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Autore: Adeia Di Elferas    21/08/2015    1 recensioni
Passata alla storia come l'Invisibile Terrore della Prussia Orientale, Roza Šanina non era solo una spietata e inarrestabile cecchina russa. Morta a 21 anni in seguito a una ferita, Roza aveva trascorso un'infanzia abbastanza spensierata, aveva coltivato il sogno di diventare maestra d'asilo e poi, dopo la morte del fratello in guerra, aveva deciso di offrirsi alla causa di una Russia libera dai nazisti.
Dopo un addestramento portato a termine in modo esemplare, venne subito mandata sul campo. Si narra che, dopo aver abbattuto il primo nemico, ebbe un piccolo cedimento e, accasciandosi, disse: "Ho ucciso un uomo."
Una patriota e una ragazza mossa da forti passioni e da un carattere determinato e deciso, vissuta in un momento storico molto delicato e confuso, in cui chiunque avrebbe potuto trasformarsi nel peggiore dei codardi o nel migliore degli eroi.
((La storia, pur basandosi in gran parte su fatti storici, viene in alcuni punti romanzata per rendere la lettura più leggera e più piacevole!))
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
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~~ La madre di Roza stava ancora piangendo in un angolo, convinta che ormai non l'avrebbe più persuasa a rimanere.
 Suo padre l'aveva presa in modo diverso. Se ne stava lì, nel mezzo della stanza, appena illuminato da una candela appena accesa e scuoteva la testa ritmicamente. Non se ne faceva una ragione, ma aveva deciso di non perdersi in inutili isterie.
 Le diede qualche soldo per il viaggio e per i primi giorni – pochi, ma non poteva dargliene di più – e le disse: “Hai deciso, alla fine.”
 La ragazzina allargò le spalle e lo guardò con tutta la determinazione che può avere una quattordicenne decisa a lasciare la propria casa: “Sì.”
 Il padre smise di scuotere il capo e la guardò con altrettante intensità: “Ricordati di essere brava a casa di tuo fratello. Non disturbare e aiuta con le faccende di casa.”
 Roza annuì con forza e prese la sua borsa, sapendo che il tempo stringeva e i chilometri che la separavano dalla stazione non si percorrevano da soli.
 Salutò il padre e i fratelli e lasciò la madre per ultima. Questa si asciugò il naso nella manica della camiciona e, prima di attirare a sé la figlia, la guardò a lungo con gli occhi gonfi di lacrime.
 Quando la strinse a sé, Roza si sentì in dovere di consolarla in qualche modo, così le disse: “Non preoccuparti, mamma. Sto andando a studiare, non sto partendo per la guerra. Ci rivedremo presto.”
 Non seppe dire se la madre si fosse un minimo ripresa, perchè continuava a piangere e stringerla, ma dovette allontanarla lentamente da lei: “Devo andare. Il treno non aspetta.”
 La madre allora si lasciò allontanare e, con un ultimo singhiozzo, agitò la mano, farfugliando qualcosa che assomigliavava a 'faccia avere tue notizie presto'.
 Roza andò verso l'uscio, la borsa in spalla, senza più voltarsi. La sua famiglia era in silenzio e ne ebbe un ultimo scorcio quando si richiuse la porta alle spalle.
 Quella breve visione della camera in cui erano tutti riuniti le fece stringere il cuore, e quelle parole che sentì sussurrare da suo padre (“Meglio così che non vederla fuggire di nascosto in piena notte”) l'accompagnarono per gli oltre cento chilometri che dovette fare a piedi.

 La taiga si stendeva accanto a lei a perdita d'occhio e le poche persone che incontrava erano contadini con la pelle cotta dall'aria e volti scuri per la fatica di vivere un giorno dopo l'altro.
 L'aria profumava di nuovo e avventura e Roza non poteva reprimere l'eccitazione che provava nel pensare alla sua nuova vita.
 Sarebbe andata in città, avrebbe vissuto con suo fratello ed avrebbe potuto studiare, imparando il lavoro dei suoi sogni.
 Nulla avrebbe potuto impedirle, ora, di coronare le sue ambizioni...
 Anche il paesaggio pesto e maliconico che la circondava pareva farle i complimenti e augurarle un buon proseguimento.
 La borsa che teneva sulla schiena cominciava a pesare e la ragazzina si trovò a pensare con uno strano stato d'animo ai pochi chilometri che aveva percorso ogni giorno per anni per andare a Bereznik. Le erano parsi così tanti... Se avesse saputo che un giorno, per prendere un treno, avrebbe dovuto camminare così tanto, di certo li avrebbe affrontati con un altro spirito.

 La stazione era confusa e Roza non sapeva da che parte rivolgere lo sguardo, perchè ogni cosa era interessante e nuova.
 Dovette chiedere a tre persone diverse, prima di scoprire quale fosse il suo treno e quando finalmente fu a bordo, tirò un grande sospiro di sollievo.
 La scarpinata era finita ed ora non le restava che un lungo viaggio in treno. Avrebbe avuto ben modo di riposarsi e pensare a cosa dire a suo fratello, che non vedeva da molto.
 Accanto a lei si sedettero marito e moglie, due contadini anche loro diretti ad Arkhangelsk, e poco dopo si accomodò anche un ragazzo sui vent'anni e una donna un poco più vecchia con un grosso fazzolettone in testa.
 All'inizio nessuno parlava, tutti avvolti nei propri pensieri, ma poi la donna con il fazzolettone in testa chiese a Roza: “Ragazzina, tutta sola? Dove sei diretta?”
 Questa semplice domanda bastò a Roza per attacar bottone e trascinare nella conversazione tutti i passeggeri che le stavano vicini.
 Quando il treno arrivo ad Arkhangelsk, stavano ancora chiacchierando e ridendo e nessuno di loro si era reso conto del tempo passato.
 Si salutarono come fossero stati vecchi parenti e si ripromisero, con il tipico ottimismo di chi ha appena riso fino a farsi dolore la pancia, di incontrarsi in giro per ricordare insieme quella traversata.
 Roza scese dal mezza con un sorriso allegro stampato in volto e, forse anche per via del viaggio piacevole, la prima impressione che le fece Arkhangelsk fu meravigliosa.

 “Sorellina!” esclamò Fyodor quando la vide.
 Roza gli saltò al collo e lo strinse forte. Gli diede un bacio in fronte e uno sulla guancia: “Da parte dei nostri genitori.” spiegò.
 “Andiamo, ti faccio vedere casa nostra.” disse Fyodor, prendendole la borsa e sorridendo come se non potesse essere più felice di così.
 Roza sorrise a sua volta, raggiante, e mentre raggiungevano la casa che suo fratello le aveva messo senza indugio a sua disposizione, annusò l'aria, rapita.
 Era un insieme di odori diverso da quello che si respirava nel kolkoz o nella taiga che aveva attraversato per raggiungere il treno.
 Non c'era l'odore pungente dell'erba primaverile o quello algido della neve in inverno, né il sentore delle stalle o l'aroma della resina.
 C'era odore di città, di persone, di cibo e confusione, un insieme caotico di odori e profumi, un unirsi di impressioni e improvvise zaffate di cucina, lattrine, fumo, polvere... E poi, di quando in quando, un soffio di Mar Bianco.
 

   
 
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