Storie originali > Giallo
Ricorda la storia  |      
Autore: Harryette    28/08/2015    1 recensioni
Sono le 23:12 della sera quando sua madre entra piangendo nella sua stanza, suo padre resta sullo stipite della porta. Si sente afferrare le mani, la mamma che la guarda come se quella fosse l’ultima notte al mondo. ‘’Lena è scomparsa’’ dice.
Il mondo si ferma e quell’estate del 1998 finisce.
***
‘’A volte vorrei essere brava a scrivere, o a disegnare, o a comporre poesie o magari a scrivere canzoni’’ sospira Britt. ‘’Per dedicarle qualcosa.’’
‘’Le hai dedicato la tua vita’’ Nawar lo dice quasi con rabbia. ‘’Non ha bisogno di nient’altro.’’
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
ooo


DO YOU REMEMBER SUMMER '98

Dove sei
mi hai lasciato in un oceano di filo spinato
io ti ho dato prati di viole
tu cemento armato


Bristol, estate 1998
Lena afferra il braccio di Brittany e la trascina lontano dal rumore fragoroso e dalla folla asfissiante. Passano attraverso un centinaio di corpi accaldati, attraverso il fumo delle loro sigarette e attraverso un puzzo fortissimo di erba, con le luci stroboscopiche che si ingrandiscono e rimpiccioliscono, prima verdi e poi blu e poi rosse.
Lena è sicura della strada, conosce quel locale come le sue tasche, è dritta e precisa. Per dove, Brittany ancora non lo sa, eppure si fida e la segue.
Sente gente fare commenti idioti, si sente toccare ovunque, qualcuno ha addirittura la faccia tosta di palparle il culo.
E, proprio quando sente di non riuscire più a resistere in mezzo a quella calca di gente, Lena si dirige verso una porta e la apre.
Vigile, come se avesse paura che qualcuno la becchi e le gridi in faccia, la varca e si tira dietro una Brittany accaldata e sudaticcia, poi la richiude alle loro spalle e sogghigna.
 Non mi avete beccata nemmeno questa volta, stronzi.
Britt la guarda e viene trascinata nella risata che la sua amica fa scoppiare. Poi si volta e capisce di trovarsi sulla scala antincendio del locale, di ferro argentato, teme che il tacco a spillo delle sue scarpe vertiginose possa incastrarsi in uno dei buchi del pavimento. Lena non sembra aver la stessa paura, anzi, si scuote i capelli neri con un gesto della mano e sistema il trucco che le sembra – ed effettivamente è – sbavato.
Helena Wilson, detta Lena, ha diciotto anni ed un tatuaggio enorme a coprirle la spalla. Due ali che sembrano riprodurre ali vere e proprie solcano la sua pelle ossuta, le sporgenze sulle spalle e la spina dorsale in evidenza. E’ la ragazza più bella che Brittany abbia mai visto, e non solo perché è la sua migliore amica, ma perché è un dato di fatto.
Tutta Bristol non può far a meno che affermarlo, sarebbe una bestemmia altrimenti.
Ha la pelle ambrata per tutto l’anno, un anellino che le brilla sulla narice destra del naso, i capelli scuri sempre perfettamente lisci e gli occhi sottili sempre contornati da uno spesso strato di eyeliner.
Chiunque sia convinto che le ragazze acqua e sapone siano migliori di quelle truccate, probabilmente, non ha mai conosciuto Lena. E non perché da struccata sia meno bella, anzi, ma perché con tutto quel trucco addosso è semplicemente lei.
E’ il 19 luglio del 1998, la loro estate è appena cominciata: Lena è già ubriaca anche se è solamente mezzanotte e mezza, i capelli sudati appiccicati sulla fronte e lo smalto sull’indice sinistro che è andato via prima del previsto. Le sono sempre piaciute le cose proibite, forse è per quello che sono lì, con un caldo afoso e i tubini colorati ancorati sulle pelli sudaticce.
Brittany, invece, è l’esatto opposto.
Probabilmente, se non si fossero conosciute prematuramente all’asilo, non sarebbero mai diventate amiche: non fuma, non beve, non si è mai fatta una canna in tutta la sua vita e non le piacciono le discoteche. Ed il motivo per cui, ogni venerdì sera, è sempre in prima fila per andarci, è una ragazza iperattiva dagli occhi verde smeraldo che la afferra sistematicamente per il polso e la trascina fuori casa.
Quella sera le stelle sono più brillanti delle altre volte, mentre Lena si accende una canna e si siede sugli scalini della scala d’emergenza.
Britt la imita quando capisce – perché la conosce – che tra poco inizierà a blaterare su qualcosa di filosofico ed estremamente inutile.
Le canne le fanno sempre questo effetto, e resta addirittura ubriaca.
‘’Britt’’ snocciola, poggiandole la testa leggera su una spalla. ‘’Da quanto sei così bionda?’’
‘’Da sempre’’ risponde la ragazza, poggiandole una mano sul ginocchio. Dall’esterno, fanno ridere: agli antipodi, perfino la loro musica preferita dista chilometri ed anni luce. Solo Lena sa quanto Brittany sia importante, e solo Brittany sa chi sia Lena. ‘’E tu da quanto sei così ubriaca?’’
‘’Da sempre’’ è una battuta, sorridono entrambe.
Brittany non introduce l’argomento, non lo nomina, nemmeno si azzarda ad accennare a qualcosa. Funziona così, con Helena Wilson: meno si dice, meglio si sta. Sa che Nawar Weill è di la, da qualche parte in quella discoteca enorme, e sa che hanno ufficialmente rotto. Allo stesso modo in cui sa – capisce – che Lena sta per piangere.
‘’Britt, secondo te sono troia?’’
Glielo domanda con una semplicità ed una leggerezza che le appartengono, ma non fino a quel punto. Brittany indurisce la presa sul suo ginocchio, la avvicina millimetricamente di più al suo corpo e poggia la sua testa su quella di Lena.
‘’Questo è quello che ti ha detto Nawar?’’ le domanda, cauta.
‘’Questo è quello che vorrei mi dicessi tu’’
‘’No’’ risponde, diretta e sincera. ‘’Non credo che tu sia troia’’
‘’Sei la mia migliore amica, sei di parte’’
Lena si è sempre divertita ad autocommiserarsi, si è sempre sentita meglio a gettarsi fango addosso e ad addossarsi perfino colpe superflue. La fa sentire meglio, la fa sentire più umana e meno un bell’involucro.
Fa un altro tiro dalla canna, la offre a Britt ma quella – ovviamente – scuote la testa e rifiuta. ‘’Bhè, anche tu sei di parte’’ le soffia sul volto. Lena sembra star meglio dopo quel minimo contatto, ha meno caldo e le bacia leggermente una spalla. ‘’Grazie’’ sussurra. ‘’Lo sai che sei la persona più importante della mia vita? E che senza di te, giuro, non saprei proprio come fare?’’ E Lena non è nemmeno lontanamente sentimentale, ma il fumo la rende diversa. Brittany lo sa – lo capisce – anche se glielo ripete solo quando è ubriaca e sono passate da un pezzo le undici e mezzo.
‘’Lo so’’ risponde ancora, serafica come sempre. Lei è di poche parole, non come Lena che è capace di intavolare su due piedi una conversazione infinita sul tempo. ‘’E’ lo stesso per me’’
Non è una bugia, Brittany non sa mentire e – comunque – Lena la scoprirebbe subito. Sente il corpo della sua amica rilassarsi sempre di più, segno che la canna che si è rollata sta facendo davvero effetto. ‘’Ti ricordi quando ci siamo conosciute?’’
Britt non si sorprende della piega che sta prendendo la loro conversazione, perché la mora è bella che andata. ‘’Certo che me lo ricordo.’’
‘’Grazie.’’ Lena glielo sussurra ad una spalla dalla guancia, Britt sente il suo alito di menta e Sex On The Beach che le accarezza la pelle. ‘’Non ti ho mai detto grazie.’’
Ed è questa la notte che Brittany rivive nella mente per ore ed ore, alla ricerca disperata di dettagli, di qualcosa che le faccia comprendere, di qualcosa che le è irrimediabilmente sfuggito. Ma non ricorda nient’altro, il resto della conversazione l’ha completamente archiviato.
C’è solo quel grazie che le riecheggia nella mente ancora ed ancora, non le da pace, la sventra dall’interno come il peggiore dei tumori, ed è in questi momenti che si rende conto che Helena Wilson rimarrà per sempre un mistero.
 
Londra, estate 2001
Percorre il corridoio della Queen Mary di fretta, ben consapevole di essere in ritardo per consegnare alla segreteria didattica i crediti formativi di quest’anno e per la lezione di Anatomia.
Il college sembra essere più affollato delle altre volte, quel giorno, irrimediabilmente come se il destino volesse prendersi gioco di lei.
Il fatto che abbia la memoria di un bradipo, probabilmente, ha contribuito a farle dimenticare che questo è l’ultimo giorno per consegnare quei documenti che le serviranno sicuramente per il tirocinio.
I capelli ricci e biondi le ballano sulle spalle, probabilmente ha un volto stravolto da quattro ore di lezioni interminabili, ma – a furia di spintoni – riesce ad arrivare in segreteria e a spalancare la porta. Non bussa nemmeno, ha momentaneamente dimenticato le buone maniere.
Lucille Road, la segretaria, è dietro la solita scrivania, i capelli cortissimi e rossi sempre uguali e gli occhietti vispi di chi ha capito come non farsi imbrogliare dagli studenti. Ma non è sola, e nell’istante in cui Britt si rende conto che c’è qualcun altro nella stanza indietreggia.
Nawar Weill ha un felpone grigio e slabbrato che gli copre il busto sottile e dei pantaloni strappati che lasciano intravedere una quantità sproporzionata di pelle. E’ caldo, a Londra, è quasi estate, eppure lei non si sognerebbe mai di vestirsi in quel modo.
Ha i rasta castani adesso, è molto più magro rispetto all’ultima volta in cui l’ha visto, anche i suoi occhi sembrano profondamente diversi. La vedono, la guardano, la scrutano con una nota saccente che solo chi ha imparato a conoscerlo può comprendere. Nawar non indietreggia, ma si comporta come se l’avesse fatto, perché torna a guardare Lucille e le porge l’ultimo foglio che ha in mano.
‘’Benvenuto alla Queen Mary, allora’’ dice la donna di mezza età, con tono cordiale. ‘’Questo è l’orario delle lezioni obbligatorie’’ gli porge un foglio e torna a digitare qualcosa sul computer che ha davanti.
E’ in quel momento che Nawar si volta e, nell’andarsene, le urta accidentalmente una spalla.
Brucia.
 
La notizia che Nawar Weill abbia lasciato Bristol fa il giro di tutta la piccola cittadina. È un venerdì sera come tutti gli altri quando Brittany, nel suo dormitorio a Londra, a circa 117,8 kilometri di distanza, riceve la chiamata di Thais.
‘’Lo so’’ le risponde, quando la ragazza le racconta la novità. ‘’L’ho visto oggi. E’ a Londra.’’ Se lo aspettavano tutti, che fosse lì, in verità, ma Thais finge comunque di essere sorpresa. Britt si stende sul letto ad una piazza e mezzo e guarda le crepe del soffitto: è una delle poche a non avere ancora una compagna di stanza, nel dormitorio, e si illude che non arriverà mai. Non è brava con i rapporti interpersonali, non è capace di risultare simpatica né di mettere a proprio agio le persone. Sembra sempre che le guardi male quando in realtà non le guarda affatto, la sua apatia viene scambiata per antipatia e a lei non è mai piaciuto. Non è come Lena.
Si domanda se sia stata lei, in qualche modo, ad aver architettato tutto: con tutti i college che ci sono a Londra, perché Nawar Weill è lì?
Attacca poco tempo più tardi – ‘’Ho parecchio da studiare’’ ‘’Sei sempre stata una secchiona di merda, Brittany Holes’’ – ma non apre libro. Piuttosto, pensa. E, come tutte le volte in cui pensa, inizia a porsi delle domande che non avranno mai risposta.
Non lo sa ancora, che presto cambierà tutto.
 
Bristol, estate 1998
Lena ha un pantaloncino così corto che a stento si nota e una canotta bianca che le arriva alla vita sottile. La pancia scura è scoperta, il piercing all’ombelico che brilla sotto il chiarore della luna di luglio.
Porta una bandana vecchia come il mondo fra i capelli, un tempo doveva essere rossa ma ora è molto più vicina al rosa. Stringe una sigaretta fra le dita smaltate di bianco, ha un’espressione corrucciata del volto. Brittany è al suo fianco, leggermente più indietro, silenziosa come sempre, mentre Jack e Nathan continuano a far battute su una cheerleader della scuola che lei non ricorda nemmeno.
Quando Lena è diventata capitano, più o meno un anno prima, lei era stata la prima ad entrare in squadra. Non che fosse dispiaciuto, era sempre stato il suo desiderio più grande, ma non aveva mai avuto il coraggio di rischiare e tentare il provino.
Lena, però, non aveva abbandonato il loro – suo – gruppo natio nonostante le regole non scritte lo imponessero. Non aveva gusto ad uscire con le altre cheerleaders e nemmeno con i soliti giocatori di football. E Britt gliene era particolarmente grata, perché si sarebbe sentita ancor di più un pesce fuor d’acqua.
Thais, ancorata al braccio di Edward, ride sguaiatamente quando qualcuno fa una battuta sul culo della bidella del loro piano. Nathan e Jack si stanno rollando la terza canna della serata quando, da lontano ed oltre i lampioni opachi del parchetto, si intravede una figura camminare verso di loro. Stella, la fidanzata secolare di Jack, balza su dalla panchina sulla quale è seduta e sventola un braccio all’aria. Ed è quando la figura diventa vicinissima che Britt capisce di chi si tratta. Nota Lena diventare un fascio di nervi all’istante. Brittany vorrebbe essere coraggiosa, vorrebbe avere un carattere d’acciaio e alzarsi dall’altalena e andare verso Nawar Weill e mandarlo via con la forza. Magari sferrargli un pugno in pieno volto, perché se lo merita e perché nessuno può far del male ad Helena Wilson.
Non si muove e Nawar, con i capelli lunghi sparati in tutte le direzioni, da una pacca sulla spalla ad Edward e saluta tutti con un cenno generale. Non la guarda. Non le guarda.
‘’Finalmente ci hai degnato della tua presenza, Weill’’ sputa Nathan, dopo un altro tiro. Lo sanno tutti che lui e Lena hanno rotto appena due settimane prima, ma a nessuno sembra importare. Non è per disinteresse o non curanza, semplicemente non pensano sia possibile che una come Helena stia male per qualcuno.
Nessuno la conosce.
‘’Pensi di rollarmi una canna o preferisci passare tutta la sera a ricordarmi di essere scomparso?’’ Nawar ha il solito tono decadente e tranquillo che, per la prima volta, la fa irritare tantissimo. Lena non si muove, continua a fumare silenziosa la sua sigaretta, a volte la guarda altre volte finge di essere interessata alle sue unghie. Brittany, a volte, vorrebbe che fosse diversa, vorrebbe che si sfogasse, che piangesse. Ed invece Lena non lo fa, ingloba tutto dentro di lei e tace. E Nawar ha un’incredibile faccia tosta.
La serata passa così, come tante altre, con un clima di tensione che Brittany crede di sentire solo lei. Stella e Thais sono tranquillissime, Nathan e Jack sono partiti completamente e Edward è troppo occupato a palpare il culo della sua ragazza per rendersi conto che Lena – la sua amica d’infanzia – stia per implodere.
E’ verso le due, quando Lena si alza e afferra le chiavi del suo motorino, che la sente sussurrare ‘’in questo momento, Britt, vorrei scomparire.’’
 
Lena la accompagna a casa, come sempre, e le lascia un bacio sulla guancia.
Non le dice niente, non aggiunge una sola parola e Brittany non gliela chiede. Le porge il casco e la vede ripartire in silenzio, dopo un ‘’buonanotte, Britt’’ appena sussurrato. Non sa perché, ma non rientra subito in casa quella notte.
Rimane la fuori a vederla sulla strada, il motorino rosa shocking di quando avevano sedici anni e il casco bianco latte, i capelli castani che le sventolano sulla schiena e le spalle dritte. Non sa perché lo fa, forse se lo sente e basta.
Il giorno dopo Lena non risponde nemmeno ad una delle sue chiamate e Brittany crede – si illude – che sia perché vuole rimanere da sola a pensare.
Sono le 23:12 della sera quando sua madre entra piangendo nella sua stanza, suo padre resta sullo stipite della porta. Si sente afferrare le mani, la mamma che la guarda come se quella fosse l’ultima notte al mondo. ‘’Lena è scomparsa’’ dice.
Il mondo si ferma e quell’estate del 1998 finisce.


L’anno dopo viene ritrovato un corpo in avanzata fase di decomposizione sui fondali di un piccolo lago artificiale. Successivamente, pezzi di un motorino di cui non si può determinare con precisione il colore.
L’autopsia dichiara che si tratta di Helena Wilson.
 
Londra, estate 2001
Succede tutto di pomeriggio.
Il contatto della schiena con la superfice fredda del muro sul retro dell’università la fa rabbrividire, una scossa ed un tremore attraversano il suo corpo. Evan è davanti a lei, la tiene ferma per le spalle e la guarda in modo poco rassicurante, la bellissima pelle solcata da rughe di rabbia e i capelli biondicci che sembrano essersi scuriti.
Evan Marx e Brittany Holes sono fidanzati dal novembre del 2000 e si conoscono così bene che ogni litigio diventa una stenta. Evan sa esattamente dove colpire per farla cedere, Britt se ne rende conto anche prima che parli. E’ un giocatore di box, ha fatto di quello sport la sua vita, per questo – e perché crede di amarlo – Brittany sopporta tutti i suoi scatti d’ira improvvisi e passa sopra quegli schiaffi che le arrivano ogni tanto e di cui lui si scusa anche troppo. Non lo giustifica, lo compatisce.
Non ricorda nemmeno per che cosa stanno litigando in quel momento, sente solo la presa ferrea del biondo e i suoi commenti arrabbiati. Non hanno bei caratteri, nessuno dei due, e questo va riconosciuto prima di tutto quanto il resto.
E’ in quel momento che, nonostante credesse di aver arginato quella sensazione andandosene via da Bristol, Britt si sente stanca. Di quella stanchezza che non dovrebbe prenderti a vent’anni, che ti atrofizza le ossa e ti rende sterile a qualunque sollecitazione esterna. Si è convinta e si è ripetuta che Londra è un nuovo inizio, un posto non inquinato dalle vecchie presenze e non reduce da assenze, eppure si sente allo stesso identico modo. Sventrata, privata di qualcosa che nemmeno sente più di conoscere, sola in mezzo alla gente, sola con Evan, sola con l’Università attorno.
Lena corre con le trecce castane che le ballano sulle spalle, stringe una margherita tra le mani e ha gli occhi del colore dell’arcobaleno. La maestra le strilla di non allontanarsi troppo ma nemmeno ci fa caso, le afferra la mano e la trascina con se. Brittany non vuole disubbidire, ma Lena ha sempre avuto un ascendente troppo forte.
‘’Prometti, qui ed ora, che saremo amiche per sempre?’’ le chiede, ripetendo la frase di un film che ha visto solamente la sera prima. Britt afferra la mano della mora e ‘’Prometto, qui ed ora, che saremo amiche per sempre.’’

Si perde nei pensieri e nei ricordi e non reagisce al secondo spintone di Evan. Sa che si scuserà tra meno di un’ora e che comunque non le farebbe poi tanto male, ma non dice né fa niente. E’ come se tutti i ricordi e tutte le emozioni passate che aveva faticato tanto a nascondere in un cassetto recondito della sua mente, fossero ritornate e l’avessero assalita come un’onda anomala.
E’ anche per questo che non sente – non capisce – che Evan è stato allontanato. Da qualcuno.
Nawar Weill, la causa del ritorno dei suoi tormenti, è fra di loro e tiene il suo fidanzato per il colletto della canotta chiara. ‘’Non la toccare’’ ringhia, protettivo come non lo è mai stato. Non sono mai stati grandi amici, in passato, non comprende tutto il suo viscerale interesse ad una questione sua e sua soltanto. Evan va via poco dopo, troppo nervoso ma abbastanza lucido da capire che non è il caso di mettersi in mezzo ai guai per uno come Nawar Weill. Anche a Londra sanno bene cos’è successo, cos’ha fatto.
La sua pelle scurissima brilla alla luce del sole e i suoi occhi la scrutano curiosi. Vi legge sicuramente disprezzo, perché è tutto quello che Brittany prova in quel momento. Le immagini di tutte le foto che Lena le faceva vedere, e che ritraevano entrambi, la disgustano profondamente. Odia perfino la giustizia, perché uno così non può essere innocente.
E’ quando lui prova ad avvicinarsi che Britt alza una mano e ‘’Non ti avvicinare’’ ringhia. E’ una persona pacata, non sarebbe capace di far del male ad una mosca, eppure il solo vedere quel ragazzo le manda in tilt il cervello. ‘’Non fare un solo passo o chiamo la polizia.’’
Nawar sogghigna.
E lo fa con una tranquillità ed una semplicità che non fanno altro che irritarla ancora di più. E poi, inaspettatamente, parla con lo stesso tono di voce saccente che aveva usato una sera di tre anni prima.
‘’Non ho ucciso io Lena’’ esala. ‘’Non sono un assassino, non le ho fatto niente, e sei l’unica che non l’ha ancora capito.’’
Potrà scampare alla giustizia, forse, ma non gli darà mai la soddisfazione di sfuggire anche allo sguardo sprezzante di chi sa chi è.
‘’Non ti crederò mai’’ sputa. ‘’Ti odio con tutto il mio cuore e non voglio avere niente a che fare con te. Per me sei morto quella sera.’’
Nawaer sembra finalmente colpito da quelle parole e si allontana. Alza una mano come se volesse sfiorarla, toccarla, accertarsi che Brittany ancora esiste. Però la abbassa, sospira e ‘’Non sai come mi sento da quella sera’’ non si è difeso. Non c’è odio nella voce di Weill, non sembra nemmeno offeso dagli insulti da poco ricevuti. Brittany non riesce a colpire qualcuno che non reagisce nemmeno in quella circostanza.
‘’No, Nawar, sei tu che non sai come mi sento io’’ caccia fuori. Non parla di Lena da quasi tre anni, da quando si è chiusa in un mutismo imbarazzante sull’argomento. I suoi genitori non le hanno mai chiesto niente, si sono limitati ad asciugare le sue lacrime e a sopportare la sua apatia, e i suoi amici sono andati avanti con la loro vita. Lei non ci riesce ancora. Nonostante il suo odio verso di lui, vede in Nawar Weill l’unico con cui possa aprir bocca senza scaturire pena. ‘’Lena era la mia migliore amica. L’unica, la sola, persona che avrei voluto accanto a me per tutta la vita. L’unica che mi capisse, l’unica che capissi. Non venirmi a dire che hai sofferto, perché io mi sveglio ogni giorno come se avessi una coltellata nel petto e stessi morendo dissanguata. Come se mi mancasse un pezzo. Non venirmi a dire che sei innocente, che la Corte di Appello ti ha assolto giustamente, e che ti manca perché non sai, non puoi sapere, quanto manca a me.’’
Nawar non aggiunge nient’altro, indietreggia ancora di più.
‘’Infondo lo sai anche tu, che sono innocente’’ dice, dopo minuti di interminabile silenzio. ‘’L’assassino di Lena è ancora libero da qualche parte. Io non ho fatto niente. E le volevo bene.’’
‘’Ma non l’amavi.’’
Non sa come siano finiti a parlare di questo, sa solo che il vero motivo della rottura di Nawar e Lena non ha mai avuto modo di saperlo nemmeno lei. Sa solamente che, a tre anni dalla sua scomparsa e a due dal ritrovamento del suo corpo, non sente di essere migliorata neanche un po’. E’ scappata da Bristol per trovare pace e arriva Nawar Weill ed è come se fosse di nuovo lì.
‘’No, non l’amavo’’ risponde serafico. ‘’E l’ho lasciata proprio per questo. Le volevo bene, era…una persona incredibile. Una persona che non potevo prendere in giro.’’
‘’Lei ti amava’’ sussurra Britt. Non pensa più alla sua morte, non pensa al funerale, al rilevamento e all’identificazione del cadavere malmesso, non pensa neanche più a far sentire Nawar di merda. Non sa se è davanti all’assassino della sua migliore amica, ne dubita, ma non le interessa più. ‘’Non so se te l’ha mai detto, ma ti amava.’’
‘’Lo so’’ risponde, e le sembra di riconoscere una sorta di malinconia nella sua voce. ‘’E mi dispiace di non essere stato abbastanza.’’
‘’No, Nawar, io ho smesso di dispiacermi per questo da un bel po’’ si allontana dal muretto e si sistema la borsa sulla spalla. ‘’Era lei ad essere troppo.’’
 
Lascia Evan una settimana più tardi, dopo l’ennesimo litigio.
Scappa dall’università anche se ha ancora la metà dei corsi obbligatori da seguire, non le frega assolutamente niente. Nonostante abbia ormai i capelli lisci e meno biondi di una Brittany adolescente, nonostante sia dimagrita, nonostante si sia allungata, mentre passa davanti ad una vetrina ad Oxford Street non si trova cambiata. Si è illusa di essere andata oltre, di essere maturata, di essere capace di sopportare il dolore e di reagire al dispiacere, di essere la persona che Lena voleva che fosse, ma non è così. Ed è bastato rivedere una delle persone che erano legate alla sua vita di prima per crollare in pezzi. L’angoscia e l’ansia non l’hanno mai abbandonata veramente, viveva solamente in un’effimera illusione che – prima o poi – qualcuno avrebbe dovuto infrangere.
Ed odia Nawar Weill anche per questo.


Bristol, inverno 1999
Sua madre le piazza davanti l’omelette più grande che lei abbia mai visto, mentre alla radio i The Calling cantano sulle note di Wherever You Will Go. Nonostante nessuno, nemmeno suo padre, dica una parola, Britt sa benissimo cosa passa nelle teste di tutti loro.
Solamente il giorno prima, a quell’esatta ora della mattina, la signora Wilson aveva chiamato il lacrime sua madre e le aveva detto che un corpo era stato ritrovato sulla West Coast. Ed ora tutti – lei – stanno aspettando di scoprire per quale motivo piangeranno quella sera: se per il cadavere di Helena Wilson o se per l’ovvietà angosciante che non ci sia ancora un corpo su cui piangere davvero.
Ed intanto, nel dubbio, Brittany mastica un’omelette perché capisce che sua madre avrà un attacco di panico se non mangia nemmeno oggi. Ed è in quell’esatto, preciso, momento che suo padre poggia il giornale sul tavolo e la guarda come se stesse per dirle qualcosa di terribile. Come se l’aver perso una migliore amica non lo fosse già abbastanza di per se. ‘’Oggi la polizia vorrebbe farti qualche domanda, tesoro’’ le dice cautamente, quasi come se stesse parlando ad uno dei suoi pazienti psicopatici. ‘’Sai, sei stata una delle ultime persone a vedere Lena così…’’
Brittany gli risparmia lo strazio di andare oltre con quella spiegazione assurda. ‘’Va bene’’ scrolla le spalle, indifferente. ‘’Ci andrò oggi con la mamma.’’
Suo padre guarda sua mamma con un cipiglio strano sul volto. Tipico: ha già iniziato a psicanalizzarla, ora se ne uscirà con qualcosa del tipo ‘’non sta reagendo al dolore e finirà che il dolore non la farà più respirare.’’
Lei non vuole reagire a niente.
‘’Io vado a scuola’’ si alza dal tavolo e afferra la borsa ai suoi piedi, ma prima che possa uscire sua madre posa lo strofinaccio sull’isola della cucina e le si avvicina. ‘’Tany, ascolta’’ l’ha chiamata come quando era piccina, cattivo segno. ‘’Lo so che è difficile, amore, credimi lo so, però…mi sento male a vederti così. Vorrei che tu ci parlassi di…’’
‘’Di cosa, mamma?’’ la interrompe bruscamente. ‘’Oggi andrò alla stazione di polizia e risponderò a queste dannate domande, non finirò indagata come Nawar Weill se è questo che vi preoccupa.’’
I suoi genitori non pensano che sia lui il colpevole, glielo hanno detto ieri a cena. Nonostante Brittany si ostini a non voler riaprire l’argomento, sembra che Helena Wilson galleggi attorno alla sua casa come se fosse ancora viva, che sia ancora lì fuori, in giardino, a correre e giocare da qualche parte.
Vuole solo che vada via.
‘’Noi ci preoccupiamo solamente per te, Brittany’’ interviene suo padre, sorseggiando tranquillamente la solita tazza di thè. ‘’Vorremmo che tu tornassi ad essere come prima.’’
Si stupisce di quanto sia stupido Theodore Holes, a volte, nonostante faccia lo psichiatra da quasi una vita. Come può anche solo sperare che lei torni ad essere come prima? Con una migliore amica assassinata, un killer ancora in giro chissà dove, forse a Bristol, ed un amico forse colpevole e sotto processo?
Guarda i suoi genitori negli occhi ed è in quel momento che, per la prima volta ad un anno dalla scomparsa di Lena, vorrebbe non averla mai conosciuta.
Non riesce nemmeno a capire cosa le bruci di più, se il ricordo o il presente.
 
Bristol, estate 1990
Lena piange disperata quando piomba a casa Holes quel pomeriggio. L’ultimo anno di asilo è finito, presto le spetterà la scuola primaria, eppure non si è mai sentita più piccola ed indifesa di così.
Casa sua, situata a pochi isolati da quella di Brittany, ha iniziato a farle provare un misto di terrore e angoscia. Il cuscino premuto sulle orecchie e la porta di camera chiusa non aiutano ad attutire le grida dei suoi genitori al piano di sotto, non aiutano a far sembrare suo padre più umano e meno ubriaco e sua madre meno spaventata.
Vorrebbe aiutarla, tanto, ma non sa nemmeno da dove cominciare. E’ da poco tempo che ha scoperto una vite di fronte alla sua finestra e ha capito che, usandola, riesce a scappare senza essere vista. Non vuole lasciare sua mamma in mano a quell’uomo, non quella volta, è solo venuta a cercare aiuto e Brittany è la prima persona che le è venuta in mente.
L’unica che l’aiuterebbe.
Ha solo otto anni, Brittany è di pochissimo più grande, eppure non ha trovato altra soluzione. Quando Samantha Holes, sua mamma, spalanca la porta e la vede sospira. Sa bene cosa è appena successo, la stessa cosa che è accaduta nei due anni precedenti. Era da un po’ che suo padre aveva iniziato a perdere il controllo, affogato nell’alcool, e lei – piccola e spaventata – non aveva avuto altra scelta se non rintanarsi in casa Holes fino a che non fosse caduto addormentato.
Quel giorno è diverso.
Nei suoi otto anni e nel suo scarso metro e venti, Helena ha capito benissimo che suo padre è più fuori delle altre volte. Ha capito che le urla sono troppo alte anche per i loro standard, che non può lasciare sua madre in casa da sola con quella belva. Non quel giorno.
‘’Britt è in camera sua, tesoro’’ le dice, facendole cenno di entrare. C’è una tale pena negli occhi di quella donna, una tale tristezza, che Lena rimane ferma sulla soglia. Forse prima era troppo piccola per capirlo, ma comincia a domandarsi se ce l’abbia sempre avuta. ‘’Ho appena fatto i biscotti al cioccolato che vi piacciono tanto.’’
Vorrebbe avere una famiglia come quella di Brittany.
Unita, vicina, presente.
‘’Non voglio entrare’’ dice sicura, e Samantha la guarda interrogativa. ‘’La mia mamma ha bisogno d’aiuto.’’
Dopo due anni di calvario, finalmente Jason Wilson viene arrestato con l’accusa di violenza domestica e abuso su minore e di svariate guide in stato di ebrezza. Viene condannato pochi mesi più tardi, dopo una sola sentenza, a 16 anni e due mesi di carcere.
Da allora, Lana e sua mamma vivono da sole e cucinano un sacco di torte.
 
Londra, estate 2001
Non credeva sarebbe mai stato possibile, eppure lei e Nawar sono seduti uno di fronte all’altra in uno Starbucks di Oxford Street e non si stanno offendendo a vicenda. E’ la prima volta che, forse, lo vede per quello che realmente è: un ragazzo di ventuno anni, accusato di un crimine che non ha commesso perché ha avuto la sfortuna di essere l’ultima persona con la quale Lena ha parlato, con un sacco di rasta in testa e l’accusa ancora più grave di avere la pelle più scura di un normale inglese.
Non le fa più rabbia averlo così vicino, prova solamente compassione.
Spera che, ora che ha modo finalmente di ricominciare, almeno lui possa riuscire a costruirsi una vita nuova.
‘’Ci siamo visti poco dopo che ha accompagnato a casa te, quella notte’’ le sta raccontando. Glielo ha chiesto lei: di vedersi, di parlare, di raccontare della Lena che entrambi rivivono ancora nel presente. ‘’Io la stavo aspettando sotto casa sua perché volevo parlarle, farle capire che mi importava, ma sai com’è…com’era fatta Lena’’ continua. ‘’Abbiamo finito per litigare, allora mi sono innervosito così tanto che ho chiamato Nathan e gli ho chiesto di venirmi a prendere in macchina. L’ho visto arrivare da lontano poco dopo, mi sono voltato e sono andato via. Nathan l’ha vista ancora lì fuori quando siamo partiti, è il mio alibi. Non è mai salita in casa, Lena. E non faccio altro che pensare che sono stato l’ultima persona che ha visto e che avrei potuto salvarla.’’
Brittany ha gli occhi lucidi, ma non per il racconto.
‘’Sai, Nawar, all’inizio ti ho odiato.’’
‘’Solo all’inizio?’’ ironizza lui, accendendosi una sigaretta sotto il cartello DO NOT SMOKE.
‘’No, ma all’inizio ancora di più’’ spiega Britt, zuccherando il suo cappuccino. ‘’Pensavo che fossi stata io l’ultima persona ad aver visto e ad aver parlato con Lena. Quando mio padre mi ha detto che, invece, io ero solamente la penultima mi sono sentita tradita. Ti ho detestato perché mi avevi portato via la possibilità di essere l’ultima cosa ad aver attraversato gli occhi della mia migliore amica, e quella era l’unica convinzione che mi teneva ancora in vita. Che lei avesse visto me e poi fosse morta.’’
‘’Mi dispiace’’ Nawar glielo dice anche se non sa per cosa, per la precisione, dispiacersi. Brittany le è sempre sembrata di ferro, una di quelle ragazze timide ed irraggiungibili, e – mentre era sotto processo e costretto a restare a Bristol – l’aveva invidiata ed ammirata insieme per la decisione di andarsene in un college a Londra.
Ora le sembra solo malinconicamente bellissima e mortalmente triste. Si rivede nei suoi occhi, i primi mesi agli arresti domiciliari, gli sguardi delusi di sua madre, l’appoggio e il supporto di suo padre.
Guardaci, Lena. Guarda cosa ci hai fatto.
‘’Non devi dispiacerti’’ lo guarda negli occhi neri e accenna un sorriso. ‘’Sono io che sono dispiaciuta. Per come ti ho trattato, per tutto quello che ti ho detto e per come mi sono comportata. Sono stata maleducata e ti ho fatto esattamente quello che non volevo e non potevo sopportare venisse fatto a me.’’
Non se lo aspettava, Britt glielo legge sul volto e fra le sopracciglia aggrottate. Però Nawar si blocca un solo minuto, prima di riprendere a fumare la sua sigaretta e dire: ‘’Ci perdoniamo entrambi, allora.’’
Britt sorride e fa un cenno d’assenso col volto. Torna a concentrarsi sul suo cappuccino, un silenzio tombale cade su di loro ma non si sente imbarazzata, anzi. Quasi confortata.
‘’L’hai mai sognata?’’ gli chiede, di punto in bianco. Dopo tre anni di silenzio, ora che ha iniziato a parlare di Lena, sembra non riesca più a smettere.
‘’No, Brittany, non l’ho mai sognata.’’
‘’Io la sogno spesso, invece’’ si sfoga. ‘’Forse è la mia punizione perché non ho mai voluto parlarne, non ho mai accennato a lei. Vuole farmela pagare, la conosco, ha paura che la stia dimenticando.’’
‘’Lena mi parlava sempre di te’’ si sente in dovere di dirle. ‘’Ti adorava, non ti torturerebbe mai.’’
‘’A volte vorrei essere brava a scrivere, o a disegnare, o a comporre poesie o magari a scrivere canzoni’’ sospira Britt. ‘’Per dedicarle qualcosa.’’
‘’Le hai dedicato la tua vita’’ Nawar lo dice quasi con rabbia. ‘’Non ha bisogno di nient’altro.’’
La discussione sta diventando surreale.
‘’Voglio solo che trovino il suo assassino’’ gli dice e, in quelle parole, Nawar è sicuro di leggervi altro. Lo so che sei innocente. ‘’Voglio che marcisca in prigione insieme a quel bastardo di suo padre.’’
La storia di Lena, Nawar la conosce, ma non aggiunge altro. Scrolla un po’ di cenere dalla sigaretta e si limita a fissare Brittany Holes. L’unica di cui abbia mai temuto il giudizio, l’unica con cui – in comitiva – aveva paura a rimanere solo, l’unica ragazzina ricca che con loro non aveva mai avuto niente a che fare. Si ricorda di tutte le volte in cui ha rifiutato una canna o un drink, i capelli ricci e biondi a contornarle il volto acerbo, il silenzio a regnarle sovrano attorno. Una vita passata e trascorsa nell’ombra di Lena, che travolgeva tutto quello che aveva attorno e si faceva amare da chiunque. Chi avrebbe mai fatto caso alla sua migliore amica, quella che le era sempre qualche passo indietro? Nemmeno lui l’aveva mai fatto.
Una ragazzina.
Non è più una ragazzina, la Brittany Holes che ha davanti. E’ più alta, è meno bionda, è diversa. E’ una donna che si è fatta strada da sola fra le macerie, che sta cercando di uscirne a testa alta, che ci prova.
‘’Lo troveranno’’ le risponde, perché – nonostante tutto – crede ancora nella giustizia. ‘’Sono sicuro che lo troveranno e, prima che lo sbattano dentro, gli gonfio la faccia a suon di pugni.’’
Non ha mai visto Brittany sogghignare.
Poi la vede farsi forza, alzare in alto il suo bicchiere di cappuccino e fargli cenno di far lo stesso con il suo caffè.
‘’In assenza di super alcolici’’ dice, sorridendo. ‘’Brindiamo con il caffè.’’
Nawar obbedisce e, stavolta, è lui a sogghignare. ‘’A cosa?’’ chiede. Ha ancora paura di dire qualcosa di sbagliato, di spaventarla. Non ha mai avuto, in anni, una conversazione così lunga con Britt.
‘’A Helena Wilson e al suo assassino’’ dice. ‘’Che gonfieremo di botte insieme il prima possibile.’’
Ora ha capito cosa ci trovava di incredibile Lena in una persona come Brittany Holes.
 
‘’Fa altamente schifo.’’
Britt posa un pezzo di pizza sul cartone e si scuote le mani, un’espressione contrita sul volto. Si è lasciata intrappolare da Nawar, che l’ha convinta a provare un gusto diverso dalla pizza margherita. Lo sapeva, che non le sarebbe mai piaciuto nient’altro.
Nawar era vegano, per cui avevano ordinato una pizza con mozzarella e quelle che sembravano diecimila verdure diverse e troppo verdi.
Alla tv, Mtv stava passando un nuovo episodio di Catfish.
‘’Sei sempre la solita polemica’’ afferma il ragazzo, addentando un’altra fetta piena. ‘’Non sai cosa voglia dire avere gusto.’’
‘’Detto da uno che non mangia bistecche e va avanti ad insalate, è alquanto ironico.’’
‘’Ci sono un sacco di cibi per vegani’’ sottolinea Nawar, mentre Nev di Catfish scopre la verità riguardo uno strano caso di amore virtuale. ‘’Non mangio solo insalata.’’
Brittany si alza dal pavimento e afferra una barretta di cioccolato sulla sua scrivania. ‘’Certo, ed è molto meglio una fettina di soia che una fettina di carne’’ lo prende in giro, aprendola. ‘’Farò finta di crederti’’
E’ in quel momento che Nawar si alza di scatto da terra, posa la fetta di pizza, e le arriva direttamente in volto. La blocca sulla scrivania con le braccia e le si avvicina pericolosamente, eppure non sembra un gesto malizioso o malpensante. E’ solo vicino. ‘’Scommetti che ho più energia di te?’’ le dice, o meglio, le sussurra. Brittany non ha mai fatto caso alla profondità della voce di Nawar Weill, l’ha sempre dato per scontato, e forse sta scontando adesso il suo errore madornale. Da così vicino, Nawar le sembra tutto meno che scontato: la pelle scura, a sottolineare le sue origini sudamericane, le iridi del colore del cioccolato, così profonde da perdercisi dentro, la mascella morbida e i rasta ad incorniciargli il volto. Ha una bellezza rara, diversa dal solito, bruciante. Qualcosa che lo porta fuori dagli schemi previsti di perfezione ma che al contempo lo avvicina pericolosamente. Brittany ha ancora il sorriso impertinente sulle labbra, quello che ha imparato da Lena in quella che le ricorda un’altra vita, eppure si sente scoperta.
‘’Io non ci giurerei’’ gli risponde, mimando una linguaccia. Nawar scoppia in una risata divertita, con i denti bianchissimi che brillano come una falena. Non ha mai avuto un profumo più presente prima di allora.
‘’Ora ti faccio vedere io, mocciosa.’’
Britt non ha nemmeno il tempo di rendersene conto che Nawar l’ha letteralmente alzata di peso sulle sue spalle, per questo lancia un urletto isterico ma decide di non dimenarsi troppo per paura di cadere rovinosamente a terra. La sensazione di non avere effettivamente terra sotto i piedi è niente paragonata alla consapevolezza bruciante che si sta facendo strada nel suo petto: mentre urla un ‘’mettimi subito giù, stronzo’’, si rende conto di quanto abbia sbagliato fino a quel momento a considerarlo un assassino.
Si rende conto che anche Nawar Weill – perfino Nawar Weill – ha dovuto fare i conti con la mancanza di Lena, ha dovuto trattenere le lacrime, cicatrizzare ed ignorare il dolore al petto, trattenere il respiro quando l’ansia diventava troppo pressante. Proprio quello che ha provato lei, quello che ha dovuto fare lei, quello che ha maledetto lei.
Con l’unica differenza che Nawar aveva centinaia di giornalisti e fotografi fuori casa sua ad ogni ora del giorno e della notte, che aveva un processo in corso, che andava ogni mese in tribunale, che lavorava per aiutare sua madre a permettersi il miglior avvocato in campo, che era accusato di aver ucciso il motivo per cui dormiva da solo la notte.
Lei era scappata, alla fine, era corsa via, lontana da Bristol, lontana dai suoi genitori e dalla madre di Helena, lontana dal posto dove probabilmente si nascondeva un assassino. E in quei tre anni in cui lei si era sforzata di rifarsi una vita, Nawar cercava disperatamente di rimettere insieme i cocci della sua.
Per questo quando Nawar la mette giù e la guarda e capisce che non sta più ridendo, si blocca anche se ha ancora le mani sui suoi fianchi.
‘’Stai bene?’’ glielo chiede ma lo sa, che ha qualcosa di diverso in mente. Brittany lo guarda veramente solo in quel momento, il senso di colpa per essere stata crudele le si attenua lentamente, e nemmeno si accorge di aver portato una mano sul suo volto. Nawar non indietreggia, non si scansa, rimane fermo fisso nei suoi occhi.
‘’Mi dispiace’’ sussurra, guardando il pavimento. Ha sempre pensato che la Brittany timida ed impacciata, quella che si nascondeva dietro le spalle di Lena, fosse morta insieme a lei. Che fosse rinata. Si rende conto che non è stato Nawar Weill a riportare a galla quella persona, ma che c’era sempre stata solo che non se n’era mai accorta. ‘’Non ho mai pensato veramente che avessi ucciso Lena. Mi serviva solo un capro espiatorio, qualcuno a cui addossare la colpa di tutti i miei sbagli’’
‘’Non hai sbagliato tu’’
‘’Lena mi ha sempre detto che l’ho salvata da suo padre’’ continua. ‘’Io non l’ho mai pensato, ma gliel’ho lasciato credere perché mi faceva sentire meglio pensare di esserle stata utile. La verità è che avrei avuto modo di salvarla davvero, di esserle davvero utile, se solo fossi stata più attenta.’’
‘’Non potevi saperlo.’’
‘’Non potevi saperlo nemmeno tu.’’
Nessuno dei due aggiunge nient’altro. Nawar le si avvicina sempre di più, lei vede solamente le sue labbra, eppure all’improvviso una voce le assale la mente. E’ Lena, è sempre Lena, con i capelli scuri e gli occhi verdi che ‘’credo di amarlo, Nawar’’.
E Brittany si allontana.
‘’E’ tardi’’ dice, voltando le spalle e chiudendo gli occhi per respirare. ‘’Dovresti tornare nella tua stanza.’’
Si sente sfinita.
Forse Nawar ha realmente più energia di lei.
 
Bristol, Natale 1999
Fuori nevica.
Tutte le case del quartiere sono rivestite di luci colorate e dalle finestre, attraverso le luci nelle case degli altri, Brittany riesce addirittura a scorgere qualche albero illuminato. Sente il profumo delle cene, dei cotechini, delle lenticchie. Sente i canti dei cori gospel, vede qualche ritardatario affaccendarsi per strada.
Sente sua madre che cucina mentre parla con suo padre, nella stanza accanto. Lei rimane ferma, seduta sulla finestra con la schiena poggiata allo stipite ed un cardine a pungerle il fianco, mentre guarda la neve cadere fiocco dopo fiocco.
Quello è il primo natale da quando ne ha memoria che trascorre senza Lena e sua madre. La cosa che la demolisce e la annulla più di tutte è che non è arrabbiata né addolorata, non è irritata o scossa, non riesce neanche a prendersela con qualcuno. Non sente niente. Non vede niente.
L’unica immagine che ha ancora impressa nella mente è il motorino rosa confetto di Lena, lei che si allontana dal suo viale con un casco bianco in testa, i capelli marroni che svolazzano nel caldo vento di luglio.
Nient’altro.
Da qualche parte, forse dallo stereo lasciato acceso nella sua stanza, arrivano le note di una vecchia musichetta natalizia che le mette ansia.
Vorrebbe avere qualcuno.
 Qualcuno che non siano i suoi genitori, che le sono accanto per contratto, che la sostengono anche se cade uguale. Qualcuno che riesca a capirla, o almeno ci provi un po’ di più, e che non abbia paura di vederla prosciugata. Qualcuno che non sia spaventato solo perché ha diciassette anni ed una migliore amica assassinata.
Brittany poggia la testa accanto al vetro della finestra e sospira così forte che ha paura che i suoi l’abbiano sentita. Se li immagina già arrivare, con il volto scosso e con l’apprensione che fuoriesce da tutti i pori, mentre le prendono le mani. Ed invece non succede, rimane da sola in un salone troppo grande di una casa troppo vuota.
Le canzoni di Natale non le mettono allegria come al solito, servono soltanto a farla sentire un po’ più meno lei.
Sul giornale che suo padre ha lasciato sul bracciolo della poltrona rossa intravede in prima pagina la foto di Nawar Weill, in bianco e nero. Riconosce i suoi lineamenti appena accennati, l’arco del suo collo. Lena le ha parlato così tanto di lui, e così spesso, che sente di conoscerlo da una vita anche se si sono parlati a stento cinque volte.
L’articolo non l’ha letto, ma il titolo si.
Nawar Weill dovrà intraprendere un lungo processo in tribunale, essendo l’unico sospettato dell’assassinio di Helena Wilson.
E Brittany Holes, quella notte, lo odia.
 
Londra, estate 2001
E’ passata una settimana dall’ultima volta che è stata da sola con Nawar, e non può dire di non esserne sollevata. Lui è sempre educato, seppur costantemente sotto quella patina di mistero e silenzio, e la saluta per i corridoi. Un paio di volte si è anche fermato a parlarle. Eppure, un’altra parte di Britt, quella meno razionale, le ricorda che le dispiace.
Le dispiace non aver più avuto intimità con lui, non averlo più vicino, non sentirlo parlare nell’orecchio. Non ha mai provato nessuno di quei sentimenti, nonostante abbia avuto una o due storie importanti.
Nawar Weill riesce a farla sentire la Brittany diciassettenne spaventata ed incazzata col mondo.
Posa i libri nel suo armadietto e sospira, perché la sessione estiva degli esami la sta distruggendo ed anatomia non le entrerà comunque mai in testa, non importa quanto ci si impegni e quanti schemi faccia. Non passerà mai l’ultimo esame, e suo padre troverà un’altra ragione per rinfacciarle la sua partenza.
‘’E questo sospiro?’’
Si volta e si ritrova Sarah davanti, gli occhi azzurrissimi e i capelli corti a solleticarle il viso. E’ la persona più minuta e al contempo più intelligente che abbia mai conosciuto, Sarah Cooper.
‘’Deformazione professionale’’ le sorrise, dandole un leggero bacio di saluto sulla guancia.
‘’Stasera è il compleanno di Thomas Moore e da una festa pazzesca’’ Sarah non le da nemmeno il tempo di allontanarsi prima di assalirla con quell’affermazione. ‘’Ti prego, dimmi che sei dei nostri.’’
E’ da quando è morta Lena che non mette piede in una discoteca o in un qualsiasi ambiente troppo affollato e alticcio. Non si è mai sentita pronta.
‘’Sarah io non…’’
‘’No, aspetta’’ la interrompe. ‘’Non ci sarà Evan, puoi star tranquilla. Ho saputo da Brian che la settimana scorsa ha dato l’ultimo esame ed è a Bangkok con gli amici’’
Non è quello il motivo del suo tentennamento, ma lo prende come un segno perché se c’è qualcuno di negato in Medicina quello è proprio Evan.
‘’E va bene’’ sospira ancora. ‘’Ma vengo con la mia macchina e vado via quando dico io.’’
 
La casa di Thomas Moore è enorme ma, perfino in uno spazio gigantesco come quello, c’è troppa gente.
Brittany nota con stupore che Moore non si è limitato ad invitare solo quelli della facoltà di Medicina, ma che si sia allargato fino a quella di Giurisprudenza. E questo può voler significare solamente una cosa, solo che Britt non vuole pensarci.
Cerca Sarah con lo sguardo, mentre saluta qualcuno di tanto in tanto e scambia quattro chiacchiere con qualcun altro, benchè la musica lo permetta poco. Ha indossato un semplice tubino nero, forse troppo corto ma non fa shopping da una vita e ha dato per scontato il fatto di essersi allungata di qualche centimetro. Non ha messo scarpe alte, perché guida meglio senza e perché nemmeno le interessa più di tanto.
Nonostante abbia una vita sociale abbastanza attiva, e quattro o cinque amici fidati, non si considera parte di quegli eventi.
Li evita.
Ed è quando trova Sarah da lontano che, però, viene distratta da qualcos’altro. Al bancone degli alcolici, poco distante dalla sua amica minuta, c’è Nawar Weill.
E non è da solo.
Quella che riconosce come Adeline Cavanought gli sta dicendo qualcosa all’orecchio, con i capelli biondi che gli ondeggiano sulle spalle e dei tacchi vertiginosi. Non sa se Nawar la vede o no, lei reputa soltanto giusto che sia così. Gli passa davanti per raggiungere Sarah e finge di non vederlo, anche se è matematicamente impossibile.
E, lo sa, lui la vede.
Sente i suoi occhi scavargli fin sotto la pelle, superare lo strato dei vestiti, ed arrivare fino alle sue gambe chiare scoperte. Brittany non è il tipo, non sa perché lo fa, eppure gli da le spalle e rivolge a Sarah un sorriso radioso.
‘’Sei bellissima’’ le dice, salutandola, e l’amica non può far a meno di ricambiare il complimento. Britt non ha un’autostima eccezionale, ha semplicemente imparato ad accettarsi, eppure – oggettivamente – è consapevole di essere bella. Forse non di quella bellezza che ti colpisce a primo impatto, ma di quella che emerge piano piano, gesto dopo gesto, sorriso dopo sorriso, scrollata di spalle dopo scrollata di spalle.
Ed adesso, sorprendentemente, vuole ballare.
Afferra la mano di Sarah e la allontana dal bancone, agisce senza pensare, spinta dalla consapevolezza – dalla speranza – che Nawar la stia ancora guardando.
E’ dalla morte di Lena che non si sente così viva.
Cerca di riportare alla mente il modo in cui ballava, come faceva ondeggiare i fianchi e come spostava su una spalla i capelli, come sorrideva e come faceva la linguaccia al primo che le rifilava qualche occhiata strana. Ha quasi l’impressione che ci sia anche lei lì, stipata in quella casa troppo grande ma troppo piccola, con una patina di sudore a coprire le braccia e il profumo alla vaniglia.
Riesce a vederla, anche se accanto a lei c’è soltanto Sarah, e ne è consapevole.
Quando sente delle mani poggiarsi sui suoi fianchi agisce proprio come agiva Lena, consapevole che fosse soltanto Nawar Weill. Eppure non c’è lui dietro di lei, non quella volta, perché Brittany Holes non è e non sarà mai Helena Wilson.
E’ arrabbiata.
Per cui si volta di scatto e fronteggia il ragazzo biondo cenere che si trova davanti, porta le mani sul suo collo e lo avvicina di più in modo da ballare meglio. Dopotutto, non ha senso che continui a torturarsi per tutta la sera, e Nawar non è più al bancone.
Non sa bene quanto tempo passa, anche Sarah sembra sparita nel nulla, quando il ragazzo – Travis – inizia ad avvicinarsi troppo. Ed è quello il tipo di contatto che le da fastidio, che le dava fastidio anche quando c’era Lena che la spingeva ad agire.
Vorrebbe indietreggiare ma il pensiero della sua migliore amica torna vivido nella sua mente e si distrae, si eclissa, si annulla come le capita solo di notte nel suo letto. E forse è perché sono quasi le due di notte, o perché è stanca di qualcosa da cui non ci si può riprendere, oppure semplicemente perché abbassa per un attimo la guardia, ma non si rende conto che qualcun altro ha afferrato i suoi fianchi e le ha impedito di baciare Travis, che va via l’istante successivo.
Perché Nawar Weill, dietro di lei, con una camicia bianca mezza sbottonata e i rasta legati in alto, gli ha ringhiato di ‘’scomparire’’.
Ed è lì, lì davvero, e la tiene bloccata ad un centimetro di distanza dal suo volto, odora di birra e dopobarba ed è bello.
Nawar Weill è il ragazzo più bello che abbia mai visto.
E non è un assassino.
E, si rende conto, è la persona che aspetta da tre anni. La stessa che amava Lena, la stessa per cui abbia mai versato una lacrima.
Ed è con lei.
Non si allontana ma non reagisce al suo tocco forte, anche se vorrebbe. Semplicemente gli urla qualcosa che somiglia ad un ‘’non hai nient’altro da fare?’’
E, ancora una volta, la risposta di Nawar la sorprende. ‘’No.’’ Giurerebbe che è arrabbiato o quantomeno innervosito, ma non osa chiederglielo. Le manca il respiro, e si rende conto che quel tipo di vicinanza le fa ancora più male di quella degli altri.
Poi Nawar le lascia i fianchi e le afferra i polsi, lei lo segue fra la folla a suono di gomitate e le sembra di tornare indietro nel tempo, a quando Lena l’ha portata sulla scala d’emergenza per fumarsi una canna. Nawar non la porta lì, fortunatamente, ma fuori. Si accende quella che sembra una sigaretta rollata precedentemente, ma Britt non la distinguerebbe mai da una canna in entrambi i casi. Lo osserva tenerla fra il pollice e l’indice, inalare ed esalare al cielo.
Non le dice niente e lei si siede a terra, nemmeno le importa che le si sia alzato troppo il vestito. Vuole tornare a casa, afferra la borsetta nera e tira fuori le chiavi della sua macchina. E’ rimasta anche per troppo tempo.
‘’Resta.’’
E’ la prima cosa che Nawar le dice, sedendosi sul marciapiedi accanto a lei e guardando il cielo. Sputa via un po’ di fumo e torna a guardare in alto. Britt non ha la forza di muoversi e si odia per questo.
‘’Lena non si sarebbe arrabbiata, se fosse stata qui’’ le dice. ‘’Forse all’inizio, ma ha sempre voluto vederti felice. Non ti avrebbe detto niente e non te ne avrebbe fatto una colpa.’’
‘’Ma per cosa?’’
Non riesce più a seguirlo, ed ha bevuto solo metà Cuba Libre.
‘’Per questo.’’
Non si rende nemmeno conto che Nawar l’ha fatta voltare e che le è vicinissimo, perché sente le sue labbra fredde sulle sue e gli si getta praticamente addosso. Porta le mani nei suoi capelli, rasta spessissimi, glieli scioglie mentre lui le accarezza la schiena mezza scoperta ed approfondisce il bacio. Ma come ha fatto a perdersi questo?
E Brittany giura, spergiura, che sente qualcuno cantare.
Ritorna indietro, al mondo che si era creata quando ancora credeva che non ne esistesse davvero uno, un mondo dove ci sono una ragazzina bionda e mille splendidi soli. Ha di nuovo nove anni, cammina di nuovo lungo il prato di casa sua, verso lo scivolo, verso il cielo, e da lontano c’è.
Mentre abbraccia Nawar Weill e si perdona, Britt ritorna in un mondo in cui c’è una ragazza mora su un motorino rosa.
E le sta sorridendo. 


 
___________________________________________

Buon compleanno a me :)
Harryette
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Giallo / Vai alla pagina dell'autore: Harryette