Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: WibblyVale    19/08/2015    4 recensioni
Fanfiction partecipante al "Fanart and Music Inspiration" contest indetto da Aya88.
Jiraiya e Tsunade devono affrontare la consapevolezza di non potersi più rincontrare. Ciò farà rivere loro momenti passati e occasioni perdute.
Spero di avervi messo almeno un po' d'interesse!
Buona lettura!
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Tsunade | Coppie: Jiraya/Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio, Naruto Shippuuden
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: WibblyVale Fanart: 11
Canzone:Here Without You- 3 Doors Down
Titolo: Here Without You
Personaggi: Jiraiya, Tsunade, Orochimaru
Genere: Romantico, Malinconico
Rating: Arancione
Avvertimenti: Nessuno
Note dell’autore:
Ciao a tutti! Questa fan fiction è stata scritta per il Fanart and Music contest indetto da Aya88. La fanart mi ha ispirato permettendomi di creare un punto di contatto tra i due protagonisti della storia, mentre il testo della canzone dei 3 Doors Down mi ha ispirato permettendomi di creare un punto i partenza per la fan fiction. Le parole e il ritmo della canzone mi hanno aiutato ad entrare nello spirito del racconto e, soprattutto, mi hanno dato l’input per descrivere quali fossero le sensazioni provate dai due protagonisti. Ascoltandola ho pensato a come il passato, per così dire, felice, era in contrasto con il presente in cui il protagonista e solo senza la persona amata. Consiglio di ascoltarla prima di leggere o mentre leggete il racconto.









La pioggia ticchettava sui vetri della locanda, accompagnando con il suo rumore ritmico i pensieri dell’unico avventore. L’uomo si scostò i lunghi capelli bianchi dal viso e sorrise mellifluo alla cameriera, per poi tornare ad immergersi nella lettera che stava scrivendo.
La locanda in cui si trovava era piuttosto piccola e male arredata. I tavolini e le sedie erano logori e, su ognuno di essi, vi era uno spesso strato di polvere. Doveva ammettere però che, nella sua vita, ne aveva visitate di ben più squallide.
Jiraiya aveva passato molto tempo nel freddo ed inospitale Villaggio della Pioggia, prima con i suoi compagni, poi per allenare un gruppo di ragazzini. Da quando vi aveva fatto ritorno i ricordi continuavano a tormentarlo. Alcuni rappresentavano momenti belli e felici, ma altri gli facevano stringere il petto, facendolo soffrire e meditare su cosa sarebbe potuto essere.
C’era una memoria in particolare che non se ne voleva proprio andare. Era tutta colpa di quel clima infernale che lo rendeva meditativo e faceva indugiare il suo cervello in pensieri dolorosi. Forse però era colpa dei quell’ultima scommessa con l’Hokage: “Se tornerò tu sarai mia.” Aveva avuto il coraggio di dire.
Le guance della donna erano arrossate un po’ per l’alcol, un po’ per l’imbarazzo, e lei lo aveva guardato con occhi diversi, quasi dolci. Come quella volta, prima che la vita, il destino e le loro stupide scelte li separassero di nuovo. Forse per sempre.
Un tuono squarciò il silenzio riportandolo alla realtà. Il sennin si portò una mano sul viso cercando di recuperare lucidità. La cameriera gli portò un altro bicchiere di sakè e si sporse verso di lui, facendo ballonzolare il seno prosperoso.
Era una donna sulla trentina, con i lunghi capelli scuri e gli occhi di un blu intenso, abbastanza attraente. Insomma il suo tipo. Peccato che in quel momento si sentiva piuttosto depresso. Dentro di sé sentiva quella strana sensazione di destino incombente.
“Cosa scrivi?” chiese con voce squillante e gioiosa. I suoi occhi vagavano curiosi per il foglio di carta.
“Una lettera ad un’amica.” Rispose, ricambiando il sorriso. In realtà, le parole faticavano ad uscire. Non era facile come scrivere uno dei suoi libri. Voleva che, qualunque cosa fosse successa, lei sapesse la verità.
“Deve essere un’amica speciale.” Affermò la donna dietro il bancone.
Lui annuì e tornò a guardare il foglio per metà scritto. Fosse bastato scrivere “Sei speciale” l’avrebbe fatto, ma c’era molto di più da dire. Doveva fare delle scuse, portare conforto e sembrava che non esistessero parole per quello.

Più tardi quella sera nel suo freddo e scomodo letto tentò di prendere sonno, ma l’agitazione per ciò che sarebbe potuto accadere il giorno successivo non lo faceva dormire. Scostò con stizza le coperte da sé e si sedette alla sua scrivania. Un lampo illuminò la piccola stanza a giorno. Accese la lampada sulla scrivania e prese in mano la penna. Doveva finire quella lettera a tutti i costi
.


Anni prima il team dei tre Ninja Leggendari si era ritrovato a combattere in quelle terre martoriate dal costante scrosciare della pioggia. Erano uno dei gruppi più potenti di Konoha, combattevano insieme da anni e si conoscevano l’un l’altro meglio di quanto conoscessero loro stessi. Nonostante ciò, c’era sempre stato qualcosa a dividerli: la superbia, la rivalità, un amore non corrisposto. Questo però non li aveva mai fermati, avrebbero rischiato la vita per salvare i loro compagni.
In quel momento, combattevano, schiena contro schiena, contro una schiera di ninja nemici.
“Cerca di andarci piano, Orochimaru.” Lo redarguì Tsunade. “Sono solo dei bambini!”
“Loro non esiterebbero ad uccidere noi.” Rispose freddo come sempre.
“Hanno la pergamena! Dobbiamo riprendercela!” sottolineò Jiraiya, colpendo il suo avversario dritto nello stomaco con il Rasengan.
I due uomini avevano sconfitto i loro avversari e si stavano voltando per aiutare la Senju, ma era troppo tardi. L’avversario della donna le aveva spruzzato addosso un fumogeno viola, che la avvolse in una nuvola, impedendo ai suoi compagni di vederla.
“State indietro!” ordinò tossendo.
I due aspettarono che il fumo si disperdesse, poi si fiondarono a soccorrere la compagna, che stava cadendo a terra. Orochimaru la prese tra le braccia prima che raggiungesse il suolo e la posò delicatamente. La pioggia continuava a cadere imperterrita su di loro. Tsunade era ancora cosciente, ma il suo corpo si contraeva per gli spasmi di dolore.
Nel frattempo, il nemico, approfittando del trambusto, si era dato alla fuga.
“Dobbiamo raggiungerlo!” urlò il ninja pallido.
“No! Dobbiamo occuparci di lei!” esclamò deciso Jiraiya.
Il suo compagno si alzò per fronteggiarlo. “Quella perg…”
“Non m’importa!”
Orochimaru lo guardò come si guarda un bambino che sta facendo i capricci.
“Fa come ti pare. Io vado. Se siete ancora vivi, ci troviamo al punto di ritrovo nel Paese del Fuoco.” Lanciò un ultimo sguardo preoccupato alla sua amica, poi si dileguò.
“Idiota!” sbuffò il ninja dai capelli bianchi, per poi focalizzare la sua attenzione sulla bionda. La prese in braccio e la portò in un luogo riparato tra le rocce.
Il respiro di Tsunade si faceva sempre più flebile ed affaticato, i battiti del suo cuore stavano rallentando. Lo shinobi appoggiò la donna contro l’umida parete rocciosa, incavata nella montagna.
“Tsuna, che devo fare?”
Lei gli strinse debolmente la mano, cercando di calmarlo. “Ora rilassati e segui le mie istruzioni.” Disse, prendendo fiato ad ogni parola, senza però perdere il suo tono autoritario.
Il ragazzo non poté trattenere un sorriso. Anche in quella situazione continuava a dargli ordini. E lui, come sempre, non poteva far altro che eseguirli.
“Prendi il mio zaino. Dentro… Ci dovrebbe essere un astuccio verde.”
Jiraya frugò a lungo, ma alla fine lo trovò. Il volto della sua amica era sempre più pallido. Non sapeva quanto avrebbe resistito.
“Ora che devo fare?”
“P… prendi la boccetta con il liquido blu. Usala per riempire una siringa.”
Lo shinobi eseguì gli ordini il più veloce che poteva. Quando rialzò lo sguardo dal suo lavoro, Tsunade aveva chiuso i suo occhi dorati. Lasciò cadere la siringa a terra e si lanciò accanto a lei.
“Tsunade! Tsunade! Rispondi! Ti prego non morire.” Gridò scuotendola.
Lei riaprì gli occhi con una lentezza quasi esasperante.
“Hai fatto cadere la siringa.” Constatò con il tono che di solito aveva, quando gli dava dell’idiota. “Sbrigati a cambiare l’ago.”
Ancora scosso, il ninja fece ciò che gli veniva ordinato.
“Ti ricordi… Quando… Quando ti ho… Insegnato a pre… Prendere una… Vena?”
Jiraiya annuì e, senza aspettare, cominciò a tastare il braccio della donna. Le sue mani tremavano. E se avesse sbagliato? Tsunade portò la sua mano, che le pareva pensante come un macigno, al volto dell’amico, accarezzandolo.
“Mi fido di te.” Fece un piccolo sorriso tirato, a causa del dolore.
Lo shinobi decise di agire e infilò l’ago nel braccio dell’amica, prendendo la vena al primo colpo. A quel punto, la ragazza perse i sensi, cadendo tra le sue braccia. Il suo respiro però stava tornado regolare, così come i suoi battiti.
Dopo aver risistemato il kit medico, Jiraiya capì che non potevano trattenersi oltre in quel luogo. Erano troppo scoperti e i nemici avrebbero potuto raggiungerli. Si mise quindi l’amica sulle spalle e, scuotendo via la stanchezza, prese a correre verso casa.

Lo shinobi corse tutta la notte senza sosta, trattenendo l’amica sulle sue spalle. Controllava incessantemente che stesse bene e che respirasse. Lei sembrava caduta in un sonno profondo. Non si sarebbe fermato finché non avessero raggiunto il Paese del Fuoco. Avrebbe fatto di tutto per farla arrivare sana e salva a Konoha, persino dare la propria vita.
Quando raggiunsero i confini il sole si stava alzando all’orizzonte, illuminando il mondo di un arancione tendente al bianco. Quanto gli era mancato il sole in quelle settimane. Il ninja chiuse gli occhi assaporando quel tepore sulla sua pelle, lasciando che asciugasse vie le gocce di pioggia che ancora lo bagnavano.
La kunoichi si svegliò mugugnando qualcosa, quando ormai avevano raggiunto il punto di ritrovo. Strinse più forte le braccia attorno al collo del compagno, che la sentì più vicina.
“Stai bene?” chiese Jiraiya in un sussurro.
Tsunade accostò le sue labbra all’orecchio di lui, facendolo arrossire. “Sapevo che mi avresti salvato.” Affermò sicura. D’improvviso gli posò un bacio sulla guancia.
Il ragazzo si bloccò di colpo, ancora più rosso in volto, e girò la testa quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi. La ragazza gli sorrideva, le sue guance erano arrossate e illuminate dalle prime luci del giorno. I suoi occhi avevano uno strano brillio. Lo stava guardando in maniera diversa.
Tsunade non sapeva perché si era lasciata andare a quel gesto, sapeva che in quel modo avrebbe fatto cadere la barriera che si era costruita, perché lei si era accorta che l’amicizia con il sennin nascondeva qualcosa di più.
Lui c’era sempre quando lei aveva bisogno, lui era l’unico che riusciva a farla ridere e a tirarla su di morale, e la sua determinazione e bontà erano contagiose. Però aveva promesso, dopo Dan non avrebbe più portato nessuno nel suo cuore. Il problema era che quell’idiota, che ora non riusciva a distogliere il suo sguardo da lei, tenendo i suoi occhi scuri fissi nei suoi, si era intrufolato silenzioso nel suo cuore e non riusciva più a mandarlo via.
“Se non ci fossi stato tu accanto a me, probabilmente sarei morta.”
Il suo compagno sorrise imbarazzato, senza mai staccarsi dai suoi occhi dorati, che lo attiravano come una calamita.
“I… Io… Non… Non ho fatto nien…” le parole gli morirono in bocca, quando lei avvicinò il suo viso al quello del ragazzo, facendo sfregare i loro nasi.
Le guance di lei avevano acquisito sempre maggiore colore, cosa che la rendeva se possibile ancora più bella. Ciò che li circondava era svanito, lasciando solo loro due. Gli sembrava di poter percepire ogni più piccolo particolare di lei: le sue braccia strette attorno al collo, il suo petto premuto contro la sua schiena, le sue gambe legate al bacino e la morbidezza della sua pelle.
“Tsu…” si sentiva in dovere di dire qualcosa, ma non sapeva cosa.
La ragazza sorrise al suo tentennare e eliminò le distanze tra loro, baciandolo con incerta dolcezza. Il ragazzo rimase leggermente spiazzato dal gesto dell’amica, subendo per un primo momento passivamente quel dolce attacco. Tsunade non si fece intimidire da quell’incertezza, ma continuò ad assaltare quelle labbra, che lentamente cominciarono a risponderle, avvolgendola in un bacio sempre più appassionato.
Jiraiya le chiese maggiore accesso, facendole schiudere le labbra. Le loro lingue a quel punto ingaggiarono una dolce danza, lenta e desiderosa. Si separarono con i volti arrossati per prendere fiato, restando a guardarsi negli occhi, incapaci di proferire parola.
La ragazza, presa da un moto di imbarazzo, nascose il viso nell’incavo del collo del compagno. Lo shinobi riprese a camminare, ghignando leggermente. Notando la reazione del compagno, lei gli piantò un pugno sul petto.
“Cosa ridi!?”
“Mi hai appena baciato.” Rispose lui candidamente.
“È… colpa del veleno!” esclamò lei gonfiando le guance indispettita.
Lui non ribatté. Avevano appena raggiunto il punto di incontro.
Entrò nella piccola grotta, nascosta dagli alberi del bosco in cui si trovavano. Posò l’amica nel terreno sabbioso e lei sospirò appoggiando la schiena alla parete rocciosa. Poi Jiraiya accese un fuoco con della legna accatastata in un angolo della grotta e frugò nel suo zaino. Aveva ancora delle polpette di riso e una borraccia d’acqua. Con questa misera colazione si avvicinò a Tsunade.
Lei non aveva smesso di osservarlo per tutto il tempo. Perché non diceva niente? Perché si muoveva per la grotta come se nulla fosse successo? Quando lui si sedette accanto a lei porgendole una polpettina di riso arrossì di nuovo.
Mangiarono in silenzio, riprendendo le forze. Quando ebbero finito, lui la fissò dritta negli occhi con uno sguardo serio.
“Tsunade…”
“Mi dispiace non avrei dovuto!” lo interruppe lei con foga, cercando di evitare quell’argomento così duro per lei.
Il ragazzo la ignorò, doveva sapere. “Cosa provi per me?”
La bionda rimase spiazzata, non credeva che avrebbe avuto il coraggio di porre quella domanda. Era una danza che facevano da anni quella, e non era mai finita bene per il ninja dai capelli bianchi.
“Io…” I profondi occhi scuri di lui erano fissi nei suoi, attendendo una risposta, che lei non riusciva a dargli.
L’unica cosa che riuscì a fare fu avvicinarsi al compagno e baciarlo nuovamente. Non avrebbe mai immaginato di provare tutte quelle sensazioni con un solo bacio, di Jiraiya per giunta! Intrecciò le proprie mani nei suoi lunghi capelli, mentre lui le stringeva i fianchi portandola più vicino a sé. Non credeva che avrebbe potuto amare quell’idiota zuccone, ma invece tutto era cambiato, lei si sentiva bene quando lui le era accanto.
Da parte sua il sennin non credeva che quello stesse accadendo proprio a lui. Stava baciando e abbracciando la donna che aveva amato in silenzio, ma forse poi non così tanto, per anni. Era come trovarsi in un paradiso fatto solo di lei.
“Ancora colpa del veleno?” chiese lui guardandola con uno sguardo strafottente, dopo che si furono separati. Le loro mani però rimanevano ancora posate sul corpo dell’altro.
Tsunade scosse la testa, l’ampio petto che ancora si alzava e abbassava a causa del bacio.
“Tu sai cosa io provo per te. Non sei così ingenua da non averlo capito. Per te è… lo stesso?”
“Si. Non lo so. Jiraiya io… Io… Non possiamo rovinare la nostra amicizia.” Rispose lei in modo confusionario, rivelando il disordine nei suoi pensieri, provocato dalla paura che aleggiava in lei.
Lui sospirò, forse aveva ragione. Solo che lui l’aveva desiderato così tanto. Aveva aspettato anni che lei provasse lo stesso, che si accorgesse di lui.
“Ti ho visto combattere, migliorarti in questi anni, fino a diventare l’uomo forte, buono e meraviglio che sei ora. Non ti ho mai perso di vista un attimo.” Gli riferì quasi come se gli avesse letto nel pensiero. “ Jiraiya sei l’uomo, anzi no, la persona migliore che conosco. Temo di farti soffrire.”
Il suo compagno l’abbracciò, accarezzandole dolcemente i capelli.
“Sono disposto a correre il rischio. E tu?”
Dalla forza che la donna mise nel rispondere alla stretta del compagno la risposta poteva essere solo si.
Un forte rumore provenne dall’entrata della grotta. Il ninja dai lunghi capelli bianchi scattò in piedi pronto a dar battaglia a chiunque avesse tentato di attaccarli. Una figura alta si stagliava sulla soglia della grotta, il volto in ombra a causa della forte luce che proveniva dall’esterno.
“Tranquilli sono io.” Li avvertì Orochimaru con la sua voce bassa e sibilante
. I tre amici, dopo essersi ragguagliati sugli eventi dell’ultima giornata, decisero di partire per tornare a casa. Tsunade faticava ancora a stare in piedi così Jiraiya si chinò per portarla sulle spalle.
“Se vuoi ci penso io.” Si offrì il serpente.
“No, Jiraiya se la cava più che bene.” Rispose per lui la donna, lasciandosi sollevare da terra dal compagno di squadra e stringendosi forte a lui.



Jiraiya camminava tra le rovine di un vecchio palazzo. Sapeva che lì avrebbe trovato le risposte che cercava. Sulle sue spalle si trovavano i due rospi del monte Myoboku, Shima e Fukasaku. L’uomo stava spiegando loro alcune cose da riferire alle persone che amava, nel caso lui non fosse stato più in grado di farlo.
“Questo per quanto riguarda Naruto.” Concluse. “Per Tsunade, invece…” Ora non sapeva se era per il dolore di saper di aver perso un’occasione, o per la paura di ciò che lo attendeva in quel posto che cominciò a mancargli il respiro. “A lei ho scritto una lettera. Fukasaku-sama, ci penserai tu.”
L’anziano rospo annuì.
Fu sperando di poter esprimere i sentimenti che provava di persona, ma sapendo che molto probabilmente così non sarebbe stato, che Jiraiya affrontò la sua ultima battaglia.

Tsunade aveva cacciato tutti dal suo ufficio. Il vecchio rospo con la barbetta grigia le aveva dato la lettera che, in quel momento, si stava rigirando tra le mani. Non aveva il coraggio di aprirla. Voleva sapere quale fosse il suo contenuto e, allo stesso tempo, lo temeva. Il sole stava calando, mandando bagliori rosati attraverso la vetrata del suo ufficio.
Dopo aver ricevuto la notizia della morte del suo più caro amico, il Quinto Hokage non era ancora riuscito a versare una lacrima. La donna era caduta in uno stato di apatia. Aveva sentito annuendo, ma senza ascoltare le frasi consolatorie di Kakashi e Shizune; aveva assorbito morbosamente, accettandole come meritate, le urla furiose e piene di rimproveri di Naruto; però ancora non era riuscita ad esprimere ciò che provava. Forse nemmeno lei lo sapeva.
In quel momento si sentiva vuota, come se anche la sua anima se ne fosse andata con lui. Con mani tremanti, cosa che decisamente non era da lei, perché lei era una donna forte e decisa, aprì la busta. Tirò fuori un foglio di carta nel quale si poteva riconoscere la scrittura dell’Eremita. Qua e là sul foglio vi erano delle sbavature o cancellature, doveva averla scritta di getto, cambiando idea spesso su come impostare il discorso. Annusò quella lettera provando a percepire l’odore dell’amico, ma lui sembrava non essere più nemmeno lì.
Prima che le luci sparissero del tutto si mise a leggere le ultime parole che lui le aveva rivolto.

Cara Tsunade,
Ci sarebbero tantissime cose che dovrei dirti e questa lettera non potrebbe contenere nemmeno la metà di esse. Se riceverai questa mia probabilmente sarò morto. Non credo mi rimanga più molto tempo e tu sei l’unica persona che vorrei accanto al momento.
Volevo solo dirti che per me questo non è solo un gioco, o una scommessa da vincere, io ci tengo davvero. Vorrei poter tornare da te e chiederti perdono. Quella volta, tu puoi pensare che sia stata colpa tua ma non è così. Io avrei dovuto fermarti seguire te. Mi spiace non averlo fatto. Avrei dovuto Volevo farlo, ma temevo che tu non mi volessi più accanto.
Sai ricordo ancora quando mi baciasti per la prima volta. Per me quello è uno dei momenti più belli della mia vita. E non per il bacio in sé (che diciamolo è stato meraviglioso), o per il fatto che dopo tanti anni di sforzi avevo ricevuto il mio tanto agognato premio. No, non per tutto questo. È stato perché finalmente mi sono sentito amato e sapevo che non avrei potuto mai amare nessun’altra così.
Ricordo ancora i giochi che la luce di quell’alba faceva sul tuo volto e le tue guance arrossate. Quel momento è perfetto e, nonostante tutti i nostri sforzi per rovinarlo poi noi abbiamo cercato di fingere che non fosse mai accaduto, lo rimarrà per sempre.
Comunque non ti scrivo solo per dirti questo, ma per dirti di non sentirti in colpa. So che il dolore sarà forte e penserai che, se tu avessi agito in un altro modo, le cose sarebbero potute andare diversamente. Non è così. Io sarei finito comunque in questo luogo martellato dalla pioggia.
La mattina si sta avvicinando e io dovrei riposare qualche ora, giusto per trovarmi pronto in battaglia e terminarla il prima possibile. In questo modo userò le ferie che mi devi per andare a fare le mie ricerche!!
Scusa era di cattivo gusto. Sai che tornerei da te immediatamente. Ho il pagamento di una scommessa da riscuotere. Per fortuna il mio avversario non è molto fortunato al gioco. Ora ti devo salutare.
Ti prego sii felice.
Con affetto Ti amo.
Tuo Sempre e soltanto Tuo
Jiraiya

Tsunade lesse e rilesse quella lettera più volte, sentendo una parte di sé andarsene insieme al suo vecchio compagno di squadra. Avrebbe voluto essere lì con lui, consolarlo al momento della sua dipartita.
Sbatté un pugno sulla scrivania. No, non voleva quello. Voleva che lui fosse lì di fronte a lei in quel momento, a dirle personalmente quelle parole, a riscuotere il suo premio.
Le aveva chiesto se ricordava il loro primo bacio. E come dimenticarlo? Stava per morire, ma non aveva mai dubitato che lui la salvasse. Poi, quando si era risvegliata, lei non aveva più avuto paura ad ammettere ciò che aveva capito di provare per quel fedele compagno. Stretta a lui aveva capito quanto la loro vita fosse troppo importante e troppo breve per essere sprecata. In quel momento, aveva deciso di andare oltre il suo dolore e provare ad essere felice insieme a lui.
Questo finché… Per quanto Jiraiya in quella lettera l’assolvesse, lei non poteva fare a meno di continuare a incolparsi per quello che era successo.



Per alcuni giorni, dopo il rientro dei tre Ninja Leggendari al Villaggio, le cose parvero andare per il verso giusto. Certo, là fuori c’era ancora un’incerta pace tra le Terre Ninja, ma Tsunade viveva in una sorta di bolla di soddisfatta felicità.
Nella sua ingenuità, non aveva nemmeno pensato che tutto quello non potesse durare. Il pensiero non aveva, tanto meno, sfiorato la mente del suo compagno. Questi irradiava serenità da tutti i pori. In fondo, aveva aspettato anni perché l’oggetto dei suoi desideri lo ricambiasse completamente.
Tutto era cambiato, e per il meglio una volta tanto. Non avevano detto a nessuno ciò che era accaduto durante la missione, ma alcuni dovevano aver notato qualcosa. Orochimaru in primis, appartenendo alla loro squadra e conoscendoli meglio di chiunque altro, aveva sicuramente capito qualcosa. Dal modo in cui li studiava e osservava le loro mosse, doveva aver notato il modo del tutto diverso in cui i due shinobi si rapportavano l’uno con l’altra.
Il loro sensei e il Quarto Hokage, qualcosa dovevano avere intuito, perché non ricevevano missioni da qualche giorno. La cosa stava bene ad entrambi. Con il lavoro che facevano, sarebbe stato stupido rinunciare a godersi qualche momento di tranquillità e riposo. Tutto ciò però non era destinato a durare.
Il giorno in cui tutto cambiò li colse abbracciati tra le coperte nella camera da letto della kunoichi. Tsunade aprì gli occhi, ma li richiuse immediatamente, infastidita dalla luce del primo sole che filtrava dalla finestra aperta.
Quando finalmente riuscì ad aprirli del tutto, vagò con lo sguardo per la stanza. I suoi vestiti e quelli del compagno erano seminati lungo tutto il pavimento. Dal comò, nell’angolo più distante della camera, pendeva il suo reggiseno.
Per lei era ancora strano, ma apparentemente nessuno dei due riusciva a tenere le mani lontano dall’altro. Si cercavano, si desideravano e si amavano, trovando quel contatto necessario tanto quanto respirare.
Forse il fatto che avessero aspettato tutti quegli anni, aveva contribuito al loro desiderio di non staccarsi più l’uno dall’altra. La bionda sospirò, per il suo compagno doveva essere stato addirittura più difficile. Lui aveva capito di amarla praticamente sin dal loro primo incontro.
A quel pensiero si voltò verso di lui, che dormiva beato come un bambino stringendola forte contro il suo petto. Tsunade sorrise. Nonostante fosse un pervertito di proporzioni astronomiche, Jiraiya sapeva anche essere dolce.
Quando facevano l’amore la sua unica preoccupazione era farla stare bene. La baciava dolcemente, sussurrandole all’orecchio parole affettuose, con il solo scopo di farla sentire amata.
Con suo grande divertimento, e forse anche un po’ di compiacimento, l’aveva visto quasi svenire, mentre una piccola goccia di sangue gli scendeva dal naso, quando si era spogliata per la prima volta davanti a lui.
Non che lei avesse di che lamentarsi, il ninja aveva un corpo scolpito e allenato. Le sue mani, seppur callose a causa degli allenamenti, si muovevano delicate ed esperte lungo il suo corpo facendola sciogliere tra esse.
Un leggero movimento sotto di sé la distolse dai suoi pensieri. Jiraiya aprì gli occhi e le sorrise dolcemente. Poi, si puntellò leggermente sui gomiti, posandole un bacio sulle labbra.
“Buongiorno dormiglione!” Lo salutò lei allegra.
“Buongiorno.” Disse con voce ancora assonnata, tornando a sdraiarsi e lasciando che lei appoggiasse di nuovo la testa sul suo petto.
Restarono così per qualche minuto ad ascoltare i reciproci battiti. Il ragazzo accarezzava dolcemente le braccia della compagna, ma lei poteva notare una certa agitazione nei suoi movimenti.
“Si può sapere che c’è?” chiese con impazienza.
“Niente.” Sussurrò lui con un tono che, alle orecchie della Senju, pareva quasi imbarazzato.
Lei si mise a sedere a gambe incrociate, portando la coperta a coprire il petto e fissando i suoi occhi severi in quelli dell’altro, intimandogli solo con lo sguardo di non mentirle.
“Sai che hai degli occhi bellissimi.” Cercò di distrarla lui, deviando la sua attenzione.
“Jiraiya!” lo minacciò lei.
Il ragazzo si passò una mano sul volto mentre con l’altra andava ad accarezzare i lunghi capelli della compagna, leggermente scompigliati.
“Mi chiedevo se… Se ti andava di andare a cena da qualche parte?” disse titubante. “Non che i nostri incontri non mi piacciano!” si affrettò a spiegare. “È che forse potremmo provare a… A comportarci come una…”
Lo sguardo di Tsunade in quel momento lo stava mettendo più in soggezione del solito.
“Potresti non guardarmi come se volessi prendermi a pugni?”
Lei arrossì vistosamente.
“Io… Ero solo concentrata su quello che dicevi.” Si difese.
“E… ?” la incalzò lui.
La donna si portò il pollice verso le labbra e prese con i denti l’estremità dell’unghia, mordicchiandola nervosamente. Jiraiya sentì un tiepido calore salirgli dal più profondo del suo ventre. Era così bella quando sembrava in difficoltà.
“Mi… Mi piacerebbe andare a cena da qualche parte.” Affermò con un dolce sorriso sulle labbra.
“Stasera?”
“Perfetto.”
Il sennin alzò la schiena dalla testiera del letto e si allungò verso di lei. Le strinse i fianchi e prese a baciarla. Con delicatezza la fece sdraiare sotto di sé, saggiando la sua pelle così dolce e morbida.
Tsunade scostò la testa quel tanto che bastava per lasciare al compagno libero accesso al suo collo, mentre intrecciava le mani tra i suoi lunghi capelli. Un sommesso gemito le uscì dalle labbra quando il ragazzo strinse un lembo di pelle tra i suoi denti e prese a succhiare.
Anche in quel gesto, pieno di passione e di desiderio di marcare l’appartenenza di quella donna a lui e a lui soltanto, il ninja sembrava preoccuparsi del benessere della sua compagna, andando ad accarezzarle dolcemente i punti più sensibili del suo corpo.
Dopo aver lasciato quel marchio su di lei, si allontanò e con sguardo carico di desiderio andò a sdraiarsi di schiena portandola a sedere su di sé. I suoi occhi caddero estatici sul prosperoso seno della compagna. Lei arrossì a quell’attenzione.
“Pervertito.” Commentò inarcandosi verso di lui e assaltando le sue labbra.
Passarono minuti, in cui i due si studiarono e giocarono, saggiandosi con il tatto e il gusto, finché ad un tratto un leggero ticchettare, quasi del tutto coperto dai loro gemiti e sospiri, provenne dall’esterno. Non se ne accorsero subito, presi com’erano l’uno dall’altra.
Tsunade si voltò di scatto, mentre Jiraiya alzò lo sguardo oltre la sua spalla per vedere cosa li stava disturbando. Uno dei falchi messaggeri stava colpendo il vetro della finestra con il becco.
Quando capì di aver attirato l’attenzione, arruffò le piume e si mise tutto impettito ad attendere che gli aprissero.
La bionda si avvolse nel lenzuolo e raggiunse la finestra, aprendola. Le ci vollero un paio di tentativi per slegare il cordone che teneva legato il piccolo rotolo alla zampa dell’uccello, la sua mente ancora offuscata da un velo di eccitazione.
Quando riuscì nell’impresa lesse velocemente il biglietto, vergato di proprio pugno dall’Hokage stesso. Sbarrò gli occhi per la sorpresa. Il suo compagno si mosse nervoso nel letto, facendo frusciare le coperte.
“Qualche problema?” chiese, anche se conosceva già la risposta.
“Un contingente nemico si sta avvicinando al villaggio. Siamo sotto attacco.”

Dall’alto delle loro evocazioni i tre ninja leggendari sovrastavano la battaglia, impedendo alla maggior parte dei nemici di entrare nel villaggio.
L’enorme serpente viola di Orochimaru stava stritolando tra le sue spire un gruppo di nemici, mentre Gamabunta e Jiraiya sembrava trovarsi in ogni parte del campo allo stesso momento. Tsunade con l’aiuto di Katsuyu curava i feriti sul campo di battaglia.
I nemici avevano tremato alla vista di quelle tre potenze. Erano il miglior deterrente che Konoha potesse avere contro chiunque la volesse attaccare.
Uno shinobi della Foglia era stato abbattuto dai nemici. Tsunade con un balzo scese da Katsuyu e gli corse incontro. Era un giovane genin, non avrebbe mai permesso di lasciarlo morire.
Quando lo raggiunse si accorse con orrore che era ricoperto di sangue. Da quando aveva perso Dan, faticava a stare vicino ad una persona sanguinante senza che i ricordi di quel suo fallimento la sovrastassero, lasciandola impotente.
Indietreggiò di qualche passo, chiamando a sé una delle più piccole parti della sua evocazione. Una piccola lumaca bianca a strisce azzurre l’affiancò.
“Lady Tsunade…” la chiamò con preoccupazione.
“Ti… ti prego. Occupatene tu.”
La piccola lumaca senza aspettare altro si avvicinò al giovane genin e si mise a curarlo.
La Senju cadde sulle ginocchia, asciugandosi il sudore dalla fronte e cercando di riprendere un respiro regolare. Sapeva che non era l’ideale avere questi attacchi di panico in battaglia, ma che altro poteva fare.
Non si accorse dello shinobi che si lanciò contro di lei, con il braccio pieno di spine avvelenate teso nella sua direzione. Se ne accorse troppo tardi e, quando si voltò l’uomo era solo a pochi passi da lei.
L’unica cosa che sentì fu il rumore di carne lacerata e un urlo di dolore, che però non proveniva dalle sue labbra. Aprì gli occhi… Jiraiya era sdraiato di schiena accanto a lei, con un sorriso tirato, a causa del dolore.
“Stai bene.” Affermò ansimante e poi, con grande terrore della sua compagna i suoi occhi si chiusero.

L’Eremita si svegliò qualche giorno dopo in ospedale. Dalla finestra proveniva la suffusa e argentea luce della luna. Si guardò attorno nel buio della stanza, chiedendosi come fosse andata la battaglia e come stessero i suoi compagni.
Nel vederlo muoversi, Tsunade scattò in piedi dalla sedia nell’angolo della stanza e si affiancò a lui. I suoi occhi erano arrossati dalle lacrime.
“Ehi…” la salutò lui con una smorfia di dolore.
Si portò una mano alla gola gli bruciava tremendamente. La bionda prese un bicchiere dal comodino e, tenendogli la testa con una mano, lo aiutò a bere. Lo shinobi deglutì con lentezza, godendo della sensazione del liquido fresco sulla sua gola secca ed irritata.
“Com’è finita?” chiese poi con voce ancora roca, ma provando meno dolore.
“Non appena ha saputo di te, Minato, mandando al diavolo chiunque gli dicesse che era meglio che non lo facesse, è sceso in battaglia. Che dire… Il Lampo Giallo ormai spaventa i nemici più di noi.”
Jiraiya sorrise e sprofondò un po’ di più nel cuscino.
“Possiamo andare in pensione allora.”
“Se non ci facciamo ammazzare prima!” Ringhiò la donna stringendo le braccia al petto.
“Sei arrabbiata con me?” sospirò quasi rassegnato il suo compagno.
“Cosa ti è saltato in mente? Potevi morire!”
“Ma non è successo.” Quel tono condiscendente la stava facendo andare su tutte le furie.
“Non ho mai sentito una risposta più idiota in vita mia!” gridò, non curandosi del fatto che si trovavano in un ospedale, o che fosse estremamente tardi.
“Pensavi di fare l’eroe? Come credi che mi sarei sentita io dopo averti perso? Non perme…”
Il ninja dai capelli bianchi si era messo a fatica a sedere e le aveva posto un dito davanti alle labbra, intimandole di stare in silenzio.
“Sapevo a cosa andavo incontro, ma vedi… io tenterò sempre di proteggerti a costo della mia vita. Non posso vivere in un mondo in cui tu non ci sei. Io… io ti amo.”
Gli occhi del medico si riempirono di lacrime, che non credeva nemmeno di possedere più, dopo averne versate così tante in quei giorni. Era la prima volta che glielo diceva apertamente.
Quelle parole erano suonate così dolci, ma allo stesso tempo erano come una secchiata d’acqua gelida in faccia.
In quel momento, però, non pensò molto. Si lasciò cadere tra le braccia di lui e gli diede un dolce bacio. Quando si separarono lui le accarezzò la guancia con il pollice asciugando le sue lacrime.
“Ho intenzione di starti accanto ancora per molto, principessa.”
“Jiraiya… io…” tentennò.
Non si sentiva ancora pronta a dire quelle parole, per quanto nel suo cuore sapeva di amarlo molto più di quanto credeva di essere ancora capace.
“Shhhh… Lo so già.” Le fece l’occhiolino. “Mi devi ancora una cena. Quando uscirò di qui sarà la prima cosa che faremo.”
Le posò un altro bacio, poi tornò a sdraiarsi affaticato. Tsunade avvicinò la sua sedia al letto e strinse la mano dell’uomo tra le sue.
Lui chiuse gli occhi e, nel giro di pochi secondi, tornò ad addormentarsi. La kunoichi sospirò, scivolando con lo sguardo sui lineamenti del volto di lui.
Quella settimana avrebbe potuto perderlo, così come aveva perso suo fratello e Dan. Lui però aveva la scorza dura e una determinazione senza eguali e, grazie a quelle, era ancora accanto a lei.
Il problema era che lui non avrebbe esitato a gettarsi nel fuoco pur di proteggerla, e lei… Lei non poteva permettere che l’uomo che amava morisse. Non poteva permettere che uno come Jiraiya sprecasse la sua vita per lei. Aveva un destino molto più grande, molto più importante. Tsunade lo sentiva.
Si alzò dalla sedia e gli posò un bacio sulla fronte. “Anche io ti amo, sciocco.”

Qualche sera più tardi Jiraiya entrò in un ristorantino romantico. Indossava il suo completo migliore, i suoi capelli, di solito in disordine, erano ben pettinati e, tra le mani, teneva un enorme mazzo di rose rosse.
Il cameriere lo accompagnò in un angolino appartato. Al centro del tavolo, apparecchiato per due persone, si trovava una candela. Lo shinobi si sedette, un leggero nervosismo cominciava a prendere possesso di lui.
Era stupido, lo sapeva. Ormai lui e Tsunade uscivano, per così dire, da un po’. Insomma, la parte più difficile, l’aveva già affrontata, no? Allora perché si sentiva così?
Forse quell’atmosfera così romantica, con le luci soffuse, tante coppiette attorno a lui e i camerieri così sofisticati, gli facevano sentire di dover essere all’altezza di quel luogo.
Lui non era una persona raffinata, ma chissà perché a Tsunade, nipote di uno dei più grandi uomini che hanno mai camminato su questa terra, lui piaceva così.
Quando sentì una presenza avvicinarsi, alzò gli occhi, ma rimase sorpreso. Davanti a lui si era seduto Minato, vestito in borghese e con uno sguardo abbastanza accigliato.
“Ci stanno attaccando?” Sperava proprio di no.
“No.” Rispose secco l’Hokage.
Jiraiya si sentì più sollevato.
“Allora Minato, per quanto mi piaccia stare in tua compagnia… Ora avrei un altro impegno.”
“Sono qui per questo.” gli allungò una busta bianca, che lui prese tra le mani con incertezza. “Me l’ha data Tsunade-sama per te. Sensei, mi dispiace ma…” Inspirò a fondo prima di dargli la notizia. “Ha chiesto congedo. Ha lasciato il Villaggio, fino a data da destinarsi. Ho fatto di tutto per convincerla a desistere, ma non ha voluto sentire ragioni.”
L’uomo più grande sentì il terreno sotto i suoi piedi disintegrarsi. Gli sembrò come se il suo cuore fosse sprofondato nelle più nere oscurità della sua anima e niente l’avrebbe potuto più riportare in superficie.
Con mani tremanti strappò la busta della lettera e ne lesse il contenuto. La donna aveva scritto cose insensate sul fatto che non erano fatti per stare insieme, che era meglio separarsi. Si, si erano divertiti, ma sapevano entrambi che non poteva durare. Non avrebbe dovuto cercarla, aveva bisogno di capire di più su sé stessa. Il villaggio la opprimeva, vi erano troppi ricordi.
L’Eremita accartocciò quello stupido pezzo di carta tra le sue mani e lo gettò a terra con stizza. Minato, nel frattempo, era rimasto a guardare il mutare delle espressioni sul volto del suo maestro, dispiaciuto e desideroso di aiutarlo.
“Sensei, se volessi seguirla io…”
“No. Mi ha chiesto espressamente di non farlo.”
“Ma è chiaro che fosse spaventata!”
“Tsunade ha chiesto tempo e io glielo darò. Il Villaggio ha bisogno di me. Quelle strane sparizioni, richiedono il mio intervento. Inoltre, tua moglie sta per partorire. Sei tu quello che ha più bisogno al momento.” Disse tutto ciò con determinazione, ma era evidente il tremolio nella sua voce.
“Se è questo quello che vuoi.”
Jiraiya sorrise stanco.
“No, non è ciò che voglio. Devo accettarlo però.” Si passò una mano a sfregarsi gli occhi. “Ti dispiace lasciarmi un po’ solo?”
Il suo giovane allievo annuì e, dopo avergli dato una pacca di incoraggiamento sulla spalla, lo lasciò.

Jiraiya era rimasto al tavolo a bere fino all’ora di chiusura. Tsunade l’aveva osservato da un nascondiglio tra i cespugli all’esterno del locale. Sapeva che non l’avrebbe seguita e che non la sarebbe andata a cercare. Avrebbe accettato la sua volontà.
Sapeva di essere ingiusta, ma un po’ si sentiva delusa. Credeva che lui avrebbe combattuto molto di più per loro. Si schiaffeggiò la fronte per punirsi per quel pensiero. In fondo lui combatteva per loro sin dal primo momento.
Lo vide alzarsi barcollante dalla sedia. Fece qualche incerto passo avanti aiutato da un cameriere, poi con uno scatto veloce ed improvviso tornò indietro. Con movimenti lenti e impacciati si chinò a terra e raccolse il pezzo di carta appallottolato, che qualche ora prima aveva gettato.
Uscì barcollante poco dopo e si diresse verso il suo appartamento. Tsunade con le lacrime agli occhi si allontanò dal Villaggio, nascosta dal buio della notte. Annusò i profumi di quel luogo che per anni era stato la sua casa, ma che ora la stava opprimendo con i suoi ricordi dolorosi e le paure sul futuro.
“Sei proprio decisa a farlo?” Una voce bassa e roca la fece fermare e chinare il capo.
“Si.” Si limitò a rispondere.
“Così probabilmente lo ucciderai.”
“Non credo. È più forte di quel che sembra.” Si voltò per fronteggiare il compagno di squadra.
“Ti prenderai cura di lui, vero?”
“Farò quel che posso.” Rispose Orochimaru.
Si guardarono negli occhi a lungo. Tra loro non c’era bisogno di molte parole, si conoscevano da una vita. Avevano combattuto, sofferto e gioito insieme.
“Addio.” Disse, infine lei.
“Addio.” La salutò lui con sguardo triste.
Fu così che Tsunade Senju abbandonò il suo villaggio, la speranza di una vita tranquilla e felice e tutte le persone che amava. All’epoca si disse che non poteva fare altrimenti, che se fosse rimasta molti avrebbero sofferto. Non sapeva che anni più tardi si sarebbe dovuta ricredere.




Con ancora la lettera tra le mani fuggì dal suo ufficio. Aveva bisogno di uscire da quel luogo opprimente, di prendere aria. Quel giorno di tanti anni fa lei aveva rovinato tutto.
Corse per i corridoi del palazzo, senza avere una meta precisa. Sapeva solo di aver bisogno di correre, correre verso… Poi, capì correva verso un rifugio, un luogo dove fuggire da tutto quel dolore, da tutto quel rimpianto, solo che… Solo che quel luogo non esisteva più. Giaceva privo di vita nelle profondità di un fiume in piena, nei meandri del Villaggio della Pioggia.
Le mancò il respiro, il cuore sembrò accartocciarsi nel suo petto e lei dovette fermarsi. Appoggiò una spalla al muro, incapace di andare avanti, incapace persino di formulare un pensiero coerente.
Avrebbe passato il resto della sua vita senza di lui, senza la sua unica certezza. Si sentiva sperduta, sola e spaventata come una bambina che non trova più i genitori in mezzo alla folla.
Era consapevole del fatto che lei stessa, nessun altro, era la causa di quella situazione. Lei con le sue paure, le sue scelte stupide. Non aveva creduto in lui, nell’unica persona che non l’avrebbe mai delusa. E ora…
Ora lui non c’era più. Avrebbe tanto voluto cancellare quel maledetto giorno, avrebbe tanto voluto fermare tutto al momento in cui si era svegliata sulle sue spalle. Quando lui si era voltato verso di lei con quel sorriso apprensivo, confortante e sollevato allo stesso momento. Quando si erano baciati per la prima volta, leggermente rossi in volto, con solo le prime luci dell’alba a fare loro da spettatrici.
Le lacrime cominciarono a scendere lungo le sue guance. Tsunade si portò una mano sul petto, cercando di placare il suo cuore impazzito. Avrebbe voluto averlo accanto in quel momento. Avrebbe voluto non essere scappata quel giorno. Avrebbe voluto dirgli che lo amava guardandolo negli occhi. Avrebbe voluto… Avrebbe voluto…
“Jiraiya.” Mormorò tra le lacrime e tirando su con il naso. “Mi dispiace.”
La verità la colpì forte come un pugno allo stomaco. Era fuggita tutta la vita per paura di perderlo e ora l’aveva perso davvero. Si rannicchiò ancora in lacrime contro il muro. Ora che voleva smettere di fuggire, non aveva più nessuno da cui scappare. Il problema era che non aveva più nemmeno qualcuno da cui rifugiarsi.
 
 Nessuno mi ha mai detto che il rimpianto si sente come la paura.
Clive Staples Lewis
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: WibblyVale