Di fiori
bianchi e caverne
sotterranee
{I’ll
make a warrior out of you yet}
Il
primo è incastrato in
un
basso cespuglio, lo raccoglie con destrezza, veloce.
Octavia
non esita un
istante, camminando sul sentiero che si dirama nel bosco, lontano
dall’accampamento.
In breve, le luci, i rumori e le voci che le sono familiari si
attutiscono,
scomparendo tra gli alberi. Il secondo fiore è sospeso su un
ramo, il terzo,
poco prima l’entrata del nascondiglio sotterraneo.
Le
basta spostare rami e
foglie secche utili a nasconderne l’accesso, calarsi nella
terra, camminare per
qualche metro nel corridoio angusto e freddo, prima di ritrovarsi nella
caverna
di Lincoln.
In
quel momento lui è di
spalle, sta disegnando qualcosa sul muro e Octavia può
vedere i muscoli contrarsi
sotto la pelle, le spalle ampie e forti che le hanno salvato la vita
tendersi
come ali.
Si
avvicina lentamente,
sfiorargli appena la schiena.
«Sei
venuta, alla
fine.» il
tono dell’uomo è roco, controllato, per nulla
sorpreso.
Mi
ha
sentita arrivare,
pensa fra sé.
Sono
qui,»
risponde, percorrendo
delicatamente la linea evidente della spina dorsale e per un momento,
Octavia è
sicura che il suo respiro si sia fermato, «Volevo vederti
prima di−»
«Octavia,»
la
interrompe,
continuando a disegnare sulla pietra, concentrato, «Dovresti
rimanere qui.»
Eppure,
quell’affermazione
così vera, ovvia, pericolosa,
cade
nel vuoto. Vero, il suo accampamento potrebbe essere attaccato in ogni
momento
− un’altra volta − ma lei ha provato il
fortissimo quanto egoistico impulso di
correre da lui, al sicuro fra le sue braccia.
Lincoln
si volta, e Octavia
sarebbe costretta ad alzare il capo per guardarlo negli occhi, ma non
lo fa;
rimane a osservare il suo petto, con minuzia, analizzando attentamente
le linee
decise dei tatuaggi senza capirne realmente il significato.
«Cosa
significano?» chiede, sfiorando
con le dita il disegno sul collo, spostando lo sguardo su quello
dell’uomo.
Lincoln non risponde, − non lo fa quasi mai, del resto,
preferendo che sia lei
a trovare una risposta ai suoi silenzi − chinandosi per
baciarla.
Un
bacio nuovo, diverso, impetuoso
− perché
Lincoln è questo, è
silenzi e sorrisi appena accennati quando camminano insieme nei boschi,
mentre
le insegna a riconoscere piante e tracce animali, e Octavia rivede in
lui
quella bambina spaventata che viveva sotto le assi di un pavimento
sull’Arca,
riservata e introversa.
«Ricordi
di
guerra,» ogni
volta che le parla, non riesce a non sentirsi affascinata e incuriosita
dai
suoi racconti, di qualsiasi natura essi siano.
Lincoln
ha quel tono di voce
rude e al contempo rassicurante, carismatico, da cantore, che Octavia
rimarrebbe
ad ascoltare per ore − come sua madre che, quando lei e
Bellamy erano bambini,
raccontava loro di dèi, mostri ed eroi −
«Ognuno di questi ha un significato
diverso.» vedendola così assorta, lui sorride
appena, alzandole il mento con
due dita, guardandola negli occhi.
Li ha
scuri come il cielo
stellato, − quasi come i suoi,
forse è
per questo che sono più simili di quanto pensi − e
per la prima volta nella sua
vita, Lincoln darebbe qualsiasi cosa per vederli perennemente
illuminati di una
luce nuova e brillante che non sia quella della paura, o della fame,
del
terrore di morire.
Perché
Octavia
è forte − più
di tanti altri ragazzini venuti dallo spazio − e lui, suo
malgrado, lo ha visto
sin dall’inizio. Così la prende in braccio,
continuando a baciarla, le dita fra
i suoi lunghi capelli scuri, i respiri a mescolarsi nel crepitio
indistinto del
fuoco, protetti dalle spesse pareti della caverna; si stende con lei
sul
giaciglio di morbide pellicce, spogliandola lentamente, imprimendosi
nella
mente ogni dettaglio del suo corpo, trovandola bellissima. Non smette
di
guardarla neppure per un momento, neanche quando è lei a
prendere in mano la
situazione, scrutandolo attentamente, parlandogli con gli occhi
− voglio fidarmi di te,
sta dicendo, non lasciarmi andare, stammi
vicino,
sembra che sussurri e Lincoln comprende ogni sua paura, ogni timore,
perché un
tempo le paure di lei erano state le sue.
«Farò
di te
una guerriera,»
sussurra, baciandole la fronte, il collo, una spalla, intrecciando le
dita con
le sue e i loro occhi si cercano, rincorrendosi come costellazioni nel
cielo,
«Ti insegnerò a non avere paura di
niente.»
Octavia
sorride, a quelle
parole. Si avvicina a lui, facendo scontrare i loro corpi, incastrati
come
pezzi di uno stesso mosaico.
«Per
questa
notte,» gli
confida a bassa voce, mentre Lincoln non smette di baciarla, di
stringerla
contro il suo petto, facendole venire i brividi, «Non voglio
pensare ad aver
paura. Ma domani, poco prima dell’alba, tornerò
all’accampamento e−»
«No,
non puoi.»
«Mio
fratello−»
«Tuo
fratello se la
caverà,»
ribatte prontamente, fissandola a lungo negli occhi, «Lui non
vorrebbe che tu
fossi in pericolo. Rimarremo qui, e quando sarà passata
qualche ora.. andremo a
vedere. Ma prima di allora,» adesso, sembra che Lincoln la
stia supplicando, avvertendola,
ma lei sa che non è così. Non può
rimanere al sicuro mentre la sua gente muore,
«Rimarrai qui, Octavia Blake.» conclude, perentorio.
«Non
puoi
obbligarmi!»
Lincoln
l’attira
rapidamente
a sé bloccandole i polsi in una morsa ferrea, serio come
Octavia non l’ha mai
visto, le loro fronti vicinissime, gli occhi che mandano lampi; a
tratti,
adesso, il viso impassibile come marmo, sembra pericoloso. Ma non le
farebbe
mai del male. No, non questo.
La
fissa a lungo con
un’intensità che la spinge, più volte,
a guardare da un’altra parte per non
abbassare lo sguardo.
«Credi
che tuo fratello
ti
perdonerebbe mai per esserti fatta ammazzare perché volevi
aiutarlo?»
Lei
non risponde,
prendendosi del tempo. Non vuole pensare, o riflettere, contemplare la
possibilità che all’alba gli altri verranno uccisi
e lei non avrà fatto niente
per impedirlo. Vuole solo chiudere gli occhi, Octavia, sprofondare in
quella
terra soffice al tatto, dimenticare ogni cosa.
«Lui
vorrebbe che tu
fossi
al sicuro,» riprende Lincoln, scostandole una ciocca dal
viso, gentilmente, «Io
posso proteggerti.»
«Sarei
una
vigliacca.»
Lui
sorride come non l’ha
mai visto fare, sinceramente divertito.
«Ed
è questo che ti
preoccupa?
L’orgoglio? Sei coraggiosa, Octavia Blake,
ma a volte l’istinto di sopravvivenza conta più di
un’ascia nel petto. Hai la
mia parola che domani mattina, alle prime luci, ti riporterò
da tuo fratello.»
Octavia
annuisce, calmandosi
e riprendendo il controllo di sé. Una volta, da piccoli, lei
e Bellamy si erano
fatti una promessa: finchè fossero rimasti insieme, a
entrambi non sarebbe
accaduto niente di male. E adesso suo fratello era lontano chilometri
da lei.
«Va
bene,»
annuisce,
accennando un sorriso che, come Lincoln si accorge, non le raggiunge
gli occhi
scuri. Lui si alza dal giaciglio di pellicce, avvicinandosi al fuoco e
armeggiando in silenzio per qualche minuto.
Octavia
si guarda intorno,
portandosi
le ginocchia al petto, osservando le stelle dall’alto foro
nella roccia, sopra
le loro teste.
Quando
le si avvicina di
nuovo, Lincoln le porge una tazza di metallo colma di un liquido caldo
e
fumante, dall’odore dolciastro.
«Cos’è?»
«Com’è
che chiamate quella
bevanda che si prende alle cinque con i biscotti?»
Octavia
inarca un
sopracciglio, perplessa e sorpresa. «Tè?»
«Più
o meno,
suppongo: non
sono le cinque del pomeriggio e non ho biscotti»
Lei
ride, accettando la
tazza, bevendone un po’ e rabbrividendo appena per il calore
del liquido che le
scorre in gola, familiare e rassicurante. Sorride nuovamente al ricordo
del
surrogato di tè che veniva distribuito sul’Arca.
«Come
fai a sapere che si
prende alle cinque del pomeriggio con i biscotti?» domanda
curiosa dopo qualche
minuto, ma Lincoln le toglie la tazza dalle mani con
l’accenno di un sorriso compiaciuto
in volto, facendola sdraiare e coprendo entrambi con una pelliccia
chiara.
Octavia poggia il capo sul suo petto nudo, rannicchiandosi di fianco.
Cominciava
a fare freddo,
dopotutto.
«Credo
di averlo sentito
da qualcuno,
quando ero piccolo.»
«Davvero,
e da
chi?»
Questa
volta, crede di aver
avuto un’allucinazione. Il verso che fuoriesce dalla gola di
Lincoln è diverso,
quasi divertito, come.. una risata. Lincoln stava ridendo, dannazione!
«Non
lo ricordo, al
momento.
Dormi, Octavia.»
«Stavi
ridendo.» nota lei contro
il suo collo, il respiro corto, l’odore di un corpo vivo,
caldo e protettivo al
suo fianco. Era da tanto che non provava quella sensazione di sicurezza
totalizzante che aveva sempre associato a Bellamy.
«Sarà
stata
una tua
impressione.» lo sente borbottare, poco prima di ritrovarsi
con la schiena
contro il sottile materasso, il petto di Lincoln vicinissimo al suo.
Concentrandosi
un po’, riesce a sentire il battito del suo cuore.
Lui
si avvicina, baciandola
di nuovo, come se non potesse farne a meno: è una sensazione
nuova anche per
lui, occuparsi di qualcuno che non sia esclusivamente se stesso, tenere
alla
vita di Octavia come fosse la propria.
«Dormiamo,
adesso. O
domani
mattina sarai troppo stanca per camminare e non riuscirai a tornare da
tuo
fratello.»
«Va
bene,
d’accordo,»
ribatte lei, senza abbandonare il tono di sfida, «Mi hai
convinta.»
Diversi
minuti dopo, il
battito regolare di Octavia lo avvisa della sua immobilità,
al sicuro fra le
sue braccia. Alzando lo sguardo verso il cielo, Lincoln intravede il
bagliore
soffuso delle stelle illuminare il viso della ragazza, disegnandole
ombre
liquide sugli zigomi.
Sarà
un’ottima guerriera,
pensa fra sé, mentre
nei boschi si leva alto e feroce
l’ululare di lupi selvatici, l’eco di quel suono
perduto tra le fronde degli
alberi.
Si
sveglia alcune ore dopo
la mezzanotte, destato dal movimento impercettibile di una gamba contro
la sua
coscia.
Octavia
è ancora accanto
a
lui, ma si muove a scatti, come se stesse avendo un incubo. Lincoln le
scosta i
capelli dal viso, osservandola attentamente.
«Octavia,
svegliati.» le
sfiora una spalla, ma lei si irrigidisce al suo tocco, «Ehi,
sveglia.»
Muove
freneticamente gli
occhi al di sotto delle palpebre, il respiro irregolare di chi
è in pericolo
anche nel sonno.
Diversi
secondi dopo,
Octavia spalanca gli occhi, un urlo muto a uscirle dalla gola riarsa,
agitandosi al di sotto delle pellicce, spaventata.
Da
qualche parte, suo
fratello moriva e lei gridava.
Lincoln
la blocca sotto il
suo corpo, guardandola negli occhi, preoccupato.
«Va
tutto bene, era solo
un
incubo.» le sussurra, riuscendo per un attimo a calmarla,
eppure lei continua a
guardarlo come se non lo vedesse, come se oltre i suoi occhi ci fosse
una scena
che non può fare a meno di scrutare con inorridita
attenzione.
«È
morto,» mormora lei,
stringendo le mani di Lincoln tra le sue, in preda al panico,
«Mio fratello,
devo−»
«Sta
bene. Tuo fratello
sta
bene.»
«No,
lui è in
pericolo,
morirà. Lincoln, morirà.»
Octavia
si alza, nascondendo
il viso nell’incavo della spalla dell’uomo, gli
occhi lucidi. Vorrebbe
piangere, abbandonarsi alla disperazione, ma lui sa che non lo
farà. È forte,
Octavia Blake, più di qualsiasi donna abbia mai conosciuto.
«Sono
andato a
controllare
mentre dormivi,» le dice, quando ormai è
tranquilla, docile fra le sue braccia,
«Ho corso più veloce che potevo, non volevo
lasciarti a lungo. Non hanno
attaccato. Lo avrebbero fatto a mezzanotte ed è
già passata da un pezzo. Tuo fratello
ha organizzato turni di guardia, è all’erta. Sta
bene.»
Ma
lei è ancora persa
nei
suoi incubi, rivedendo scene di morti atroci e sangue, sangue ovunque.
Lincoln
le prende il viso fra le mani, inducendola a guardarlo.
«Sta
bene,
Octavia.»
«Non
lo so, dovrei essere
con lui e−»
Lincoln
sospira, accennando
un sorriso.
«Mi
ha detto di darti
questa,» così facendo, le porge la giacca scura di
Bellamy ancora tiepida del
calore del ragazzo, e Octavia se la infila velocemente sulle spalle
nude, i lunghi
capelli scuri come una cascata notturna sul petto, «Vuole che
tu rimanga qui,
per il momento. Finchè non sarà sicuro.»
«Come
faccio a sapere che
non è una tua scusa per tenermi qui?» il tono
è talmente sicuro di sé che
Lincoln si ferma un istante a riflettere, come se non avesse mai
contemplato la
possibilità di mentirle, fissandola attentamente.
«Cosa
c’è?» domanda allora
lei, curiosa del fatto che la stia guardando in quel modo, come un
cieco che
veda per la prima volta la luce del sole.
«Tra
la mia
gente,»
comincia, e Octavia intuisce sia arrivato il momento dei racconti sul
suo
popolo. Si mette comoda, poggiando il capo sulla sua spalla,
«Mentire alla
propria donna è un disonore quasi al pari del
tradimento.»
Lincoln
la guarda, e Octavia
sembra accorgersi quanto lui della precisa scelta di parole,
«Se un uomo mente alla propria donna è
perché ha paura di cosa lei potrebbe
rispondere. Ha paura di un
confronto.»
«Hai
detto alla
propria donna..» lo interrompe a un
tratto, incrociando il suo sguardo.
«So
cosa ho
detto.»
Lincoln
le sfiora il viso
mentre l’attira a sé, baciandola a lungo
finchè entrambi rimangono senza fiato.
«Adesso
dormi,
c’è ancora
tempo per l’alba.»
Octavia
si stende accanto a
lui, il capo nell’incavo del suo collo. Lincoln la circonda
con entrambe le
braccia, quasi impedendole di muoversi, riscaldandola dal gelo della
caverna.
«Questo
è un
altro modo per
dire che mi ami?» gli sussurra lei, sfiorando con le labbra
le linee scure dei
tatuaggi, avvertendo il battito veloce del suo cuore nelle proprie
vene. Lui
non risponde, e quando Octavia si solleva per osservare la sua
espressione,
Lincoln le sorride, rilassato.
«Il
mio popolo non dice
quasi mai quelle due parole.»
«Considerate
l’amore una
debolezza?» la vede inarcare un sopracciglio, scettica.
«No.
Lo consideriamo come
la
forza più potente. Per questo non pronunciamo spesso
qualcosa che può legare
due anime in maniera così indissolubile.»
Octavia
gli sfiora il viso,
osservando i disegni che ornano quel corpo che l’ha salvata e
protetta e amata
molte volte. Gli si avvicina, poggiando la fronte su quella di lui.
«Ti
amo,» gli
sussurra, a
voce così bassa che se non fosse stata così
vicina, Lincoln non avrebbe potuto
udirla neanche con i sensi all’erta, come nei boschi.
Ma le
parole di Octavia rimbombano
nella sua mente come una nenia, impossibili da ignorare.
«Ti
amo,» le
sussurra roco,
baciandole la fronte, «Octeivia kon
skai
kru.»
Poi, lei sorride e Lincoln la copre con il suo corpo, esplorandone ogni centimetro, guardandola sempre negli occhi scuri, stellati. Sorridono entrambi, adesso, mentre a est il buio stende una lastra purpurea e dorata di luce nuova, abbagliante nell’azzurro della foschia mattutina.
Note dell'autrice.
Salve, aw. Sono al primo debutto in questo fandom che seguo da qualche mese, del quale mi sono innamorata perdutamente. La Linctavia (♥) in particolare, è stata la mia OTP praticamente sin dall'inizio, è stato amore a prima vista. Adoro il loro rapporto di sostegno reciproco, il fatto che siano sempre pronti a sostenersi l'un l'altro - l'abbraccio sul ponte, oh, che cosa è stato.
Ad ogni modo, questa shot è sicuramente ambientata durante la prima stagione ma in seguito all'episodio del Giorno dell'Unione: mi piaceva il fatto che Octavia fosse tornata in quella caverna, da Lincoln. Ora, il "Se un uomo mente alla propria donna è perchè ha paura di cosa lei potrebbe rispondere", è naturalmente una mia licenza poetica; ho immagginato che, nonostante tutto, Lincoln non riuscirebbe davvero a mentire alle sua Octavia♥
Spero questa shot possa esservi piaciuta (c'è poca Linctavia, in giro) e sarei contenta se voleste lasciarmi un commento, un pensiero, qualsiasi cosa. Ne sarei davvero felice, ci tengo molto.
Alla prossima,
fireslight.