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Autore: northernlight    25/08/2015    5 recensioni
Ebbene, io sono quella sigaretta. Osservo la cenere maleducatamente accumulata davanti alle mie scarpe. Sono quella sigaretta come Cathy è Heathcliff: una cosa sola. Anzi, più che una cosa sola, siamo la stessa cosa: consumati in balia degli eventi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alex Turner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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         Smoke the world away.




 
“Dove vai?”

“Fuori. Ho bisogno di una sigaretta.”

“Un’altra, Al?”

“È solo la seconda da stamattina. E poi, che fai? Mi controlli?”
Corro via prima che Matt ribatta e mi chieda anche le analisi del sangue, lui e il suo odio per il fumo passivo e non, lui che poi mangia messicano una sera sì e l’altra pure, che campa di cheddar e birra. Scuoto la testa e mi avvio verso la piscina della villa in cui siamo stipati a festeggiare l’annuncio dell’ennesimo marmocchio in arrivo, questa volta quello di Matt. Ho caldo, non ho voglia di essere qui nonostante io sia felicissimo per lui e Breana; l’aria fresca tipica di una giornata che volge al termine, riesce a farmi riprendere fiato. Per un po’ pondero l’idea di non accendermi questa sigaretta e di lasciare liberi i polmoni ma sto impazzendo, non voglio essere qui e la mia unica e utopica via di fuga – almeno mentale – è fatta di tabacco e catrame. Respiro profondamente ancora una volta dandomi un’occhiata attorno: siamo immersi nel verde, l’enorme casa in muratura, la piscina, il suono ovattato della musica e del chiacchiericcio all’interno della struttura. Scelgo a caso una delle sdraio di tela bianche distribuite sul parquet scuro e mi ci siedo di peso. Sbuffo e osservo distrattamente le stelle che puntellano il cielo, sfilo il pacchetto dalla tasca della giacca blu scuro che indossavo, infilo una sigaretta tra le labbra e inizio a tastarmi le tasche in cerca dell’accendino. La mia eterna lotta contro gli accendini viene fuori sempre nei momenti meno opportuni, ad esempio prima di salire sul palco oppure quando sono nervoso; dopo cinque o sei tentativi, riesco ad accenderla. Il primo intenso e liberatorio tiro di sigaretta dopo ore passate ad accompagnare Matt per sistemare le ultime cose per la festa. Sbuffo fuori il fumo che stavo trattenendo da qualche secondo nei polmoni. Ci avevo riflettuto per anni sulle sigarette e sul fumo in generale e non ero mai giunto alla motivazione precisa da attribuire al perché continuassi a fumare da anni: non era né per il rischio – non sono mai stato un amante dell’incoscienza gratuita – e nemmeno per una qualche moda strampalata, né per curiosità o per sentirmi adulto. Osservo il fumo grigiastro dissolversi nel cielo sereno, aiutato da una leggero venticello estivo. Immagino fosse per lo scarso controllo e autocontrollo che avevo sulla mia vita quando ho iniziato a fumare: a prescindere il fattore fisiologico e chimico che la nicotina ha sul corpo umano, probabilmente è stata – è sempre stata – l’idea di prendermi quei cinque o dieci minuti buoni da dedicare a me stesso in tutto il marasma che si stava creando attorno a me, attorno alla band e alle nostre vite. Che poi mi stessi autodistruggendo e sabotando la vita e la carriera è un altro paio di maniche; a questo non so ancora dare una spiegazione nemmeno lontanamente ipotetica. Poggio i gomiti sulle ginocchia congiungendo le mani una sopra l’altra, la sinistra sotto la destra con la sigaretta tra le dita. Osservo il vento mangiarsi la mia sigaretta lentamente, senza ch’essa possa opporre resistenza alcuna. Prima sorrido appena, poi dalla mia gola inizia a levarsi un risolino gutturale e involontario. Smetto subito, per paura che la gente lì vicino mi veda ridere da solo e mi procuri un biglietto sola andata per la neuro. Non posso dire di essere uno a cui le apparenze non sono mai importate, forse sì, ma ho smesso quando ho capito come iniziavano a girare le interviste, circa dieci anni fa. Imprigiono ancora un po’ di fumo per poi buttarlo via dal naso. Nella vita reale non sono un grande fan delle metafore, similitudini e tutte quelle belle figure retoriche imparate in anni e anni di letture classiche che infilavo in ogni canzone. Quelle erano solo un modo per fuggire, per evitare domande scomode ma pian piano è diventato parte di me: la praticità, la solidità che tutti mi invidiavano quando ancora vivevo a Sheffield, erano andate – puff – sparite assieme alla mia privacy. Perciò mi delizio da solo con una di quelle analogie wordsworthiane che Matt avrebbe definito bagna-o-strappa-mutandine-delle ragazzine. Ebbene, io sono quella sigaretta. Osservo la cenere maleducatamente accumulata davanti alle mie scarpe. Sono quella sigaretta come Cathy è Heathcliff: una cosa sola. Anzi, più che una cosa sola, siamo la stessa cosa: consumati in balia degli eventi. Uno scrosciante applauso esplode dalla veranda rialzata della casa; sento la sguaiata risata di Miles provenire dallo stesso punto. Sono felice di essere passato inosservato uscendo, non ho voglia di chiacchierare stasera, non sono di molte parole e vorrei che questa sigaretta duri all’infinito ma tra un po’ mi toccherà tornare su. Su da vite che vanno e andranno avanti, relazioni, matrimoni, figli e a me invece resta da pianificare il futuro lavorativo di tre persone più me stesso. Anche parte del lavoro di Miles, volendo esagerare, e mi sento particolarmente melodrammatico questa sera. È stato un processo graduale ma solo adesso mi rendo conto che sono rimasto indietro, bloccato in un limbo monotono e circoscritto allo stesso ambiente e alle stesse persone. Se dieci anni fa era tutto nuovo, adesso è tutto già visto, vecchio e stantio. Sono un perfetto coglione? Sì, ovviamente, perché mi sto lamentando di essere parte di un mondo che tutti sognerebbero. È colpa mia? L’essere umano non si attribuisce mai la totalità del suo fallimento perciò sì, parzialmente potrebbe essere colpa mia. Colpa mia perché sono scappato dalle mie responsabilità quando potevo dare una svolta alla mia vita e invece ho preso la strada più facile, quella lastricata di ‘e se’ messi in fila uno dopo l’altro, gli ‘e se’ ai quali contavo di dare risposta ma che sono rimasti irrisolti. Colpa mia perché sono uno che si stanca subito, sono uno che si sente intrappolato – sempre parlando di controllo – uno che si annoia subito; basti pensare che la mia relazione più duratura è quella con un amico ovvero con Miles, ovvero una persona che ha sempre qualcosa da fare. Com’è che si dice? ‘Non conosci il valore di qualcosa finché non la perdi’, al quale aggiungerei ‘non sai di volere qualcosa finché gli altri non ti ci fanno fare un pensierino’. Non ho mai provato l’impellente desiderio di mettere su famiglia, di fare dei figli – sono uno di quelli che amano i bambini, sì, ma quelli degli altri – di appendere la chitarra al chiodo perché per me, nella mia testa, la mia passione o lavoro non si concilia con una parallela vita domestica. Sono sempre stato costante nelle relazioni, amorose e non, e quando ho avuto la possibilità di poter avere una vita privata vera e propria, ho mollato. Da allora la costanza è una cosa che posso solo sognarmi di notte. Assieme ai vari ‘non lo so, troverò qualcosa da fare’, con scrollata di spalle inclusa, ogni volta che gli altri decidevano di tornare a casa dalla famiglia, mogli e altro. Immagino sia la giusta punizione per aver abbandonato Alexa dopo averle dato l’illusione di volerla portare all’altare. Sospiro, la sigaretta è finita. Purtroppo sono anche uno di quelli che di-speranza-vive-e-disperato-probabilmente-muore. Confido nella buona stella che tempo fa è riuscita a fare qualcosa per me.

“Al?”
Sento Miles chiamarmi, lo vedo affacciato alla veranda che scruta la piscina cercandomi. Sospiro, butto la sigaretta ormai spenta e la schiaccio con la punta della scarpa sperando, in futuro, di non fare la sua stessa fine.
  
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