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Autore: Soul Mancini    25/08/2015    3 recensioni
"Camilla, una ragazza angelica.
Generosa, saggia, spigliata, intelligente, allegra.
Una migliore amica, una bella famiglia, voti al di sopra della sufficienza.
Insomma, proprio un tesoro.
Ma, si sa, non è tutto oro ciò che luccica.
Un'estate per cambiare, per trovare se stessa, per capire che la perfezione non esiste."
Ciao! ;)
Premetto che quando, anni fa, ho cominciato a scrivere questa storia, non avrei mai pensato che sarebbe andata a finire così.
Vi spiego da cosa è nata quest'idea: dopo aver letto innumerevoli romanzi e storie, mi sono decisamente stancata di protagonisti simpatici, saggi, mai in torto. Allora mi sono chiesta: "Perché non scrivere una storia dove la protagonista è così insopportabile da non trovare nessun modo per giustificarla?"
Ed ecco cosa ne è venuto fuori. Sarò riuscita nell'intento di farla odiare anche a voi lettori?
Se pensate di conoscere le persone peggiori del pianeta, leggete e cambierete idea! ;)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ciao Camilla!



Cosa? Ma tu sei pazza! Non ci penso nemmeno, scordatelo!”

Erano passati tre giorni dal litigio con Nadia e da allora non ci eravamo più sentite. Mi mancava.

E ora mia sorella annunciava che quella sera, per festeggiare i suoi sedici anni, avrebbe invitato le sue amiche e io sarei dovuta andare a studiare da qualche altra parte!

Lei mi guardò con aria riflessiva. “Perché non vai da Didi?”

Io e Didi abbiamo litigato, non siamo più amiche!” sbottai. Dire quelle parole mi faceva star male. “E poi non hai il diritto di buttarmi fuori di casa!”

Sì, posso eccome! Perché non vai al parco? C'è un posto delizioso in cui ti puoi sedere, sul tronco di un albero! Ecco, tu ora prendi il tuo bel libro di storia e te ne vai!”

I miei occhi si illuminarono. Diego! Magari era al parco!

Così usci con il libro sotto un braccio e mi diressi al parco.

Trovai un luogo tranquillo e riparato dal sole: il ramo di un albero era cresciuto molto in basso e poteva fungere da panchina, così mi sedetti con la schiena contro il robusto tronco e cominciai a studiare, concentrandomi intensamente sulla lettura.

Sottolineavo paragrafi e mi isolavo da tutto ciò che mi circondava, tanto che non feci caso alla presenza che si avvicinava a me.

Si sedette ai piedi dell'albero ed esclamò: “Ciao Camilla!”.

Io, senza distogliere lo sguardo dal libro, risposi distrattamente: “Ciao”.

Solo dopo qualche istante mi accorsi che si trattava di una voce maschile e familiare. Rimasi impietrita.

ERA DIEGO! STAVA PARLANDO PROPRIO CON ME!!!

Arrossii.

Camilla, cerca di stare calma! In fondo è una persona come tante e, siccome non sei mai stata timida, non c'è bisogno di lasciarsi prendere dal panico, mi dissi.

Che fai?” mi chiese.

Studio.”

Che cosa?”

Storia. La odio!”

Dici sul serio? Anche io la detesto!”

Sorrisi. “Wow!”

Rimanemmo un po' in silenzio a fissarci, nessuno dei due sapeva che dire. Fu Diego a spezzare il silenzio.

Hai molto da studiare?” domandò.

No, due pagine...” farfugliai senza nemmeno controllare.

Ti dispiace se rimango qua ad aspettarti?”

Cosa?” strillai d'istinto, pentendomene subito dopo.

Non credevo alle mie orecchie! Perché voleva aspettare che finissi?

Cioè, non dovresti disturbarti...” aggiunsi. In realtà non desideravo altro. “Ma...”

Ma?” ripeté lui.

Se ti va...”

Gli si illuminarono gli occhi.

Ma certo che mi va, sono qui per questo!” esclamò con un sorriso radioso.

Arrossii. Oddio, era venuto da me, apposta per me!

Okay” acconsentii. Aprii nuovamente il libro e ricominciai a studiare, senza riuscire a concentrarmi, troppi pensieri mi occupavano la mente.

Ad un tratto sentii una presenza alle mie spalle. Mi voltai di scatto e per poco non mi venne un colpo quando vidi Diego, con il suo solito sorriso affascinante, che sbirciava nel mio libro di storia.

Mamma, quanto era bello! Sarei rimasta tutta la sera a fissarlo!

Invece mi limitai a sobbalzare e lanciargli un'occhiata truce.

Scoppiò a ridere di gusto. Io sbottai, fintamente offesa: “Ehi, mi hai fatto prendere un colpo! Non ti devi avvicinare a me così di soppiatto”, poi comiciai a ridere anch'io.

Quando ci fummo ripresi, annunciai che avevo finito di studiare, scaraventai il libro sul prato e gli feci posto sul ramo dell'albero accanto a me. Eravamo così vicino che i nostri fianchi si sfioravano. Un brivido mi percorse la schiena.

W

Q

Allora”, attaccò lui, “non mi hai ancora detto quanti anni hai.”

Quattordici, a settembre ne devo compiere quindici. Tu?”

Sedici.”

Terza superiore?”

Annuii. “Ehi, ti va di andare al bar a prendere qualcosa da mangiare?” propose.

Volentieri!” accettai entusiasta.

Al bar trovammo la solita cinquantenne alta meno di me con i capelli castani raccolti in una coda di cavallo.

Ciao Dìe! Cosa prendete?” esordì con un sorriso stanco.

L'aveva chiamato Dìe?! Che diminutivo orrendo!

Una porzione di patatine e una Coca fredda” affermò Diego. “Tu, Cami?”

Diventai fuxia. MI AVEVA CHIAMATO CAMI??? Eppure ci conoscevamo appena! Oh, che dolce! In preda all'imbarazzo cercai appoggio nella barista, che intanto si era allontanata per prendere la Coca Cola. Notando il mio sguardo, lei ridacchiò e mi rivolse uno sguardo incoraggiante.

Un ghiacciolo all'arancia e un tè al limone, grazie” dissi con aria disinvolta.

Mentre la barista poggiava sul bancone le nostre ordinazioni, mi apprestai a prendere il portafoglio, ma Diego bloccò la mia mano e sussurrò: “Pago io”.

Era pericolosamente vicino a me. Cercai di ribattere. “Ma no, non...”

Pago io” ripeté, poi prese una banconota dalla tasca dei jeans.

Prendemmo posto in un tavolino di plastica rosso a consumare la nostra merenda e chiacchierare.

Sembrava volermi dire qualcosa, ma che non riuscisse a trovare le parole.

L'altro giorno ho visto che eri con la sorella di un mio amico, Fabio. E ho visto anche la lite” riuscì a dire dopo un po'.

Ah sì, Didi! È mia amica, penso...” Mi rabbuiai. “Quindi, avendo visto la lite, penserai che sono un'arrogante violenta e irascibile.”

Lui posò la sua mano sulla mia, che era abbandonata sul tavolo, facendomi leggermente sussultare.

Assolutamente no, è normale che succeda, tutti litigano almeno una volta nella vita! Pensa che mia sorella ha undici anni e tre risse alle spalle, tu in fondo non hai fatto nulla di grave!” mi rassicurò.

Sorrisi. “Come si chiama tua sorella?”

Aurora.”

Ah. Comunque non è tanto il parere degli altri che mi preoccupa, ho paura di perdere la mia migliore amica, ho paura che non torni più da me! Siamo amiche dalla terza elementare, siamo molto legate e non abbiamo mai litigato in questo modo! Ormai non la sento da tre giorni! Le ho mandato un messaggio di scuse e lei mi ha risposto con un sacco di puntini di sospensione, che significa? E dire che abbiamo litigato per un motivo così stupido...”

Wow, se siete amiche da così tanto tempo tornerà di sicuro! A nessuno piace distruggere amicizie così profonde!”

Sentii le lacrime pungermi gli occhi, ma le trattenni. Non mi andava di piangere in quel momento, davanti a lui. Mi sarei sentita stupida. Ma lui percepì la mia tristezza e si avvicinò di più a me. Per poco non mi abbracciò.

Fui io a cambiare discorso, raccontandogli che mia sorella mi aveva praticamente buttato fuori di casa perché doveva festeggiare i suoi sedici anni.

Mentre parlavamo, mi tornò in mente che il mio libro di storia era ancora scaraventato per terra vicino all'albero, così mi voltai in quella direzione per assicurarmi che fosse ancora lì. Allora vidi la figura di un ragazzo seduto sul prato che lo sfogliava. Eravamo lontani da lui, scorsi solo la sua enorme chioma di riccioli rossi e la sua carnagione chiara.

Mi chiesi come mai fosse solo e sfogliasse il mio libro di storia, tuttavia non lo considerai una minaccia e distolsi lo sguardo.

Verso le otto Diego annunciò che doveva andare via perché i suoi genitori pretendevano che fosse a casa a quell'ora.

Mi dai il tuo numero di telefono?” mi chiese all'improvviso.

Mi sentii terribilmente a disagio a quella domanda.

Okay...”

Ci scambiammo i numeri di telefono e io ero al settimo cielo.

Poi si alzò, ci salutammo con un semplice “ciao” e si allontanò.

Ero delusa, solo un semplice “ciao”, niente di più! No, non poteva andare a finire così! D'impulso corsi verso di lui e gli afferrai un polso per farlo fermare.

Allora? Dai!” lo incitai con un sorriso a trentadue denti.

Allora... dai... cosa?” farfugliò, palesemente preso alla sprovvista.

Gli gettai le braccia al collo, euforica. Lui, inizialmente spaesato, ricambiò l'abbraccio con entusiasmo.

Dopo qualche secondo, con mio grande dispiacere, mi staccai da lui e lo salutai.

Lo guardai allontanarsi, ma poi mi ricordai del ragazzo del libro e mi voltai verso il prato. Incredibile, era ancora lì!

Mi avviai cautamente verso di lui e cominciai a notare dei particolari che prima mi erano sfuggiti: era piuttosto esile, portava delle semplici scarpe da tennis bianche, un paio di pantaloni neri al ginocchio e una leggera camicia a maniche corte.

Appena mi vide arrivare, scattò subito in piedi e si allontanò.

Non lo persi un attimo d'occhio. Mentre raccoglievo il libro, lo vidi prendere per mano una bella bambina dalla pelle olivastra con i lunghi capelli neri raccolti in una treccia e dirigersi verso l'uscita.

Anche per me era arrivato il momento di andare via, così li imitai. In quel momento notai Nadia seduta su una panchina di pietra con una mia compagna di classe, Alice, e altre due ragazze. Chiacchieravano allegramente e si scambiavano foto con i cellulari.

Fantastico, mi ha già rimpiazzato, si vede come le manco, pensai amaramente.

Giunsi a casa verso le otto e mezza e, come previsto, le amiche di mia sorella stavano andando via.

Quando io e Chiara rimanemmo da sole, in attesa che i nostri genitori tornassero a casa, mi chiese, come al solito: “Com'è andata?”

E mi immersi in un fitto racconto, senza tralasciare nemmeno un particolare, rivivendo ogni singolo momento di quella splendida giornata.

   
 
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