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Autore: Sara Saliman    24/08/2015    1 recensioni
[The Messengers]
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l’occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?
(W. Blake)
[Vera, TheMan]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dedicato a me.
Quando scrivo per gli altri, elimino senza pietà le parole e le frasi di troppo.
Questa volta no: questa volta le ho lasciate tutte.
Spoilers episodi 1 e 2. Non credo possa seriamente interessare a qualcuno, ma non si sa mai.
 
****
 
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l’occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?
 
In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
 
Quando la luce della lampada lacera l’oscurità, Vera si volta di scatto e lo vede, allungato sulla poltrona come un grosso felino.
La prima emozione è paura: la sensazione claustrofobica di annegare nel proprio respiro, l’impulso ad annaspare dell’animale intrappolato nella tana. Si getta verso il comodino, estrae dal cassetto la pistola e la punta contro l’intruso.
Solo allora Vera comincia a sentire la seconda emozione farsi strada lungo le vene, bruciando e sradicando ogni altra cosa: è rabbia. Rabbia per la naturalezza con cui l’Uomo ha violato i suoi spazi: la sua casa, la sua stanza, il suo pc, la sua vita, lacerando al proprio passaggio i fili dei suoi affetti.
E c’è qualcosa di profondamente sbagliato nella calma con cui l’Uomo contempla la pistola che lei gli punta addosso: come se fosse non una minaccia, ma un dettaglio in più per decifrare lei. Così Vera ha la sensazione di soffocare, di venir tradita dalle stesse parole, dagli stessi gesti con cui sta cercando di difendersi.
L’Uomo si alza dalla poltrona, i movimenti fluidi e bilanciati di un predatore. Appena è in piedi, la stanza sembra più piccola: lui ha spalle larghe e fianchi un po’ più stretti, avambracci robusti e mani così grandi che potrebbe stritolarla usandone una sola. L’unico motivo per cui appare così slanciato è che è anche più alto della media. La luce sembra oscillare, ritraendosi da lui, e Vera prova l’impulso di arretrare per non finire dentro la sua ombra.
Lui è consapevole dell’effetto che fa: Vera lo capisce dalla sua espressione accuratamente neutra, dal modo in cui le volta le spalle rendendosi potenzialmente esposto, dal fatto che evita di avvicinarsi e misura ogni gesto, spogliandolo di ostilità.
Una tigre che cerchi di non apparire minacciosa: ecco cosa sembra.
Le parla di suo figlio, la blandisce come se la conoscesse da sempre, come se fossero così intimi –e da così tanto tempo- da poter tralasciare formalità e convenzioni.
Ma non è questo a turbare Vera: a turbarla è la sensazione che lui abbia ragione.
In una parte di lei, remota, oscura –più antica della memoria, vecchia quanto i geni che ha ereditato dai rettili che calpestavano la terra milioni di anni fa- lei lo conosce.
Lo conosce così bene che la familiarità ha stemperato la paura, trasformandola in vigile prudenza.
In questo momento lei non lo teme: non perché dubiti della sua crudeltà, ma perché sa che lui non la colpirà adesso.
 
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?
 
Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?
 
È completamente fuori di sé, di fronte al corpo indifeso della donna in coma. L’emotività le sfilaccia i pensieri, che faticano a comporsi in un tutto coerente.
Ucciderla sarebbe un atto di pietà.
Le parole dell’Uomo le riecheggiano alla mente, e Vera sa che il suo discorso è tutto sbagliato, che ci sono mille obiezioni che potrebbe, dovrebbe sollevare, ma il dolore è talmente straziante da lasciarla annichilita.
Si volta e lui è dietro di lei, il viso composto in un’espressione afflitta, come se fosse realmente partecipe del suo dolore, realmente dispiaciuto di quello che le sta facendo.
-Come faccio a sapere che hai mio figlio?-
Con la stessa espressione contrita, l’Uomo solleva una mano e le mostra il giocattolo di Michael.
Quel gesto le strappa di dosso ogni difesa, la lascia così: nuda ed inerme. Sulle terminazioni nervose esposte, l’immagine di Micheal è un sole ardente, che annerisce i contorni di tutte le cose.
Quando si scaglia contro l’Uomo, Vera non sa davvero cosa sta facendo.
Lui sembra saperlo benissimo, invece: la fa voltare, la imprigiona nelle proprie braccia, le blocca la schiena contro il proprio torace con facilità irrisoria.
-Calmati adesso: non ce l’ho io tuo figlio. Ma so esattamente dov’è…-
La forza con cui la trattiene è un’implicita minaccia; le accarezza le braccia come per calmarla e il conforto che le offre è insopportabile: una manciata di sale su ferite che lui stesso ha causato. Eppure Vera si placa all’istante, perché persino il veleno che lui le porge è meglio di questo dolore folle.
-…quindi o finisci quello che hai iniziato o, Dio mi è testimone, non rivedrai mai più Michael.-
In contrasto con il calore del suo petto e del tono rassicurante che sta usando, le parole che l’Uomo le sussurra sono ghiaccio.
Vera afferra il cuscino e si avvicina al capezzale della donna, come spezzata.
E ci sono cose, molte cose, che non perdonerà mai a Rose, ma di una le sarà grata per sempre: di aver aperto gli occhi proprio in quel momento, di averla salvata dal diventare un’assassina.

 
Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?
 
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?*

 
Più tardi, nella stessa giornata, Vera lo vede ancora.
Lui vuole che lei lo veda: la aspetta sotto quell’albero per tutto il tempo necessario, finché i loro sguardi non si incontrano.
Ha le braccia incrociate sul petto, la camicia scura arrotolata sui gomiti.
Non sorride: né per sottolineare il proprio trionfo né tantomeno per sembrare amichevole.
È una tigre, e ha messo da parte la maschera perché vuole che lei lo guardi bene.
Lascia che la propria immagine le si imprima bene nelle retine, bruci al centro esatto della sua corteccia cerebrale.
Solo a quel punto, in un battito di ciglia, sparisce.



 
 
*The Tyger, W. Blake, traduzione di G. Ungaretti
   
 
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