavera, come il ghiaccio novembrino. 
Così non lo fa, stacca la spina e semplicemente lo osserva.
Il ragazzo è più basso di lui, è abbronzato nonostante sia pieno autunno e indossa una t-shirt rossa, skinny jeans e un'enorme felpa blu, che sarà almeno di due taglie più grande. 
Magro com'è lo fa sembrare un ramoscello d'ulivo. Incredibilmente facile da spezzare.
Adesso lo sta guardando e Liam dovrebbe seriamente dire qualcosa perché be', la situazione sta per farsi più imbarazzante di quanto già non sia eppure non dice niente, sta lì. Fermo.
Non che l'altro si sforzi più di tanto.
Semplicemente lo scansa e, ancora gocciolante, occupa un tavolino poco distante dal bancone.
Smetti di fare il coglione e lavora.
Si ripete Liam, anche perché non può di certo fare scena muta fino alla fine del turno per colpa di quel ragazzo!
Così sospira, raccoglie il taccuino dalla tasca e gli si parla di fronte con un sorriso distratto.
«Benvenuto al Christie, cosa posso portarle?»
Il ragazzo a quel punto alza lo sguardo e sorride appena, con aria imbarazzata.
Infila una mano fra i capelli umidi e li libera dal beanie blu.
Agli occhi attenti di Liam non sfuggono né gli accenni di tatuaggi sul polso né le macchie di pittura rossa sulle dita sottili.
Ha un aspetto disordinato quel tizio. Con i jeans strappati, i vestiti troppo colorati, le macchie di pittura che con un po' di attenzione si notano anche sulle scarpe e sulla maglietta.
E bello. Incredibilmente bello.
Di quelle bellezze non convenzionali, di quelle che devi prenderti del tempo per capire fino in fondo.
E quegli occhi azzurri ne erano solo il primo suggerimento.
Una bellezza fragile.
Liam è quasi convinto che una folata di vento ben assestata possa portarselo via.
Un pensiero sciocco, già, deve davvero smetterla di guardarlo.
«Ehm...uh, un latte macchiato?»
E a Liam viene quasi da ridere, ma si trattiene perché davvero? Un latte macchiato?
Alla fine non aggiunge altro, annuisce piano e senza fretta va verso la cucina.
Dopotutto non è poi tanto strano, c'è qualcosa in quel ragazzo che gli da l'aspetto di un bambino.
Magari è solo colpa del suo sguardo a occhi quasi sgranati, stupiti di tutto.
Dio Liam se gli avessi fatto una radiografia avresti notato meno cose! Sei inquietante.
Come se parlare con se stessi in terza persona non lo sia!
Quando però Liam torna in sala il tavolo del ragazzo è vuoto, l'unico segno del suo passaggio è la pozza d'acqua sul pavimento dell'entrata.
Ha quasi paura di esserselo immaginato.
Lo cerca con lo sguardo oltre le vetrate ma sembra quasi essersi volatilizzato.
Il latte lo butta poco dopo.
 
12 Ottobre, 08:15 a.m.
Albemarle Street, Casa di Liam.
 
 
Quando Liam apre gli occhi potrebbe giurare di avere ancora stampati nella mente due occhi azzurri come il cielo a Primavera, macchie di vernice rossa e gambe sottili.
Dura abbastanza poco però, giusto il tempo di irrigidirsi al tocco caldo di Zayn, ancora addormentato, ancora accanto a lui.
Sbaglia a portarselo a letto, Liam lo sa, ma è egoista. Ha imparato ad esserlo perché la vita non gli ha mai regalato niente, così lui prende quello che vuole strappandolo dalle mani di chi gli è vicino.
E Zayn è sesso occasionale per noia, pomeriggi con l'illusione di sentirsi meno soli, frammenti di tempo rubati alla giornata.
Certo, Liam sa quello che Zayn prova. Sente come ogni volta che lo sfiora arrossisce un po' di più, trema un po' più forte.
Zayn non è mai stato un tipo sentimentale, era più tipo da birre economiche davanti alla tv ma l'amore può davvero fare miracoli in certi casi. Come in altri può essere devastante, Liam sa anche questo, forse un po' più di tutto il resto, ma sono solo dettagli.
È un uomo disilluso Liam, per lui la tragedia è un'arte e forse ha solo smesso di vedere il bene nelle cose.
Perché cosa può esserci di male in un “ti amo” detto sottovoce dopo una notte passata insieme?
Zayn l'aveva detto con un timore quasi reverenziale, come se alzando solo un po' di più la voce potesse far scoppiare la bolla che avvolgeva lui e Liam così vicini.
L'aveva detto e poi aveva buttato fuori il fumo della sigaretta al mentolo che portava fra le dita. 
Detto e poi inghiottito, rimangiato, urlato, pianto nel proseguire dei loro giorni.
Era una frase detta senza speranza, senza illusioni.
Ti amo, ma mi accontento di farmi usare. Non mi basta ma non ne avrò mai abbastanza. Fa male, non ci si abitua a una cosa del genere.
Ti amo e tu non mi amerai mai, ma va bene così. Non mi aspetto nulla di diverso.
Liam non aveva nemmeno risposto, semplicemente si era alzato. L'aveva lasciato solo.
Aveva bisogno di una doccia perché si sentiva soffocare dallo sporco che aveva dentro e fuori, intorno, lo seguiva.
Si strofinò la pelle fino a lacerarla, fino a sanguinare, eppure lo sporco restava, lì, sotto la carne e il grasso.
Il tempo passa ma le cose non cambiano.
Così Zayn rimane a letto, Liam va via.
Deve lavarsi, vestirsi, andare a lavoro.
Zayn non ha nulla contro quella routine, tanto lui tornerà. Basta aspettare.
«Raccatta bene le tue cose prima andare via»
Il tono di Liam, asciutto e senza grazia, svegliano Zayn che sorride in quel modo che è peggio che piangere, quel modo che entrambi odiano, dove nasconde i denti giallognoli inghiottiti dal paradiso, rovinati dal fumo, dal vomito.
Zayn sarebbe quasi bello se non fosse così consumato.
Gli occhi d'ambra che ha ti leggono dentro, sembrano conoscere ogni tuo peccato.
«Tanto poi torno»
Già.
Liam alza le spalle e gli volta le spalle. È pronto per andare via e non si volta nemmeno una volta.
 
Fuori l'aria è fredda, tagliente.
Un dolore piacevole mentre Liam, stretto nel suo giubbotto nero, sfreccia fra le strade di una Londra sbiadita.
L'asfalto è bagnato ma la moto lo percorre veloce.
Come può la morte avere paura di se' stessa?
Il Christie Café è quasi un'isola in mezzo al grigio cittadino con le mura tinte di giallo di fresco e l'insegna rosa.
Quella tavola calda è più vecchia di lui, ha saputo resistere a due generazioni e più di una una titolare isterica il che è tutto dire.
Liam parcheggia nel solito vicolo e si lascia avvolgere dal tepore di quel luogo.
«Liam sei in ritardo!»
La voce di Christie, squillante e sempre troppo arrogante, proviene dalla cucina.
L'orologio segna le nove spaccate, quella donna è pazza.
 
12 Ottobre, 10:19
Christie Café.
 
 
Liam non sta fermo un attimo, è l'orario di punta al Christie che non ha nemmeno un tavolo libero. Così lui deve giostrarsi fra i clienti, Christie e i suoi attacchi di nervi in cucina.
Quella donna è così tirchia da non accettare il fatto che abbiano bisogno di più personale, che in due non possono farcela e che dovrebbe assumere Sophia non solo per il week-and. Liam ha provato a farglielo capire a modo suo ma lei ha la testa dura e l'età di chi non può più cambiare.
Alla fine si è arreso.
Il vociare persistente e l'odore dei cibi diversi insieme è nauseante ma almeno adesso Liam non deve più scorrazzare fra i tavoli, ora deve sbrigarsela dietro il bancone con la manciata di clienti seduti sulla fila di sgabelli neri.
Qui il caffè va per la maggiore, come la fretta e le imprecazioni dei clienti impazienti.
Liam, diviso fra due clienti, nota che uno nuovo ha preso posto al bancone ma non riesce quasi a guardarlo finché in quella fila di caffè nero emerge la sua voce fuori dal coro.
«Un latte macchiato»
E Liam alza lo sguardo senza nemmeno pensare, trovandosi immerso in due meravigliosi occhi azzurri, familiari.
Nessuna felpa enorme questa volta, nessuna macchia di pittura ma un cappottino color crema, i capelli meno ribelli.
Sul suo viso c'è un leggero rossore e Liam non capisce se sia l'imbarazzo del suo sguardo invadente o il freddo pungente di Londra.
«Subito Signore»
E forse il sorriso sulle sue labbra è un po' meno artificioso.
Un sorriso che viene restituito, delicato come le labbra sottili dello sconosciuto.
Quando Liam posa la tazza chiara di fronte al moro la sala è nettamente più silenziosa.
«Grazie»
E quel tono così sottile sembra quasi stonare con tutto il resto ma a Liam piace, come altre cose di quel ragazzo.
Certo, non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura, ma non può fare a meno di essere curioso. Soprattutto dopo che lui ieri sia sparito in quel modo.
Non ha imbarazzo nel farsi avanti, non sarebbe da Liam Payne.
«Certo, questo posto non è di certo il migliore della zona ma non ha mai fatto scappare un cliente prima di te. Spero non sia stata colpa mia»
Il moro tossisce, sembra terribilmente imbarazzato e questo non fa che incuriosire Liam di più.
Lo osserva torturarsi le dita e poi incontrare il suo sguardo divertito.
«Mi dispiace io... Ho avuto un'emergenza, ecco. Dovevo avvisarti, scusa»
E sforza un sorriso, arricciando il naso in modo adorabile.
Liam alza le spalle e scuote la testa.
Adesso quel ragazzo gli sembra davvero un bambino con la sua timidezza, l'educazione quasi stucchevole e questa volta quasi non gli piace.
Un ragazzo come lui il mondo dovrebbe mangiarlo, eppure sembra temere la sua ombra.
«Nessun problema, davvero. Io sono Liam comunque»
E gli porge la mano.
Liam di solito non si presenta in quel modo così... antico, ecco, ma il ragazzo sembra essere proprio un tipo da buone maniere. Un bravo ragazzo.
Liam si adatta e finge di poterlo essere.
«Be' lo sapevo già»
Ridacchia a quel punto il bravo ragazzo, indicando la targhetta argentata sulla camicia di Liam che scoppia in una risata genuina.
«Si, ma l'ho detto sperando di conoscere il tuo nome, magari»
«Oh, scusa»
...e scusascusascusa. Quel ragazzo sembra dover chiedere perdono anche per quante volte respira.
«E allora?»
«Allora cosa?»
«Vuoi dirmi come ti chiami o è una specie di segreto di stato?»
Ecco, una richiesta chiara, con l'impazienza di Liam da leggere fra le righe.
«Louis»
Louis.
E suona bene con quella leggera inclinazione francese. 
Suona bene detto con quel tono leggero, come se la parola appena pronunciata non fosse importante. Sbaglia.
Suona bene uscita da quelle labbra sottili e pallide.
«Mi piace Louis»
E lo sanno entrambi, è una frase fuori luogo ma il moro sorride, arrossisce anche e questo basta a Liam per renderlo soddisfatto di averlo detto.
«Anche a me piace il tuo nome»
E Louis lo dice tutto d'un fiato, come fosse una bestemmia.
Poi gonfia le guance e abbassa lo sguardo.
È strano, tremendamente strano quanto possa sembrare fragile agli occhi di Liam, che gli sorride senza pensare.
Sincero.
Non si dicono altro.
Louis beve il suo latte macchiato, Liam pulisce il bancone e prepara caffè. Solo osservandoli con la dovuta attenzione si possono notare i loro sguardi che si rincorrono e incontrano come fosse un processo naturale, continuamente.
E poi un “a presto” sussurrato, Louis vuota la sua tazza. C'è una fredda Londra a cui tornare.
 
12 Ottobre, 13:05
Story Road, Casa di Harry.
 
 
Quando Harry torna a casa la trova nel solito caos, non si aspetta nulla di diverso.
Louis è così, vive nel suo casino. Harry ha provato a cambiarlo, non c'è mai riuscito.
Vive nel suo casino perché un po' un casino lo è anche Louis, un po' tanto.
Harry ultimamente è stanco di stargli dietro, di limitarsi, di buttare altri soldi.
Non l'ha mai detto a nessuno.
Inciampa in uno dei disegni a carboncino disseminati sul pavimento di moquette, non è la prima volta e ogni volta vorrebbe bruciarli quei maledetti fogli.
Che li disegna a fare se poi li butta via?
Forse Harry dovrebbe guardarli con un po' di più attenzione quei disegni. Magari noterebbe che i lineamenti dei suoi protagonisti non sono più spigolosi e allungati come i suoi, che i loro capelli non sono più ricci e ribelli, che non sono più tempestati di tatuaggi suoi.
Sono diversi, hanno un volto che lui non può conoscere.
«Che ci fai a casa a quest'ora?»
Louis ha alzato lo sguardo dai suoi libri di storia dell'arte per chiederlo e a Harry quasi viene un colpo!
«Potrei farti la stessa domanda»
È la sua risposta asciutta. Louis sospira e riabbassa lo sguardo sui libri.
«Sono appena tornato dall'università»
«Sono in pausa pranzo»
Risposte brevi, non si guardano nemmeno.
Una è vera, l'altra no.
«Ho chiamato in officina stamattina, dicono che ti hanno licenziato una settimana fa»
Louis non vorrebbe dirglielo, non vorrebbe essere deluso, non vorrebbe proprio essere lì, ma che può farci?
Harry si alza dal pavimento con il viso piegato dalla rabbia.
«Adesso mi controlli anche?! Hai paura che smetta di darti soldi, piccola sanguisuga? Tutto quello che mi viene in tasca alla fine va via per i tuoi corsi di studio eppure non ti accontenti mai»
Quelle parole fanno male, peggio delle lame dei coltelli, peggio dei pugni, eppure Louis non reagisce quasi mai.
È un codardo, lo è sempre stato.
«Ma fanculo, tu non sei la mia mammina, cazzo! Non dovresti nemmeno stare in questa casa, la mia casa!»
E il tono di Harry adesso è più alto, gli occhi di Louis più lucidi, i pugni stretti fino a lacerare i palmi.
«Ma non ti scomodare, alla fine sono sempre io quello che va via»
«Magari è proprio questo il problema»
Louis lo sussurra con un filo di voce e le labbra che tremano.
Harry avrebbe voglia di ridere, poi di piangere fino a star male, poi sparire.
Come sono arrivati a questo punto?
Si erano amati tanto loro due, come erano arrivati a non sopportare nemmeno lo sguardo l'uno dell'altro?
Nemmeno le sue cose sparse in giro, nemmeno le sue mani addosso.
Harry alla fine è andato via sbattendo la porta, chissà dove. Louis non lo sa mai.
Vorrebbe solo ricordare quand'è stata l'ultima volta che Harry ha sorriso a causa sua.
Il loro ultimo "ti amo" magari, ma erano rari anche quando tutto andava bene, perché come diceva Harry a che serve dirlo se lo senti nell'aria che respiri? Negli occhi che ti guardano...
Louis avrebbe solo voluto che lui glielo sussurrasse un po' più spesso, anche se era stupido, superfluo.
La vita è fatta di cose superflue, no? Di cose piccole. Da qualche parte aveva letto che anche la felicità era fatta di questo.
Forse era questo il problema, Louis doveva alzare gli occhi dai suoi libri, dai suoi disegni, dai suoi colori per volgerlo a tutto il resto.
Al mondo.
Ma il mondo era così pieno di cose troppo grandi, troppo difficili e Louis si sentiva più sicuro a scoprirlo 
negli occhi verdi di Harry.
Pensava che non avrebbero fatto mai male.
Sbagliava, ha sempre sbagliato tutto.
Ha sbagliato a lasciare Doncaster per Londra, ha sbagliato a riporre nell'amore, in Harry, tutto il suo futuro,  ha sbagliato a studiare arte che non lo porterà mai a niente.
Sbagli su sbagli, su insicurezze, su paure, su imperfezioni.
È così che Louis si sente.
Ed era tutto quello che non vuole essere, una condanna all'infelicità.
La sua, ogni giorno, è una ricerca a qualcosa di solido a cui aggrapparsi per non scivolare via, perché ormai la sua arte non basta più.
Ora, mentre le mani di Louis liberano rabbiosamente il tavolo dai libri dell'università, non trattiene più le lacrime.
Tira a se' fogli bianchi, e disegna.
Perché disegnare è un po' come chiudersi nel proprio mondo per lui, senza lasciare entrare nessun altro.
Un mondo in cui si sente quasi protetto.
Così disegna una fronte alta, dei capelli sottili, degli occhi del colore del caffè, delle labbra piene che non sono abituate a sorridere.
Disegna la cosa più bella che ha visto in quella Londra stanca.
In quella vita da niente.
Disegna lui, per l'ennesima volta.
 
13 Ottobre, 01:43
Yin&Yang, centro di Londra.
 
 
Liam non sopporta il rumore, il caldo, la gente ammassata, le luci accecanti e davvero, non sa come Niall sia riuscito a convincerlo a venire con lui in quel locale maledetto!
È un inferno, ed è sicuro che quella moretta dalla scollatura volgare dietro di lui si stia strusciando contro il suo culo di proposito, mentre sente la nausea salire.
«Dai Lee, non fare quella faccia! Prova a divertirti almeno per una sera»
E Niall per farsi sentire praticamente 
deve urlargli in faccia ma Liam quasi lo perdona quando vede le birre che porta fra le mani.
Gliene prendere una e se la porta alle labbra senza grazia.
Ecco cosa gli serve, una bella sbronza e smetterà di pensare.
Cazzo, perché non ce la fa più. Gli sembra di vedere quegli occhi ovunque. Azzurrissimi, in ogni persona che gli si para accanto, ed è come impazzire.
Louis sembra seguirlo come un ombra e Liam si vergogna così tanto dei suoi pensieri, di quel suo cedere davanti a uno sconosciuto dalla voce tremante.
Ma non può farci niente, è più forte persino dello sporco che si sente dentro, della musica assordante di quella discoteca, dell'alcol che gli scorre nelle vene mischiato al sangue acido.
«Bravo Liam, butta giù. Vedrai che starai meglio»
E sente Niall ridere, poi avvolgergli i fianchi e ballare con lui.
Da quanto lo conosce? Quattro, cinque anni? 
L'unico amico che ha, l'unico di cui si fida e darebbe tutto quello che ha nel conto in banca per trovarsi adesso fra braccia della sua fantasia dagli occhi di cielo.
Assolutamente patetico.
 
13 Ottobre, 10:26
Christie Café.
 
 
Louis nasconde le mani nelle tasche della giacca, entrando in quella vecchia caffetteria.
È il terzo giorno di seguito e be' il motivo delle sue visite frequenti è uno solo, anche se il solo pensiero gli tinge le guance di un rosso intenso.
È il suo piccolo segreto, la sua fuga quotidiana, andare per la colazione al Christie Café per ordinare il suo latte macchiato, per vedere lui.
Liam, è questo il suo nome.
Lo conosce da poco eppure pronunciato sulle labbra di Louis suona così bello, così giusto.
La prima volta che l'ha visto è stato un caso, non doveva nemmeno trovarsi lì, stava solo scappando dalla pioggia e non sa bene come si è trovato di fronte a questo ragazzo così alto, che lo guardava senza dire niente e per la prima volta nella vita Louis era felice di sentirsi osservato, di essere guardato perché catturare l'attenzione di una persona così bella era praticamente impossibile per lui, pazzesco.
E sentire il cuore battere così forte nel petto... in quel modo, era da tanto che non accadeva.
Poi Louis era tornato, perché a quel ragazzo ci aveva pensato anche a casa, anche la notte con Harry che gli dormiva affianco. 
Louis studia arte da una vita, di bellezza se ne intende e diamine Liam è bello da togliere il fiato.
E adesso eccolo qui, ancora una volta tornato a vedere lui.
Si era deciso quella volta, voleva parlargli davvero, magari farlo ridere.
Ci aveva già provato il giorno prima ma aveva fatto come al solito la figura dello stupido, era arrossito, inghiottiva le parole.
Ma oggi è diverso, ha anche uno dei suoi disegni con se, disegni di lui, per infondersi coraggio, per dargli un pizzico di sicurezza in più.
Così entra, ha sforzato un sorriso e con la testa piena di inutili paranoie occupa uno dei tavoli, in attesa di vederlo avvicinarsi, magari sorridergli nel vederlo lì.
«Buongiorno e benvenuto al Christie, cosa posso servirti?»
Troppo preso dai suoi pensieri non nota nemmeno la cameriera che si avvicinava al suo tavolo.
Louis arriccia il naso nel sentire una voce completamente diversa da quella che si aspettava e, una volta alzato lo sguardo verso di lei, è difficile nascondere la delusione.
Si tratta di una ragazza sulla ventina, dall'ampio sorriso e i capelli mori.
Sulla targhetta argentata legge il nome "Sophia".
«Ecco, uh, io... »
Louis piega il viso di lato e alla fine lascia andare un piccolo sbuffo.
«...Liam non lavora più qui?»
Alla fine la domanda gli esce dalle labbra, anche se quasi sussurrata.
E si sente uno stupido ancora una volta, stanco della sua insicurezza cronica.
Ad ogni modo Sophialagraziosacamerieradalsorrisoirritante ridacchia e si sfila il taccuino dalla tasca.
«Oh lui lavora qui dal lunedì al venerdì, ci sono io per il week-and. Sei un suo amico per caso?»
«Mhm, qualcosa del genere»
Borbotta, per non mordersi la lingua.
Un suo amico?
Gli viene quasi da ridere, Louis Tomlinson non ha più amici dalle elementari.
Ma questo Sophia non lo sa e non è nemmeno importante.
«Quindi cosa posso portarti?»
«Pancake»
Ha detto la prima cosa che gli è venuta in mente e lei l'annota, sorride un'ennesima volta e gira i tacchi per andare verso la cucina.
Ora che Louis è rimasto solo si sfila il disegno dalla tasca della giacca e senza aprirlo lo posa sul tavolo lucido.
Restare non ha più senso.
Così si alza, liscia le pieghe dalla sua giacca blu e ritorna sui suoi passi con l'insoddisfazione nascosta negli occhi.
Scappato come la prima volta, troppo agitato e preso da quegli occhi di caffè per poter sopportare di poter restare.
Solo che questa volta ha lasciato segni del suo passaggio.
Briciole per essere trovato.
 
13 Ottobre, 10:26
Albemarle Street, Casa di Liam.
 
 
Quando Liam apre gli occhi ha la bocca impastata, la testa che gli scoppia, scarsa sensibilità alle mani e sapore di vomito in fondo alla gola.
Passare il fine settimana cercando di gestire un post-sbronza non era esattamente nei suoi piani.
E poi da quanto non beveva in quel modo?
Una volta in piedi fa quattro passi barcollanti prima di imbattersi in un familiare biondino irlandese disteso sul parquet con la bocca aperta e una disgustosa pozza di bava sotto la sua guancia.
«Cazzo, e tu che ci fai qui?!»
Liam non ci va per il leggero e finisce per svegliarlo a schiaffi, se lo merita diamine! L'ha portato lui in quel locale ad ubriacarsi fino a vomitare in un cesso pubblico.
«L-Liam...ma...vaffanculo lasciami!»
Borbotta Niall una volta aperto gli occhi blu arrossati dall'alcol e a Liam viene quasi da ridere.
«Hai un aspetto orribile, Nì»
Il biondo ride ironico e barcollando cerca di rialzarsi, alla fine è Liam a rimetterlo in piedi e mantenerlo fermo anche se la voglia di cantargliene quattro non passa.
«La prossima volta esci da solo, te lo scordi che venga ancora con te!»
«Non mi sembra di averti obbligato in niente Liam, non darmi colpe se non reggi nemmeno un paio di birre»
Nel dire questo il biondo mostra un sorriso stanco sulle labbra, Liam scuote la testa.
'Fanculo lui e Niall, 'fanculo il fatto che l'abbia già perdonato e 'fanculo il mal di testa. 'Fanculo tutto.
«Sta zitto»
«Oh ti voglio bene anch'io, sai?»
«Esci di qui prima che ti faccia il culo a strisce»
Il tono di Liam dovrebbe essere duro ma Niall scoppia in una risata roca e sguaiata.
Quel ragazzo non cambierà mai.
«Di solito non sei così volgare LeeLee, niente più alcol per te»
Alla fine ridono entrambi e per Liam tutta quella leggerezza è quasi... irreale.
Forse troppo.
«Guarda che sono serio, esci da casa mia o ti prendo a calci» 
 
13 Ottobre, 02:34 p.m.
In cerca di un superMarket aperto, Liam.
 
 
Stranamente faceva meno freddo del solito, forse era solo dovuto al fatto che Liam stesse correndo da circa un quarto d'ora in cerca di un piccolo supermercato in cui fare uno straccio di spesa, forse era grazie al sole pigro che aveva deciso di illuminare le stradine di Londra in quel pomeriggio di pieno autunno.
Liam comunque quasi non ci fa caso, sa solo che ha una fame mostruosa e un frigo deprimentemente vuoto.
Di solito non mangia a casa ma i soldi scarseggiano ultimamente e di andare in una tavola calda nemmeno se ne parla.
Non sa cucinare oltre che una frittata ma a furia di cheesburger non è andato in bagno per una settimana.
Disgustoso oltre che poco pratico.
La testa gli fa ancora male e il suo umore non è migliorato ma a quel punto a che serve lamentarsi?
Corre senza nemmeno vedere davanti a se' ma con lo sguardo concentrato sulla fila di negozi alla sua destra, alla fine non è difficile, uniamo questo alla sua goffaggine cronica e a una sbronza non ancora smaltita e l'incidente è dietro l'angolo.
«Oh, merda»
Sussurra una voce sottile, familiare.
Liam si è scontrato contro qualcosa o meglio, qualcuno finendo per scivolare  sul marciapiede imbrattato di sporcizia.
Quando alza lo sguardo per capire contro chi sgrana gli occhi e non gli sembra vero, sembra una specie di scherzo del destino.
Louis ha lo sguardo basso mentre raccoglie in tutta fretta i suoi libri d'arte contemporanea e scultura.
«midispiaceèstatatuttacolpamiaio...»
«Louis tranquillo»
Sussurra Liam a voce abbastanza alta da farsi riconoscere all'istante.
Quando Louis posa gli occhi su di lui giurerebbe di vederlo sorridere, per poi arrossire e rialzarsi con una grazia inconfondibile.
Liam reagisce con meno rapidità ma alla fine anche lui si mette in piedi, non sa nemmeno cosa dire.
Quel ragazzo ha il potere di metterlo sotto pressione a quanto sembra.
«Stai... bene?»
Louis mette le mani in tasca, per evitare di torturarsele e si sforza di tenere lo sguardo su quei due occhi di caffè.
Dolci, al contrario di tutto il resto.
Poi sente Liam ridacchiare e sorride spontaneamente, perché ha un bel suono, perché è puro.
«Sì, penso di poter sopravvivere questa volta. E poi sono io ad esserti venuto addosso, non guardavo dove mettevo i piedi e be'...»
Finisce per grattarsi la nuca in un gesto meccanico, come fa sempre quando è teso ma davvero, non sa perché.
Insomma, è solo Louis.
Sono solo gli occhi azzurri che ti perseguitano da giorni, dopotutto.
«Ti va un caffè?»
Louis l'ha detto di botto, con tono più acuto del solito. Mordendosi il labbro fino a farlo diventare bianco.
Liam non sa perché l'abbia chiesto, sa che è strano, che dopotutto sono estranei ma che non ha dubbi su cosa rispondere, non vuole averne per una volta.
«C'è un posticino carino proprio dietro l'angolo»
 
E infatti il "Red Cup's" è davvero accogliente.
I tavolini sono tutti di un rosso acceso e disposti su due file orizzontali.
Le poltroncine imbottite sono di bianco gesso e le tovagliette di colori pastello diversi uno dagli altri.
Louis si trova a chiedersi perché Harry non l'abbia mai portato in un posto del genere, poi posa lo sguardo su Liam e il resto perde importanza.
Mentre Liam si chiede come lui possa possa essere così bello e fragile allo stesso tempo nei suoi abiti larghi e colorati, piccoli pensieri segreti, proibiti.
Sciocchi.
Il tavolo che scelgono è di un verde brillante.
«Non pensavo fossi un tipo da caffè»
«Infatti non lo sono»
Liam alza gli occhi al cielo e, anche se per poco, sorride.
«Il solito?»
Ma alla fine non c'è quasi spazio per quel latte macchiato e quel caffè, tutto è occupato dalle parole che sgorgano come un fiume in piena.
E nonostante non si conoscano per niente, sembra quasi giusto così.
E Louis parla, parla dell'Università, della sua arte, del suo amore per il disegno, del suo odio della pioggia e dell'inverno, della sua passione per il calcio.
E la sua insicurezza passa in secondo piano.
E allora Liam parla della scrittura che ormai ha accantonato, della facoltà di legge che ha abbandonato per Londra, del suo amore per i film western, delle sue sorelle che gli mancano più di ogni altra cosa.
Ed è fottutamente naturale, come tornare a respirare dopo ore di apnea, mentre i polmoni bruciano e la gola trema.
Louis vorrebbe chiedergli di non andare mai, perché con Liam è facile dimenticare tutto quello che c'è là fuori.
Liam vorrebbe chiedergli di restare, perché con Louis quel vuoto che sente nel petto, quello sporco che ha sotto la pelle quasi non lo sente.
E parlano ma adesso sono così vicini che posso sentire l'uno il respiro dell'altro sulle labbra.
Louis arrossisce e Liam si morde le labbra per evitare di fare stronzate. 
Ha iniziato a chiedersi che sapore possano avere, quei due petali pallidi e lo sa, non va bene.
Poi Louis non sa nemmeno come, ma finisce per posare una mano sulla sua, ed è bollente. Così chiude gli occhi, è più forte di lui, mentre un brivido gli sale lungo la schiena.
Ma è quasi troppo bello per essere vero, e la realtà è un'altra e scalpita per uscire.
Louis quasi salta all'indietro quando la suoneria del suo cellulare riempie lo spazio circostante.
Il nome sul display basta a fargli tremare le mani e annerirgli il cuore.
Harry.
«Io... scusa, devo andare»
E Liam non ha nemmeno modo di replicare.
Vede gli occhi di Louis perdere luce, forse anche tremare prima di lasciare il tavolo senza nemmeno guardarsi indietro. 
Ed è stupido, lo sa, ma si sente illuso, preso in giro come un idiota.
Ecco, si sente un vero coglione.
 
15 Ottobre, 09;03 a.m.
Christie Café.
 
 
Oggi è finalmente una bella giornata, il sole riscalda tiepido le strade della città che sembra assumere colori nuovi, e a Liam sembra quasi una presa in giro.
Si, una grossa presa in giro proprio ora che ha l'umore sotto i piedi e lo sguardo un po' più vuoto.
E si sente sempre più stupido perché, diamine! Ci sta veramente pensando ancora?
Ha passato il fine settimana chiuso in casa ingurgitando unicamente birra economica. 
E per cosa, poi?
Quel ragazzo, Louis, deve uscirgli dalla testa, ormai sta diventando ridicolo.
Quindi si impone di dare un taglio a tutta quella faccenda esattamente nel momento in cui varca la porta del Christie.
Quello era un punto fermo.
«Liam?! Sei qui?»
Ed ecco quella vecchia isterica già di prima mattina! Prima o poi gli farà perdere la testa, Liam ne è convinto.
Con quella voce stridula e poi quella bocca che usa solo per sparare sentenze.
Okay, forse è un po' troppo duro con lei ma davvero, si è svegliato proprio col piede sbagliato e per come sono quei due, che non vanno d'accordo nemmeno nei giorni migliori, non possono che fare scintille.
Liam alza gli occhi al cielo e sbuffa vistosamente nel vederla uscire dalla cucina.
Christina M. Johnson lo osserva per poi scuotere la testa, piena di disappunto.
«Sempre lo stesso zuccherino, mh?»
Il castano alza le spalle e prende il suo posto dietro al bancone senza darle corda.
Certo, avrebbe voglia di sfogarsi ma urlare contro il suo capo non è esattamente una buona idea, nemmeno se quel capo è Christie.
«Dimmi solo cosa c'è, Chris»
«Sophia mi ha detto che probabilmente sabato un cliente ha lasciato qualcosa per te. Visto? Dovresti essere più cortese con me, Liam»
Adesso Liam si gratta la nuca con un sopracciglio alzato.
Cosa?!
«Chi..? E qualcosa... cosa?»
La donna ridacchia e fruga nella tasca del suo grembiule per poi estrarne un foglio ripiegato.
«Tieni ragazzo, a mio parere è fatto proprio bene. Peccato non ci sia una firma»
Liam non ci pensa due volte prima di strapparlo dalle mani della donna mentre la curiosità lo divora.
«Ma chi...»
E una volta aperto Liam sbatte le palpebre, a tratti sente l'aria mancargli.
Non crede ai suoi occhi, è troppo... assurdo!
Un disegno, un ritratto, il suo
Ed è lui, sì. Si riconosce in quei lineamenti morbidi e in quel sorriso appena accennato.
Si riconosce in quel volto che allo stesso tempo gli sembra quello di un estraneo perché illuminato da una luce che non pensava di poter avere.
In quegli occhi che seppur disegnati sembrano avere più vita di quelli reali.
Ed è bello, un disegno meraviglioso.
 
«Quindi disegni?»
«Be' si, è... una specie di sfogo per me. Mi fa sentire, ecco, mi fa sentire giusto. Lo faccio perché è una delle poche cose in cui riesco bene e allo stesso tempo mi fa sentire "bene"»
Louis sorride, mostrando una fila di denti bianchissimi e mettendo in risalto le guance ancora arrossate.
Liam ha letteralmente iniziato ad adorare quella sua timidezza innata, quella sua delicatezza.
Louis è il suo opposto, è un dato di fatto, eppure parlare con lui sembra portarlo in un mondo tutto nuovo, piacevole.
«E di solito cosa disegni?»
E a questa domanda Louis allarga il suo sorriso.
«Tutto quello che mi colpisce, tutto quello che trovo bello. Anche se ammetto di essere molto selettivo suoi miei soggetti»
«Ah, sì?»
Ed eccolo che abbassa lo sguardo per l'imbarazzo, eccolo che si mordicchia appena il labbro per poi tornare a sostenerlo. Occhi negli occhi.
«Si, sempre»
 
A quanto pare dimenticare si stava facendo più difficile del previsto e il destino non era decisamente dalla sua parte.
 
23 Ottobre, 07:29 p.m.
Green Road, poco distante dal Christie Café.
 
 
Credevi davvero che mi avresti trascinato a fondo con te?
Louis barcolla con gli occhi pieni di lacrime e le mani che tremano su una strada che conosce troppo bene.
Credevi davvero che saresti riuscito a fottermi così bene, Lou?
Una bottiglia di birra ancora fra le dita molli, con la testa leggera e la vista a metà.
Sei un fottuto casino e io sono stanco, non voglio farne più parte.
Le parole di Harry rimbombano nelle sue orecchie come una cantilena spezzata dalle urla rudi della notte.
Pensavo che l'amore bastasse ma ormai hai prosciugato anche questo.
Che cosa ci fa sulla Green Road adesso?
Ha percorso quella strada ogni giorno ma non ha più avuto il coraggio di entrare in quel vecchio Café, di tornare da Liam.
Ci era andato troppo vicino, troppo vicino alla felicità per non spaventarsi.
Louis. Codardo fino alla fine.
Non mi ami più, Harry?
Non ti amo più.
E si era illuso già abbastanza nella vita, non voleva una cicatrice in più.
Liam lo sarebbe stata.
E allora perché sta camminando su quella strada per l'ennesima volta?
 
Liam ha appena terminato il suo turno eppure non vorrebbe andare via.
Si aggrappa ancora alla patetica speranza di vedere ancora lui varcare la porta del Christie e ordinare quel suo solito fottuto latte macchiato.
Sta impazzendo, a chi vuole darla a bere?
Non è una speranza, è quasi una preghiera.
Perché no, non può accettare di non poterlo rivedere almeno ancora una volta.
Ma ormai è tardi, il Café è chiuso, lui si stringe nel suo giubbotto nero, trema per il freddo e nasconde negli occhi una fragile disperazione.
Una flebile speranza.
E lo odia, e si odia.
Come è arrivato a quel punto?
«Liam!»
Una voce, spezzata, roca ma ancora riconoscibile.
La sua.
Liam si volta e non sa se urlare contro quel corpo fragile o corrergli incontro.
Poi però vede qualcosa che non vorrebbe vedere e sente il corpo irrigidirsi e i pugni stringersi.
«Louis... »
Louis dagli occhi rossi e il viso incrostato di lacrime.
Louis dal corpo tremante e con una bottiglia di birra vuota incastrata fra le dita.
Louis che cammina verso di lui a passo incerto e che inciampa nelle braccia fredde di Liam che lo stringe terrorizzato dal vederlo cadere.
Mentre la bottiglia si schianta al suolo in un suono acuto e fastidioso.
E Louis ride.
Una risata amara e sgraziata. Una risata non sua e Liam inghiotte la bile e lo stringe un po' più forte, accarezzandogli piano la schiena.
Non c'è tempo per la rabbia.
«Cosa ti è successo Lou..?»
E il moro gli conficca le unghie nella giacca, per poi scuotere la testa. 
Smette di singhiozzare.
«Non chiedere, ti prego»
E Liam non sa nemmeno perché ma annuisce, e non si muove.
Lo culla mentre respira il suo profumo corrotto dall'alcol.
Lavanda e vernice.
E nel frattempo anche la pioggia vuole metterci il suo, facendo scendere delle goccioline leggere, fredde.
«Louis credo di doverti portare a casa, mh? Non puoi restare in strada in questo stato. Dove abiti?»
A quella domanda Louis si agita e lamenta come un bambino, sussurrando frasi sconnesse e davvero, Liam non sa cosa fare se non tenerlo stretto a se'.
«Tienimi con te!»
Soffia sulle sue labbra e Liam sente quei piccoli brividi traditori.
Quelle sensazioni sbagliate, che non dovrebbe provare.
Perché alla fine fanno solo male.
«mhm... dai Liam... »
Borbotta Louis infilando le dita fra i suoi capelli e Liam si convince che glielo stia lasciando fare solo perché ormai è completamente sbronzo e domani non ricorderà più nulla.
Nega di sentirsi morire ad ogni carezza distratta.
«Louis tu... hai bisogno di stenderti un po'... casa mia è vicina io...»
Liam sa che non è una buona idea, e cazzo ne ha la conferma nel momento esatto in cui Louis posa le labbra sul suo collo, provocandogli una scarica di brividi a cui è difficile resistere.
«Va bene»
Soffia poi sulla sua pelle il moro.
Dov'è finita tutta quella timidezza? Quante birre ha dovuto mandare giù per metterla a tacere?
Liam si è chiesto troppe volte in quei giorni come sarebbe stato avere le labbra di quel ragazzo sulla pelle, quel ragazzo che adesso lo sta facendo impazzire.
Ma no.
Louis ha bisogno di aiuto, non di qualcuno che lo sfrutti ora che non è in se'.
Così, sforzandosi e usando tutto il suo buon senso, gli avvolge un braccio attorno alle spalle per sostenerlo e lo guida verso la sua moto.
Viaggiare in quel modo con Louis conciato così male non sembra per niente facile ma non hanno alternative.
Così Liam cavalca la sua moto e fa in modo che il moro si posizioni proprio dietro di lui.
«Tieniti stretto ok?»
E Louis è felice di accontentarlo, avvolgendogli le braccia alla vita e poggiando la testa sulla sua schiena.
Liam gli ha ceduto il suo casco.
E mentre sfrecciano fra le strade di Londra in preda alla solita pioggia Louis, stretto a quel corpo caldo e profumato di caffè e cannella, si sente a casa.
Nonostante il dolore.
 
10:59 p.m.
Casa di Liam.
 
 
Louis dorme sul divano, Liam lo guarda.
La cosa va avanti da più o meno da un'oretta e lui non sembra stancarsi mai. Guardarlo, osservare ogni suo singolo movimento, cercare di memorizzare i suoi lineamenti, la curva delle labbra... lo fa sentire bene.
In pace.
Certo, riflettendoci un po' se ne vergogna. Da quando è così sentimentale?
Ma Louis è qualcosa di troppo bello per riuscire a stargli lontano e questi giorni gliene hanno dato la conferma.
 E Liam è così stanco di dissimulare.
Prova qualcosa per lui, non riesce a negarlo nemmeno a se stesso ormai.
Quindi aspetta che Louis apra gli occhi, che tiri su quel suo sorriso timido e lo guardi.
Gli basta quello per stare bene.
Deve bastargli.
Perché non si illude nemmeno per un attimo che Louis possa sentirsi anche solo la metà di come si sente lui quando gli è vicino.
E qualche attenzione da ubriaco non possono cambiare questa sua certezza.
Come non può farlo quel disegno.
Louis è un'artista, ha a che fare con modelli diversi tutti i giorni e lui è stato solo uno dei tanti, per caso.
E forse in parte questo è un sollievo.
L'amore gli ha già fatto troppo male per poterlo affrontare di nuovo.
Quante volte è stato tradito? Quante volte lasciato solo?
Liam non può più fidarsi, nemmeno di quel ragazzo così fragile che gli dorme di fronte.
Ma Louis apre gli occhi e tutto il resto passa in secondo piano.
Ora bisogna vedere se sta bene, se riesce a reggersi ancora in piedi.
È l'unica cosa importante in questo momento.
«Ehi»
Sussurra appena il castano, sporgendosi verso di lui, che si siede portando le mani alle tempie.
«Ehi»
Louis sorride appena, mentre Liam sospira si sollievo.
«Va meglio? Mi hai fatto preoccupare Tomlinson»
E non ci vuole molto che il colorito del moro diventi un rosso scarlatto, esattamente nel momento in cui i ricordi riaffiorano.
A quanto pare non ha avuto la fortuna di dimenticare.
«Liam credimi sono mortificato... Io ecco non so cosa mi sia preso! Ho bevuto così tanto e alla fine sei stato costretto a portarmi qui e... Cristo non posso credere che... »
«Ehi, shh è tutto ok. Lou non fa niente, ammetto di essermi preoccupato per te ma non è stato un problema. Volevo aiutarti davvero»
Liam si è seduto accanto a lui e nella foga di parlare gli poggia la mano sulla schiena, accarezzandola piano.
Louis, che non ha ancora perso l'audacia dovuta all'alcol, chiude gli occhi e lascia che quel tocco lo riscaldi.
Prima di crollare su quel divano ha vomitato anche l'anima nel bagno di Liam, mentre lui gli reggeva la fronte.
Senza mai lasciarlo solo.
Nessuno aveva mai fatto nulla del genere per lui e nonostante la bocca e lo stomaco gli bruciassero lui si sentiva protetto.
Andava quasi bene, forse era l'alcol ma stare male gli era pesato poco se poi erano le mani di Liam a rialzarlo su.
«Non so cosa dire... solo, grazie. Grazie Liam»
E ora che si guardano negli occhi è quasi difficile parlare. Manca il fiato e le mani sudano.
Ma cazzo è da ragazzini! Bisogna darsi un contegno.
Così Liam abbassa lo sguardo e annuisce piano.
«Di niente. Davvero, è tutto ok»
Quella freddezza improvvisa irrigidisce Louis, che crolla nel solito imbarazzo.
Ha rovinato tutto.
Come può adesso solo pensare di rifarsi vedere dopo tutto quel casino? Dopo essersi dimostrato agli occhi di Liam come una specie di alcolizzato mentalmente instabile?!
Si vergognava, si sentiva il solito disastro.
A Liam ci teneva, non voleva cadere così in basso, non con lui.
«Forse è meglio che vada adesso»
Liam stringe la mascella e annuisce piano.
«Forse è meglio»
«Sì»
Si alzano entrambi senza guardarsi, come se fossero all'ergici l'uno a l'altro e non c'è niente di più falso.
Semplicemente, entrambi hanno paura di cedere e poi essere rifiutati.
Ogni passo verso la soglia di casa è faticoso, come se Liam indossasse scarpe di cemento e la testa di Louis non smettesse di girare.
Ora la porta è aperta però, e Louis deve tornare fuori. È giusto così.
«Dovrei chiamarti un taxi, per assicurarmi non ti accada niente, sai... »
Louis sorride amaro con lo sguardo basso.
«Ma no, casualmente sono a pochi passi da casa mia, e poi sto molto meglio»
Sono le sue ultime parole poi, giusto per farsi più male, si concede un ultimo sguardo.
Ed è come annegare in un mare fatto di caffè.
cazzo non ha idea di chi sia stato il primo ad avvicinarsi, sa solo che adesso lo sta stringendo, che sta respirando attraverso le sue labbra calde.
E Liam ha il sapore agrodolce delle arance.
E non gli sembra vero.
Trema, mentre le sue mani lo esplorano con una disperazione e una voglia che non pensava fosse possibile.
E una lacrima gli scende piano mentre Liam bacia le sue labbra, poi il suo collo, il suo mento con una devozione che lo fa sentire... unico.
Ed è bellissimo.
Così perde le dita nei suoi capelli mentre si appiattisce sempre di più contro il suo petto.
Vuole solo sentire il suo calore, la sua pelle sulla sua.
E le sue mani sembrano quasi muoversi da sole verso i bottoni della camicia a quadri di Liam, guardandolo negli occhi. Gli chiede il permesso.
Liam gli stringe i fianchi e lo bacia ancora, issandoselo addosso.
È una risposta chiara.
Lo sente camminare veloce, per poi stenderlo su una superficie morbida, deve essere la sua camera da letto ma Louis non presta attenzione a nient'altro che non siano le labbra di Liam.
E non c'è paura, non c'è imbarazzo.
Sfiorarsi, toccarsi, esplorarsi, sembra non esserci nulla di più naturale, di più giusto.
Ora che i vestiti scivolano via e la pelle si fa più calda.
Louis sente che il cuore potrebbe scoppiargli da un momento all'altro, nel sentire il peso di Liam su di se', nel sentirlo entrare in lui con una delicatezza disarmante.
«Non voglio farti male»
Gli sussurra all'orecchio con la voce spezzata, lasciandogli una scia di baci umidi sulle spalle, la schiena.
Non c'è stata preparazione, non c'è stato tempo di fronte a quel bisogno che li stava consumando dentro.
Fa male ma è un dolore positivo, caldo, che non vuole dimenticare.
E sembra così tanto amore che Louis vuole crederci, ed ogni gemito di Liam è come una promessa.
Una promessa a cui vuole dare fiducia.
Così cerca le sue mani e le stringe, fino a conficcargli le unghie nella carne.
Vuole appartenergli completamente, vuole che lui non allenti la presa.
Non vuole smettere di sentirlo.
E arrivare all'apice sentendo il suo profumo inondargli i pensieri confusi è come toccare il paradiso con un dito.
Troppo bello per essere reale.
Ma per una volta nella sua vita Louis vuole credere nei miracoli.
 
11:08 p.m.
Camera da letto di Liam.
 
 
Liam ormai è sveglio da un po', accarezza i capelli di Louis che si è accoccolato sul suo petto e... si sente bene.
Per la prima volta dopo troppo tempo.
Ha provato a respingere Louis, ci ha provato davvero ma ormai ci è troppo dentro.
L'ha fottuto.
Louis Tomlinson si è portato via quella cappa di quiete intossicante sua da sempre e ora si sente sollevato, sereno.
Certo, si conoscono appena, sanno così poco l'uno dell'altro eppure questo non gli pesa.
C'era tutto il tempo e Liam aveva aspettato per anni qualcosa che nemmeno conosceva, è paziente.
Lo è sempre stato.
Spera solo che quando Louis aprirà gli occhi non vedrà l'ombra di un pentimento.
Spera non lo lasci solo.
Liam è un uomo a metà, non può sopportare altro dolore senza spezzarsi.
Ed è così stanco di fingere che tutto vada bene...
Così è un sollievo difficile da descrivere vedere Louis che apre gli occhi e cerca il suo sguardo, gli sorride.
E forse, per una volta nella vita, va tutto bene.
«Non lasciarmi andare»
Louis lo sussurra come fosse un segreto inconfessabile e Liam, be', lui non è mai stato bravo con le parole così semplicemente lo stringe. Forte.
Ed è da pazzi ma non vuole nient'altro che sentire quelle mani e quel profumo sulla pelle, finché avrà ossigeno nei polmoni.
Louis è un artista e Liam vuole essere la sua tela bianca, completamente nelle sue mani, creta duttile al suo tocco delicato.
«Prendimi e non lasciarmi andare mai più»
E no, non avrebbe più commesso lo stesso errore.
L'avrebbe tenuto per se'.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Ed ecco la mia seconda os Lilo! Ci ho messo parecchio a scriverla e ammetto di postarla senza essere completamente soddisfatta, soprattutto del finale ma se continuavo a starci sopra rischiavo l'esaurimento nervoso! xD
Ad ogni modo spero vi sia piaciuta! Fatemi sapere cosa ne pensate, per me è molto importante :3
A presto!
-Nimphadora 
  
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