Teatro e Musical > Love Never Dies
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Autore: DarkAeris    19/08/2015    0 recensioni
Erik e Christine: due destini intrecciati l'uno all'altro. Estratti dei momenti che hanno passato insieme, dal loro primo incontro agli eventi narrati in "Love never dies", dal punto di vista del Fantasma.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I

Le profondità del teatro - del suo teatro - erano una casa per lui e quasi aveva imparato ad avvertire le mure attorno a sé con affetto e non con paura. Quest’ultimo sentimento, infatti, aveva imparato presto a sopirlo, ad affogarlo nel proprio petto e tramutarlo in odio. Odio per la società, che lo aveva reso schiavo, che lo aveva cacciato, deriso, ripudiato.
Ricordava il sapore del sangue in bocca, per le frustate ricevute al circo dove la madre lo aveva mandato quando era solo un bambino. Quanti anni erano passati in quell’antro degli orrori? Non lo sapeva con certezza, ma era certo che non sarebbe mai riuscito a levarsi di dosso quell’agonia, quel cieco furore accumulato a causa del mondo, incapace di provare compassione per lui, incapace di smettere di minacciarlo, di odiarlo. Ma ora aveva qualcosa che gli apparteneva totalmente: aveva quei sotterranei, quelle gallerie, quei passaggi segreti che gli permettevano di essere ovunque e di controllare tutto. Con il tempo aveva imparato a scoprire i propri talenti, ad adorare la musica dell’organo, a costruire oggetti, ad elaborare ciò che lo circondava a sua immagine e somiglianza. Nascondendosi e intimidendo, non aveva bisogno di fingersi qualcosa che non era, non doveva apprendere arti recitative o apparire migliore agli occhi di persone di cui non gli importava nulla: aveva solo bisogno di una maschera, non di un attore. E quella maschera non la toglieva mai, perché era la sua forza, la sua essenza e gli conferiva l’aspetto minaccioso che voleva avere, senza subire il dolore di veder fuggire il proprio vero volto.
Eppure da quando lei era arrivata nella sua vita aveva desiderato solo mostrarsi a quei dolci occhi per quello che era, nella speranza che lei lo ricambiasse, che vedesse in lui quello che nessuno era mai riuscito a scorgere. Madame Giry l’aveva presa in affidamento dopo la morte del padre della ragazza e in seguito l’aveva portata con sé al Palais Garnier, perché potesse calcare il palcoscenico come ballerina, Era così giovane, così bella. Ma nessuna di queste qualità lo avrebbe mai distolto dai propri interessi, se una notte, udendo qualcuno piangere, non avesse seguito la sua voce, scorgendola attraverso uno specchio, da lui costruito, che gli permetteva di spiarne i movimenti, senza che lei lo vedesse.
La trovò con le mani congiunte, seduta e con lo sguardo rivolto al cielo: delle lacrime le rigavano il viso e il suo vestito di velluto appariva completamente stropicciato, dalla posizione contrita assunta dal corpo. Quella fu la prima volta che la udì cantare.
Nel pianto, intonò una canzone che, capì in seguito, doveva averle insegnato il padre da poco defunto, una canzone che parlava di un angelo della musica. Rimase estasiato dalle note dolci uscite dalla sua voce: sentì subito che ne avrebbe avuto bisogno per la propria musica, che lei sarebbe stata l’unica a poter donare alle proprie note il volo. Non si accorse nemmeno di averla chiamata, quando lei sgranò gli occhi e si guardò attorno.
“Christine... “
La sedia cadde a terra, mentre la giovane controllava ogni angolo, sconvolta dalla voce di quel fantasma che le rivolgeva la parola.
Non sapeva esattamente cosa dirle, cosa fare perché smettesse di averne timore, ma lei improvvisamente si fermò e alzò nuovamente gli occhi verso il soffitto.
“Angelo?”
Sentì come mancargli il fiato e si asciugò le mani bagnate sui pantaloni, inspirando con il naso e raddrizzandosi con la schiena, quasi come se lei potesse davvero vederlo.
“Bambina mia, sono qui…”
 
 
II
Quella notte era particolarmente buia, dato che la luna era stata offuscata del tutto dalle nuvole minacciose di pioggia, ma a Christine non importava: adesso si fidava totalmente di lui, non lo contraddiceva mai, si abbandonava alle loro lezioni di canto, lo venerava come un mentore e si confidava spesso con lui.
Il tempo passato tra loro diventava sempre più importante per lui e non riusciva a pensare ad altro che a lei, anche durante la giornata. Aveva scritti numerosi brani grazie alla sua musa e desiderava per lei tutto il successo che il mondo non avrebbe mai concesso a lui, ma che avrebbe vissuto di riflesso, grazie a quello che davvero era il suo angelo della musica.
Erano ormai quattro anni che passavano le notti insieme, seppur divisi, ed era sicuro che la sua pupilla avesse capito, seppure in parte, che dietro alle strane apparizioni al Teatro si celava la sua figura e che probabilmente doveva avere una forma corporea, ma non ne sembrava preoccupata. Non quando era con lui, comunque. Era riuscito a soggiogarla, ne era consapevole, e non riusciva a fare a meno di questo potere su di lei. Avevano formato un insolito duetto e nessuno sarebbe riuscito a scalfirlo.
“Angelo, guida la mia voce, ma rimani con me ancora. Resta con me sempre.”
Adorava sentirle pronunciare quelle parole, sebbene fosse consapevole che mai sarebbe riuscita a rivolgergliele, se lo avesse visto. Ma in certo senso erano l’uno la controparte dell’altro e sentiva che sarebbe impazzito, se separato da lei.
“Bambina mia, noi siamo già sempre insieme. Non sono sicuro di averti dentro di me, né di essere dentro di te, e neppure di possederti, anche se, in ogni caso, non è al possesso che aspiro. Credo che siamo entrambi dentro un altro essere che abbiamo creato, e che si chiama noi.” Christine sorrise e lui appoggiò il volto sullo specchio, desiderando di poter baciare quelle labbra, di poterla stringere a sé.
Rimasero altre ore a cantare, a parlare e anche a stare in silenzio, mentre lei guardava fuori dalla finestra quel cielo così scuro.
“Faccio un sogno ricorrente, mio Angelo. Sogno di perdermi in un labirinto e di udire un canto nella mia mente, sublime, avvolgere il mio essere, rendendo la musica capace di impadronirsi di me. Sento di volerla seguire, trovare, di ambire a risolvere questo mistero e all’improvviso un uomo è di fronte a me, ma non riesco a vedere il suo volto. So solo che sento il battito del suo polso creare una melodia ed avverto che il suo cuore è onesto e puro. Poi mi sveglio.”
Erik strinse i pugni, guardando il pavimento con un sentimento dentro di sé di dolore e gelosia, sapendo che quell’uomo potrebbe essere lui, ma non lo sarà mai.
“Nessun uomo dovrebbe avvicinarti, bambina, e lo sai che devi dedicarti maggiormente ai tuoi studi, per compiacermi.” La sua voce era diventata improvvisamente dura, carica di rancore e la sua Christine si scusò subito di averlo deluso, calmandolo in pochi secondi.
“Adesso pensiamo solo alla tua istruzione. L’opera è da troppo tempo in mano ad una prima donna che non merita il palcoscenico che sta calcando ed io sono stanco di vederla offendere i suoi ruoli con la sguaiatezza che ostenta. Presto, mia luce, si udrà solo un nome all’interno del mio teatro, il tuo.”
Christine Daaé, Christine Daaé, Christine Daaé… un giorno tutti avrebbero lodato la sua musa.
 
 
III

Dopo che lui le aveva donato la propria musica, dopo che si era fidato a tal punto della ragazza da condurla nei suoi nascondigli, dopo che aveva donato a lei tutto il suo cuore e resa una stella del canto. Ma non era arrabbiato con lei, non poteva e non voleva esserlo: lei era pura e si era fatta condurre a ripudiarlo da quell’insulso damerino schiavo della moda che avevo osato rivelarle il suo amore nel suo territorio, nel proprio teatro!
Si ritrovò ad un passaggio segreto, nascosto dietro l’ingresso dell’Opera Populaire e si fermò un attimo a guardare la platea applaudire la protagonista del palco. Era così bella e la sua voce… mio Dio, la sua voce lo avrebbe ucciso. Le lacrime presero a rigargli il volto, mentre, con passo spedito, raggiungeva il tetto, grazie alla propria conoscenza più che metodica del luogo da lui tanto venerato. Lanciò un ultimo sguardo al pubblico sotto di lui e con un urlo sciolse gli ingranaggi che mantenevano solido il lampadario di cristallo: un tonfo, un boato e tante grida spaventate, che si unirono al proprio pianto disperato.
Senza sapere nemmeno come, si ritrovò, ancora preda a singhiozzi e incapace di smettere di digrignare i denti, alla sua barca, pronto ad affondarsi nel suo antro, a nascondersi da tutto, a morire dentro se stesso.
Le parole di Christine, udite di nascosto, che lo descrivevano come un mostro lo stavano facendo uscire di senno… di quel poco di senno che gli era rimasto. Un altro rifiuto, un’altra ferita. Ma mentre vogava, una nuova consapevolezza lo calmò, asciugando il suo bagnato tormento: lui era l’Angelo della musica, il suo protettore e per quanto potesse temerlo, sarebbe tornata dal suo maestro, ne era certo.
Ricordava gli anni di discorsi tra loro: quel rapporto non sarebbe morto così facilmente e la sua tela sopra di lei avrebbe preso a funzionare ancora.
Avrebbe anche ucciso di nuovo per ottenerla, non gli importava di nessun altro e nient’altro: il fine avrebbe giustificato i mezzi. Del resto, lui conosceva ogni abitudine della giovane, ogni desiderio… sarebbe bastato convincerla, ancora una volta, di essere la rappresentazione vivente del volere del padre, sarebbe bastato seguirla nel suo vagare, convincerla a ricordare il patimento subito sulla tomba dell’uomo che l’aveva messa al mondo e portarle alla mente quanto lui - e solo lui - avrebbe potuto renderla davvero felice.
Arrivò al suo antro e senza nemmeno togliersi i guanti o il mantello, prese posto davanti all’organo, afferrò una piuma d’oca e iniziò a comporre…
Avrebbe parlato del Don Giovanni di Mozart, ne avrebbe fatto un’opera a sé stante e la sua Christine avrebbe vestito i panni della protagonista… insieme a lui. Certo Piangi non sarebbe stato in grado di gestire una voce tanto bella come quella della sua pupilla.
Sì, Don Juan, il libertino che desidera la vergine Aminta e prende le vesti di Passirino, del quale la giovane è innamorata, per ottenere il corpo di lei… sì.
I secondi diventarono minuti, i minuti ore, le ore settimane e le settimane mesi.
Ma adesso non c’era altro bisogno se non quello di procurarsi una maschera che fosse molto d’effetto.
 
IV
 
Guardando la sua soprano mentre indossava le vesti di Aminta, cantare e recitare il testo da lui scritto, non poteva che chiedersi se un giorno avrebbe davvero passato il punto di non ritorno, se avrebbe mai deciso che il loro amore meritava più di quanto la società, gli imprevisti, il suo animo e il suo orrendo aspetto avessero sempre impedito loro di vivere.
La amava con una disperazione che gli annebbiava la vista, rendendolo cieco di quanto stesse accadendo attorno a sé. Voleva solo essere di nuovo solo con lei in quel camerino, quando al mondo esistevano solo loro due, quando ogni frase e ogni pensiero si traducevano in parole e confidenze, quando i loro animi erano uniti e nulla poteva scalfirli. Ma se un tempo era stato così, cosa impediva adesso al tempo di tornare indietro? Chi poteva dire che non sarebbe accaduto? Chi avrebbe potuto confermare con assoluta certezze che le sue fantasie non si sarebbero avverate… almeno questa volta? Quanto una persona era in grado di patire e basta durante il corso della propria esistenza?
Ma le illusioni sono per loro natura dolci e facili a svanire. Era stato tradito, ancora, dalla donna che aveva amato più di ogni altra cosa. Dopo che la madre lo aveva ripudiato, ecco che il suo unico interesse in quel mondo gli voltava le spalle, togliendogli la maschera, togliendogli le difese, dandolo in pasto ai suoi nemici.
Perché tutti lo odiavano? Che cosa aveva fatto per non ricevere mai una parola gentile, un po’ di compassione? Avrebbe ripagato tutti con l’odio che meritavano, con la devastazione, con il dolore. Anche Christine.
Sulla barca, dopo che la propria pazzia incontrollabile e l’ orgoglio ferito lo avevano condotto a rapirla, la vide stringere i pugni, spaventata, ma anche forte di una nuova espressione. Non voleva darle più opportunità, era stanco di venire ferito.
La obbligò a cambiarsi d’abito e ad indossare il vestito da sposa che, in una notte di felici ricordi, aveva cucito egli stesso, immaginando quella veste bianca e candida impreziosire la sua musa. Era più bella di come avrebbe mai potuto sognarla, ma lo sguardo furioso e le parole colme di terrore che gli rivolse spensero anche quella piccola soddisfazione nel guardarla. Voleva solo amarla, perché non gli era concesso?
Ma l’odio di lei si dissolveva facilmente, passando alla pietà, ma sapeva che, una volta attaccato il suo futuro marito, ne avrebbe attirato la rabbia.
Quello che non si aspettava era la delusione. Quando lei si gettò ai suoi piedi, sfinita da quella lotta interiore tra il decidere di seguirlo o uccidere Raoul, lui si sentì svuotato. Ma cosa voleva che facesse? Che venisse messo in un angolo ancora una volta? Come poteva permetterlo?
Ma al suo bacio capì che non avrebbe mai potuto costringerla ad amarlo. Che quella giovane per lui sarebbe stata sempre la creatura più importante e che la sua felicità era fondamentale.
Li lasciò andare via, prese l’anello, guardandola in lacrime abbandonare i sotterranei e si chiese se un giorno sarebbe mai riuscito a salvarsi. Salvarsi da se stesso e da ciò che era diventato. Ora però avrebbe dovuto abbandonare il suo rifugio e quel poco di vita che lo aveva allietato e scappare. La musica della notte si era conclusa.
 
Quella stanza gli stava così stretta. Abituato a muoversi dove volesse, gli sembrò di essere tornato alla gabbia del circo dove era cresciuto. In effetti, a volte il dolore che provava era così acuto da essere paragonabile a quello di una frustata. Gli mancava il suo teatro, le sue costruzioni… la sua Christine. Aveva udito in città che si sarebbe sposata il giorno dopo e una fitta al petto lo costringeva seduto al pavimento da ore. Un suono alla porta, un bussare sommesso, fu l’unica cosa che lo spinse ad alzarsi.
Prese una corda, pronto a farsi giustizia, nel caso qualcuno lo stesse cercando per fargli del male, ma quando aprì la porta e riconobbe il suo angelo lasciò andare l’oggetto e rimase a guardarla, boccheggiando per cercare aria. Il buio permetteva appena di scorgere i visi l’uno dell’altro, dato che il cielo era scuro e senza la luce della luna, così come quella notte di tanto tempo prima. Quella stessa oscurità che aveva portato Christine a confidarsi con lui sul suo sogno, l’aveva condotta ora da lui, tra le sue braccia. Mentre la baciava, non riusciva a rendersi conto di quello che stava accadendo e un sentimento mai provato prima lo assalì: era felice. Non sarebbe stato in grado, né in seguito né in quel momento, di spiegare come successe, seppe solo che i loro corpi nudi erano avvinghiati l’uno all’altro e che i loro sospiri e gemiti creavano la musica più bella che avesse mai udito. Entrò dentro di lei ancora e ancora, sotto quel cielo senza luna.
 
V

Il cappio strozzava il suo nemico, stretto in quella morsa mortale, mentre le suppliche della propria amata gli offuscavano la mente, stordendolo. Sentiva le urla soffocate dell’uomo unirsi a quelle di Christine e poi anche alle sue, in una confusione di lacrime amare, di sussulti, di tormenti. L’aria era viziata dalle tante candele presenti, il momento insopportabile, la scelta troppo importante. Ma ad un tratto avvertì il cappio avvolgere il proprio collo, costringerlo, togliergli quel fiato che già a fatica stava prendendo. Si gettò a terra e vide, con gli occhi pieni di lacrime dalla mancanza di ossigeno, il volto della coppia guardarlo con odio, mentre tutto diventava sempre più buio e, soprattutto, silenzioso. Nessun rumore faceva da sfondo a quel momento e lui stava per morire senza aver sentito ancora cantare il suo angelo della musica un’ultima volta. C’era qualcosa che non andava, però… non l’aveva udita la sera stessa, mentre divideva la scena con lui? Perché gli sembrava così lontana? Poi un suono sordo e ripetitivo invase l’intera scena e si rese conto che quel suono, come di tamburi, stava facendo da eco ai battiti del suo cuore. Che cos’era? Era morto? Forse l’aldilà era pieno di musica, come l’aveva sempre immaginato. Una voce profonda disse qualcosa, ma non avvertì il significato di quelle parole. Parlava ancora e ancora, alzando il tono, quando ad un tratto una luce violenta si impossessò della sua vista, acceccandolo e facendogli emettere un acuto gemito. Ed ecco che era sveglio… Un altro sogno di oscurità, di silenzi, di dolore. Dieci anni passati in tormenti, a ricordare quell’unica notte nella quale si era sentito felice, a ricordare la melodia della sua amata riempirgli le orecchie.
Si voltò a guardare uno dei suoi dipendenti, un uomo alto e pelato, che era rimasto sulla soglia della porta a guardarlo. Erik si alzò dal letto e indossò la maschera, sebbene in quel suo mondo di nuova bellezza fosse riuscito a rendere anche il suo aspetto meno spaventoso.
“Mr. Y.”
“Smettila di chiamarmi e dimmi perché sei qui.”
“Mi avevate detto di avvertirvi del suo arrivo a Coney Island.”
Si ritrovò a sgranare gli occhi, ascoltando quelle parole.
Lei è qui.
 
Dio, l’emozione nel rivederla era al di là di ogni aspettativa: sentire il suo profumo, accorgersi che quei lunghi anni non ne avevano scalfito l’enorme bellezza, avvertirla di nuovo tra le braccia, accorgersi di non aver mai, nemmeno per un minuto, smesso di amarla…
Tutti quei rimpianti, quegli sguardi distolti, eppure lui ne aveva sentito l’amore dietro i dinieghi: il sentimento che li legava era ancora vivo e adesso ne aveva la certezza. Ma l’arrivo del bambino aveva rovinato tutto: quell’emblema di ciò che gli era stato portato via, quella mocciosa figura irriverente, pronta a sputargli in faccia la sua esistenza, come a dimostrazione che Christine era andata avanti e dal suo matrimonio con Raoul aveva avuto anche una progenie. Aveva avvertito tutte le proprie antiche fobie e follie farsi grandi dentro di lui, rendendogli impossibile non tornare all’uomo che, in fondo, sarebbe sempre stato. Avrebbe cantato per lui, che lo volesse o meno, altrimenti quello stupido ragazzino sarebbe morto. Sì, lo avrebbe ucciso con le sue mani, così come non aveva avuto il coraggio di fare con il padre. Oh, Christine, tu non capisci cosa significhi la tua presenza qui, quanto io la abbia agognata.
Prese posto davanti al pianoforte e iniziò a suonare, avvertendo le note scorrergli nelle vene e immaginando la sua musa a cantare per lui, solo per lui.
 
Raoul era affacciato al parapetto delle scale, che conducevano dai camerini al palcoscenico. Vedendolo uscire, si precipitò a recarsi dalla sua amata, utilizzando un passaggio segreto che aveva la sua uscita dentro lo specchio… come i vecchi tempi.
“Lo sai che il suo amore non è abbastanza. Sai di appartenere ad un altro mondo, di volere che la mia musica ti renda viva.”
Christine sussultò, ma il suo sguardo gli fece capire immediatamente che le proprie parole stavano traducendo i pensieri già scritti nella mente di lei.
Prese dalla tasca un anello… l’anello che le aveva donato anni prima, nella speranza che lei lo ricambiasse, e glielo infilò al dito, senza dire nulla. Lei affondò i suoi occhi chiari nei suoi e quel semplice contatto di mani creò un attimo di empatia - quella che avevano sempre condiviso - tra loro.
“Scegli ciò che ti renderà felice davvero, questa volta. E ricorda: il talento sta nelle scelte.”
Uscì dalla porta, lasciandola sola e prendendo un lungo respiro. Doveva cantare, non poteva lasciarlo ancora una volta o ne sarebbe morto. Avrebbe lasciato tutti i suoi avere a Gustave, ma avrebbe abbandonato quel mondo crudele senza ripensamenti.
Si diresse dietro le quinte e aspettò, mentre la musica della sua canzone partiva e la sua diva entrava in scena, titubante in volto, con i lunghi capelli sciolti, come li portava da ragazza.
Quei secondi parvero un’eternità, mentre lei guardava alternativamente lui e il marito… ma poi, alla sua entrata, iniziò a cantare. La sua voce era delicata, ancora indecisa, ma perfetta. Come era sopravvissuto tutti quegli anni senza udirla? Non riusciva a capacitarsene.
La canzone che le aveva dedicato, che aveva scritto per lei, nella quale le svelava che il suo amore per lei non sarebbe mai morto proveniva dalle sue labbra come una melodia che quasi stupì se stesso per la bellezza. Quando poi Christine si lasciò andare e abbracciò il suo brano, felice di essere di nuovo la sua pupilla, come doveva essere, sentì delle lacrime bagnargli il volto. L’applauso del pubblico fu incredibile e la ragazza ringraziò, rimanendo poi immobile anche quando il sipario si chiuse, come stordita.
Le si avvicinò con il fiato corto, troppo emozionato per sapere cosa dire e si ritrovò a guardarla con fierezza negli occhi.
“Era così bella…”
“Sei stata così…”
Ci fu un silenzio nel quale rimasero a fissarsi, per poi sussurrare le stesse parole, con tutta la passione presente nei rispettivi corpi:
“Nella musica ho avvertito di vivere ancora…”
E quello era tutto ciò che aveva bisogno di sentire. La afferrò a sé e la baciò, stringendola come se potesse sfuggirgli, gustandosi ogni momento.
La baciò, per la prima volta, non nascosto, non all’oscuro, ma alla luce. La luce di quel loro rapporto inscidibile. 
   
 
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