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Autore: QWERTYUIOP00    30/08/2015    2 recensioni
“Non hai paura di morire?” domandò lei sorpresa.
“Nessun trofeo dei miei trionfi mi precede. Ma ho vissuto bene, e la mia anima riposerà in pace” risposi io pacato “Gli uomini non sono altro che carne e sangue. Conoscono il loro fato, ma non il momento. In questo, sono benedetto perché conosco il momento della mia morte… per affrontare il mio equo destino, e poi cadere”
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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“La morte è un’usanza che tutti, prima o poi,
dobbiamo rispettare”
Jorge Louis Borge
 
 
“Sono nato ottantasette anni fa. Per sessantacinque anni sono stato l’Imperatore di Tamriel. 
Ma in tutti questi anni non ho mai regnato sui miei sogni. Ho visto i Cancelli di Oblivion, oltre i quali nessun occhio desto può vedere. Nascosta, nell’oscurità una maledizione si diffonde sulla terra.
È il ventisettesimo giorno di Ultimo Seme, dell’anno 433 di Akatosh.
Sono gli ultimi anni della terza era, e le ultime ore della mia vita.”
 
 
La brezza leggera mi muoveva i capelli argentati nella notte.
Il mio abito  blu finemente decorato con gli stemmi imperiali si alzava debolmente come le mani di un morituro. 
“Come me” pensai cupamente.
Tutt’intorno alla mia esile figura si stagliava la Città Imperiale, il Lago Rumare, Cyrodiil, Tamriel.
Il mio impero, l’impero dei miei padri. L’impero del nono divino Talos.
Da lassù, in effetti quel folle disegno, quella malsana idea dei miei antenati di governare su tutta Tamriel non appariva così impensabile, così impossibile.
C’ero io. E poi tutto il mondo al di sotto.
Eppure, cosa serviva a me tutto quel potere, se non potevo impedire gli eventi che sarebbero successi prima o poi?
Ero stato imprigionato nell’Oblivion per dieci anni, avevo protetto il mio popolo durante gli eventi della Curvatura dell’Ovest, lo avevo tranquillizzato durante il ritorno del Nerevarin e la Crisi di Vanderfell.
Eppure mai ero stato più inquieto.
Gli incubi turbavano il mio sonno da tempo, ma non era ciò che vedevo quello che mi spaventava, quanto il sapere che gli eventi che vedevo sarebbero avvenuti prima o poi.
E ormai eravamo più vicini al “prima”.
Erano mesi che nei miei incubi vedevo l’Oblivion, le Deadlands, avevo identificato grazie ad un libro.
Mehrunes Dagon sarebbe tornato presto, questo era certo.
Ma non era il reame del Principe della Distruzione l’unica cosa che vedevo.
I miei figli morti erano una visione ricorrente.
Avevo cercato di risolvere la questione alla radice, eppure le visioni persistevano.
Non c’era speranza per loro.
Da mesi ormai vedevo anche un sacerdote. Un uomo con una tunica grigia con lunghi capelli castani, gli occhi di un azzurro brillante.
All’inizio non capivo, ma poi un’altra visione mi rivelò l’identità del misterioso prete.
Un amuleto, un amuleto composto a un sottile filo dorato al quale era appeso un grosso diamante rosso circondato da altri otto gemelli più piccoli e di diverso colore.
La mia mano si portò al mio petto stringendo l’Amuleto dei Re.
Quel misterioso oggetto dono di Akatosh a Sant’Alessia era usato per sugellare l’incoronazione di un nuovo imperatore.
Significava che con ogni probabilità ero morto anch’io. E che quel misterioso prete nel quale avevo infine riconosciuto il mio figlio bastardo avrebbe preso il mio posto.
Mi tornò in mente la ragazza.
Già, quella la stavo per dimenticare nonostante pensassi a lei tutto il tempo.
Chi era?
Ma soprattutto come avrebbe fatto a fermare la catastrofe che era sempre più vicina?
Delle urla ruppero la mia meditazione. 
Ebbi un sussulto.
Che fosse davvero l’inizio?
Il silenzio calò prepotentemente un’altra volta nella notte.
Adoravo stare ore sulla cima della Torre Oro Bianco: non per il panorama, non per l’orgoglio che creava quella posizione alla sommità del mondo, non per il fresco tocco dei venti che mi accarezzavano le guance come la mia defunta moglie, no.
Era per il silenzio. Quella poesia che scaldava il cuore e rilassava la mente penetrandoti, facendoti credere di essere giunti alla fine, alla morte. Quel paese sconosciuto da cui nessun viaggiatore è tornato.
Quei farneticanti, quei megalomani che credono di poter riportare in vita in morti dall’Aetherius, che stolti.
Vittime di un inganno che chi l’ha sortito non è altro che il primo ad esserci cascato.
Dare vita ad un cadavere non è resurrezione, non è immortalità, perché il primo passo per questa non è altro che la morte. La morte che i vili temono e gli stolti bramano.
Un uomo giusto l’attende soltanto, com’è nel volere dei divini.
Quel silenzio però non era il solito, le grida che lo precedettero non facevano altro che rimbombare stridendo.
Dove sono tutti? Perché non vengono a tranquillizzare un vecchio?
Infine qualcuno venne.
Un guanto ferrato cozzò contro la botola ripetutamente.
Non era un buon segno.
Mi voltai e, chinandomi, alzai la botola di legno mentre i cardini di ferro emettevano lamenti acuti.
Dal piano di sotto una testa mi guardò.
Un viso delicato con gli occhi di un verde acceso, grandi fari che scrutavano tra le ombre.
Sembrava quasi sorpresa che le avessi aperto la botola.
“Non sono così vecchio, Capitano Renault” dissi cordialmente, ma la mia espressione era grave.
“C-come?” farfugliò la Blade di rimando. Stava indossando l’armatura tipica del suo ordine, compreso l’elmo.
“Non è nulla” la tranquillizzai.
Non volevo perdere altro tempo.
“Signore… i vostri figli…” cominciò quella.
La mia debole presa sulla botola si allentò mentre la mia mano si portò subito all’amuleto.
Renault si protesse col braccio dalla caduta della pesante botola.
Dunque il giorno è arrivato.
È cominciata.
“Dobbiamo andare, signore…” continuò la Bretone titubante “Baurus e Glenroy la stanno aspettando.”
I miei figli erano morti. 
Gli assassini erano arrivati.
Ma non potevo rimanere lì. Quel giorno non potevo essere un vecchio padre che piange i suoi figli.
Quel giorno dovevo essere Uriel Septim VII, imperatore di Tamriel.
La mia scorta personale, formata dal Capitano Reanult, da un Imperiale di nome Glenroy e un Redguard che si chiamava Baurus, mi condussero attraverso cunicoli e passaggi segreti, ponticelli e scale, cancelli e condotti. 
Infine arrivammo ad una lunga scala che conduceva in superficie.
Io, stremato, non potevo riuscire in una tale e impresa e, mordendomi il labbro, chiesi a Baurus, bofonchiando: “Ser, non è che potresti, come dire, aiutare un povero vecchio?”
“Oh, ma certo, mio Imperatore!” fu la risposta gioiosa del giovane Redguard.
Era entrato da poco nelle Blade, forse era il suo primo incarico come mia guardia.
“Povero Baurus, sono i giovani come te che patiranno di più da ciò che verrà” pensai.
Desiderai avere affianco un’altra volta Jauffre. Quell’uomo aveva anch’egli una certa età, eppure non si sarebbe tirato indietro. E magari avrei evitato di portarmi dietro quei  giovani dalla moritura vitalità.
Quando raggiungemmo la sommità della scalinata, Renault, con i polpastrelli, fece scorrere un pannello che all’esterno appariva come un muro normale ed entrammo in un corridoio stretto e oscuro con una lanterna appesa al soffitto che inclinava dolcemente verso il basso.
Mentre avanzavamo quel luogo mi diventava sempre più famigliare: l’oscurità, il puzzo, le pareti all’apparenza massicce e opprimenti…
“I miei figli” chiesi infine, già a conoscenza della risposta “sono morti, non è vero?”
Dovevo sentirlo dalle loro labbra, dovevo sapere se era tutto vero…
“Non lo sappiamo, sire” rispose Renault “il messaggero ha detto soltanto che erano stati attaccati”
Non era certo, dunque. Forse non era ancora…
Sciocchezze, i sogni parlavano chiaro.
“No, sono morti” sospirai sconfitto “lo so”
“Il mio lavoro ora è di portarla al sicuro” ribatté la Bretone.
Svoltammo l’angolo alla fine del corridoio e vidi, oltre le scale, delle sbarre mentre si poteva udire qualcuno sghignazzare.
“Io… conosco questo posto” dissi “le prigioni?”
Dove mi stavano portando? Erano anche loro con gli assassini?
“Sì, vostra Maestà” rispose il capitano “Sotto il quartier generale della Legione. Vi stiamo portando ad una via di fuga segreta nota sollo alle Blade. Nessuno può seguirci attraverso quella.”
Le mie guardie si fermarono davanti ad una cella con dentro una ragazza.
Mi guardai attorno. 
Eravamo in una stanza buia con l’aria pesante e il puzzo di escrementi tangibile.
Solo due celle erano occupate: quella di un dunmer che ci guardava dubbioso in silenzio dietro di noi e quella davanti alla quale ci eravamo fermati.
“Cosa ci fa questa prigioniera qui?” sbraitò furibonda Renault “questa cella dovrebbe essere interdetta”
“Il solito fraintendimento con la guardia… io” cercò di difendersi Glenroy.
“Non importa” lo interruppe il capitano “Aprite questo cancello”
“Sta indietro prigioniera” ordinò poi alla ragazza “non esiteremo ad ucciderti se ti metterai sulla nostra strada”
Non riuscii a non sorridere pensando all’autorità che emanava il Capitano Renault.
Mi chiesi che vita aveva prima di diventare una Blade… che vita avevano Jauffre, Baurus, Glenroy…
La prigioniera fece quanto richiesto ed indietreggiò fino al muro opposto della cella.
“Bene, andiamo” dichiarò soddisfatta la Bretone entrando nella cella assieme alle altre due Blade “non siamo ancora fuori di qui”
Renault attivò il passaggio segreto e un muro della cella, nel quale era stato incavato il letto si abbassò rivelando un lungo corridoio scavato nella roccia.
Soddisfatto, avanzai verso la via di fuga quando, per curiosità, mi voltai a guardare la prigioniera.
Mi paralizzai.
Oh, dei…
Il suo esile viso faceva capolino sul suo corpo minuto da Imperiale, scavato dalla fame.
Aveva la faccia a forma di cuore, con degli occhi scuri che trasmettevano curiosità… e paura.
Paura.
Povera, povera ragazza.
“Ti conosco… fammi vedere il tuo viso” le dissi per avvicinarmi.
Non poteva essere lei… no.
E invece lo era.
“Tu sei quella dei miei sogni…” mi arresi.
Voleva dire…
“Allora le stelle avevano ragione… e questo è il giorno. Dei, datemi la forza” pensai a voce alta.
Il mio giorno era arrivato.
La ragazza continuava a guardarmi, terrorizzata.
Ah, le catastrofi. 
L’innocenza è la loro prima vittima.
“Cosa succede?” chiese quella in un finto tono deciso.
Si udivano i singhiozzi soffocati.
“Degli assassini hanno attaccato i miei figli ed io sono il prossimo” risposi pacatamente chiedendomi come potessi parlarne così freddamente.
“Imperatore, non padre” mi dissi.
“Le mie Blade mi stanno conducendo fuori dalla città attraverso una via di fuga” aggiunsi “e per caso, questa passa attraverso la tua cella”
Non un caso, lo sapevo bene.
“Chi sei tu?” domandò di nuovo la prigioniera, tranquillizzata.
Non mi conosce?
“Io sono il tuo imperatore, Uriel Septim” mi presentai “per la grazia degli Dei, io servo Tamriel come suo governatore”
“Anche tu sei una cittadina di Tamriel e anche tu la servirai a tuo modo” aggiunsi.
Possibile che fosse davvero lei, la donna che ci salverà dalla distruzione?
“Perché sono in prigione?” chiese infine, dopo un attimo di pensiero.
Chi era quella donna?
 Gli Dei ci stavano affidando ad una criminale?
 Una pazza? Chi era?!
“Forse gli Dei ti hanno messo qui al fine di farci incontrare” suggerii.
Dovevo avere fede.
“E per quello che hai fatto…” le dissi infine “non importa. Non è per quello che sarai ricordata”
La donna a quelle parole apparve più fiduciosa.
“Io vado per la mia strada” dichiarò.
Troppo fiduciosa.
“E così noi tutti” acconsentii io “Ma quale sentiero può essere evitato se la sua fine è fissata dagli Dei onnipotenti? Prenditi cura di te. Ci sarà sangue e morte prima della fine”
“Più di quanto Tamriel abbia mai visto” pensai.
La ragazza parve turbata da quelle parole e rimase ferma mentre io e le mie guardie entravamo nella via di fuga. Mi voltai un’ultima volta verso la prigioniera.
“Fa presto” pensai.
Avanzammo, folli, non credendo che il destino non potesse vincere anche noi.
Ma questa credenza durò poco.
Superato il tunnel, ci si presentò una larga sala in pietra, con un scalinata al centro.
Ci avviammo in quella sala per poi venire attaccati.
Gli assassini, gli assassini dei miei figli, i miei assassini.
Una nera armatura con un manto cremisi che avvolgeva l’elmo, una orrida maschera dai tratti malvagi, eppure tranquilli.
“Sono di nuovo loro!” sbraitò Reanault “proteggete l’imperatore!”
“Perché? Ormai io sono condannato, non ci sarà alcuna vittoria nella mia vita contro il Principe della Distruzione. Lasciatemi andare, salvatevi” pensai.
Ma non potevo dirlo. Noi tutti saremmo morti, ma io dovevo svolgere un ultimo compito.
Con Baurus e Glenroy ai miei fianchi avanzai fino ad essere al sicuro mentre le due Blade tornarono alla carica.
L’acciaio strideva contro acciaio in quelle cripte, sovrastando il silenzio altrimenti presente.
La ragazza arrivò.
Si avventò  mani nude contro un assassino della Mitica Alba facendolo cadere e cercando di strappargli l’elmo, l’uomo, una volta ripresosi, stava per colpirla con l’ascia quando Glenroy arrivò mozzandogli il braccio. 
“Sta indietro prigioniero” le intimò “non provare a seguirci”
Quando lui e Baurus tornarono quest’ultimo mi disse: “State bene, sire? È pulito ora”
“Il capitano Renault?” chiesi gravemente.
“E’ morta” rispose quello con una certa freddezza “Mi dispiace, signore, ma dobbiamo continuare a muoverci”
Una volta detto questo, Glenroy aprì una grata dietro di me e proseguimmo dopo che l’ebbe richiusa alle nostre spalle, tra i lamenti del metallo.
La prigioniera non poteva seguirci, ma ne ero sicuro, sarebbe tornata.
Una persona tanto fragile… poteva scatenare rabbia, una furia omicida, poteva uccidere probabilmente.
Ma era quello che volevano gli dei?
Mi ero forse sbagliato su quella figura dei miei sogni?
No, non potevo dubitare. Non io.
“Imperatore, non vecchio padre”
Avanzammo nelle tenebre, come topi in cerca delle briciole ma spaventati dal gatto.
Ogni angolo, ogni alcova, ogni muro doveva essere controllato.
Avanzammo in silenzio, come un condannato a morte.
“Eravamo condannati a morte”
Quale menzogna era il potere, re e generali si erano inginocchiato al mio comando, legioni e legioni avevano sfilato davanti a me giurandomi fedeltà, un continente obbediva ai miei ordini.
Potere fine a se stesso.
In quel momento, nell’ora più buia io, imperatore di Tamriel, discendente di Tiber Septim, stavo scappando dalla mia stessa città.
Chi mi proteggeva tra tutte quelle legioni? Tre persone.
E una era morta, come i miei figli. E non sarebbero stati gli unici. 
Soltanto i primi del massacro.
Veramente esistevano gli dei, se quello che vedevo stava per accaere?
Che potere avevano, cosa volevano?
Promisero a Sant’Alessia di creare una barriera tra il Mundus e l’Oblivion.
Ed ora cosa stava accadendo?
Ora ci stavamo vanamente difendendo contro le orde del Principe della Distruzione.
Che cosa volevano da me, gli dei? Che cosa volevano da quella prigioniera?
Avanzammo ed altri assassini arrivarono.
E le mie guardie li respinsero.
E così di nuovo.
Tutto, tutto inutile.
E, alla fine, ricomparve da un buco in un muro laterale.
Era ancora viva.
Aveva raccolto nel percorso alcune armi di ferro e parti di una corazza.
“Dannazione! È ancora quella prigioniera!” sbottò Glenroy “uccidila, potrebbe lavorare con gli assassini”
“No, non è una di loro” li tranquillizzai io “Lei può aiutarci. Lei deve aiutarci”
“Come desidera, signore” ubbidì Glenroy.
Le feci cenno di avvicinarsi e la presi in disparte.
“Non possono capire perché mi fido di te” iniziai “Non hanno visto ciò che io ho visto. Come posso spiegare? Conosci i Nove e come guidano le nostre vite con una mano invisibile?”
“Non sono in buoni rapporti con i Divini” ripose lei, dubbiosa.
“Ho servito i Nove tutta la mia vita” continuai io “tracciando il mio percorso nel ciclo del firmamento. I cieli sono segnati da innumerevoli scintille, e per ogni fuoco, vi è un segno. I segni che ho visto mostrano la fine del mio sentiero. La mia morte, una fine necessaria. Verrà quando verrà”
“Non hai paura di morire?” domandò lei sorpresa.
“Nessun trofeo dei miei trionfi mi precede. Ma ho vissuto bene, e la mia anima riposerà in pace” risposi io pacato “Gli uomini non sono altro che carne e sangue. Conoscono il loro fato, ma non il momento. In questo, sono benedetto perché conosco il momento della mia morte… per affrontare il mio equo destino, e poi cadere”
“Puoi vedere il mio destino?” chiese la ragazza. Le era tornata la paura di prima, ma era più velata.
“I miei sogni non mi garantiscono nessun successo. La loro bussola non si avventura oltre le porte della morte. Ma nella tua faccia, io riconosco il compagno del sole. L’alba della splendente gloria di Akatosh potrà bandire l’oscurità che si avvicina. Con tale speranza, e la promessa del tuo aiuto, il mio cuore deve essere soddisfatto” spiegai.
“Dove stiamo andando?” domandò infine. Non vi era più paura, ma tenacia sul suo volto.
Sospirai rassegnato.
“Io vado alla mia tomba” dissi “Una voce, più acuta di tutte le altre mi chiama. Mi seguirai ancora per un po’, poi dovremo dividerci”
Detto questo, passammo alla stanza successiva, dove venimmo attaccati.
Notai soddisfatto che la ragazza combatté con determinazione e uccise due dei loro uomini.
Forse era veramente lei, e quelli di prima erano solo i dubbi di un vecchio. Un vecchio padre…
Sconfitti gli assassini, proseguimmo in un’ampia sala con al centro una ripida scalinata che scendeva.
Davanti ad essa, una porta conduceva ad una piccola stanza, mentre la parete di fianco aveva una grata che continuava la nostra via.
“Muoviamoci, non mi piace questo posto” sbottò Baurus.
Arrivati alla grata, scoprimmo che questa era bloccata.
“Dannazione!” urlò Gleroy “Un'imboscata! Conducete l’Imperatore là dentro” disse indicando la stanza di fronte alla scalinata.
Baurus e la ragazza mi accompagnarono lì e il primo intimò all’altra di proteggermi al costo della sua vita.
“La mia vita è vissuta, usata” pensai “quella della ragazza è la più importante in questo momento”
Era la fine, riconoscevo quella stanza, e ciò che sarebbe accaduto.
Non c‘era tempo da perdere, dovevo agire.
“Io non posso andare oltre” dissi alla ragazza sfilandomi l’amuleto “Tu, da sola, dovrai resistere contro il Principe della Distruzione e i suoi seguaci mortali. Non deve avere l’Amuleto dei Re!” e le misi il gioiello in mano.
Imperatore, eserciti, re, generali… e il nostro destino è relegato ad una cosa così piccola… un gioiello… e ad una ragazza…
“Tieni l’amuleto” le ordinai “Dallo a Jauffre. Solo lui sa dove trovare il mio figlio perduto. Trovalo e chiudi le fauci dell’Oblivion”
Lei non riuscì a dare una risposta quando, sbarrando gli occhi, vide un muro scorrere dietro di me, un assassino avventarsi sul mio corpo, un pugnale trafiggermi…
Era finita.
Riponevo il destino di Tamriel in quella ragazzina, il destino di tutti.
Ed io andavo nell’Aetherius. Dai miei padri, da mia moglie, dai miei figli…
Ho affrontato il mio equo destino, e sono caduto.
 
 
 
 
 
Ciao, spero che questa one-shot vi sia piciuta, ho preferito mantenere la maggior parte dei dialoghi originali perché… perché semplicemente li trovo stupendi, specialmente sentiti in lingua originale.
Ad ogni modo, vi saluto.
   
 
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