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Autore: LunaMoony92    26/08/2015    2 recensioni
Roberta vive ormai da 8 mesi a Berlino e il suo tempo in città sta scandendo. Tra poco meno di un mese dovrà tornare in Italia, alla sua solita vita. Per svagarsi, un pomeriggio decide di uscire per andare in uno dei suoi posti preferiti, l'Hard Rock Cafè. Sta leggendo tranquillamente un libro, quando uno sconosciuto attira la sua attenzione. Ma appena i loro occhi si incrociano, lei si rende conto che quello sconosciuto è Chris Evans.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Dopo una giornata sui libri, non c’è niente di meglio che uscire per concedermi  un tour dei miei posti preferiti.
Sembra davvero una buona idea quella di uscire, fino a quando, dopo aver percorso solo qualche metro, mi imbatto nel professor Bauer che mi chiede se ho terminato  il capitolo 3 della tesi .
Il mio umore incassa il colpo, ma non si abbatte. Non voglio pensare alla tesi. Mi svicolo come meglio posso e aumento il passo.
Credo che oggi andrò all’Hard Rock Cafè. E’ stato uno dei primi posti in cui sono stata appena arrivata in città ed è uno dei posti che qui sento più “mio”.
Sono già passati 8 mesi e mezzo dal giorno del mio arrivo e il mio periodo qui sta per finire. Quasi tutti gli amici che ho conosciuto durante questa bellissima esperienza che è l’Erasmus sono già andati via, tornati ognuno di nuovo alla propria vita e a me sembra di vivere in una bolla, sospesa, in attesa della partenza.
Mi manca casa, la mia famiglia, il mio gatto. Sono solo 15 giorni dopo tutto e li rivedrò, se non fosse che… Non so se voglio tornare.
Qualche giorno fa, il mio tutor dall’Italia mi ha contattata chiedendomi se volessi prolungare di qualche altro mese la mia permanenza, così da completare la mia tesi qui. Non ho ancora detto nulla alla mia famiglia, che già fa il countdown per il mio ritorno, ma da quel momento questa idea ha iniziato ad insinuarsi prepotentemente nella mia testa, impedendomi di concentrarmi sullo studio. Così i miei tour solitari della città continuano a moltiplicarsi, cosa che non succede invece alle pagine della mia tesi.
 
 
 
La metro è affollata a quest’ora, per molti è ora di tornare a casa da lavoro. Ma non c’è caos come si potrebbe pensare. Appena il vagone arriva, tutti si dispongono in una fila ordinata e iniziano ad entrare.
Ancora dopo tanti mesi, vedere queste scene mi meraviglia. Sono così diverse da quelle che vedevo ogni giorno prima di arrivare qui. Spintoni che nemmeno per il concerto di Ligabue. Sorrido fra me e me fino a quando arriva il mio turno ed entro a sedermi.
Tre fermate della linea A e due della B e sono al centro. I miei piedi ormai conoscono la strada a memoria e, in men che non si dica, eccomi arrivata.
Entro ad occhi chiusi e faccio un bel respiro, come se quella che sto calpestando fosse terra sacra. Per me, in qualche modo, lo è. E’ un tempio della musica, del rock, è un luogo sicuro, in cui posso rilassarmi e in cui ho passato tante belle serate insieme agli amici conosciuti durante questa avventura.
Ripensarci mi mette un po’ di malinconia.
Sono rimasta da sola, probabilmente dovrei tornare a casa.
Mi siedo al solito tavolo e ordino la solita birra. In realtà non sono proprio sola, ho portato con me un fedele amico, il mio libro preferito. E’ stata la mia ancora nei primi giorni in questa città, che ancora mi era sconosciuta e ostile. In quei giorni, quando ancora non conoscevo nessuno e non dicevo nemmeno una parola per paura di sbagliare, mi rifugiavo fra le sue pagine e stavo un po’ meglio. Così tiro fuori dallo zainetto la mia copia un po’ sgualcita de “Il piccolo principe” e continuo a leggere da dove ho lasciato l’ultima volta. La mia birra è già arrivata e finalmente sono immersa nel mio personale angolo di paradiso all’estero.
Sto leggendo del piccolo principe che incontra il re che sostiene di regnare su tutto ma che come unico suddito ha un topo. Mi scappa da ridere ripensando a quando da piccola, leggendo questo passo per la prima volta, scrissi a piè di pagina “questo re è proprio scHemo”. Credo che mia mamma non abbia più riso tanto come quella volta.
Alzo per un attimo gli occhi dal libro per guardami intorno. Nessuno sembra aver notato il mio scoppio di ilarità o forse stanno solo fingendo di non aver sentito.
Mi piace la gente qui.
In Italia si fanno spesso battute su quanto i tedeschi siano glaciali e poco amichevoli. Io ho scoperto una realtà completamente diversa.
La cosa che più amo di loro è che sanno farsi i fatti propri, ed è proprio quello che stano facendo adesso. Sono concentrati sui loro menù, c’è chi scrive al pc, chi fa una foto con un’amica. C’è una bella atmosfera, mi sento libera di farmela questa risata, perché so che nessuno mi guarderà male.
 
 
Scorro con gli occhi velocemente tutta la sala alla ricerca di un cameriere, mi è venuta voglia di patatine fritte. Lo intercetto e gli faccio un cenno, ma questo sembra non notarmi, è troppo concentrato a cercare di capire un cliente che sembra volersi nascondere a tutti i costi sotto un cappellino con la visiera abbassato abbondantemente sul viso.
Non è tedesco, riesco a sentire il suo accento americano. Mi ritrovo ad osservarlo meglio. Da quel che riesco a vedere, il ragazzo ha proprio delle belle spalle.
Continuo a guardarlo, immaginandomi perché si sta nascondendo, qual è la sua storia. Forse semplicemente è un tipo riservato, oppure gli piace portare i cappellini così schiacciati in testa ed aggirarsi furtivo nei bar. E se fosse un maniaco? O un detective privato in incognito?
Mi metto a ridere per le mie assurde teorie e continuo a sorseggiare la mia birra aspettando che il cameriere si liberi.
Tra un sorso e l’altro, non riesco a smettere di  fissare il ragazzo. Poi mi accorgo che ha finalmente lasciato andare il cameriere e sta alzando gli occhi dal menu. Ci fissiamo per un momento. I suoi occhi sono di un azzurro bellissimo, tirati all’insù, starà sorridendo.  Sorrido anche io, almeno fino a quando non mi rendo conto di una cosa. Io ho visto la faccia di questo ragazzo mille volte. Quegli occhi, quelle spalle.
Quel ragazzo è… CHRIS EVANS!
E adesso probabilmente crede che io lo stavo fissando come una stalker.
Credo di essere diventata color prugna e di aver sputazzato un po’ della birra che ancora avevo in bocca. I miei occhi, non so per quale miracolo, non sono usciti completamente fuori dalle orbite, ma credo di esserci andata vicino. Poi, sento una risata. E’ lui, sta ridendo di gusto, come l’ho visto fare nelle interviste, come uno sguaiato, tenendosi la pancia e buttando la testa all’indietro.
Sto morendo. Chris Evans sta ridendo di me e della mia faccia da clown. Probabilmente, oltre alle guance, anche il mio naso sarà diventato rosso.
Di scatto tiro su il mio libro e mi ci nascondo dietro, come se fosse grande abbastanza da farmi sparire o potesse trasportarmi lontano da qui. Forse anche stavolta il mio libro mi salverà.
Sono sotto shock. Sapevo delle riprese a Potzdamer Platz e più volte ho cercato di avvicinarmi abbastanza al set per vedere qualcuno degli attori, ma non ci sono mai riuscita. E adesso, lui qui, di fronte a me, che ride di me.
Vorrei uscire quatta quatta, sperando di non farmi notare ulteriormente, ma il cameriere finalmente mi degna di attenzione così sono costretta a spostare il libro e ordinare le mie patatine. 
Magari nemmeno si è accorto che lo guardavo, dai. Non rideva di me, avrà letto un messaggio divertente… Ci provo davvero a convincermene, per  cercare di rallentare il mio respiro, che sembra quello di un cavallo in piena corsa, ma non ottengo nessun risultato.
Fingo di leggere per qualche altro minuto, ma la curiosità vince sulla mia razionalità e alzo gli occhi dal libro.
Sta ancora guardando dalla mia parte, con un sorrisetto stampato in volto che per un attimo mi fa sciogliere e subito dopo mi irrita a morte.
Non posso andare via, le patatine stanno per arrivare, così prendo  il mio libro e cambio tavolo.
Devo sembrare proprio ridicola, con il mio zainetto sulle spalle ancora aperto, il libro sotto braccio, la birra in una mano e le patatine nell’altra, quando mi alzo per cambiare tavolo. E’ la cosa migliore da fare, così magari riuscirò a ingollarmi queste patatine ormai fredde ed andare via senza suscitare ulteriore ilarità al signorino con il cappellino. Sento la punta delle orecchie bruciare pericolosamente, non mi sono mai vergognata tanto in vita mia, neanche quando sono volata giù dalle scale di fronte a mezza Facoltà il mio secondo mese in città, che è tutto dire.
 
 
Sto quasi raggiungendo il tavolo che ho puntato, quando mi sento toccare il braccio. Sarà sicuramente il cameriere che, complici i miei movimenti furtivi, pensa che stia cercando di scappare senza pagare.
Che figura di merda!
Mi volto pronta a tranquillizzarlo, fingendo un sorriso per mascherare l’aria da cospiratrice che ho dipinta in volto, ma quello che mi ritrovo di fronte non è il cameriere, ma proprio l’uomo da cui stavo cercando di  nascondermi.
E’ un attimo: il boccale della birra scivola giù dalla mia mano sudaticcia e si infrange sul pavimento. Io faccio un urletto da donnicciola di cui credo mi vergognerò per il resto della mia vita. Lui mi guarda stupito, indeciso se ridere o scappare via, visto che ormai, volente o nolente, tutti nel locale stanno guardando noi due e qualcuno ha iniziato a riconoscerlo. Opta per la prima opzione. Scoppia a ridere e tra un respiro e l’altro mi dice: “O Mio Dio, scusami, ma non riesco a smettere!”
Io sono ancora sotto shock, le patatine in mano  e gli occhi di mezzo locale addosso. Il cameriere ci viene incontro, un po’ incazzato  e io abbasso la testa, pronta a sorbirmi il cazziatone in tedesco (che diciamolo, sembrano la cosa più terribile del mondo), ma Chris, che ancora ridacchia, si scusa prendendosi la colpa e ripaga il prezzo del bicchiere e anche il mio conto.
Il cameriere, riconoscendolo, si mette a pulire e non mi degna più di uno sguardo. Anche il resto del locale piano piano inizia a perdere interesse per la scena disastrosa appena conclusa, così non ho più scuse per evitare il suo sguardo. Ma sono bloccata, con ancora le patatine in mano e un’espressione inebetita in faccia.
“Tutto ok?”  mi chiede lui, scuotendomi dalla tranche in cui ero caduta.
Si.” rispondo di scatto, ma poi la bambina timida che c’è in me prende il controllo della discussione e mi ritrovo a balbettare: “ Cioè no, non lo so” Questa è l’unica risposta che il mio cervello è riuscita a formulare.
Chris non ride più adesso, ma il suo sguardo è sempre gentile.
“Non ti preoccupare, sono cose che capitano…  Quando cerchi di scappare via da un pub senza farti vedere.”
Ed eccolo che ridacchia di nuovo. Mi sento punta sul vivo, ho uno sguardo carico di disprezzo che sta lì lì per farsi avanti, ma poi non posso fare a meno di scoppiare a ridere anche io e lasciare che un po’ di tensione scivoli via.
“Che ne dici se usciamo via da qui? I camerieri iniziano a guardarci male e mi sento un po’ tropo osservato.”  Mi dice poi, come se ci conoscessimo da sempre, come se fossimo entrati dentro insieme e dovessimo solo scegliere cosa fare dopo. La sua richiesta mi prende così in contropiede che mi limito a fare un cenno di assenso con la testa  e lo seguo nella strada verso l’uscita. Fuori il tempo è cambiato, il cielo azzurro e senza nuvole che ho lasciato quando sono entrata dentro, ha lasciato lo spazio a degli enormi nuvoloni, probabilmente carichi di pioggia.
Anche Chris alza gli occhi al cielo e strizza un po’ gli occhi.
“Credo stia per piovere.” dice infatti. “E’ meglio andare.”
“Si, lo credo anche io.” Sono un po’ triste, ma anche sollevata che il momento dei saluti sia arrivato.
E’ stato così surreale ed imbarazzante, nessuno dei miei amici vorrà credermi quando lo racconterò.
“Grazie per le patatine.” gli dico poi e gli porgo la mano per stringerla, non so davvero come comportarmi.
Lui sembra stranito, guarda la mia mano, poi mi guarda e dice: “Intendevo è meglio andare, ma insieme.”
Ha detto insieme? Davvero l’ha detto?
“Non hai nemmeno potuto finire la tua birra. Te ne offro un’altra.”
“Non fa nulla, davvero.”
Non so se riuscirò a rimanere un altro secondo in questa assurda situazione, mi manca l’aria.
“Dai, insisto. Così magari riuscirò a sapere come ti chiami e come riesci a fare quella strana cosa con gli occhi.” e mentre lo dice, imita me che sgrano gli occhi, riuscendo a farmi ridere ancora una volta.
Poi si fa serio e mi porge un braccio.
Mi guardo intorno, ancora un po’ indecisa sul da farsi. Mille pensieri mi affollano la mente, idee contrastanti, paure, scrupoli. Tentenno un po’ e lui sta lì, con il braccio appeso ad aspettarmi.
Smetto di pensare per un attimo e incrocio il mio braccio con il suo.
“Mi chiamo Roberta, comunque.”  gli dico, cercando di darmi un tono.
“Io sono Chris, ma immagino questo tu lo sappia già.”
  
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