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Autore: Abigail_Cherry    22/08/2015    5 recensioni
2100 d.C. Charlotte Mason vive a Greenwich durante un dopoguerra che ha trasformato la tranquilla monarchia in cui viveva in una dittatura in cui la legge principale è che, entro i diciott'anni, i ragazzi debbano pesare almeno 80kg le femmine e 100kg i maschi. Il problema? Charlotte è ben sotto quegli 80kg che dovrebbe pesare, e ciò avrà conseguenze devastanti...
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quattro


Dio! Come lo odio! Cominciamo a parlare e quando siamo nel pieno della conversazione... puf! Se ne va! Ed ovviamente le sue ultime parole sono antipatiche.

Per cercare di tranquillizzarmi, compongo ancora due o tre puzzle, ma non riesco comunque ad allontanare dalla mente l'immagine di quel ragazzo... che poi, come cavolo si chiama? Non ho neanche pensato di chiederglielo. Che stupida che sono! Mi sento così patetica!

Unisco l'ultimo pezzo del quarto puzzle e la figura di un'alunna in uniforme scolastica che scribacchia sul suo quaderno, sorridente, sembra prendere vita.

Per qualche motivo, mi scopro a guardare malinconica quell'immagine. Fino a qualche giorno fa, ero a casa mia, andavo a scuola, avevo contatti con altre persone. Ora è tutto finito.

Non so se riuscirò mai a tornare alla mia vita. Sul foglio in camera mia c'era scritto che una volta raggiunto il peso forma sarei potuta tornare a casa, ma non ho mai visto ne sentito di nessuno che sia ritornato una volta dopo aver oltrepassato l'arcata azzurra. Eppure, qualcuno dovrebbe avercela fatta, non è un'impresa impossibile, giusto?

Non posso sopportare più la vista di quella ragazza sorridente sul puzzle. Mi alzo dalla sedia e me ne vado.

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Il giorno dopo, a colazione, mi siedo allo stesso tavolo di ieri, aspettando che arrivi la donna, quella "Aghata", per chiamare i ragazzi,così posso cominciare a fare colazione.

Non vedo il ragazzo con il camice viola da nessuna parte, ma non me ne preoccupo. Meglio così, dopotutto.

Dalla porta finalmente entra Aghata e comincia a leggere i nomi dal suo foglio.

Per qualche ragione, la sua presenza mi rende inquieta anche se non ho fatto niente, quindi non ci sarebbe nessuno motivo per chiamarmi.

<< Charlotte Mason. >> chiama la donna.

Alzo la testa, rivelando un volto a metà tra il scioccato ed il confuso, poi resto immobile. Sembra quasi che il mio cuore si sia fermato. Perché ha chiamato il mio nome?

In qualche modo, con le gambe tremanti, riesco ad alzarmi e sento gli occhi di tutti puntati su di me. Sento le lacrime che spingono per uscire, ma le trattengo.

Ho paura.

Mentre cammino verso la donna con lo sguardo di ghiaccio, incrocio finalmente il volto del ragazzo vestito di viola.

Mi fissa con uno sguardo indecifrabile. Muove le labbra in silenzio, vuole comunicarmi qualcosa. "Fatti forza" penso abbia detto. Gli rivolgo un sorriso triste, poi seguo Aghata fuori dalla mensa assieme ad altri sei ragazzi.

Svoltiamo in diversi corridoi prima di arrivare ad un enorme ascensore che ci fa salire al quinto piano.
Quando le porte dell'ascensore si aprono, non ci sono corridoi da attraversare o porte da aprire. C'è solo una stanza con pavimento, soffitto e pareti completamente bianche. Sparsi in giro ci sono parecchi androidi in attesa di ordini, ognuno affianco ad un oggetto: ci sono tre vasche, due pali con delle corde, un forno a legna acceso e molti altri inquietanti strumenti che non capisco a cosa servano.
I miei occhi saettano da una parte all'altra della stanza, terrorizzati.

Penso di aver capito dove mi trovo, ma non ci voglio credere.
Sono in una stanza delle torture.

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<< Il camice azzurro Charlotte Mason faccia un passo avanti. >> ordina Aghata, di cui ancora non ricordo il cognome.

Eseguo l'ordine. << Sono io. >> dico.

<< Non ti ho detto di parlare. >> mi fulmina, poi un androide le porta una cartella con dei fogli e la donna li sfoglia qualche secondo. << Sei qui per due motivi: il primo è che sei nuova e devi essere marchiata, il secondo è che hai aggredito un androide, l'altro giorno. >>.

<< Ero nel panico! >> urlo. << Non pensavo neanche a ciò che stavo facendo! E poi, alla fine l'androide non si è neanche ammaccato. >>.

<< Ti ho detto di tacere! Stai al tuo posto, camice! >>.

Mi zittisco di nuovo.

<< La punizione per le tue azioni saranno cinque frustate, e se proverai ad obiettare, aumenteranno. Ma cominciamo con la marchiatura. Androide AC4, prepara il ferro. >>.

L'androide vicino al forno a legna prende in mano una stecca di ferro con all'estremità un cerchio e comincia a scaldarlo sul fuoco.

Il mio cuore batte a mille: non sono mai stata così tanto terrorizzata in vita mia.

<< Togliti la maglietta e siediti sulla sedia davanti al forno. >>.

Ma resto ferma. Non oso fare niente. Ho capito cosa mi toccherà fare. Non voglio, non sarò io di mia volontà a sedermi su quella dannata sedia.

Mi giro e corro verso l'ascensore, cerco il pulsante per aprirlo, ma mi accorgo poco dopo che si apre solo con un tesserino. Non so cosa fare.

<< Ridicola. >> dice Aghata. << Adroide 5HB, legala alla sedia. >>.

Vedo l'androide venire verso di me, provo a scappare, ma lui era già vicino e ci mette due secondi ad immobilizzarmi. << No! Ti prego! >> urlo, disperata.

L'androide mi porta di forza alla sedia, mi toglie la maglietta e mi immobilizza legandomi le braccia dietro la schiena e le gambe a quelle della sedia, con l'aiuto di un altro androide.

<< Camice, indossi un reggiseno. >> fa notare Aghata. << Questa è un'ulteriore infrazione delle regole. >>.

Ho la gola secca e la fronte sudata.

<< Due frustate in più. >> conclude Aghata.

Il primo androide mi taglia con una forbice le spalline e il balconcino del reggiseno, rendendolo inutilizzabile, poi me lo toglie, lasciandomi a petto nudo.

Ora, oltre alla paura ed il terrore, provo anche un enorme imbarazzo a stare in questo stato davanti ai sei ragazzi.

Vedo Aghata prendere la stecca incandescente dalle mani dell'androide ed avvicinarsi a me. << Se ti muovi sarà peggio. >> mi dice. << Prova a pensare a qualcos'altro. >> sorride, e pochi secondi dopo, il ferro rovente viene appoggiato appena sopra il mio seno sinistro.

Urlo, imploro, cerco di liberarmi dalle corde, ma non ci riesco. Sento l'odore della pelle che brucia, sento il ferro sprofondare nelle mie carni ma non riesco a guardare, tengo gli occhi chiusi e continuo a piangere. Quando finirà?

Aghata toglie il ferro rovente dalla mia pelle con un ghigno insopportabile. Penso che se non ci fossero le corde a tenermi ferma, sarei caduta a terra.

Ho il fiato pesante per quanto ho urlato e le lacrime non smettono di scorrere. D'improvviso, mi sento stanca. Voglio riposare, ma sono costretta da due androidi ad alzarmi ed a camminare - o, dovrei dire, essere trascinata - fino ad arrivare ad un palo, dove vengo legata di nuovo ai polsi e sono costretta a stare in piedi.

<< Quante, signora? >> chiede l'androide con la frusta ad Aghata.

<< Sette. >> risponde lei. << Comincia pure, io intanto vado a preparare il prossimo. >> risponde lei.

Non riesco a pensare a stento resto in piedi. Il mio petto sta esplodendo dal dolore, ed i miei occhi vorrebbero tanto chiudersi. Fisso con sguardo vuoto, ad occhi socchiusi, un punto della stanza.

Arriveranno le frustate. Arriverà il dolore... non sono pronta.

Non sono...

Sento la durezza della frusta, accompagnata da un forte schiocco, colpirmi la parte bassa della schiena.

Urlo, più per lo spavento che per il dolore, che arriva pochi secondi dopo assieme alle mie lacrime.

Un'altra frustata, poi un'altra ancora. Questa volta sento il sangue scorrere sulla mia schiena, le ferite che pulsano, e riesco quasi ad immaginare il pavimento e l'androide sporchi degli schizzi del mio sangue.

Le mie gambe cedono. Non riesco più a stare in piedi. Non ce la faccio.

Arriva la quarta frustata, che mi colpisce in mezzo alle scapole. Riesco a percepire la paura dei ragazzi che mi guardano come se mi stesse toccando.

<< Alzati! >> urla Aghata.

Io resto immobile. Non capisco niente, non riesco a muovermi, a pensare...

<< Sei sorda?! >> urla Aghata, avvicinandosi a me. << Alzati! Subito! >>.

<< No! >> urlo, senza neanche accorgermene. << Ho passato diciotto anni della mia vita a mangiare poco per vivere una vita sana, libera. Ma se comincio ad ubbidire ad una persona come Lei solo per paura, tutto ciò per cui ho lavorato non sarà servito a niente! Perché non sarei libera, mi sentirei un burattino, un oggetto senza vita. Mi sentirei morta. Quindi, no! Non mi alzerò in piedi! >>.

<< Taci! >> Aghata strappa la frusta dalle mani dell'androide e la fa scoccare esattamente sopra alla frustata precedente, provocandomi molto più dolore di quelle date in precedenza.

Grido dal dolore, ma non mi arrendo. << C'è un girone dell'inferno apposta per quelle come Lei, Aghata! >>.

Arriva un'altra frustata, seguita da un altro mio grido. << Quanti ragazzi ha torturato? >> continuo. << Cinquanta? Cento? Duecento? Tutto questo non rimarrà impunito! >>.

Arriva l'ultima frustata e sento ormai la schiena aperta in due.

Sento il rumore della frusta insanguinata toccare terra.

<< Persone come Lei mi fanno solo schifo! >> dico.

Sento Aghata ridere. << Androide CN6, niente kit medico per la ragazza. Mettetele la maglietta e riportatela davanti alla sua camera. >>.

<<>>

Sono a terra, davanti alla porta della mia camera, la porta è aperta ma io non riesco a muovermi, ogni volta che ci provo sento le ferite sulla schiena riaprirsi. La mia maglietta è piena di sangue incrostato che si attacca dolorosamente alle ferite e il sangue non smette di sgorgare.

Nel corridoio ci sono parecchie persone che mi passano e mi guardano con compassione, ma non si fermano ad aiutarmi, neanche quando provo a chiedergli aiuto.

Ad un certo punto, un ragazzo inciampa, facendo cadere il piatto pieno di brioches che si spargono tutte a terra. Lo guardo mentre lentamente rimette sul piatto il cibo. Quanto vorrei mangiare qualcosa...

<< Azzurra, alzati. >> gli sento dire.

E solo in quel momento noto quei capelli riccioli e scuri, quegli occhi curiosi e quel dannato camice viola. << S-sei tu! >> dico, affaticata. Per la prima volta, sono davvero felice di vederlo.

<< Ci sono telecamere in ogni corridoio ed in ogni stanza, ma non nella mia. Ora, non posso aiutarti o registrerebbero tutto e mi caccerei nei guai. Ma se riesci a camminare fino alla mia stanza, posso medicarti le ferite e lasciarti riposare, ho il mio kit medico da parte.

<< N-non voglio la tua pietà. >> poi mi sforzo di sbuffare. << Mister "Non sono la tua guida". >>.

<< Non mi sembra che tu abbia altra scelta. >> finisce di raccogliere le brioches e si alza. << Stanza numero 221. >> poi se ne va, come se non avessimo mai cominciato a parlare.

   
 
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