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Autore: Antys    01/09/2015    6 recensioni
Le nottate si concludevano sempre nel medesimo modo: Stiles era così esausto, sfiancato e con troppi pensieri e teorie nella mente che finiva con l’addormentarsi sul corpo dell’uomo con i volumi aperti.
Con l’avvento della mattina i libri erano stati ordinatamente chiusi e riposti negli scaffali giusti e lui si ritrovava perfettamente sdraiato sul proprio letto, accucciato ed accuratamente rimboccato, con Derek che dormiva al suo fianco, stringendoselo contro.
[Sequel di The only sound you'll hear is the breath we're taking, ma da bravo figlio adolescente è del tutto indipendente]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Don't Speak '
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Titolo: I’ll be the watcher of the eternal flame

Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski

Pairing: DerekxStiles [Sterek]

Rating: Verde

Genere: Introspettivo, Slice of life, Sentimentale

Avviso: One Shot, Slash, Missing Moments, What if?

Note: Piccolo sequel di The only sound you'll hear is the breath we're taking.

Anche se suppongo possa anche essere letto per i fatto suoi. La strada è sempre quella.

Ambientata durante la 3a, tra un respiro e l’altro tra il branco di Alpha e il Darach.

 

 

 

 

I’ll be the watcher of the eternal flame

 

 

 

 

L’asfalto era lercio e pieno di residui non bene indentificati.

Alcun lampioni erano ricurvi su se stessi, altri completamente spezzati e qualcuno mostrava una luce farfalleggiante che dava un tono più cupo e macabro alla scena.

Alcune auto erano state scaraventate ai lati della strada in cui erano ben visibili i frammenti dei vetri dei finestrini, altre erano state quasi del tutto accartocciate.

I respiri erano irregolari, affannati e pesanti. Parte del branco era ancora accasciato per terra o in posizioni davvero scomode e sconnesse.

C’era una strana aria che incombeva su di esso, asfissiante e predominante, ma aveva vinto ed era sopravvissuto ancora una volta.

«Stai bene?» domandò una voce profonda e controllata posta sopra la sua testa.

Stiles era ancora ricurvo sull’asfalto, in una posizione scomposta, con i palmi ben piantati e si teneva a stento sulle proprie braccia.

Incontrò delle gambe che erano piegate quasi del tutto di fronte a sé, distanziando dalla strada soltanto di pochi centimetri, alzando appena il capo per osservare la figura che era propensa su di lui con sguardo attento ed indagatore, proprio quello che lo studiava sempre per accertarsi delle condizioni in cui si trovava. «Una meraviglia» bofonchiò con una nota più alta sfuggita dalla voce strozzata, mostrando una piccola piega convenevole sulle labbra.

Il suo interlocutore lo scrutò con accuratezza, poco convinto delle parole del ragazzo, esaminando ogni escoriazione, graffio e arrossamento sulla sua pelle, evitando accuratamente di toccarlo. «Riesci a muoverti?».

«Oh sì» Stiles si mosse appena con il volto ancora sorridente e nell’immediato un lamento di dolore gli sfuggì dalla bocca, portandolo a toccarsi di riflesso una gamba, finendo con il sedere per terra. «Okay, mi ci vorrà un momento».

Derek corrugò la fronte, guardandolo di traverso e con aria saputa di chi avesse sempre ragione. «La prossima volta resti a casa».

«E perdermi tutto il divertimento?» proferì con pura ironia il figlio dello sceriffo, strizzandogli un occhio e regalandogli il primo e vero sorriso luminoso di quella sera disastrosa, allargando… no, non aveva la forza nemmeno per quello.

L’Alpha sospirò, curvando le spalle e respirando pesantemente, probabilmente trattenendo un insulto. «Ti do due minuti».

Beh, meglio di niente, pensò il minore degli Stilinski, espirando con il bruciore che sentiva premere sui polmoni, buttando un’occhiata alla polvere rossa che veniva trasportata via dal vento.

Tutto era iniziato qualche settimana prima, tra il dover tenere e temere un branco di soli Alpha e la scoperta dell’esistenza di un Darach, un druido oscuro, che si abbatteva con malvagità sulla cittadina di Beacon Hills.

I guai non arrivavano mai da soli e con loro si erano trascinati altri disastri che li avevano costretti ad affrontarli di conseguenza.

All’improvviso diversi corpi vennero ritrovati disseminati tra le strade, tutti senza alcun collegamento tra loro e con ferite che non riuscivano ad essere ben identificate. Tutto riportava ad uno scontro con un animale terribile e in preda alla collera come un toro.

Un toro in piena libertà a Beacon Hills? Andiamo. Non poteva certo passare inosservato.

Eppure le morti continuarono e nessuno aveva mai accennato ad aver visto un simile essere scorrazzare per la città.

Stiles aveva scandagliato per giorni il bestiario degli Hale, quello ben protetto da Peter, digitale e pronto per essere consultato su ogni dispositivo possibile. Derek gliene aveva consegnato una copia che era diventata automaticamente di sua proprietà. Come tutto quello che gli affidava.

Si era imbattuto per caso in uno spiritello malvagio della mitologia basca: un Aatxe o Aatxegorri.

La didascalia non presentava molto e accennava poco.

Era un mutaforma – oh, ma che piacevole sorpresa –, ma si presentava quasi sempre allo stesso modo: come un toro rosso infuocato e possedeva la capacità di assumere un aspetto umano – quest’ultimo fattore non era per nulla di aiuto.

Abitava nelle caverne e nelle miniere ed usciva di notte, soprattutto se era presente un tempo burrascoso, attaccando criminali o diversi generi di persone malvagie, come bugiardi e blasfemi.

Tuttavia proteggeva il resto delle persone, facendo in modo di tenerle lontane da luoghi pericolosi, riuscendo a trattenerle in casa; peccato che non spiegasse come.

La tipologia di malvagità era troppo ampia e non poteva credere che quella creatura avesse un filtro così alto da causare tutte quelle morti.

Qualcosa non andava e aveva quella terribile sensazione che in realtà l’Aatxe fosse smosso da qualcos’altro – la presenza del Darach aveva scombussolato gli equilibri conosciuti.

Aveva passato il resto di quei giorni a consultare tutti i libri sul soprannaturale, leggende e mitologia che l’Alpha gli aveva dato tempo addietro, fornendolo sempre di più di nuovo materiale. Alcuni erano così antichi e preziosi che aveva sempre un certo languore quando li stringeva tra le mani, mentre l’altro non batteva ciglio.

Le nottate si concludevano sempre nel medesimo modo: Stiles era così esausto, sfiancato e con troppi pensieri e teorie nella mente che finiva con l’addormentarsi sul corpo dell’uomo con i volumi aperti.

Con l’avvento della mattina i libri erano stati ordinatamente chiusi e riposti negli scaffali giusti e lui si ritrovava perfettamente sdraiato sul proprio letto, accucciato ed accuratamente rimboccato, con Derek che dormiva al suo fianco, stringendoselo contro. Poteva innamorarsene sempre di più?

Alla fine avevano studiato un piano per accerchiare l’Aatxe e riuscire ad aggirare quella malia che lo portava a proteggerli.

Stiles l’aveva visto e ne era rimasto così incantato, scarlatto e circondato da quel fuoco intenso ed espansivo, che aveva provato una stretta al cuore per la sola idea di dover spegnere la magnificenza che rappresentava. Contribuire ad ucciderlo era stato devastante.

«Ti amo davvero tanto, Derek» gli sfuggì dalla bocca quando l’ultimo frammento vermiglio venne portato via dalla corrente dei venti, cancellando la presenza della sua esistenza.

Non poteva rimpiangere ogni creatura soprannaturale bella e dannata con una missione ben precisa; aveva già la sua di cui prendersi cura.

In più sentiva ancora sulla pelle il tepore con cui si era svegliato quella mattina, con la temperatura corporea del lupo che gli entrava nelle vene e del bacio che gli depositava quotidianamente sulle labbra prima di vederlo correre per prepararsi per la scuola.

Il licantropo annuì impercettibilmente con il capo in un gesto automatico, senza riuscire a distogliere le iridi chiare dalle sue. «Andiamo a casa» proferì in risposta, invitandolo a seguirlo prontamente.

«Lo so che vuoi accertarti delle mie condizioni, ma potresti controllare gli altri?» chiese invece il figlio dello sceriffo, scartando anche soltanto la proposta e indicando dietro di sé la distesa in cui il branco del moro e Scott, Allison e Lydia – che era sopraggiunta dopo la battaglia – si muovevano, rimettendosi in sesto.

«Sanno cavarsela da soli» asserì il mannaro senza alcuna premura nella voce, continuando a guardarlo imperterrito, ignorando tutto quello che non fosse rappresentato dal ragazzo stesso.

«Meritano comunque un’occhiata» dichiarò pragmatico il minore, con un tono forte e assolutista che assomigliava parecchio ad un rimprovero muto con cui lo esortava ad andare.

Derek sembrò rizzare le orecchie e okay, forse doveva piantarla con quelle continue allusioni canine, ma a volte quel lupone scorbutico si comportava talmente tanto come l’animale che rappresentava che era impossibile trattenersi. «Stanno bene, li sento» affermò il maggiore senza scomporsi e senza degnarli di una sbirciata anche solo accennata. Gli sarebbe bastato poco con la sua super velocità e Stiles l’avrebbe apprezzato.

L’umano trattenne uno sbuffo e si strinse le ginocchia al petto, abbracciandole con l’intento di tenersi su. «Hanno fatto tutto il duro lavoro, io sono solo rimasto nelle retrovie».

Il licantropo lo guardò con fare eloquente, innalzando un sopracciglio a smentirlo, criticandolo apertamente.

Il ragazzo roteò gli occhi, sventolando una mano come ad ignoralo e spingendosi di più sulle cosce.

Va bene, forse non era rimasto molto nelle retrovie e casualmente si era ritrovato nella traiettoria delle corna infuocate dell’Aatxe, pronto per essere infilzato all’istante. Derek lo avrebbe ucciso senza pensarci neppure.

«Una toccata e fuga?» propose allora speranzoso, giusto per avere un contentino misero, non chiedeva nulla di più.

Il lupo continuava a non distogliere lo sguardo, concentrandosi testardamente, tutto perché non riusciva a vedere oltre se non lui. Un giorno quell’amore traboccante lo avrebbe annientato. «Si riprendono in fretta, a differenza tua».

«Ehy, Derek» soffiò con voce circospetta, distendendo le gambe e protendendosi per prendergli il viso tra le mani, sfiorandogli le orecchie con i polpastrelli. «Sto bene» disse tra le sue labbra prima di legarle in un bacio carico di ogni sentimento possibile, toccandogli il cuore. «Sto bene e non mi succederà nulla se ti allontanerai per un paio di minuti».

L’Alpha gli soffiò sulla bocca, sfiorandola abilmente con la propria, mordendogli provocatorio il labbro inferiore. «Va bene».

Stiles annuì benevolo, prima che Derek lo coinvolgesse in un nuovo bacio febbricitante che non aveva intenzione di interrompere. «Ti raggiungo. Ti raggiungerò tra un minuto» perché, che se ne voglia, il diciasettenne si muoveva costantemente per seguirlo. «Ti raggiungo sempre».

Il mutaforma lo abbandonò poco dopo, dirigendosi come prima tappa verso Cora ed a volte non sapeva come prendere il fatto che, davanti a determinate situazioni, lo mettesse sempre davanti alla sua stessa sorella, ritrovata nei peggiori dei modi. Anche quello era deleterio per il proprio povero cuore, come l’apprensione e l’iperprotettività che gli dedicava ogni volta, mettendo da parte i suoi stessi bisogni.

Dopo la scomparsa di Erica tutto si era accentuato e quadruplicato. Il dolore era cresciuto in entrambi.

«Un minuto è passato esattamente da cinque» disse con noia e rimprovero premente la voce del lupo che si annodava ai suoi timpani.

Il figlio dello sceriffo alzò il volto di scatto, incontrando le gemme boscose che si scontravano con le proprie, giudicandolo apertamente. Possibile che non si fosse accorto dello scadere del tempo?

Vide i ragazzi perfettamente stabili sulle proprie gambe, stirarsi e parlare insieme, gettando di tanto in tanto uno sguardo dalle loro parti; qualcuno appariva spaesato, altri ammiccavano deliberatamente e il rimanente non mostrava alcuna sorpresa, ma solo consapevolezza. Scott era l’unico a mostrare un’espressione di chi era già a conoscenza dei fatti. Gli era sfuggito qualcosa?

«Lo sai che sono un ritardatario cronico» si giustificò con tono lieve, donandogli un sorriso complice e di chi voleva farsi perdonare.

«Sei molte cose, Stiles» e lo disse un tono così imperiale e peculiare, con un significato così intrinseco che l’umano si sentì perso.

Il ragazzo tentennò per un momento, distogliendo lo sguardo dalle sue iridi magnetiche e posandolo sulle figure che erano ancora strette tra loro. «Stanno bene?».

«Splendidamente» rispose all’istante il licantropo, veloce e scocciato. «Ora possiamo andare?».

Aveva sempre un preciso effetto sentire Derek usare il plurale, usare un plurale che indicava soltanto loro due, escludendo tutto il resto; sapeva di casa e di quanto fosse reale tutto quello, come se avesse avuto bisogno di altre prove che attestassero cosa fossero, che tipo di relazione condividessero. Gli scaldava il cuore ogni singola volta, sempre in procinto di scoppiare e sgorgare in una lava rovente. «Portami dove vuoi».

Quando si fu rimesso in piedi sulle sue stesse gambe, trattenendo un lamento di dolore scaturito dalla colonna vertebrale che non ne voleva sapere di essere mossa, un brusio leggiero gli arrivò alle orecchie, senza riuscire a comprendere una sola sillaba. «Sei sicuro che stiano bene?» domandò sospetto, senza che riuscisse a capire quell’agitazione alle proprie spalle.

«Sono solo casinisti» dichiarò il mutaforma con fastidio premente, disinteressato alla situazione. «Non fermarti».

«Non dovrei costatare di persona? Vedere con i miei occhi? Fare un saluto?» domandò il minore a raffica, in un crescendo continuo che si fermava appena.

«Affatto» ringhiò tra i denti il lupo, strattonandolo per un braccio. «Andiamo».

Stiles fu costretto a proseguire secondo la sua andatura, finché non piantò per bene i piedi per terra, arrestando la loro avanzata. «Non riesco a capire che gli prende, cosa sia successo. Detesto non capire».

Derek sospirò esausto, voltandosi verso di lui e agguantandolo per la felpa, facendo collidere le loro labbra in un bacio bagnato e burrascoso a cui l’umano ricambiò con gusto. «Soddisfatto?».

Il vocio aumentò a dismisura e Stiles riuscì ad afferrare qualche parola e i loro nomi fin troppo vicini.

Ops.

 

Stiles era seduto sul proprio letto, con la maglia del pigiama messa da poco e una gamba ancora a penzoloni, mentre l’altra veniva trattenuta sopra le cosce del mannaro, distesa e posizionata all’altezza giusta, con Derek che ripuliva la ferita al ginocchio e la disinfettava con attenzione.

Gli aveva medicato tutte quelle sul torso ed i graffi sulle braccia – lì dov’erano presenti tutte quelle cicatrici bianche che Derek mesi prima gli aveva inflitto e che continuava a baciare ad una a una quando ne sentiva la necessità. Stiles ormai le vedeva soltanto come segni visibili che lo legavano a lui inesorabilmente e le amava ognuna –, ripulendo il sangue secco sulle ferite riportate sul viso e depositando piccoli cerotti dove ce ne fosse bisogno.

La gamba del ragazzo scattò quando la bambagia gli toccò un parte del ginocchio più martoriata delle altre.

«Sta’ fermo, Stiles» lo ammonì prontamente l’Alpha, riprendendogli la coscia tra le mani e ritornando a passare il batuffolo di cotone sulla lesione, questa volta con più delicatezza, anche se i suoi tocchi erano sempre leggeri e diligenti quando si occupava dell’umano in quel modo.

Ad ogni nuovo scontro e battaglia le ferite venivano sempre medicate dal licantropo, senza che ci fosse altra scelta.

Il figlio dello sceriffo sbuffò scocciato e prontamente offeso, come se fosse colpa sua se non sempre riusciva a controllare il dolore che lo affliggeva, anche se era causato da un fiocco bianco e da un liquido verde e perfido. «Lo so che sei arrabbiato e che vorresti che partecipassi a meno eventi possibili» cominciò con tono lieve, distendendo meglio la gamba per facilitargli certi gesti. «Ma ho il tuo benestare».

«Lo so» disse il mannaro senza alcuna sfumatura nella voce, rigirandosi il ginocchio tra le dita e proseguendo per i graffi che si disseminavano oltre.

«Ti dispiace avermelo dato?» chiese con curiosità e con una nota premente di timore, pronta a ricevere una risposta positiva.

«Te lo saresti preso comunque» asserì neutrale il mutaforma, prendendo un nuovo batuffolo di cotone e versandogli il disinfettante.

Stiles trattenne un sospiro pesante, ingoiandolo. «È probabile» più volte avevano affrontato quel tipo di conversazioni, con il ragazzo sempre pronto ad affrontare ogni cosa per il bene delle persone che più amava, buttandosi a capofitto ed imbattendosi costantemente in ostacoli più grandi di lui stesso e con Derek che avrebbe fatto di tutto per tenerlo il più possibile lontano dal pericolo, sacrificandosi e mettendolo puntualmente al primo posto.

Alla fine erano arrivati alla conclusione che nulla avrebbe potuto fermarli, perché ognuno avrebbe agito secondo i propri principi e sentimenti; tanto valeva che l’Alpha lo appoggiasse incondizionatamente, riprendendolo ogniqualvolta lo ritenesse necessario. Avevano un patto che li legava indissolubilmente e in cui credevano ciecamente.

L’uomo gli accarezzò appena la caviglia, chiaro segno che avesse terminato con il suo lavoro e il ragazzo se la tirò contro, liberando l’altro del suo peso e lasciandogli libero accesso.

Derek si alzò dalla sedia che veniva utilizzata in quelle circostanze, dirigendosi verso la scrivania dov’era presente la valigetta del pronto soccorso, sistemandola e rimettendo tutto al suo posto, per poi uscire dalla stanza e raggiungere il bagno, lì dove solitamente veniva conservata e in cui veniva gettato tutto quello che avevano utilizzato.

Vederlo muoversi tranquillamente tra le quelle mura, come se tutto gli fosse familiare e fosse di casa, gli dava sempre le vertigini e un calore profondo al ventre, sottraendogli un po’ di ossigeno e riscaldandogli il petto. Era sempre qualcosa che lo lasciava senza fiato.

Prima che lo vedesse tornare, Stiles si infilò i pantaloni del pigiama, facendo attenzione a non far scontrare troppo pesantemente la stoffa con il ginocchio sbucciato e buttandosi di peso sul letto ad una piazza e mezza, arrivando fino alla testata e abbandonandosi scompostamente sul cuscino, abbracciandolo stretto. «Dormi qui?» domandò con il viso premuto sulla federa, infilandosi sotto le coperte e nascondendosi al chiarore della luce artificiale.

Il mutaforma varcò la soglia della camera, spegnendo la fonte di luce principale e lasciando che il lumino sul comodino divenisse il protagonista. «Hai ancora bisogno di chiederlo?».

«Questa volta hai qualcuno che ti aspetta nel tuo triste e tetro loft e non sono né Peter né Isaac» dichiarò in un’illuminazione evidente il minore, scostandosi appena nella sua parte di materasso.

«Il tempo che passo con Cora è sufficiente» affermò l’Alpha senza scomporsi troppo, infilandosi a sua volta sotto le lenzuola, non per reale fastidio della temperatura bassa, ma perché in quel modo gli era permesso di avere più contatto possibile con l’altro; in più per i suoi gusti Stiles era troppo freddo. Doveva porre rimedio. «Non ha bisogno di me che le alito sul collo anche di notte».

«Oh, così questa terribile sciagura devo subirmela io» proferì con drammaticità il figlio dello sceriffo, portandosi una mano sulla fronte con teatralità. «Che destino infausto».

Derek grugnì rumorosamente, schiacciandolo sul letto con forza e mordendogli la giugulare con dispetto e stizza, tirando la pelle con i denti e affondando il naso sulla piega del collo, inalando a pieni polmoni il suo odore prorompente, scatenando nella preda una risata offesa e celestiale che gli attraversò tutto il nervo acustico. «Come se ti dispiacesse».

Stiles sorrise vistosamente, abbracciandolo d’impeto e trattenendolo su di sé. «Derek» e era un vago tentativo di ammonimento, in cui lo pregava di risparmiarlo, almeno per una volta, ma era esattamente il suo opposto, risuonando a chiare lettere quanto volesse che continuasse a marchiarlo. Ed a volte quel nome veniva pronunciato come unico sostituto per parole che non sempre riusciva a pronunciare, ma che era sempre carico di tutto il sentimento che provava per lui.

L’uomo adagiò un bacio languido sulla scapola destra, addentandola appena e strofinandovisi contro. E spesso quel tipo di risposta era l’unica che gli dava. «Tu vuoi che resti».

«Certo che lo voglio» confermò con decisione il padrone di casa, risuonando ovvio e scontato, con un’enfasi che si dilatò nell’ambiente.

Il mutaforma sorrise trionfante sulla sua epidermide, risalendo senza alcun impedimento verso le labbra del ragazzo per legarle alle proprie in una morsa intensa e disarmante, univoca ed indissolubile.

Stiles si abbandonò completamente, lasciandosi viziare e vezzeggiare, sciogliendosi totalmente tra le sue mani, che furono prontamente intrecciate dall’altro quando gli si coricò di fianco, voltato verso la sua direzione a specchiarsi nelle sue iridi di miele.

L’umano espirò piano, affondando il capo nel petto del moro, avvicinando le dita poste sotto di sé e rilassandosi quando sentì il mento dell’Alpha poggiarsi tra i capelli.

Improvvisamente il suo olfatto fu invaso da un odore pungente e fastidioso che gli pizzicò le narici, odore che notò essersi disperso nella stanza, riempiendola.

Aprì le palpebre di scatto e gli occhi gli caddero sulle falangi intrappolate in una trama perfetta, una che gli attorcigliò lo stomaco nel momento in cui comprese, riconoscendo l’impronta lasciata dal disinfettante usato poco prima. «Deve essere nauseante per te quest’odore insopportabile. Mi dispiace».

Le dita intorno alle sue si mossero appena, smuovendo l’aria e rilasciando una nuova ondata dell’essenza del prodotto di cui erano pregne. «No, va bene» proferì il lupo atono e caldo allo stesso tempo, una combinazione improbabile che creò nel suo interlocutore una palpitazione sfuggente.

Il figlio dello sceriffo uscì dal suo antro sicuro, alzando la testa e cercando le gemme di smerarlo per sottrargli le informazioni che gli sfuggivano. «Perché? È fastidioso per me e io tra un po’ non ci farò nemmeno più caso, ma tu riuscirai a sentirlo per molto più tempo e in modo dettagliato» articolò in un discorso preciso e minuzioso, alzando la voce di un’ottava di troppo, una caratteristica che manifestava quando qualcosa di insensato gli si presentava e che era accompagnato da una spiegazione assente. «Non ne hai neppure bisogno».

«Tu sì» disse l’Alpha in un’esclamazione opprimente e assolutistica come unica ragione esistente.

In Stiles mancò un battito e il respiro si fece più pesante ed affannato, le pupille si dilatarono fino a coprire parte dell’ambrato. «Derek».

Il lupo mannaro incatenò gli occhi ai suoi e lo sguardo era penetrante e destabilizzante, incorporando in quelle perle magnetiche tutte le parole che avrebbe voluto comunicargli e che era restio a lasciar prendere loro vita e ogni tanto capitava – spesso, in effetti – che non volesse esporsi e rendere le cose palesi più di quanto non lo fossero già. La maggior parte delle volte l’umano sapeva sempre estrarle indipendentemente, comprendendolo senza alcuna fatica, ma altre volte certi misteri rimanevano in scovabili perfino per lui. «Finché ci limiteremo a questo andrà bene» disse con voce profonda e morbida, accarezzandogli l’anima. «Vuol dire che stai bene».

Gli occhi del ragazzo si sgranarono automaticamente, spiazzate e sbalordite, con una consapevolezza fondata in fondo alle pozze ambrate; uno sfarfallio gli scombussolò l’intestino e trattenne il fiato con fatica. «Accidenti» imprecò asciutto e risentito con una nota speziata di scontento, lasciando scivolare la lingua sulle labbra e mordendosi una guancia distrattamente. «È così scorretto».

Derek inarcò un sopracciglio scettico e duro, eloquente fino al midollo. «Che stai blaterando?».

«Ogni volta che penso di aver toccato la vetta massima dell’amore che provo per te, tu mi rimandi sempre al suolo» sproloquiò nell’immediato, agitando le gambe e sbattendo un tallone sul materasso. «È così ingiusto, come se non fossi consapevole che crescerà sempre di più e che non si potrà mai arrestare. Come se non sapessi che raggiungerà nuovi picchi e che ti amerò sempre di più e dannazione! Io sono già così perdutamente innamorato di te» proferì inciampando appena nel proprio respiro e sentendo tirare i muscoli dello stomaco, trascinandolo maggiormente contro il fondo. «Tutto questo è scorretto, scorretto esattamente come te».

Un silenzio opprimente scese nella camera, impregnando le mura e permettendo al battito accelerato del minore di sovrastare tutto il resto.

Stiles vide con orrore una piega contornarsi intorno alle labbra del licantropo e una scarica diretta gli percorse tutta la colonna vertebrale, portandolo ad arretrare inconsciamente. «Non ci provare, Derek. Non ci provare nemmeno» gracchiò con la voce roca e un nodo dispettoso che gli ostruiva la trachea, smorzandogli il fiato, portandolo a slegare di conseguenza le falangi ancora unite.

Derek se lo tirò contro, affondando la mano sinistra nei capelli castani, artigliandoli per bene e permettendogli di tenerlo fermo quando gli baciò la bocca, assaporando la corposità e la morbidezza della sue labbra, sfamandosi con il suo sapore e mordendogli appena quello superiore, leccandogli maliziosamente i denti e ghignando appena. «Scusa» mormorò sopra la bocca, scandendo ogni lettera con ingordigia ed accostando la fronte alla sua, stringendo le ciocche tra le dita con delicatezza, solleticandogli appena la cute. «Ma a volte credo dimentichi che provo le stesse identiche cose».

Il padrone di casa sbuffò una bolla d’ossigeno che si increspò sulle labbra dell’altro, lambendole con maestria. «Lo so».

«Sei un fiume in piena, Stiles e va bene così» disse l’Alpha con voce calda e prorompente, riscaldandogli l’anima e calmando gli organi che non smettevano di agitarsi.

Il ragazzo mugugnò contento, inspirando con calma il suo odore e sfiorando con la punta del naso il suo profilo, pronto per abbandonarsi a quel tepore che gli invadeva i tessuti, cullandolo e invitandolo a salutare quella notte impegnativa che l’aveva svuotato di una considerevole dose di energia.

Quando le palpebre si socchiusero appena e Derek era già pronto per riportarlo nella posizione in cui erano abituati ad addormentarsi, Stiles le aprì colto da un dettaglio che aveva trascurato. «Credo di essermi fatto sfuggire qualcosa davanti ai ragazzi».

«Credi?» lo riprese il mannaro con una nota evidente di sarcasmo, addentandogli uno zigomo e imprimendo un segno accennato.

Il castano si ritrasse appena, sbuffando sonoramente sul suo viso e dando via libera ad un suono scontento che fuggì dalle labbra. «Non me ne sono reso conto; è una cosa sconveniente, vero?» pigolò in una spiegazione che a lui suonava sensata e esaustiva, ma consono di doversi nascondere da qualche parte.

«Lo sceriffo mi prepara la colazione» esalò pragmatico l’uomo con un tono che lasciasse intendere tutte le risposte che il minore ne avrebbe dovuto trarre.

Era accaduto in un giorno impreciso della settimana e in un mese arbitrario.

Stiles si era svegliato con Derek già davanti la porta, gli aveva dedicato un’occhiata che non aveva ben compreso e tutto quello che ne trasse fu che avrebbe dovuto accodarsi senza fare domande.

Rumori molesti provenivano dal basso, in fondo alle scale e si erano limitati a seguirli, fin a giungere davanti la cucina, trovando il ripiano che usavano per far colazione stracolmo di ogni delizia possibile – cioè quelle che il ragazzo ammetteva in casa.

Il minore di casa Stilinski sbirciava da dietro la spalla del lupo, agganciandosi alla manica scura che penzolava dal suo braccio per riuscire a scorgere la figura dell’adulto.

Era assonnato e si stropicciava un occhio per svegliarsi e capacitarsi di quello che gli si presentava dinnanzi. Lo sceriffo aveva abbozzato un sorriso nella sua direzione, ignorando deliberatamente il licantropo e Derek aveva scrollato appena le spalle, raggiungendo il padrone di casa alla tavola.

Stiles aveva impiegato qualche minuto prima di comprendere cosa significasse tutto quello e di cogliere l’enormità della cosa. Da lì era iniziata una nuova routine quando lo sceriffo era presente tra quelle quattro mura.

«Sì, beh… cioè, sempre meglio di quando voleva spararti perché vai a letto con il suo unico figlio. Minorenne tra l’altro» precisò puntiglioso, giusto per mettergli in evidenza la differenza che ne era susseguita. E Derek sbuffò, perché quello non era importante per niente. «Ma per Scott e papà è diverso. Scott si è ritrovato in mezzo e ne sarebbe venuto a conoscenza comunque in qualche modo. E con papà… insomma, vivi praticamente qui, Derek; impossibile non notarlo» continuò subito dopo, immergendosi in pensieri, adornati di immagini, in cui tutto gli scorreva nitido e chiaro.

Il lupo conosceva ogni variante delle sfumature di quell’ambrato che lo riflettevano, cogliendo sempre ogni passaggio e classificandoli impeccabilmente. Sapeva in quale tunnel si trovava e quanto intensa fosse la sua riflessione.

«Credi che mi importi?» domandò retoricamente il moro, senza volere una vera risposta che sarebbe arrivata comunque, ma che doveva risuonare come quella che Stiles stava cercando senza arrovellarsi troppo e cadere in un vortice di emozioni contrastanti, depistandolo e allontanandolo sempre di più.

L’umano si voltò completamente verso di lui, gli occhi brillanti e intensi, mentre le loro gambe si incastravano tra loro e Derek che lo accoglieva tempestivamente. «Non ne abbiamo mai parlato, non ci ho nemmeno mai pensato» proferì candido, distogliendo l’attenzione dal suo interlocutore e giocando distrattamente con la punta delle dita. Il mutaforma lo guardò scettico e poco convinto e quello lo colse in pieno, perché soffiò come un gatto offeso. «È vero, Derek» lo ammonì con stizza, lanciandogli un’occhiata torva. «Non ho mai avuto bisogno di pensarci, perché per me è evidente. È una cosa complementare e visibile, non mi sono mai interrogato sul fatto che qualcuno potesse non vederlo e non esserne partecipe» articolò più a se stesso che al suo ascoltatore, giocando con la maglia consumata del lupo, senza riuscire a stare fermo; un’azione impossibile per lui. «È… naturale. Siamo io e te, siamo Stiles e Derek» il fiato del licantropo divenne più pesante e consistente, ma l’altro sembrò notarlo appena, immerso com’era nel cercare le parole giuste che continuavano a sfuggirgli e lui non riusciva a catturarle ed a spiegarsi come avrebbe dovuto. «È come respirare, Derek. Stare con te è come una parte fondamentale del mio essere. Una parte integrante del mio corpo. Il mondo non ha bisogno di saperlo, perché ne è già a conoscenza».

Stiles riportò gli occhi di miele su quelli boscosi dell’Alpha, notando uno strano luccichio in essi, avvolti da una tempesta burrascosa che gli sottrasse alcuni battiti del cuore. «Ho sbagliato, vero? Ho parlato a sproposito. Non ha senso, mi dispiace. Io non-» una valanga di espressioni agitate si abbatterono su di loro e l’inquietudine si manifestò nei suoi gesti incontrollabili, creando un nervosismo imperiale negli organi vitali. Non riuscì neppure a concludere quella valanga di parole sconnesse, poiché l’ossigeno era bloccato in fondo la gola e Derek lo stava baciando, spalmandosi su di lui e impossessandosi di tutta la cavità orale, mordendogli le labbra ingordo e famelico, prosciugandolo di quelle poche energie che gli erano rimaste.

«Ha senso» disse il lupo mannaro nel bacio, sfiorandogli la guancia sinistra con il pollice e depositando uno schiocco leggero sulla fronte. «Ha perfettamente senso».

Stiles lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, ingrandendo le iridi d’ambrosia e rimpicciolendo le pupille fin ad un punto nero infondo al tunnel, respirando aria rarefatta. «Lo senti anche tu?» e lo disse con un filo di voce quasi sconvolta ed incredula, incapace di accettare l’essergli sfuggito una nozione come quella.

«Sì» ed era un’impronta indelebile nei loro cuori e nelle loro anime, indissolubile e impossibile da cancellare.

E l’umano stava respirando appena, svuotato e traboccante di così tante cose da comunicare che scappavano senza dargli l’opportunità di metterle anche solo a fuoco o di poter semplicemente considerare l’idea. Tutto quello che gli vorticava nella mente era che Derek lo amava nello stesso preciso modo ed una voce saputa ed onnisciente gli sussurrava che probabilmente era anche più grande e sconfinato. Stiles era bloccato. «Derek».

«Ti amo, Stiles» imperativo e categorico, una realtà unica e imperscrutabile. Derek lo strinse così tanto a sé che si sentì risucchiato, parte integrante di ciò che rappresentavano; un connubio perfetto e soffocante che gli liberò le vie respiratore.

In fondo alla sua voce impetuosa e passionale poteva sentire tutto quello che non veniva detto ed esposto, colpendolo in pieno: non immagini neppure quanto.

«Uao, dovrei lasciarmi scappare le cose più spesso» dichiarò il figlio dello sceriffo con ardore e ironia genuina, inclinando la testa sul cuscino e rubandogli un bacio a stampo.

«Scordatelo» lo ammonì prontamente il lupo mannaro, mordendogli con intimidazione il lobo dell’orecchio, scaturendo un lamento annoiato da parte della sua vittima.

«Puoi sempre farmi tacere, sai esattamente come fare» ammiccò scaltro il ragazzo con un ghigno accattivante e malizioso, strusciando il naso sul suo zigomo, pizzicandolo con le labbra.

Derek gliele baciò come prova evidente che sì, poteva farlo e ne aveva tutti gli strumenti e che Stiles non l’avrebbe rifiutato mai. «Peccato che peggiorerebbe la situazione».

L’umano emanò un singulto infelice, protestando rumorosamente e continuando imperterrito a lasciarsi vezzeggiare dalla sua bocca. «Vuoi dire che non vorresti baciarmi ovunque e davanti a chiunque?».

«Lo voglio, terribilmente» annunciò nefasto il licantropo, mangiandogli le labbra e incatenandolo in un bacio senza fine, in cui la lingua rovente e bagnata ispezionava ogni centimetro della sua bocca, leccandogli giocoso il palato e lasciando scontrare i denti appositamente.

Stiles gli sorrise contro, incastrandosi perfettamente a lui e fondendosi completamente. «Puoi fare quello che vuoi, perché voglio ancora tutto di te» quello era ancora il modo più rumoroso e travolgente che aveva per dichiarargli tutti i ti amo del mondo che sfiguravano davanti a quelle parole.

L’uomo gli alitò sulle labbra, sfiorandole appena con le proprie e trascinandolo nella posizione più comoda per lui senza interrompere il loro contatto e separarsi. «Anch’io».

Spesso Stiles si domandava come avessero fatto a divenire quello che erano in quel momento, di quanto avessero continuato a girarci intorno per mesi, nascosti dietro ad un patto in cui credevano molto poco e che aveva subito continue metamorfosi, fino a far sparire qualsiasi confine si fossero prefissati e poi si erano incastrati con le loro mani, continuando a rifiutarlo ed a scappare, senza però riuscire a separarsene. Senza riuscire a demolirlo e stracciarlo, tornando alla vita che gli era appartenuta prima che si fossero uniti in quel modo.

Derek era scappato e Stiles era stato costretto a rincorrerlo per essere rifiutato nel peggiore dei drammi, spezzandolo.

Derek era tornato per rimettere insieme quei frammenti che trasudavano dolore e che gridavano quanto lo amassero.

Era rimasto.

A Stiles tutto quello sarebbe bastato se non avesse cominciato a percepire la linfa vitale della natura che gli scorreva nelle vene e che gli comunicava giorno dopo giorno il legame che li consolidava e che non potevano sciogliere.

Quello era il naturale scorrere degli eventi che avrebbero condiviso per sempre.

Una nuova ondata lo investì e si addormentò in quel preciso momento, con il viso nascosto nel collo di Derek, le mani abbandonate sul suo petto e con il lupo che lo teneva in un abbraccio che lo proteggeva dalle intemperie, il capo inclinato verso il basso e la punta del naso quasi a sfiorargli la chioma castana.

Quello era il modo in cui santificavano le loro promesse.

Qualche ora dopo lo sceriffo sarebbe rincasato, si sarebbe disfatto di tutto quello che gli era d’impiccio e si sarebbe diretto verso le scale, fino a giungere davanti alla camera da letto del figlio il più silenziosamente possibile. Avrebbe spento la luce del comodino che veniva puntualmente dimenticata, perché era consapevole che quei due si perdessero sempre l’uno nell’altro, parlando fino allo sfinimento, guardandosi intensamente per comunicarsi tutte quelle parole che non venivano pronunciate e continuando a promettersi cose infinite.

Si fermava giusto un momento, concedendosi quell’unico istante, a guardarli.

Stiles aveva puntualmente un’espressione rasserenata ed un piccolo sorriso ad increspargli le labbra e Derek lo teneva come se fosse la cosa più preziosa che possedesse.

Quando chiudeva la porta dietro di sé, si permetteva un tenue sospiro di fine giornata e un piccolo tepore si depositava alla base del cuore: quei due avrebbero rappresentato la sua isola felice finché avrebbe avuto vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sì, questa è decisamente la fine. Abbiamo chiuso. Niente più estratti, niente più spezzoni futuri; facciamoli respirare.

Anche questa piccola shot è stata scritta subito dopo la conclusione della long e per me è come se terminasse quel capitolo soltanto adesso, ma infondo le sue gambe camminano perfettamente da sole e non le importa molto di collegarsi alla storia madre.

In questo momento mi rendo conto che, ehy, questa è la prima settimana senza Teen Wolf e abbiamo il nostro peso sulle spalle dopo la messa in onda della 5x10 e lo so che il conto alla rovescia è iniziato per gennaio ancora prima di quella puntata. Com’era prevedibile non hanno concluso un bel niente e quindi noi ci arrovelleremo il cervello fino a quel giorno e per i successivi due mesi e mezzo. Riusciremo a vedere almeno chi abbiamo tanto aspettato?

Ringrazio come sempre la mia beta che mi dedica sempre parte del suo tempo e che viene costantemente bombardata dalle mie domande e anche del fatto che correggiamo alle due di notte con gli sbadigli incontrollabili.

Ringrazio chi passerà di qui e lascerà la sua orma e chi si limiterà a vive questa shot.

Alla prossima,

Antys

 

   
 
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