Parole
indistinte - il suo nome? - come acqua gelata lo travolsero
riscuotendolo dal sonno.
“Furuya, dannazione, quante volte ti ho
detto di non addormentarti in sala attrezzi? ...sicuro di non essere
narcolettico?” quella di Miyuki-senpai era una collera gentile,
falsa. Nonostante la sua natura maliziosa era premuroso nei confronti
di loro tutti, era un capitano bravo Miyuki, ma nessuno voleva
dirglielo, nessuno glielo avrebbe detto, incluso lui.
Miyuki non
aveva dimestichezza con la comune gentilezza, non aveva dimestichezza
con i rapporti interpersonali; con l'ironia mascherava imbarazzo e si
proteggeva da critiche e complimenti, non avrebbe saputo come
gestirli, come accettarli, e per questo Furuya non avrebbe mai detto
nulla, ma costantemente avrebbe richiesto allenamento. Per tipi come
loro era il baseball a parlare, erano gli strike a dare conferme.
“Miyuki-senpai, andiamo al bullpen” non era una domanda, se
l'aveva trovato era perché l'aveva cercato e se l'aveva cercato era
perché voleva allenarsi con lui.
Era gratificante, ma Furuya non
sorrise, non era allenato ai sorrisi.
“Ehi, non è una
richiesta un po' audace per uno che stava dormendo fino a pochi
secondi prima?” avrebbe potuto ignorarlo, era bravo nel farlo, ma
stavolta gli rispose: “no, è del tutto diverso”.
“Come?”.
Furuya
alzò il capo verso le travi in ciliegio del soffitto, di quel colore
che gli faceva ricordare i pavimenti di casa sua.
C'erano altri
elementi che gli ricordavano casa: il colore giallo della panchina
per i pesi – dove si era addormentato -, il blu del materasso per i
salti, il parquet in legno di faggio... erano colori che in
abbondanza riempievano la sua camera nel Hokkaido. Anche nelle
palestra delle medie quei colori dovevano esser presenti, ma non
ricordava, non riusciva a ricordare nessun dettaglio dei luoghi in
cui era stato, in cui era vissuto, i loro colori... solo da quando
era alla Seido li aveva notati, aveva notato i particolari, le
disposizioni degli oggetti, le dimensioni degli spazi; da quando era
alla Seido la sua memoria era diventata fotografica e aveva imparato
a riconoscere la bellezza dei colori e lo confessò: “è come se i
colori esistessero solo da quando sono qui”.
Questo doveva
spiegare tutto, Miyuki vi ragionò sopra: alzarsi al mattino solo
perché riusciva a vedere un mondo colorato. Sembrava accettabile,
sembrava importante.
“Allora mostrami questi colori con i tuoi
lanci” lo apostrofò per invitarlo al bullpen.
Satoru schiuse le
labbra per far uscire altre parole importanti, ma Miyuki-senpai gli
diede le spalle per precederlo e le parole si gelarono nella gola.
Forse un giorno glielo avrebbe detto, o sarebbero stati i suoi
lanci a parlare. Si sarebbe impegnato, avrebbe sudato ed era disposto
anche a svenire durante una partita, tutto purché Miyuki-senpai
capisse, perché...
...i colori esistono da quando ci sei tu a prendere i miei lanci.
Questa è la prima vera cosina che ho scritto su
Daiya no Ace, solo che volevo esordire con delle MiSawa per questo
l'ho lasciata in archivio per un po'.
Non è niente di pretenzioso, ma volevo scrivere qualcosa su
Furuya, perché è un personaggio che all'inizio amavo e
che ora mi delude profondamente, per questo vorrei riscattarlo almeno
tentando di entrare nella sua psicologia. Il risultato di pensieri in
libertà, che fossero sulla sua stessa onda, è stato
questo e mi scuso se sarà considerato un risultato sterile, non
era mia intenzione.