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Autore: VAleMPIRE    22/08/2015    0 recensioni
Si tratta di una semplice riflessione fatta durante la visione di un concerto dei Doors
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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When the music it’s over, turn off the lights

When the music it’s over, turn off the lights

Il 19 Agosto, tra le 23,15 e le 00,15 ho visto per la prima volta integralmente un concerto dei Doors. Ovviamente alla tv. Rai 5 ha trasmesso l’esibizione live del mitico gruppo all’Hollywood Bowl del 1968.
Sola sul divano in salotto, davanti lo schermo più grande che abbiamo in casa. Meraviglioso.
Finora avevo visto  solo qualche spezzone qua e là su You tube di loro concerti. Ho iniziato ad appassionarmi ai Doors oltre un anno fa, un po’ per caso: ovviamente sapevo chi fosse Jim Morrison, ma non lo conoscevo granchè, sino a quando, facendo zapping, mi sono imbattuta in un docufilm che raccontava bene retroscena e curiosità di questo affascinante gruppo e del loro vocalist (era “When you’re strange”, del 2010: sicuramente i più appassionati lo conoscono; a chi volesse approfondire la propria conoscenza di Mr Mojo Risin’ e compagni, lo consiglio vivamente!). Da allora ho recuperato la loro discografia, mi sono innamorata della loro musica e del carismatico leader. Per me, come per tantissime altre persone, Jim Morrison non è solo la voce dei Doors. E’ un’icona, una leggenda, un ideale.
Per me è un ideale di uomo in tutti i sensi, benché abbia lati oscuri. Sarà che mi sono sempre sentita attratta da quelli un po’ problematici e “dannati”. Ma comunque non solo per questo mi piace tanto. Innanzitutto fisicamente. Non ne cambierei una virgola. Alto, fisico asciutto, viso da angelo tentatore. Capelli selvaggi. Occhi dolci e penetranti, ma anche ardenti e misticamente lontani. Le sue labbra e le sue fossette sulle guance. Il sorriso disarmante, talvolta da bravo ragazzo, altre da bastardo. La sua bellezza sta tutta nei contrasti. E poi ovviamente adoro la sua voce. La modula continuamente: dolce, ruvida, graffiante, profonda, ipnotica. E le sue movenze, il suo modo di farsi rapire dalla musica. Come in estasi. Il suo modo di aggrapparsi all’asta del microfono unico, sempre in bilico tra lecito ed illecito.
Nell’esibizione che ho visto non si sono verificati grandi colpi di scena. E’ stato uno dei concerti più tranquilli. Come è risaputo, molto spesso erano eventi tutt’altro che ordinari. Jim era un vero performer che amava provocare il pubblico e mettere a dura prova l’efficacia della sicurezza. Era anche un grande parlatore, una specie di predicatore. Ed aveva un cervello non comune. 
Studente modello sino a prima del diploma e con un quoziente intellettivo ben sopra la media. Divoratore di libri, amante di cinema e poesia, nonché poeta lui stesso. 
Per tutti questi motivi mi piace. Non era solo dannatamente sensuale. Era un genio ribelle. Mix perfetto.
Con lui sì che ci avrei ballato, e non è cosa facile farmi muovere! L’altra sera, inevitabilmente, mentre lo guardavo ed ascoltavo rapita, quasi senza battere ciglio, provavo ad immaginarmi ballare con lui, o anche solo stargli vicino. Quanto ho invidiato quel microfono! Quasi lo baciava, lo divorava.
Per lui la musica era davvero un’esperienza mistica, estatica (e non era certo solo questione di droga e alcool). Forse lo era anche per buona parte del pubblico, perché – per lo meno in quell’occasione – non si sentivano urla continue di ammiratrici piangenti e scatenate. Erano una musica e un pubblico diversi, più alti. Trascinavano le folle in modo diverso. 
Anche io era come ipnotizzata. Benché trovi trascinanti tutti i loro pezzi, non mi è venuto di alzarmi e scatenarmi. Ero troppo presa dall’effetto della musica e dalla voce del “Re lucertola”, dalla sua presenza scenica. Un vero eroe. Del rock e del sesso.
Adoro come teneva gli occhi chiusi quasi tutto il tempo cantando. C’è stato un momento in cui li ha aperti – così luminosi e scuri insieme – ed ha guardato dritto in camera, accennando un sorriso. 
Beh, ho avuto un sussulto, perché in quell’attimo mi sono sentita guardata da lui. Di riflesso ho sorriso un pò anch’io, impressionata dalla potenza di quello sguardo, seppur mediato e distante oltre quarant’ anni.
Mi ha sorpreso trovarlo a volte tenero e fragile, quasi un adolescente in certe espressioni.
Ho pensato: Forse è morto così giovane perché non poteva diventare più grande di quanto già non fosse. Questo pensiero mi ha bagnato un po’ gli occhi.
Era come un uomo dalle mille vite e sfumature intrappolato nel corpo esile di un ragazzino.
E tutto il suo tormento, il suo cercare sempre e comunque di passare il limite, come in tanti grandi, forse stava proprio qui: nel sentirsi imprigionato.
Chiaramente purtroppo non potrò mai dire cosa significhi sentire dal vivo i Doors.
Forse avrei pianto silenziosamente se fossi stata lì quasi cinquanta anni fa. Perché avrei provato quanto meno triplicate tutte le emozioni che ho sentito seduta comodamente sul divano di casa mia.
Quella era vera musica, piena di sfaccettature e contenuti, pop ma anche non per tutti.
Non esistono né esisteranno più band come i Doors. Ed io non ho una macchina del tempo.
Questa consapevolezza alla fine mi ha lasciato un po’ d’amaro in bocca.
… Che strano, però, provare nostalgia verso ciò che non si è mai vissuto.

   
 
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