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Autore: hirondelle_    25/08/2015    2 recensioni
[Reincarnation!AU] [DesuSein]
Terribili incubi agitano il sonno di Kunio e Shuji, al tramonto della loro giovinezza. Sapranno riavvolgere il filo del loro destino, cercando l'uno nell'altro fumose certezze? [presentazione provvisoria]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Destra/Desuta, Nuovo personaggio, Sael/Sein
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Era inverno.
Lo poteva capire dai fiocchi che continuavano a posarsi sul suo viso inerme, freddo. L’aria era gremita del silenzio attonito che la neve bianca aveva portato con sé, soffice, indiscreta.
“Sein? Stai sanguinando.”
Aprì gli occhi. Feroci e assassini occhi color ambra lo stavano fissando spenti.
“Va bene. È tutto ok, ricominceremo da capo.” Sussurrò piano, e gli parve di scorgere una lacrima solcare il viso bruno dell’altro.
“No...” Voce incrinata, una carezza al viso.
“Sì” Un flebile lamento nell’aria.
“No...” Voce rotta, la mano che andava a stringersi alla sua.
Sein si mise a piangere e la vista gli si offuscò. Era la prima volta che si sentiva così pieno. “Non posso... Non posso farcela, Desta...”
Un peso sul suo petto lo avvertì che il Demone aveva appoggiato la testa lì dove un cuore stava iniziando a battere dolorosamente. Nulla di più che pochi singhiozzi disperati.
Nulla di più che loro.

Rivederti


“Ha bisogno di qualcosa?”
Il ragazzo a quelle parole sembrò agitarsi sul sedile, un po’ in imbarazzo, un po’ stizzito per essere stato colto in flagrante. Shuji alzò un sopracciglio, scrutando gelidamente lo sconosciuto che (ne era sicuro) lo stava osservando da quando era salito sul treno e si era seduto di fronte a lui.
“Ero soprappensiero.” borbottò fiaccamente, sistemandosi gli occhiali da sole sul viso olivastro e stringendosi nella giacca di pelle. Aveva uno stile che Shuji non poteva proprio sopportare, tuttavia giudicò che non fosse una condizione necessaria per trattarlo sgarbatamente.
“Capisco. Presti attenzione, è una cosa spiacevole.”
Il ragazzo non commentò ulteriormente. Tanto bastò per dimenticarsene e tornare alla piacevole lettura in cui si era immerso qualche giorno prima: una sublime edizione di Anna Karenina in lingua originale. Non avrebbe chiesto di meglio dal suo compleanno.
A parte forse una vita sociale, ma ai suoi genitori sembrava non importare.
Di nuovo, venne distratto da una vocina petulante al suo fianco: “Ha fatto benissimo, giovanotto. Se vuole chiamo l’inserviente per lei.”
Shuji si rivolse cortesemente alla grinzosa signora seduta accanto a lui, esibendo un sorriso che voleva essere gentile. “Non si preoccupi per me. La mia fermata non è lontana.”
La donna annuì, come se avesse detto una verità sacrosanta. Oh, era più di quanto potesse sopportare. Odiava le vecchie in una maniera esponenziale.
Gettò un altro sguardo allo sconosciuto (ovviamente lo stava ancora fissando), ma non disse niente. Solo quando l’anziana scese alla fermata successiva si decise nuovamente a parlare: “Sa, le consiglierei di portarsi un libro la prossima volta che sale su un treno. È un passatempo molto istruttivo.” affermò pacatamente, nascondendo una velata punta di sarcasmo. La risposta dell’altro ragazzo arrivò subito, soffocata dall’irritazione: “Non sembra divertente” affermò, indicando il mattone che sostava sulle ginocchia.
Shuji arricciò il naso. “Le assicuro che è molto più proficuo di quanto pensa. Sempre meglio che fissare insistentemente un onesto universitario.”
Il ragazzo sembrò voler finalmente smuoversi dalla posizione scomoda che aveva preso durante il viaggio, e si mise composto. “Senti, devo dirlo: mi ricordi qualcuno.”
L’espressione di Shuji non cambiò: difficilmente avrebbe creduto a parole tanto mediocri. Non c’era alcuna possibilità che si fossero incontrati prima d’allora: tanto per cominciare Shuji non usciva mai se non per portare a spasso il cane attorno al quartiere residenziale in cui viveva, e in secondo luogo non avrebbe mai frequentato gente di quel rango. “Credo proprio che si stia sbagliando, mi dispiace.”
Il ragazzo sbuffò. “Insomma, ovvio che mi sto sbagliando.” Mormorò qualcosa in dialetto che non afferrò. “Voglio dire, non ci siamo visti in giro. Ma hai qualcosa di famigliare.”
Shuji lo osservò altezzoso, ma non disse nulla. “Cosa le fa pensare che abbiamo qualcosa a che fare l’uno con l’altro?”
Lo sconosciuto si guardò attorno, poi si passò una mano sui capelli: rasati ai lati, un enorme ciuffo castano che quasi andava a coprirgli l’occhio destro. Terrificante. “Senti, non mi crederai ma... Io ti ho visto da qualche parte. In un sogno forse. Non ricordo.”
Quel ragazzo era fatto di qualcosa. Shuji lo osservò togliersi gli occhiali cercando di mantenere un’espressione quantomeno impassibile, anche quando venne colpito dalle due pietre d’ambra: esse iniziarono a vagare inquiete a destra e a sinistra, sviando il suo sguardo.
“Uhm, ecco, non ti ricordo nulla? Nulla di nulla?”
Silenzio. Il silenzio era l’arma che aveva sempre adottato per occasioni come quella. Il silenzio freddo e imbarazzante di chi vuole solo far sentire a disagio una persona: era piuttosto orgoglioso di quella capacità, e anche in quella circostanza ci stava evidentemente riuscendo.
Disarmato, lo sconosciuto tirò su col naso. Poi tuffò una mano inanellata e rovinata da piaghe nella borsa sgualcita che aveva di fianco. Sbuffò quasi infastidito. “Senti, coso, io sono Kunio. Non mi interessa se non ti va di parlare con me. Tanto so come è fatta la gente come voi, tutta scema.”
“Devo scendere.” proclamò freddamente Shuji, alzandosi. “La ringrazio Kunio-san, ma non ho la minima intenzione di avere a che fare con lei. Voglia scusarmi.”
Sentì distintamente una sua mano sfiorarlo all’ultimo secondo, prima di scendere, ma non lo degnò di uno sguardo. Quando mise piede sulla terraferma, era già il tramonto e sulla piattaforma c’erano solo i residui di pallide orme.

Ad accoglierlo a casa fu ovviamente la governante. Con cipiglio severo, lo aspettava davanti alle scale quasi avesse fatto qualcosa di terribilmente ingiusto e sbagliato: un po’ gli ricordava episodi stupidi e infantili di quando era piccolo. “Lei è in ritardo, Shuji-san.”
Stancamente, il ragazzo si tolse la borsa di dosso e scacciò le scarpe senza la decenza di allinearle con le altre. “Il treno era in ritardo, Touko-san” si scusò, ma non era affatto credibile: difficilmente i treni arrivavano in ritardo. E difatti Touko non gli credette. Beh, gli si poteva leggere in faccia che aveva mentito.
“La cena del Signorino è quasi pronta. L’aspetto tra mezz’ora nella sala da pranzo.”
Annuì distrattamente, troppo stanco per commentare: per colpa di quel drogato aveva dovuto farsi tre chilometri buoni con l’unico ausilio dei suoi deboli piedi. Che infame. Persino la difficile salita degli scalini che portavano al piano di sopra gli sembrava fatale, ma fortunatamente riuscì a buttarsi sul letto senza prima crollare al suolo.
Si svestì piano, svogliatamente. Si sbottonò la camicia un po’ riluttante lasciandola cadere sul tappeto, e scalciò i pantaloni con malagrazia, sfilando fuori solo il portafogli e il cellulare. Si ritrovò a rigirare tra le mani un pezzetto di carta con un numero: presumibilmente, Kunio gliel’aveva infilato nella tasca posteriore prima che scendesse. Dopo aver accartocciato il fogliettino e buttato nel cestino con un tiro da maestro Shuji si ritenne soddisfatto, e appallottolò i pantaloni sul fondo del letto ripromettendosi di mettere in ordine in un secondo momento. Rimase steso in quella posizione per attimi interminabili.
Era stata sicuramente una giornata orrenda: non solo non aveva ottenuto i risultati che sperava al test di medicina, ma non era riuscito nemmeno a leggere le trenta pagine giornaliere prestabilite. Come se non bastasse, era stato trattenuto da quel ragazzo con evidenti problemi psichici.
Sbuffando, si rigirò tra le lenzuola ignorando i crampi di fame. Non aveva di certo intenzione di seguire anche quella sera la dieta vegana a cui era costretto dai suoi adorabili genitori (pare che da piccolo avesse avuto delle complicazioni a causa di questo regime, e probabilmente ancora ne risentiva).
Ignorò i richiami della domestica provenienti dal piano di sotto, e si assopì facilmente.

~

Prima dei corpi a terra, si accorse del liquido scuro. Era ovunque, sui vestiti e sulla pelle. Ne sentiva il sapore sulle labbra screpolate, arse, come se il suo intero corpo stesse bruciando.
Si guardò attorno, nel grigiore del fumo e della morte. Il suo sguardo si posò sui cadaveri di luce che venivano assorbiti dolcemente dal terreno viscido, poi sulle ali spezzate dalla sua spada, ormai ammassi informi di piume: gli sciacalli iniziavano già a cibarsi delle carcasse, prima che sprofondassero.
Voltò lo sguardo e lo vide.
Abbandonata contro il tronco affumicato e corroso dal fuoco l’anima bianca lo stava fissando da tempo, immobile e spettrale come un’apparizione. Shuji gli si avvicinò, tremando, riconoscendosi in quegli occhi azzurri e stanchi e i capelli rossi arruffati dalla battaglia e dal vento.
“Hai concluso la tua caccia?” chiese l’altra immagine di se stesso, con un sorriso stanco.
Una voce che non gli apparteneva proruppe dalle sue labbra: “Pare che abbia catturato un bell’esemplare.”
L’angelo chiuse gli occhi e Shuji sentì una risata macabra salire lungo la gola e scoppiare imperterrita tra le sue fauci spalancate.


~


“Ohi”
Shuji si alzò con un gemito, gli occhi spalancati e fissi sul vuoto. Una mano si posò sulla schiena, iniziando ad applicare lenti e regolari movimenti in circolo. “Shuji, respira. Non è successo niente.”
Il ragazzo annuì, ma era difficile riprendere la calma. Si sforzò di concentrarsi sulla carezza del fratello, ad ascoltare la sua voce calma. “Tutto bene? Non dovresti mangiare pesante di sera, sai che non ti fa bene”.
Avrebbe potuto replicare. Non ci riuscì. Con uno sforzo che aveva del disumano, Shuji cercò il suo profilo nella penombra della stanza: riconobbe i tratti spigolosi del suo volto, così maturi e differenti dai suoi, e scorse il sorriso che avevano ereditato entrambi dal padre. Genichi ricambiò il suo sguardo, mostrandosi rassicurante. “Che ore sono? Che ci fai qui?” gli chiese, non appena si riprese abbastanza per rivolgergli la parola.
“Sono solo venuto a prendere le ultime cose.”
“Di notte?”
“Sono le undici. È tardi, lo so. Ti ho sentito dal piano di sotto.”
Shuji accese la lampada sul comodino e gli occhi azzurri di suo fratello fecero capolino dal buio della sua camera. Si portò una mano al viso, quasi del tutto ripresosi dall’incubo, e gli sfuggì qualche lacrima. Non era passata neanche una settimana, eppure senza di lui si sentiva già un bambino smarrito. Era felice di vederlo, e allo stesso tempo non sarebbe potuto sembrare più triste. “Perché non torni qui?”
Il maggiore si sedette accanto a lui, sfiorandolo appena. Si era ricostruito una nuova vita, lui, lontano da pressioni e da inutili litigi. “La mia scelta l’ho fatta. E puoi farla anche tu, se vuoi.”
“Genichi” Lo invidiava. Lo invidiava da morire...
“Lo sai che non avrei problemi a prenderti con me.” ... Lo invidiava. E questo il fratello lo sapeva.
Shuji si sciolse un sospiro misto a un gemito. Non era decisamente una conversazione che avrebbe voluto affrontare in un momento come quello e il fratello lo capì: gli accarezzò i capelli e si limitò a baciargli la fronte prima di alzarsi. “Sembri ancora pallido. Vado a prenderti un bicchiere d’acqua.” mormorò, e Shuji ebbe appena il tempo di vederlo sparire dietro la porta prima di crollare di nuovo fra le lenzuola e prendersi il volto tra le mani.
Non era stato un incubo diverso da tanti. Si poteva dire che tutti i suoi sogni avessero una sorta di filo conduttore, non c’erano elementi nuovi più spaventosi di altri. Eppure quella volta era stato diverso: non più immagini sfocate e sensazioni irreali, stavolta aveva percepito qualcosa di concreto farsi strada nella sua mente: si era riconosciuto. Era come se improvvisamente avesse riacquistato il controllo di tutti i sensi sui propri sogni. E con essi, la sensazione che l’incontro con Kunio non fosse stato casuale.
Lentamente portò lo sguardo al cestino dei rifiuti accanto alla porta. Sospirò, nell’alzarsi, quasi stesse agendo contro la sua volontà. “Cerchiamo di capirci qualcosa.” disse a se stesso, nell’infilare la mano nel cestino e nel recuperare il numero di telefono ancora accartocciato.
Lo distese sotto i propri occhi, ma non fece altro che fissarlo. Quando suo fratello tornò in camera lo trovò seduto sul letto intento a digitare il numero al cellulare. “Che stai facendo?” chiese distrattamente, appoggiando il bicchiere sul comodino e sedendoglisi di fianco. Shuji lo guardò di sfuggita. “Devo fare una telefonata.”
“Adesso?” chiese Genichi, stranito.
“Adesso.”
Il fratello non capì, ma sorrise. “Cerca di non fare tardi. Io vado a salutare la signora Touko e vado.”
Shuji alzò lo sguardo su di lui e gli sorrise debolmente. “Ok.”
Genichi se ne andò sotto un cielo che minacciava pioggia. Shuji sentì appena il motore dell’automobile allontanarsi lungo il viale e pregò solo di poterlo sentire ancora.
Poi schiacciò il tasto verde.

~ o ~

Aveva chiuso le vecchie imposte per non far entrare zanzare, ma sembrava una precauzione vana: incredibile come queste trovassero sempre il modo di entrare per azzannarlo alla prima distrazione. Ma Kunio non si stupiva di certo di quelle presenze moleste: la casa dei suoi anziani genitori era vecchia e malmessa, figlia della tradizione contadina e di certo non del cemento armato delle metropoli. Considerando che nei pressi vi erano indisturbate delle splendide e acquitrinose paludi, era ormai abituato a quell’affollamento estivo; soprattutto visto e considerato che fin da piccolo gli era stato insegnato il rispetto per la vita, anche di insetti così fastidiosi. Certo, ora che i parenti più stretti erano passati a miglior vita sarebbe stato più semplice trasgredire qualche regola e schiacciarne incidentalmente una tra il tatami e il palmo della sua mano... Ma con i defunti non si poteva mai sapere.
“Pezzo di merda” borbottò a denti stretti, torturando il bastoncino del gelato quasi riducendolo in pezzi. “Muori, muori, muori!”
Beh, non che in quel momento stesse avendo un comportamento posato e dignitoso: da ore aveva assunto una posizione alquanto scomoda davanti alla vecchia televisione, il joystick in mano e diversi pacchetti di patatine sparsi per il pavimento. Se non altro sembrava un buon metodo quello di ignorare semplicemente le beccate e concentrarsi sull’ennesima orda di zombie.
“Merda, è la quarta volta!” strillò arrabbiato non appena sulla schermata comparve la fatidica scritta Game Over. Kunio lanciò un verso che avrebbe fatto effettivamente invidia agli zombie e fece scivolare il joystick dall’altra parte della stanza. Sconsolato e raccapricciato, si alzò per l’ennesima volta per rovistare nel frigo alla ricerca di qualcosa di fresco che abbattesse l’afa. Senza successo, ovviamente, perché l’ultimo succo di frutta era già nel suo stomaco da un pezzo.
Sarebbe uscito a importunare la vicina se non fosse stato per la suoneria del cellulare. Se lo portò all’orecchio senza nemmeno leggere il numero. “Sì?”
“Parlo con Kunio-san?” la voce dall’altra parte era tremula, agitata. Il ragazzo dapprima non riuscì a riconoscerla, poi comprese che non poteva appartenere ad altri che al ragazzo che aveva incontrato in treno. Poté sentire il suo cuore fare un triplo salto mortale all’indietro.
“Sono io.” rispose. “Sei il ragazzo del treno, giusto? Senti, mi dispiace...”
“Non so cosa tu mi abbia fatto” lo interruppe l’altro, prima che potesse aggiungere qualche scusa. “Ma cerca di spiegarmi cosa sta succedendo. Ho bisogno di risposte. Quello di stanotte non è stato un semplice incubo.”
Kunio rimase in silenzio, attonito: da quel tono ansioso, sembrava una persona completamente diversa da quella che aveva incontrato solo quel pomeriggio. “È la prima volta che fai sogni del genere?” chiese, cauto, ma sapeva già la risposta. Il silenzio che precedette quel diniego sussurrato fu la risposta a tutte le sue preoccupazioni: aveva trovato la persona che cercava.
“Posso rispondere alle tue domande. Mi serve solo che tu mi ascolti. Me lo prometti?”
Il ragazzo rispose con un mormorio. “Sì.”
“Perfetto. Allora...”
“Non qui al telefono. Vorrei incontrarti di persona.”
Kunio deglutì. “Va bene. Dove?”
“La stazione centrale può andar bene?”
Era parecchio distante: ci sarebbero volute delle ore per arrivarci dalla sua zona. Ma non c’era assolutamente tempo da perdere. “Nessun problema. Domani sarei occupato, facciamo per venerdì pomeriggio?”
Il ragazzo assentì, ma si poteva sentire dal tono di voce che era agitato. Kunio poteva ricordare ancora il suo primo incubo. “Allora ci vediamo. Posso farti solo una domanda?”
“Chiedi pure.”
“Qual è il tuo nome?”
Il silenzio arrivò acuto al suo orecchio come una stilettata lenta e feroce. “Il mio nome è Shuji” rispose lentamente l’altro, come se gli costasse fatica.
Kunio non aveva bisogno di altro.

~

Il rumore ritmico e costante delle gocce di pioggia impregnava da tempo la grotta immersa nell’oscurità: l’unica fonte di luce proveniva dall’alto e bastava per illuminare a malapena i loro volti stanchi.
Desuta tagliò le corde strette ai polsi dell’angelo, preoccupandosi solo di lasciargli legata alla caviglia una catena che potesse ricondurlo obbligatoriamente a lui. “Qui non puoi scappare.” ghignò sedendosi su una roccia poco distante e accendendo un fuoco tra le sue mani ossute. “E non possono neanche trovarti.”
Sein si massaggiò i polsi doloranti, alzandosi in piedi e fissandolo con sufficienza: anche da prigioniero, manteneva il suo orgoglio. Desuta si chiese se avrebbe fatto altrettanto una volta raggiunti gli Inferi. “Che hai da guardare?” chiese, appoggiando sapientemente la fiamma su pochi ceppi trascinati lì dalle correnti. “Non ti piace il posto, principessa?”
“Il posto va benissimo. È la tua presenza a risultarmi sgradevole.” commentò gelido l’altra creatura, guardandosi attorno: la grotta era stata scavata da un fiume sulfureo. Vapori e gas si slanciavano verso l’apertura sul soffitto coperto da stalattiti, cercando una via d’uscita.
“Hai poco da lamentarti. Non mi sembra che tu sia nella posizione.”
Non sentì risposta e inizialmente credette che semplicemente avesse deciso di chiudersi nel mutismo. Dopo aver accarezzato amorevolmente la fiamma, però, si volse verso di lui: si era chinato su una pozza poco distante e fissava la superficie assorto nei suoi pensieri.
“Ehi, quella non la puoi bere.” lo avvertì, sull’attenti.
Sein non lo ascoltò. Desuta abbe appena il tempo di alzarsi e raggiungerlo che quello si era già portato alle labbra un po’ di quel liquido velenoso, in un gesto suicida.

 

 

Angolino della rondinella

BUON SANTA FERRAGOSTO SAW!!!!!!!!

Sì ecco, sono un po' in ritardo e non avrei nemmeno completato il regalo, ma... Odio far aspettare la gente e questa è davvero la prima volta che non sono puntuale con le consegne. Poi ho avuto questa infelice idea di fare una cosa complicata ed eccomi qui insomma, con dieci giorni di ritardo :DDD

Il regalo non è finito qui, probabilmente questa cosa sarà una Two-Shots. Ma non aspettarti un aggiornamento immediato *coff*

Spero che il tuo primo Santa sia stato una bella esperienza cvc Aw sei una cutie~

Ora vado a "rifinire" quell'altro tuo regalo per vedere se è una cosa pubblicabile o meno.

uehuehuehueh.

Have a good day~

 

Fay

   
 
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