Titolo: I’ll be the watcher of
the eternal flame
Personaggi: Derek Hale, Stiles
Stilinski
Pairing: DerekxStiles [Sterek]
Rating: Verde
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sentimentale
Avviso: One Shot, Slash,
Missing Moments, What if?
Note: Piccolo sequel di The only sound you'll hear is the breath we're
taking.
Anche se suppongo possa anche essere letto per i fatto
suoi. La strada è sempre quella.
Ambientata durante la 3a, tra un respiro e l’altro tra
il branco di Alpha e il Darach.
I’ll be the watcher of the eternal
flame
L’asfalto
era lercio e pieno di residui non bene indentificati.
Alcun
lampioni erano ricurvi su se stessi, altri completamente spezzati e qualcuno
mostrava una luce farfalleggiante che dava un tono più cupo e macabro alla
scena.
Alcune
auto erano state scaraventate ai lati della strada in cui erano ben visibili i
frammenti dei vetri dei finestrini, altre erano state quasi del tutto
accartocciate.
I
respiri erano irregolari, affannati e pesanti. Parte del branco era ancora accasciato
per terra o in posizioni davvero scomode e sconnesse.
C’era
una strana aria che incombeva su di esso, asfissiante e predominante, ma aveva
vinto ed era sopravvissuto ancora una volta.
«Stai
bene?» domandò una voce profonda e controllata posta sopra la sua testa.
Stiles era ancora ricurvo sull’asfalto, in una posizione
scomposta, con i palmi ben piantati e si teneva a stento sulle proprie braccia.
Incontrò
delle gambe che erano piegate quasi del tutto di fronte a sé, distanziando
dalla strada soltanto di pochi centimetri, alzando appena il capo per osservare
la figura che era propensa su di lui con sguardo attento ed indagatore, proprio
quello che lo studiava sempre per accertarsi delle condizioni in cui si
trovava. «Una meraviglia» bofonchiò con una nota più alta sfuggita dalla voce
strozzata, mostrando una piccola piega convenevole sulle labbra.
Il suo
interlocutore lo scrutò con accuratezza, poco convinto delle parole del
ragazzo, esaminando ogni escoriazione, graffio e arrossamento sulla sua pelle,
evitando accuratamente di toccarlo. «Riesci a muoverti?».
«Oh sì»
Stiles si mosse appena con il volto ancora sorridente
e nell’immediato un lamento di dolore gli sfuggì dalla bocca, portandolo a
toccarsi di riflesso una gamba, finendo con il sedere per terra. «Okay, mi ci
vorrà un momento».
Derek
corrugò la fronte, guardandolo di traverso e con aria saputa di chi avesse
sempre ragione. «La prossima volta resti a casa».
«E
perdermi tutto il divertimento?» proferì con pura ironia il figlio dello
sceriffo, strizzandogli un occhio e regalandogli il primo e vero sorriso luminoso
di quella sera disastrosa, allargando… no, non aveva la forza nemmeno per
quello.
L’Alpha
sospirò, curvando le spalle e respirando pesantemente, probabilmente
trattenendo un insulto. «Ti do due minuti».
Beh, meglio di niente, pensò il minore degli
Stilinski, espirando con il bruciore che sentiva premere sui polmoni, buttando
un’occhiata alla polvere rossa che veniva trasportata via dal vento.
Tutto
era iniziato qualche settimana prima, tra il dover tenere e temere un branco di
soli Alpha e la scoperta dell’esistenza di un Darach,
un druido oscuro, che si abbatteva con malvagità sulla cittadina di Beacon Hills.
I guai
non arrivavano mai da soli e con loro si erano trascinati altri disastri che li
avevano costretti ad affrontarli di conseguenza.
All’improvviso
diversi corpi vennero ritrovati disseminati tra le strade, tutti senza alcun
collegamento tra loro e con ferite che non riuscivano ad essere ben
identificate. Tutto riportava ad uno scontro con un animale terribile e in preda
alla collera come un toro.
Un toro in piena libertà a Beacon Hills? Andiamo. Non poteva certo
passare inosservato.
Eppure
le morti continuarono e nessuno aveva mai accennato ad aver visto un simile
essere scorrazzare per la città.
Stiles aveva scandagliato per giorni il bestiario degli Hale, quello ben protetto da Peter, digitale e pronto per
essere consultato su ogni dispositivo possibile. Derek gliene aveva consegnato
una copia che era diventata automaticamente di sua proprietà. Come tutto quello
che gli affidava.
Si era
imbattuto per caso in uno spiritello malvagio della mitologia basca: un Aatxe o Aatxegorri.
La
didascalia non presentava molto e accennava poco.
Era un
mutaforma – oh, ma che piacevole sorpresa
–, ma si presentava quasi sempre allo stesso modo: come un toro rosso infuocato
e possedeva la capacità di assumere un aspetto umano – quest’ultimo fattore non
era per nulla di aiuto.
Abitava
nelle caverne e nelle miniere ed usciva di notte, soprattutto se era presente
un tempo burrascoso, attaccando criminali o diversi generi di persone malvagie,
come bugiardi e blasfemi.
Tuttavia
proteggeva il resto delle persone, facendo in modo di tenerle lontane da luoghi
pericolosi, riuscendo a trattenerle in casa; peccato che non spiegasse come.
La
tipologia di malvagità era troppo ampia e non poteva credere che quella
creatura avesse un filtro così alto da causare tutte quelle morti.
Qualcosa
non andava e aveva quella terribile sensazione che in realtà l’Aatxe fosse smosso da qualcos’altro – la presenza del Darach aveva scombussolato gli equilibri conosciuti.
Aveva
passato il resto di quei giorni a consultare tutti i libri sul soprannaturale, leggende
e mitologia che l’Alpha gli aveva dato tempo addietro, fornendolo sempre di più
di nuovo materiale. Alcuni erano così antichi e preziosi che aveva sempre un
certo languore quando li stringeva tra le mani, mentre l’altro non batteva
ciglio.
Le nottate
si concludevano sempre nel medesimo modo: Stiles era
così esausto, sfiancato e con troppi pensieri e teorie nella mente che finiva
con l’addormentarsi sul corpo dell’uomo con i volumi aperti.
Con
l’avvento della mattina i libri erano stati ordinatamente chiusi e riposti
negli scaffali giusti e lui si ritrovava perfettamente sdraiato sul proprio
letto, accucciato ed accuratamente rimboccato, con Derek che dormiva al suo
fianco, stringendoselo contro. Poteva innamorarsene sempre di più?
Alla
fine avevano studiato un piano per accerchiare l’Aatxe
e riuscire ad aggirare quella malia che lo portava a proteggerli.
Stiles l’aveva visto e ne era rimasto così incantato,
scarlatto e circondato da quel fuoco intenso ed espansivo, che aveva provato
una stretta al cuore per la sola idea di dover spegnere la magnificenza che
rappresentava. Contribuire ad ucciderlo era stato devastante.
«Ti amo
davvero tanto, Derek» gli sfuggì dalla bocca quando l’ultimo frammento
vermiglio venne portato via dalla corrente dei venti, cancellando la presenza
della sua esistenza.
Non
poteva rimpiangere ogni creatura soprannaturale bella e dannata con una
missione ben precisa; aveva già la sua di cui prendersi cura.
In più
sentiva ancora sulla pelle il tepore con cui si era svegliato quella mattina,
con la temperatura corporea del lupo che gli entrava nelle vene e del bacio che
gli depositava quotidianamente sulle labbra prima di vederlo correre per
prepararsi per la scuola.
Il
licantropo annuì impercettibilmente con il capo in un gesto automatico, senza
riuscire a distogliere le iridi chiare dalle sue. «Andiamo a casa» proferì in
risposta, invitandolo a seguirlo prontamente.
«Lo so
che vuoi accertarti delle mie condizioni, ma potresti controllare gli altri?»
chiese invece il figlio dello sceriffo, scartando anche soltanto la proposta e
indicando dietro di sé la distesa in cui il branco del moro e Scott, Allison e Lydia – che era sopraggiunta dopo la battaglia – si
muovevano, rimettendosi in sesto.
«Sanno
cavarsela da soli» asserì il mannaro senza alcuna premura nella voce,
continuando a guardarlo imperterrito, ignorando tutto quello che non fosse
rappresentato dal ragazzo stesso.
«Meritano
comunque un’occhiata» dichiarò pragmatico il minore, con un tono forte e
assolutista che assomigliava parecchio ad un rimprovero muto con cui lo
esortava ad andare.
Derek
sembrò rizzare le orecchie e okay,
forse doveva piantarla con quelle continue allusioni canine, ma a volte quel lupone scorbutico si comportava talmente tanto come
l’animale che rappresentava che era impossibile trattenersi. «Stanno bene, li
sento» affermò il maggiore senza scomporsi e senza degnarli di una sbirciata
anche solo accennata. Gli sarebbe bastato poco con la sua super velocità e Stiles l’avrebbe apprezzato.
L’umano
trattenne uno sbuffo e si strinse le ginocchia al petto, abbracciandole con
l’intento di tenersi su. «Hanno fatto tutto il duro lavoro, io sono solo
rimasto nelle retrovie».
Il
licantropo lo guardò con fare eloquente, innalzando un sopracciglio a
smentirlo, criticandolo apertamente.
Il
ragazzo roteò gli occhi, sventolando una mano come ad ignoralo e spingendosi di
più sulle cosce.
Va bene, forse non era rimasto molto nelle retrovie e
casualmente si era ritrovato nella traiettoria delle corna infuocate dell’Aatxe, pronto per essere infilzato all’istante. Derek lo
avrebbe ucciso senza pensarci neppure.
«Una
toccata e fuga?» propose allora speranzoso, giusto per avere un contentino
misero, non chiedeva nulla di più.
Il lupo
continuava a non distogliere lo sguardo, concentrandosi testardamente, tutto
perché non riusciva a vedere oltre se non lui. Un giorno quell’amore
traboccante lo avrebbe annientato. «Si riprendono in fretta, a differenza tua».
«Ehy, Derek» soffiò con voce circospetta, distendendo le
gambe e protendendosi per prendergli il viso tra le mani, sfiorandogli le
orecchie con i polpastrelli. «Sto bene» disse tra le sue labbra prima di
legarle in un bacio carico di ogni sentimento possibile, toccandogli il cuore.
«Sto bene e non mi succederà nulla se ti allontanerai per un paio di minuti».
L’Alpha
gli soffiò sulla bocca, sfiorandola abilmente con la propria, mordendogli
provocatorio il labbro inferiore. «Va bene».
Stiles annuì benevolo, prima che Derek lo coinvolgesse in un
nuovo bacio febbricitante che non aveva intenzione di interrompere. «Ti
raggiungo. Ti raggiungerò tra un minuto» perché, che se ne voglia, il
diciasettenne si muoveva costantemente per seguirlo. «Ti raggiungo sempre».
Il
mutaforma lo abbandonò poco dopo, dirigendosi come prima tappa verso Cora ed a
volte non sapeva come prendere il fatto che, davanti a determinate situazioni,
lo mettesse sempre davanti alla sua stessa sorella, ritrovata nei peggiori dei
modi. Anche quello era deleterio per il proprio povero cuore, come
l’apprensione e l’iperprotettività che gli dedicava ogni volta, mettendo da
parte i suoi stessi bisogni.
Dopo la
scomparsa di Erica tutto si era accentuato e quadruplicato. Il dolore era
cresciuto in entrambi.
«Un
minuto è passato esattamente da cinque» disse con noia e rimprovero premente la
voce del lupo che si annodava ai suoi timpani.
Il
figlio dello sceriffo alzò il volto di scatto, incontrando le gemme boscose che
si scontravano con le proprie, giudicandolo apertamente. Possibile che non si
fosse accorto dello scadere del tempo?
Vide i
ragazzi perfettamente stabili sulle proprie gambe, stirarsi e parlare insieme,
gettando di tanto in tanto uno sguardo dalle loro parti; qualcuno appariva
spaesato, altri ammiccavano deliberatamente e il rimanente non mostrava alcuna
sorpresa, ma solo consapevolezza. Scott era l’unico a mostrare un’espressione
di chi era già a conoscenza dei fatti. Gli era sfuggito qualcosa?
«Lo sai
che sono un ritardatario cronico» si giustificò con tono lieve, donandogli un
sorriso complice e di chi voleva farsi perdonare.
«Sei
molte cose, Stiles» e lo disse un tono così imperiale
e peculiare, con un significato così intrinseco che l’umano si sentì perso.
Il
ragazzo tentennò per un momento, distogliendo lo sguardo dalle sue iridi
magnetiche e posandolo sulle figure che erano ancora strette tra loro. «Stanno
bene?».
«Splendidamente»
rispose all’istante il licantropo, veloce e scocciato. «Ora possiamo andare?».
Aveva
sempre un preciso effetto sentire Derek usare il plurale, usare un plurale che
indicava soltanto loro due, escludendo tutto il resto; sapeva di casa e di
quanto fosse reale tutto quello, come se avesse avuto bisogno di altre prove
che attestassero cosa fossero, che tipo di relazione condividessero. Gli scaldava
il cuore ogni singola volta, sempre in procinto di scoppiare e sgorgare in una
lava rovente. «Portami dove vuoi».
Quando
si fu rimesso in piedi sulle sue stesse gambe, trattenendo un lamento di dolore
scaturito dalla colonna vertebrale che non ne voleva sapere di essere mossa, un
brusio leggiero gli arrivò alle orecchie, senza riuscire a comprendere una sola
sillaba. «Sei sicuro che stiano bene?» domandò sospetto, senza che riuscisse a
capire quell’agitazione alle proprie spalle.
«Sono
solo casinisti» dichiarò il mutaforma con fastidio premente, disinteressato
alla situazione. «Non fermarti».
«Non
dovrei costatare di persona? Vedere con i miei occhi? Fare un saluto?» domandò
il minore a raffica, in un crescendo continuo che si fermava appena.
«Affatto»
ringhiò tra i denti il lupo, strattonandolo per un braccio. «Andiamo».
Stiles fu costretto a proseguire secondo la sua andatura,
finché non piantò per bene i piedi per terra, arrestando la loro avanzata. «Non
riesco a capire che gli prende, cosa sia successo. Detesto non capire».
Derek
sospirò esausto, voltandosi verso di lui e agguantandolo per la felpa, facendo
collidere le loro labbra in un bacio bagnato e burrascoso a cui l’umano ricambiò
con gusto. «Soddisfatto?».
Il
vocio aumentò a dismisura e Stiles riuscì ad
afferrare qualche parola e i loro nomi fin troppo vicini.
Ops.
Stiles era seduto sul proprio letto, con la maglia del
pigiama messa da poco e una gamba ancora a penzoloni, mentre l’altra veniva
trattenuta sopra le cosce del mannaro, distesa e posizionata all’altezza
giusta, con Derek che ripuliva la ferita al ginocchio e la disinfettava con
attenzione.
Gli
aveva medicato tutte quelle sul torso ed i graffi sulle braccia – lì dov’erano
presenti tutte quelle cicatrici bianche che Derek mesi prima gli aveva inflitto
e che continuava a baciare ad una a una quando ne sentiva la necessità. Stiles ormai le vedeva soltanto come segni visibili che lo
legavano a lui inesorabilmente e le amava ognuna –, ripulendo il sangue secco
sulle ferite riportate sul viso e depositando piccoli cerotti dove ce ne fosse
bisogno.
La
gamba del ragazzo scattò quando la bambagia gli toccò un parte del ginocchio
più martoriata delle altre.
«Sta’
fermo, Stiles» lo ammonì prontamente l’Alpha,
riprendendogli la coscia tra le mani e ritornando a passare il batuffolo di
cotone sulla lesione, questa volta con più delicatezza, anche se i suoi tocchi
erano sempre leggeri e diligenti quando si occupava dell’umano in quel modo.
Ad ogni
nuovo scontro e battaglia le ferite venivano sempre medicate dal licantropo,
senza che ci fosse altra scelta.
Il
figlio dello sceriffo sbuffò scocciato e prontamente offeso, come se fosse
colpa sua se non sempre riusciva a controllare il dolore che lo affliggeva, anche
se era causato da un fiocco bianco e da un liquido verde e perfido. «Lo so che
sei arrabbiato e che vorresti che partecipassi a meno eventi possibili»
cominciò con tono lieve, distendendo meglio la gamba per facilitargli certi
gesti. «Ma ho il tuo benestare».
«Lo so»
disse il mannaro senza alcuna sfumatura nella voce, rigirandosi il ginocchio
tra le dita e proseguendo per i graffi che si disseminavano oltre.
«Ti
dispiace avermelo dato?» chiese con curiosità e con una nota premente di timore,
pronta a ricevere una risposta positiva.
«Te lo
saresti preso comunque» asserì neutrale il mutaforma, prendendo un nuovo
batuffolo di cotone e versandogli il disinfettante.
Stiles trattenne un sospiro pesante, ingoiandolo. «È
probabile» più volte avevano affrontato quel tipo di conversazioni, con il
ragazzo sempre pronto ad affrontare ogni cosa per il bene delle persone che più
amava, buttandosi a capofitto ed imbattendosi costantemente in ostacoli più
grandi di lui stesso e con Derek che avrebbe fatto di tutto per tenerlo il più
possibile lontano dal pericolo, sacrificandosi e mettendolo puntualmente al
primo posto.
Alla
fine erano arrivati alla conclusione che nulla avrebbe potuto fermarli, perché
ognuno avrebbe agito secondo i propri principi e sentimenti; tanto valeva che
l’Alpha lo appoggiasse incondizionatamente, riprendendolo ogniqualvolta lo
ritenesse necessario. Avevano un patto che li legava indissolubilmente e in cui
credevano ciecamente.
L’uomo
gli accarezzò appena la caviglia, chiaro segno che avesse terminato con il suo
lavoro e il ragazzo se la tirò contro, liberando l’altro del suo peso e
lasciandogli libero accesso.
Derek
si alzò dalla sedia che veniva utilizzata in quelle circostanze, dirigendosi
verso la scrivania dov’era presente la valigetta del pronto soccorso,
sistemandola e rimettendo tutto al suo posto, per poi uscire dalla stanza e
raggiungere il bagno, lì dove solitamente veniva conservata e in cui veniva
gettato tutto quello che avevano utilizzato.
Vederlo
muoversi tranquillamente tra le quelle mura, come se tutto gli fosse familiare
e fosse di casa, gli dava sempre le vertigini e un calore profondo al ventre,
sottraendogli un po’ di ossigeno e riscaldandogli il petto. Era sempre qualcosa
che lo lasciava senza fiato.
Prima
che lo vedesse tornare, Stiles si infilò i pantaloni
del pigiama, facendo attenzione a non far scontrare troppo pesantemente la
stoffa con il ginocchio sbucciato e buttandosi di peso sul letto ad una piazza
e mezza, arrivando fino alla testata e abbandonandosi scompostamente sul
cuscino, abbracciandolo stretto. «Dormi qui?» domandò con il viso premuto sulla
federa, infilandosi sotto le coperte e nascondendosi al chiarore della luce
artificiale.
Il
mutaforma varcò la soglia della camera, spegnendo la fonte di luce principale e
lasciando che il lumino sul comodino divenisse il protagonista. «Hai ancora
bisogno di chiederlo?».
«Questa
volta hai qualcuno che ti aspetta nel tuo triste e tetro loft e non sono né
Peter né Isaac» dichiarò in un’illuminazione evidente il minore, scostandosi
appena nella sua parte di materasso.
«Il
tempo che passo con Cora è sufficiente» affermò l’Alpha senza scomporsi troppo,
infilandosi a sua volta sotto le lenzuola, non per reale fastidio della
temperatura bassa, ma perché in quel modo gli era permesso di avere più
contatto possibile con l’altro; in più per i suoi gusti Stiles
era troppo freddo. Doveva porre rimedio. «Non ha bisogno di me che le alito sul
collo anche di notte».
«Oh,
così questa terribile sciagura devo subirmela io» proferì con drammaticità il
figlio dello sceriffo, portandosi una mano sulla fronte con teatralità. «Che
destino infausto».
Derek
grugnì rumorosamente, schiacciandolo sul letto con forza e mordendogli la
giugulare con dispetto e stizza, tirando la pelle con i denti e affondando il
naso sulla piega del collo, inalando a pieni polmoni il suo odore prorompente,
scatenando nella preda una risata offesa e celestiale che gli attraversò tutto
il nervo acustico. «Come se ti dispiacesse».
Stiles sorrise vistosamente, abbracciandolo d’impeto e
trattenendolo su di sé. «Derek» e era un vago tentativo di ammonimento, in cui
lo pregava di risparmiarlo, almeno per una volta, ma era esattamente il suo
opposto, risuonando a chiare lettere quanto volesse che continuasse a
marchiarlo. Ed a volte quel nome veniva pronunciato come unico sostituto per
parole che non sempre riusciva a pronunciare, ma che era sempre carico di tutto
il sentimento che provava per lui.
L’uomo
adagiò un bacio languido sulla scapola destra, addentandola appena e
strofinandovisi contro. E spesso quel tipo di risposta era l’unica che gli
dava. «Tu vuoi che resti».
«Certo
che lo voglio» confermò con decisione il padrone di casa, risuonando ovvio e
scontato, con un’enfasi che si dilatò nell’ambiente.
Il
mutaforma sorrise trionfante sulla sua epidermide, risalendo senza alcun
impedimento verso le labbra del ragazzo per legarle alle proprie in una morsa
intensa e disarmante, univoca ed indissolubile.
Stiles si abbandonò completamente, lasciandosi viziare e
vezzeggiare, sciogliendosi totalmente tra le sue mani, che furono prontamente
intrecciate dall’altro quando gli si coricò di fianco, voltato verso la sua
direzione a specchiarsi nelle sue iridi di miele.
L’umano
espirò piano, affondando il capo nel petto del moro, avvicinando le dita poste
sotto di sé e rilassandosi quando sentì il mento dell’Alpha poggiarsi tra i
capelli.
Improvvisamente
il suo olfatto fu invaso da un odore pungente e fastidioso che gli pizzicò le
narici, odore che notò essersi disperso nella stanza, riempiendola.
Aprì le
palpebre di scatto e gli occhi gli caddero sulle falangi intrappolate in una
trama perfetta, una che gli attorcigliò lo stomaco nel momento in cui comprese,
riconoscendo l’impronta lasciata dal disinfettante usato poco prima. «Deve
essere nauseante per te quest’odore insopportabile. Mi dispiace».
Le dita
intorno alle sue si mossero appena, smuovendo l’aria e rilasciando una nuova
ondata dell’essenza del prodotto di cui erano pregne. «No, va bene» proferì il
lupo atono e caldo allo stesso tempo, una combinazione improbabile che creò nel
suo interlocutore una palpitazione sfuggente.
Il
figlio dello sceriffo uscì dal suo antro sicuro, alzando la testa e cercando le
gemme di smerarlo per sottrargli le informazioni che gli sfuggivano. «Perché? È
fastidioso per me e io tra un po’ non ci farò nemmeno più caso, ma tu riuscirai
a sentirlo per molto più tempo e in modo dettagliato» articolò in un discorso
preciso e minuzioso, alzando la voce di un’ottava di troppo, una caratteristica
che manifestava quando qualcosa di insensato gli si presentava e che era accompagnato
da una spiegazione assente. «Non ne hai neppure bisogno».
«Tu sì»
disse l’Alpha in un’esclamazione opprimente e assolutistica come unica ragione
esistente.
In Stiles mancò un battito e il respiro si fece più pesante ed
affannato, le pupille si dilatarono fino a coprire parte dell’ambrato. «Derek».
Il lupo
mannaro incatenò gli occhi ai suoi e lo sguardo era penetrante e
destabilizzante, incorporando in quelle perle magnetiche tutte le parole che
avrebbe voluto comunicargli e che era restio a lasciar prendere loro vita e
ogni tanto capitava – spesso, in effetti – che non volesse esporsi e rendere le
cose palesi più di quanto non lo fossero già. La maggior parte delle volte
l’umano sapeva sempre estrarle indipendentemente, comprendendolo senza alcuna
fatica, ma altre volte certi misteri rimanevano in scovabili perfino per lui.
«Finché ci limiteremo a questo andrà bene» disse con voce profonda e morbida,
accarezzandogli l’anima. «Vuol dire che stai bene».
Gli
occhi del ragazzo si sgranarono automaticamente, spiazzate e sbalordite, con
una consapevolezza fondata in fondo alle pozze ambrate; uno sfarfallio gli
scombussolò l’intestino e trattenne il fiato con fatica. «Accidenti» imprecò
asciutto e risentito con una nota speziata di scontento, lasciando scivolare la
lingua sulle labbra e mordendosi una guancia distrattamente. «È così
scorretto».
Derek
inarcò un sopracciglio scettico e duro, eloquente fino al midollo. «Che stai
blaterando?».
«Ogni
volta che penso di aver toccato la vetta massima dell’amore che provo per te,
tu mi rimandi sempre al suolo» sproloquiò nell’immediato, agitando le gambe e
sbattendo un tallone sul materasso. «È così ingiusto, come se non fossi
consapevole che crescerà sempre di più e che non si potrà mai arrestare. Come
se non sapessi che raggiungerà nuovi picchi e che ti amerò sempre di più e
dannazione! Io sono già così perdutamente innamorato di te» proferì inciampando
appena nel proprio respiro e sentendo tirare i muscoli dello stomaco,
trascinandolo maggiormente contro il fondo. «Tutto questo è scorretto,
scorretto esattamente come te».
Un
silenzio opprimente scese nella camera, impregnando le mura e permettendo al
battito accelerato del minore di sovrastare tutto il resto.
Stiles vide con orrore una piega contornarsi intorno alle
labbra del licantropo e una scarica diretta gli percorse tutta la colonna
vertebrale, portandolo ad arretrare inconsciamente. «Non ci provare, Derek. Non
ci provare nemmeno» gracchiò con la voce roca e un nodo dispettoso che gli
ostruiva la trachea, smorzandogli il fiato, portandolo a slegare di conseguenza
le falangi ancora unite.
Derek
se lo tirò contro, affondando la mano sinistra nei capelli castani,
artigliandoli per bene e permettendogli di tenerlo fermo quando gli baciò la
bocca, assaporando la corposità e la morbidezza della sue labbra, sfamandosi
con il suo sapore e mordendogli appena quello superiore, leccandogli
maliziosamente i denti e ghignando appena. «Scusa» mormorò sopra la bocca,
scandendo ogni lettera con ingordigia ed accostando la fronte alla sua,
stringendo le ciocche tra le dita con delicatezza, solleticandogli appena la
cute. «Ma a volte credo dimentichi che provo le stesse identiche cose».
Il
padrone di casa sbuffò una bolla d’ossigeno che si increspò sulle labbra
dell’altro, lambendole con maestria. «Lo so».
«Sei un
fiume in piena, Stiles e va bene così» disse l’Alpha
con voce calda e prorompente, riscaldandogli l’anima e calmando gli organi che
non smettevano di agitarsi.
Il
ragazzo mugugnò contento, inspirando con calma il suo odore e sfiorando con la
punta del naso il suo profilo, pronto per abbandonarsi a quel tepore che gli
invadeva i tessuti, cullandolo e invitandolo a salutare quella notte
impegnativa che l’aveva svuotato di una considerevole dose di energia.
Quando
le palpebre si socchiusero appena e Derek era già pronto per riportarlo nella
posizione in cui erano abituati ad addormentarsi, Stiles
le aprì colto da un dettaglio che aveva trascurato. «Credo di essermi fatto
sfuggire qualcosa davanti ai ragazzi».
«Credi?»
lo riprese il mannaro con una nota evidente di sarcasmo, addentandogli uno
zigomo e imprimendo un segno accennato.
Il castano
si ritrasse appena, sbuffando sonoramente sul suo viso e dando via libera ad un
suono scontento che fuggì dalle labbra. «Non me ne sono reso conto; è una cosa
sconveniente, vero?» pigolò in una spiegazione che a lui suonava sensata e
esaustiva, ma consono di doversi nascondere da qualche parte.
«Lo
sceriffo mi prepara la colazione» esalò pragmatico l’uomo con un tono che
lasciasse intendere tutte le risposte che il minore ne avrebbe dovuto trarre.
Era
accaduto in un giorno impreciso della settimana e in un mese arbitrario.
Stiles si era svegliato con Derek già davanti la porta, gli
aveva dedicato un’occhiata che non aveva ben compreso e tutto quello che ne
trasse fu che avrebbe dovuto accodarsi senza fare domande.
Rumori
molesti provenivano dal basso, in fondo alle scale e si erano limitati a
seguirli, fin a giungere davanti la cucina, trovando il ripiano che usavano per
far colazione stracolmo di ogni delizia possibile – cioè quelle che il ragazzo
ammetteva in casa.
Il
minore di casa Stilinski sbirciava da dietro la spalla del lupo, agganciandosi
alla manica scura che penzolava dal suo braccio per riuscire a scorgere la
figura dell’adulto.
Era
assonnato e si stropicciava un occhio per svegliarsi e capacitarsi di quello che
gli si presentava dinnanzi. Lo sceriffo aveva abbozzato un sorriso nella sua
direzione, ignorando deliberatamente il licantropo e Derek aveva scrollato
appena le spalle, raggiungendo il padrone di casa alla tavola.
Stiles aveva impiegato qualche minuto prima di comprendere
cosa significasse tutto quello e di cogliere l’enormità della cosa. Da lì era
iniziata una nuova routine quando lo sceriffo era presente tra quelle quattro
mura.
«Sì,
beh… cioè, sempre meglio di quando voleva spararti perché vai a letto con il
suo unico figlio. Minorenne tra l’altro» precisò puntiglioso, giusto per
mettergli in evidenza la differenza che ne era susseguita. E Derek sbuffò,
perché quello non era importante per niente. «Ma per Scott e papà è diverso.
Scott si è ritrovato in mezzo e ne sarebbe venuto a conoscenza comunque in
qualche modo. E con papà… insomma, vivi praticamente qui, Derek; impossibile
non notarlo» continuò subito dopo, immergendosi in pensieri, adornati di
immagini, in cui tutto gli scorreva nitido e chiaro.
Il lupo
conosceva ogni variante delle sfumature di quell’ambrato che lo riflettevano,
cogliendo sempre ogni passaggio e classificandoli impeccabilmente. Sapeva in
quale tunnel si trovava e quanto intensa fosse la sua riflessione.
«Credi
che mi importi?» domandò retoricamente il moro, senza volere una vera risposta
che sarebbe arrivata comunque, ma che doveva risuonare come quella che Stiles stava cercando senza arrovellarsi troppo e cadere in
un vortice di emozioni contrastanti, depistandolo e allontanandolo sempre di
più.
L’umano
si voltò completamente verso di lui, gli occhi brillanti e intensi, mentre le
loro gambe si incastravano tra loro e Derek che lo accoglieva tempestivamente.
«Non ne abbiamo mai parlato, non ci ho nemmeno mai pensato» proferì candido,
distogliendo l’attenzione dal suo interlocutore e giocando distrattamente con
la punta delle dita. Il mutaforma lo guardò scettico e poco convinto e quello
lo colse in pieno, perché soffiò come un gatto offeso. «È vero, Derek» lo
ammonì con stizza, lanciandogli un’occhiata torva. «Non ho mai avuto bisogno di
pensarci, perché per me è evidente. È una cosa complementare e visibile, non mi
sono mai interrogato sul fatto che qualcuno potesse non vederlo e non esserne
partecipe» articolò più a se stesso che al suo ascoltatore, giocando con la
maglia consumata del lupo, senza riuscire a stare fermo; un’azione impossibile
per lui. «È… naturale. Siamo io e te, siamo Stiles e
Derek» il fiato del licantropo divenne più pesante e consistente, ma l’altro
sembrò notarlo appena, immerso com’era nel cercare le parole giuste che
continuavano a sfuggirgli e lui non riusciva a catturarle ed a spiegarsi come
avrebbe dovuto. «È come respirare, Derek. Stare con te è come una parte
fondamentale del mio essere. Una parte integrante del mio corpo. Il mondo non
ha bisogno di saperlo, perché ne è già a conoscenza».
Stiles riportò gli occhi di miele su quelli boscosi
dell’Alpha, notando uno strano luccichio in essi, avvolti da una tempesta
burrascosa che gli sottrasse alcuni battiti del cuore. «Ho sbagliato, vero? Ho
parlato a sproposito. Non ha senso, mi dispiace. Io non-» una valanga di
espressioni agitate si abbatterono su di loro e l’inquietudine si manifestò nei
suoi gesti incontrollabili, creando un nervosismo imperiale negli organi
vitali. Non riuscì neppure a concludere quella valanga di parole sconnesse,
poiché l’ossigeno era bloccato in fondo la gola e Derek lo stava baciando,
spalmandosi su di lui e impossessandosi di tutta la cavità orale, mordendogli
le labbra ingordo e famelico, prosciugandolo di quelle poche energie che gli
erano rimaste.
«Ha
senso» disse il lupo mannaro nel bacio, sfiorandogli la guancia sinistra con il
pollice e depositando uno schiocco leggero sulla fronte. «Ha perfettamente
senso».
Stiles lo guardò come se lo vedesse per la prima volta,
ingrandendo le iridi d’ambrosia e rimpicciolendo le pupille fin ad un punto
nero infondo al tunnel, respirando aria rarefatta. «Lo senti anche tu?» e lo
disse con un filo di voce quasi sconvolta ed incredula, incapace di accettare
l’essergli sfuggito una nozione come quella.
«Sì» ed
era un’impronta indelebile nei loro cuori e nelle loro anime, indissolubile e
impossibile da cancellare.
E
l’umano stava respirando appena, svuotato e traboccante di così tante cose da
comunicare che scappavano senza dargli l’opportunità di metterle anche solo a
fuoco o di poter semplicemente considerare l’idea. Tutto quello che gli
vorticava nella mente era che Derek lo amava nello stesso preciso modo ed una
voce saputa ed onnisciente gli sussurrava che probabilmente era anche più
grande e sconfinato. Stiles era bloccato. «Derek».
«Ti
amo, Stiles» imperativo e categorico, una realtà
unica e imperscrutabile. Derek lo strinse così tanto a sé che si sentì
risucchiato, parte integrante di ciò che rappresentavano; un connubio perfetto
e soffocante che gli liberò le vie respiratore.
In fondo
alla sua voce impetuosa e passionale poteva sentire tutto quello che non veniva
detto ed esposto, colpendolo in pieno: non
immagini neppure quanto.
«Uao, dovrei lasciarmi scappare le cose più spesso» dichiarò
il figlio dello sceriffo con ardore e ironia genuina, inclinando la testa sul
cuscino e rubandogli un bacio a stampo.
«Scordatelo»
lo ammonì prontamente il lupo mannaro, mordendogli con intimidazione il lobo
dell’orecchio, scaturendo un lamento annoiato da parte della sua vittima.
«Puoi
sempre farmi tacere, sai esattamente come fare» ammiccò scaltro il ragazzo con
un ghigno accattivante e malizioso, strusciando il naso sul suo zigomo,
pizzicandolo con le labbra.
Derek
gliele baciò come prova evidente che sì, poteva farlo e ne aveva tutti gli strumenti
e che Stiles non l’avrebbe rifiutato mai. «Peccato
che peggiorerebbe la situazione».
L’umano
emanò un singulto infelice, protestando rumorosamente e continuando
imperterrito a lasciarsi vezzeggiare dalla sua bocca. «Vuoi dire che non
vorresti baciarmi ovunque e davanti a chiunque?».
«Lo
voglio, terribilmente» annunciò nefasto il licantropo, mangiandogli le labbra e
incatenandolo in un bacio senza fine, in cui la lingua rovente e bagnata
ispezionava ogni centimetro della sua bocca, leccandogli giocoso il palato e
lasciando scontrare i denti appositamente.
Stiles gli sorrise contro, incastrandosi perfettamente a lui
e fondendosi completamente. «Puoi fare quello che vuoi, perché voglio ancora
tutto di te» quello era ancora il modo più rumoroso e travolgente che aveva per
dichiarargli tutti i ti amo del mondo
che sfiguravano davanti a quelle parole.
L’uomo
gli alitò sulle labbra, sfiorandole appena con le proprie e trascinandolo nella
posizione più comoda per lui senza interrompere il loro contatto e separarsi.
«Anch’io».
Spesso Stiles si domandava come avessero fatto a divenire quello
che erano in quel momento, di quanto avessero continuato a girarci intorno per
mesi, nascosti dietro ad un patto in cui credevano molto poco e che aveva subito
continue metamorfosi, fino a far sparire qualsiasi confine si fossero
prefissati e poi si erano incastrati con le loro mani, continuando a rifiutarlo
ed a scappare, senza però riuscire a separarsene. Senza riuscire a demolirlo e
stracciarlo, tornando alla vita che gli era appartenuta prima che si fossero
uniti in quel modo.
Derek
era scappato e Stiles era stato costretto a
rincorrerlo per essere rifiutato nel peggiore dei drammi, spezzandolo.
Derek
era tornato per rimettere insieme quei frammenti che trasudavano dolore e che
gridavano quanto lo amassero.
Era
rimasto.
A Stiles tutto quello sarebbe bastato se non avesse
cominciato a percepire la linfa vitale della natura che gli scorreva nelle vene
e che gli comunicava giorno dopo giorno il legame che li consolidava e che non
potevano sciogliere.
Quello
era il naturale scorrere degli eventi che avrebbero condiviso per sempre.
Una
nuova ondata lo investì e si addormentò in quel preciso momento, con il viso
nascosto nel collo di Derek, le mani abbandonate sul suo petto e con il lupo
che lo teneva in un abbraccio che lo proteggeva dalle intemperie, il capo
inclinato verso il basso e la punta del naso quasi a sfiorargli la chioma
castana.
Quello
era il modo in cui santificavano le loro promesse.
Qualche
ora dopo lo sceriffo sarebbe rincasato, si sarebbe disfatto di tutto quello che
gli era d’impiccio e si sarebbe diretto verso le scale, fino a giungere davanti
alla camera da letto del figlio il più silenziosamente possibile. Avrebbe
spento la luce del comodino che veniva puntualmente dimenticata, perché era
consapevole che quei due si perdessero sempre l’uno nell’altro, parlando fino
allo sfinimento, guardandosi intensamente per comunicarsi tutte quelle parole
che non venivano pronunciate e continuando a promettersi cose infinite.
Si
fermava giusto un momento, concedendosi quell’unico istante, a guardarli.
Stiles aveva puntualmente un’espressione rasserenata ed un
piccolo sorriso ad increspargli le labbra e Derek lo teneva come se fosse la
cosa più preziosa che possedesse.
Quando
chiudeva la porta dietro di sé, si permetteva un tenue sospiro di fine giornata
e un piccolo tepore si depositava alla base del cuore: quei due avrebbero
rappresentato la sua isola felice finché avrebbe avuto vita.
Sì, questa è decisamente la fine. Abbiamo
chiuso. Niente più estratti, niente più spezzoni futuri; facciamoli respirare.
Anche questa piccola shot è stata scritta
subito dopo la conclusione della long e per me è come se terminasse quel
capitolo soltanto adesso, ma infondo le sue gambe camminano perfettamente da
sole e non le importa molto di collegarsi alla storia madre.
In questo momento mi rendo conto che, ehy, questa è la
prima settimana senza Teen Wolf e abbiamo il nostro
peso sulle spalle dopo la messa in onda della 5x10 e lo so che il conto alla
rovescia è iniziato per gennaio ancora prima di quella puntata. Com’era
prevedibile non hanno concluso un bel niente e quindi noi ci arrovelleremo il
cervello fino a quel giorno e per i successivi due mesi e mezzo. Riusciremo a
vedere almeno chi abbiamo tanto aspettato?
Ringrazio come sempre la mia beta che mi
dedica sempre parte del suo tempo e che viene costantemente bombardata dalle
mie domande e anche del fatto che correggiamo alle due di notte con gli
sbadigli incontrollabili.
Ringrazio chi passerà di qui e lascerà la sua
orma e chi si limiterà a vive questa shot.
Alla prossima,
Antys