When
the music it’s over, turn off the lights
Il 19
Agosto, tra le 23,15 e le 00,15 ho visto per la prima volta
integralmente un concerto dei Doors. Ovviamente alla tv. Rai 5 ha
trasmesso l’esibizione
live del mitico gruppo all’Hollywood Bowl del 1968.
Sola sul divano in salotto, davanti lo schermo più grande
che abbiamo
in casa. Meraviglioso.
Finora avevo visto solo
qualche
spezzone qua e là su You tube di loro concerti. Ho iniziato
ad appassionarmi ai
Doors oltre un anno fa, un po’ per caso: ovviamente sapevo
chi fosse Jim
Morrison, ma non lo conoscevo granchè, sino a quando,
facendo zapping, mi sono
imbattuta in un docufilm che raccontava bene retroscena e
curiosità di questo
affascinante gruppo e del loro vocalist (era “When
you’re strange”, del 2010: sicuramente i
più appassionati lo
conoscono; a chi volesse approfondire la propria conoscenza di Mr Mojo
Risin’ e
compagni, lo consiglio vivamente!). Da allora ho recuperato la loro
discografia, mi sono innamorata della loro musica e del carismatico
leader. Per
me, come per tantissime altre persone, Jim Morrison non è
solo la voce dei
Doors. E’ un’icona, una leggenda, un ideale.
Per me è un ideale di uomo in tutti i sensi,
benché abbia lati oscuri.
Sarà che mi sono sempre sentita attratta da quelli un
po’ problematici e “dannati”.
Ma comunque non solo per questo mi piace tanto. Innanzitutto
fisicamente. Non ne
cambierei una virgola. Alto, fisico asciutto, viso da angelo tentatore.
Capelli
selvaggi. Occhi dolci e penetranti, ma anche ardenti e misticamente
lontani. Le
sue labbra e le sue fossette sulle guance. Il sorriso disarmante,
talvolta da
bravo ragazzo, altre da bastardo. La sua bellezza sta tutta nei
contrasti. E poi
ovviamente adoro la sua voce. La modula continuamente: dolce, ruvida,
graffiante,
profonda, ipnotica. E le sue movenze, il suo modo di farsi rapire dalla
musica.
Come in estasi. Il suo modo di aggrapparsi all’asta del
microfono unico, sempre
in bilico tra lecito ed illecito.
Nell’esibizione che ho visto non si sono verificati grandi
colpi di
scena. E’ stato uno dei concerti più tranquilli.
Come è risaputo, molto spesso
erano eventi tutt’altro che ordinari. Jim era un vero
performer che amava
provocare il pubblico e mettere a dura prova l’efficacia
della sicurezza. Era anche
un grande parlatore, una specie di predicatore. Ed aveva un cervello
non
comune.
Studente modello sino a prima del diploma e con un quoziente
intellettivo ben sopra la media. Divoratore di libri, amante di cinema
e
poesia, nonché poeta lui stesso.
Per tutti questi motivi mi piace. Non era solo
dannatamente sensuale. Era un genio ribelle. Mix perfetto.
Con lui sì che ci avrei ballato, e non è cosa
facile farmi muovere! L’altra
sera, inevitabilmente, mentre lo guardavo ed ascoltavo rapita, quasi
senza
battere ciglio, provavo ad immaginarmi ballare con lui, o anche solo
stargli
vicino. Quanto ho invidiato quel microfono! Quasi lo baciava, lo
divorava.
Per lui la musica era davvero un’esperienza mistica, estatica
(e non
era certo solo questione di droga e alcool). Forse lo era anche per
buona parte
del pubblico, perché – per lo meno in
quell’occasione – non si sentivano urla
continue di ammiratrici piangenti e scatenate. Erano una musica e un
pubblico diversi, più
alti. Trascinavano le folle in modo diverso.
Anche io era come ipnotizzata. Benché
trovi trascinanti tutti i loro pezzi, non mi è venuto di
alzarmi e scatenarmi. Ero
troppo presa dall’effetto della musica e dalla voce del
“Re lucertola”, dalla
sua presenza scenica. Un vero eroe. Del rock e del sesso.
Adoro come teneva gli occhi chiusi quasi tutto il tempo cantando.
C’è
stato un momento in cui li ha aperti – così
luminosi e scuri insieme – ed ha
guardato dritto in camera, accennando un sorriso.
Beh, ho avuto un sussulto, perché
in quell’attimo mi sono sentita guardata da lui. Di riflesso
ho sorriso un pò
anch’io, impressionata dalla potenza di quello sguardo,
seppur mediato e
distante oltre quarant’ anni.
Mi ha sorpreso trovarlo a volte tenero e fragile, quasi un adolescente
in certe espressioni.
Ho pensato: Forse è morto
così
giovane perché non poteva diventare più grande di
quanto già non fosse. Questo
pensiero mi ha bagnato un po’ gli occhi.
Era come un uomo dalle mille vite e sfumature intrappolato nel corpo
esile di un ragazzino.
E tutto il suo tormento, il suo cercare sempre e comunque di passare
il limite, come in tanti grandi, forse stava proprio qui: nel sentirsi
imprigionato.
Chiaramente purtroppo non potrò mai dire cosa significhi
sentire dal
vivo i Doors.
Forse avrei pianto silenziosamente se fossi stata lì quasi
cinquanta anni fa.
Perché avrei provato quanto meno triplicate tutte le
emozioni che ho sentito
seduta comodamente sul divano di casa mia.
Quella era vera musica, piena di sfaccettature e contenuti, pop ma
anche non per tutti.
Non esistono né esisteranno più band come i
Doors. Ed io non ho una
macchina del tempo.
Questa consapevolezza alla fine mi ha lasciato un po’
d’amaro in bocca.
… Che strano, però, provare nostalgia verso
ciò che non si è mai vissuto.