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Autore: Watashiwa    28/08/2015    1 recensioni
Raccolta sui personaggi di Naruto, a che fare con le loro emozioni più intime o più esplicite, a seconda delle situazioni che si troveranno ad affrontare e a vivere senza riserve.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Più contesti
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Too late
 
Lee fu l'unico a decidere di seguirlo dopo che la lezione estenuante al dojo finì, notando il suo sguardo triste e diverso dal solito.
Si era allontanato senza dire niente ai suoi compagni ed aveva pedinato con passo regolare il suo amico, sentendo nell'aria un'atmosfera più grigia e metallica, intensiva.
Nonostante non avesse avuto opportunità per conoscerlo meglio in tutti quei mesi che erano iniziati gli allenamenti, sapeva bene che abitudine di Choji era tornare a casa per riposarsi, per poi trovarlo sereno e con quell'aria da pacioccone che lo contraddistingueva da ogni ragazzo della città.
Quest'idea si confermò mentre percorreva vie su vie e si avvicinava nel condominio malfamato nel quale viveva, dove si percepiva qualcosa di marcio e lontano dai gesti che rendevano Choji un ragazzo invidiabile per qualunque genitore per compostezza ed educazione.
Lee sentì una porta d'ingresso chiudersi violentemente mentre mancavano poche decine di metri al grosso edificio; doveva trovare un modo per affrontare Choji e usare quasi una scusa per conoscerlo meglio, per sapere cosa ronzava nella sua testa e proteggeva con i suoi silenzi.
Proprio lui veniva osservato severamente da tutti i sensei durante le lezioni di Ju-Jitsu e capitava che Choji facesse sempre più riscaldamento degli altri oppure che venisse spronato dal maestro Asuma o dal perfido Hiashi, il gestore dell'intera struttura che, piuttosto che incoraggiarlo, spesso si prendeva la libertà di apostrofarlo con termini poco carini come "ciccione", "peso morto", "grassone".
L'omertà degli altri adulti e degli allievi era sconcertante ed opprimente in quanto vigeva la regola del rispetto verso l'autorità, ma qualche volta anche Lee sentiva il bisogno di dire qualcosa di pacato a riguardo, anche perché il tema della diversità e del bullismo psicologico gli erano molto cari, data la sua infanzia e la sua propensione a fare cose che agli altri bambini non interessavano parecchio.
La fortuna  nel trovare una guida così attenta ed euforica come il maestro Gai era stata fondamentale per la sua formazione, così come trovare stimoli e possibilità di rivalsa nei suoi compagni di corso, che gli erano tutti vicini, tutti tranne Choji.
Lui era l'emarginato, l'incompreso, quello dai chili di troppo, l'ultima ruota del carro in qualsiasi cosa facesse: ma Lee era determinato e curioso di porre fine a quella storia così strana e sospesa a mezz'aria.
Quando il giovane arrivò sulla soglia della porta dai vetri trasparenti ma comunque sporchi da varie ditate, rimase sorpreso nel vedere il grande borsone d'allenamento del ragazzo con accanto una garza piena di sangue, ancora fresco data la tinta che copriva il biancastro della reticella.
Come d'istinto si avventò sulla porta preso da una crescente e costante angoscia e si accorse che fortunatamente, nonostante il violento impatto, l'imponente porta d'ingresso non si era chiusa del tutto.
Di Choji non c'era traccia, così come di anima viva nel lungo corridoio, illuminato da luci artificiali che man mano perdevano la loro potenza luminosa.
Il giovane allievo compì dei passi lunghi e si ricordò che ore prima Choji portava una benda all'altezza del polso sul braccio destro ma nonostante lo avesse visto di sfuggita, non rammentava che si fosse imporporata di quel rosso così acceso.
Tutte le preoccupazioni e gli interrogativi del ragazzo moro vennero bruscamente interrotti da un ascensore che nella scala accanto si chiudeva e come d'istinto, Lee pensò subito all'amico.
Si precipitò correndo verso quel rumore così fastidioso che produceva l'ascensore e vide di soppiatto il numero quattro, ma Lee era già partito alla riscossa, contando ogni piano e salendo in alto, sempre più in alto.
Quando arrivò al quarto piano si rese conto che l'ascensore stava ancora continuando ininterrottamente il suo lavoro e per questo motivo continuò la sua marcia impazzita verso il confronto, mentre le luci che illuminavano quell'ambiente così grigio, decadente e ristretto, iniziavano a spegnersi e a lampeggiare, probabilmente per la poca manutenzione o poca energia.
L'ascensore aprì le sue porte quando Lee era al settimo piano e con uno sforzo disumano si dirigeva all'ultimo, notando che non c'erano più porte di legno di abitazioni ma si era giunti al tetto del condominio, piatto e con una ringhiera bassa in ferro a circondare l'intera area.
Con ancora il fiato in gola, urlò il nome di Choji con tutta la grinta che aveva dentro di sé: quest'ultimo non si girò subito ma alla fine non poté farne a meno, quasi stupito del fatto che una persona non così amica fosse lì in quel momento.
L'entusiasmo di Lee si spense quando vide gli occhi castani dell'adolescente inumiditi dal pianto, mentre si trovava al limite della ringhiera, così come la paura che aveva provato fin dall'uscita alla palestra si tramutò in terrore quando per terra notò che i metri che lo distanziavano da lui erano cosparsi da chiazze irregolari e rosse, sempre di quella tonalità che aveva visto poc'anzi.
Fu un attimo: un urlo implorante e soffocato dalla stanchezza, un movimento fulmineo verso una direzione che Lee mai avrebbe accettato e condiviso e un volo silenzioso quanto irritante verso l'asfalto demolente, centro d'accoglienza per delle anime che non erano mai state abbastanza per il mondo, mai per loro stessi.
Lee rimase a guardare impietrito, non ancora conscio e consapevole che tutta quella drammaticità e di come avesse deciso troppo tardi di penetrare un mondo difficile che chiedeva solamente un po' più di comprensione e di bontà, piuttosto che indifferenza e screditamenti continui.
La pioggia iniziò a cadere proprio mentre la prima lacrima invase i suoi piccoli occhi scuri: era solo l'inizio di un dolore che non avrebbe mai potuto liberare per nessuna ragione al mondo, nemmeno facendo lo stesso gesto in futuro.
La sua innocenza finì definitivamente quel giorno, con un peso ad attanagliargli il cuore e una determinazione rabbiosa e nera, che gli sussurrava, da quel momento in avanti, di non concentrarsi più velocemente sulla sua serenità ma anche di quella di persone che, come lui, avevano assaporato il bullismo ma con una forza e luce diverse.

 
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