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Autore: Susy07    01/09/2015    2 recensioni
“Credi davvero che non mi accorgessi della tua mancanza temporanea? Non ti vedevo ed ho cominciato a preoccuparmi, perciò ti ho seguita ed ho scoperto che venivi qui. Mi ricordo che la maggior parte delle volte ti sedevi, infilavi le cuffie ed iniziavi a leggere. Eri davvero bella, immersa in quel tuo mondo fatto di meraviglia e complicità. Talmente intenta a sprofondare nei tuoi sogni, non ti sei mai accorta che ti osservavo da lontano” mi spiega. Il mio sguardo è dritto, rivolto a chissà che cosa, mentre ripenso alla piccola me che si rifugiava nei libri, perché la realtà era troppo orribile per essere guardata.
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L'amore tra insegnante e alunna non finisce sempre nel migliore dei modi e Rose questo l'ha imparato a sue spese.
Ma se un giorno le capitasse di incontrare nuovamente quello che è stato il suo professore di matematica, nonché il suo primo, vero e grande amore? Qualcosa li ha separati, cinque anni prima, qualcosa che, forse, impedirà loro di stare insieme adesso.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Note dell’autrice…

Bonjour! Come state ragazze/i? ( Ragazzi, se ci siete, sul serio, fatevi sentire!). 

Allora sì, sono fissata, ormai scrivo solo OS. Non so quale sia la ragione di questo mio innamoramento verso le One shot, so solo che è successo, perciò perdonatemi, ma per ora vi toccherà leggere solo quelle da me. 

Questa storia è nata durante un viaggio in macchina. Stavo tornando dal mare e non avevo nulla da fare, ero perso ad osservare gli alberi dal finestrino quando, ad un certo punto, ho iniziato a pensare alle classiche storia in cui l’alunna si innamora del professore. Ebbene, ce ne sono a migliaia di racconti simili, eppure nessuno ha mai specificato cosa accade dopo l’infatuazione. Voglio dire,  dopo il liceo, dopo che lui ha smesso di essere il suo professore, allora che accade?

Insomma, l’idea iniziale era quella, poi diciamo che, come al solito, scrivendo è cambiato un po’ tutto. Spero comunque che vi piaccia. 

Il finale è un po’… Così, insomma… Capirete, quando leggerete, fidatevi. Spero di ricevere qualche recensione, un bacione, 

Susy. 

P.S Perdonate gli errori, non ho riletto:). 


E’ stato bello amarti. 


“Non ho voglia di andarci, Emily!” sbraito, alzando gli occhi al cielo. 

“Perché, credi che io ci voglia andare? Dobbiamo, punto e stop.” mi spiega. 

“No, che non dobbiamo. Per quanto ne sanno loro, potremmo anche essere morte, investite da un camion che trasportava mucche” sbuffa, in risposta alle mie lamentele. 

“Sembri mia sorella, Rose” insceno un broncio ed alla fine mi lascio cadere malamente sul letto, aprendo le braccia ed allargando le gambe. Cado goffamente sulle coperte soffici e sbuffo per la milionesima volta. Ma, io dico, si può sapere perché tutti gli anni dobbiamo fare questo stupido incontro con i vecchi compagni di liceo? A chi cazzo frega di come sono adesso le loro vite? A me no, di sicuro. 

“Sono trascorsi solamente tre anni dalla fine della scuola e già mi tocca tornarci? Non ci penso proprio!” Emily rimane in silenzio e, nonostante io non riesca a vederla, sono sicura che mi sta fissando con quel suo sguardo da ‘io-so-perché-non-ci-vuoi-andare’. 

Sento il letto sprofondare leggermente in un angolo e capisco che la mia coinquilina, nonché vecchia compagna di avventure, ha deciso di lasciarsi andare al semplice conforto che un letto può donare. 

“Non è tornare a scuola che ti infastidisce così tanto…” 

“Sì, invece. E’ stato un inferno il liceo, per me.” mi volto verso di lei, che ora è sdraiata accanto a me e mi specchio nei suoi occhi scuri. 

“Andiamo, Rose. Sei una pessima bugiarda, lo sei sempre stata” sposto lo sguardo dal suo e volto il capo, fermandomi a fissare il soffitto azzurro. Ha ragione. 

Cioè, non che io fossi popolare o chissà che cosa, ma mi piaceva andare a scuola, perché avevo il mio gruppo di amiche, le mie sister, che, nonostante non fossi la più bella o la più importante, mi facevano sentire speciale. Poi, finito il liceo, è finito anche tutto il resto, compresa la nostra amicizia, che un tempo credevo indistruttibile. L’unica con la quale ho mantenuto i rapporti è Emily. 

“Devi affrontarlo, Rose. Non vorrai portarti dietro questo fantasma per tutta la vita” 

“Ti sbagli. Io non mi sto portando dietro proprio niente” mi alzo dal letto e mi dirigo verso l’armadio “ E per dimostrartelo, ci andrò. Infondo, cosa vuoi che sia? Devo solo sopportare per due ore le insistenti domande dei vecchi compagni.” lei mi sorride

“Brava, la mia Rose. L’unico problema è che non abbiamo un vestito per l’occasione…” sussurra, pensierosa. Alla fine la vedo illuminarsi di una strana luce e con il tono più felice che sia mai riuscita a sentire, dice 

“Andiamo a fare shopping!” 




Sono tornata già da mezz’ora, ormai. Emily è chiusa nel bagno, tutta intenta a truccarsi, mentre io sono ancora nella mia stanza, che guardo e riguardo il vestito che la mia pazza amica mi ha praticamente obbligata a comprare. 

E’ carino. Blu notte, senza spalline, con una fascia larga appena sotto il seno, di colore nero, alla quale è legato un leggero strato trasparente di pizzo nero che ricade, coprendo la gonna blu. 

Lo sfioro leggermente con le dita e mi ritrovo, quasi senza volerlo, a chiedermi se a lui potrebbe piacere. Scaccio questo pensiero e mi ricordo che è lui che mi ha mollata, che devo smettere di pensarci, che la nostra relazione era diventata impossibile da gestire. Mi decido finalmente ad indossare l’abito, aggiungendo qualche gioiello, una borsetta blu e delle scarpe con il tacco (che, tra l’altro, non ho idea di come farò a portare per tutta la serata, non essendo abituata ad indossarle.) 

Raccolgo i capelli in uno chignon e mi trasferisco in bagno, dove una pimpante Emily mi osserva orgogliosa

“Te l’avevo detto che saresti sembrata una meraviglia” le rivolgo un sorriso imbarazzato e le lascio piede libero per quanto riguardo il mio trucco. Una volta pronte entrambe, usciamo di casa, chiudo la porta e ci dirigiamo verso la nostra macchina. 

Percorriamo il tragitto che ci porterà a scuola nel più completo e tombale dei silenzi. come se entrambe ci stessimo immaginando cosa accadrà una volta varcata la porta di quell’istituto, che è stato testimone del crescere della nostra amicizia. 

“Si sorprenderanno di vederci” mi dice, appena parcheggiata l’auto. Probabilmente ha ragione, dato e considerato che non abbiamo mai partecipato a queste stupide festicciole che i vecchi compagni organizzano tutti gli anni. Dopo un lungo sospiro, mi decido ad aprire lo sportello della macchina e a scendere. L’aria è fresca e subito mi pento di non aver portato qualcosa con cui coprirmi. 

“Andiamo, dai…” sussurra Emily, forse più a se stessa che a me, mentre attraversiamo l’atrio e giungiamo davanti alla porta della nostra vecchia palestra, arrugginita dal tempo, ma sempre dello stesso colore giallo verdognolo. La spalanchiamo e subito la musica ci investe. Mi guardo attorno e riconosco moltissimi miei vecchi compagni di classe, che avrei preferito non rivedere mai più. 

Una ragazza, alta ma non propriamente magra ci si avvicina. Ha dei lunghi capelli biondi, talmente lisci che penseresti li abbia passati con la piastra, che fa ondeggiare di proposito ad ogni singolo passo. 

“Ciao ragazze! Quanto tempo…” esclama, abbracciando prima me e poi Emily. Fatico a riconoscerla, ma quando è a due centimetri dal mio volto, capisco finalmente di chi si tratta. 

“Amanda, ciao.” rispondo. Amanda Righetti, ragazza più popolare e bella del liceo, di origine italiana, da come si può capire dal nome. Lei mi sorride, mentre noto delle piccole ruchette formarsi intorno agli occhi. Beh, direi che non sei messa bene se a 22 anni hai già problemi di questo genere. 

“Non mi aspettavo di vedervi” mi dice, quasi con un pizzico di cattiveria nella voce. Le rispondo con un’alzata di spalle

“Eravamo curiose di vedere che fine hanno fatto i nostri vecchi amici” risponde Emily, con un sorriso più falso dei finti diamanti che Amanda sfoggia alle dita. Io la sorpasso, già stanca di dover far finta che fossimo grandi amiche, e mi dirigo, subito seguita da Emily, verso una delle sedie in fondo alla palestra. 

“Oddio, hai visto com’è diventata?” annuisco, con una faccia quasi disgustata. 

“Direi che il suo titolo di reginetta del ballo l’ha perso da un bel po’ ” constata. 

“Non che mi interessi più di tanto, comunque…” si affretta ad aggiungere, ma io so che non è così. Emily sognava quella corona come un bambino paffuto sogna di tuffarsi in una piscina di Nutella. 

“Oh, mio Dio! E’ Rick, com’è cambiato…” esclama, quando vede in lontananza quello che è stato, secondo lei, il primo vero amore della sua vuota vita. 

“E’ più carino adesso” cerco di darle corda. 

“Dici che dovrei…?” mi chiede, lanciandomi un’occhiata. Annuisco immediatamente e la vedo scomparire tra la massa di persone che si divertono a bere e a ballare. 

Incrocio braccia e gambe e mi perdo, per qualche secondo, ad osservare il posto. Il liceo non è stato proprio fantastico, ma, come ho già detto, avevo delle persone speciali che hanno addolcito i ricordi che ho di quel periodo. Guardandomi intorno, mi accorgo che la maggior parte delle persone è rimasta esattamente com’era quando avevamo 15 anni. 

E poi, tra la folla, accanto al tavolo degli alcolici, lo vedo. Alto, imponente, con il suo solito sorrisetto sghembo ed i capelli leggermente più lunghi di quanto mi ricordassi. Lo osservo da capo a piedi, mentre i ricordi riaffiorano. 

Lui che mi abbraccia.

Lui  che mi bacia. 

Lui che è stato la mia prima volta ed il mio primo amore. 

Scosto lo sguardo quando mi rendo conto che anche lui si è accorto della mia presenza. Ed ecco che comincia a camminare verso la mia direzione. Gli occhi cupi, il sorriso spento, come se stesse vedendo il fantasma del suo passato. Con poche falcate mi compare davanti, fasciato dal suo completo nero, al quale ha tolto, però, la cravatta. Lui le ha sempre odiate, le cravatte. 

Rimane in piedi davanti a me, mi scruta attentamente, mi bacia con gli occhi. Io, al contrario, cerco di sembrare indifferente alla sua vista. Dopo un po’, allunga una mano verso di me

“Mi concede questo ballo, signorina?” chiede. Comincio a ridere

“Io non ballo” gli ricordo.

“Oh, lo so. Ma pensavo che, per una volta, potresti fare un’eccezione” 

“Mmm, sì, potrei, ma non lo farò” esclamo, con il sorriso più angelico che riesca a fare. 

“Vedo che non hai perso la tua lingua biforcuta” mi dice, smettendo di darmi del ‘lei’. 

“Vedo che non hai smesso di fare il playboy” tento di ferirlo e credo di esserci riuscita. 

“Sai che non è così, Rose” è irritato, ma, a differenza di qualche anno fa, riesce a non darlo a vedere. 

“Perché sei qui?” gli chiedo. 

“Invitano anche i professori a queste stupide feste, a quanto pare” 

“Sì, ma sei stato con noi solo un anno” annuisce, ma non risponde. Alla fine afferra una sedia e si accomoda accanto a me. 

“Non sei cambiata molto” constata “Sei sempre bellissima” aggiunge sottovoce e non capisco se l’abbai fatto per non farsi sentire dagli altri o da me. 

“Sono passati solo 5 anni, dall’ultima volta che mi hai vista” 

“Lo so. Beh, come stai adesso?” 

“Bene, tu?”

“Bene. La vita privata come va?” mi volto verso di lui, lanciandogli uno sguardo 

“Non sono affari tuoi” 

“Tu sei un affare mio.” mi dice, arrabbiato. 

“No, non più.” e prima che lui possa dire qualcosa, mi alzo e me ne vado. 

 Aaron Gray, il mio ex professore di matematica. Bello, intelligente, incredibilmente affascinante. L’avere fascino è diverso da essere belli. Secondo il mio punto di vista, la bellezza, prima o poi, scemerà. Il fascino no. Quello ti resto attaccato per sempre, fino a quando non esalerai il tuo ultimo respiro. E Aaron Gary, per mia immensa disgrazia, possiede entrambe le qualità. 

E’ un mix perfetto di sensualità e bellezza, di charme e passione. Insomma, è terribilmente letale, soprattutto per la mia persona perché, per quanto io ci provi, lui mi attira e mi attirerà sempre. Ma ormai abbiamo chiuso, ormai tutto si è trasformato in un lontano e bellissimo ricordo. Mi ha dato tutto se stesso ed io ho risposto cedendogli le chiavi del mio cuore ma, nonostante il sentimento fosse vero da entrambe le parti ( e di ciò sono sicura), le circostanze ci hanno obbligato a lasciarci andare. 

Cammino tra le persone che ballano ed ogni tanto vedo qualcuno alzare la mano verso di me, in segno di saluto, riconoscendomi, probabilmente. Sono proprio al centro esatto della pista, che mi divincolo tra i corpi sudati e danzanti dei vecchi liceali, quando una mano afferra un braccio, con un gesto ferreo. 

E’ tutto troppo veloce perché io mi renda conto di ciò che accade. Mi ritrovo spiaccicata al petto muscoloso di quello che è stato il mio professore di terza liceo, mentre le sue mani mi stringono i fianchi. Alzo il capo ed il suo viso è, secondo un calcolo approssimativo, a due millimetri dal mio. 

“Che fai?” chiedo brusca, allontanandomi da lui, mentre sento le guerce imporporarsi. 

“Balla con me” mi dice. 

“No” la mia una risposta secca, che non esige lamentele, ma a lui sembra importare poco di ciò che penso, infatti, senza che io possa fare altro, mi afferra per la vita e mi avvicina. Ed io non riesco più a muovermi. Per quanto vorrei allontanarmi, scappare da tutto e da tutti e tornare alla mia monotona vita, le sue braccia, il suo profumo, la sua voce persino, me lo impediscono. 

E, insomma, diciamoci la verità: è difficile allontanarsi dall’abbraccio premuroso di uno degli uomini più sexy e intelligenti che abbia mai conosciuto in vita mia ( ammesso che io ne abbia veramente conosciuti altri, di ragazzi simili ). Alla fine mi convinco che, infondo, non c’è nulla di male in un semplice ballo, perciò gli permetto di prendermi le mani e portarsele al collo. Inizia un lento e lui si muove, seguendo il ritmo della musica, mentre io faccio quello che posso per tentare di imitarlo. 

“Da quando sei così alta?” mi chiede. Mi trattengo dal ridere, constatando che, in realtà, non sono cresciuta affatto rispetto a quando avevo 17 anni, anzi, forse mi sono pure abbassata. 

“I tacchi…” sussurro flebilmente. Fissa i suoi occhi grigi nei miei, sembra che stia tentando di scrutarmi l’anima, perciò per me è davvero dura riuscire a non spostare lo sguardo ed arrossire. 

“Un tempo non amavi queste cose” allude alle scarpe alte, credo. 

“Le persone cambiano, Aaron” mento. Mento spudoratamente. In realtà nemmeno adesso amo portare queste trappole che adesso mi accolgono i piedi. 

“Da quando la pensi così?” sul suo viso si dipinge un sorriso malinconico.

“Perché me lo chiedi?”

“Quando ti ho conosciuta, dicevi che, secondo te, nessuno cambia realmente. Che anche quelle persone rese sgradevoli dal tempo, in realtà nascondono un mondo di dolore.” smetto di ballare e rimaniamo fermi a fissarci. 

“Beh, lo credevo prima che quel dolore, che tu tanto ami citare, invadesse anche me. Sai, Aaron, quando la sofferenza ti prende per mano, non hai molta scelta: o sprofondi, o cambi. Io ho scelto la seconda” dico, con un pizzico di rabbia nella voce. 

“No, non sei cambiata. Non ci credo e mi rifiuto di farlo. Ti stai solo nascondendo, Rose e lo sai anche tu.” 

“Sì, e secondo te perché lo faccio?” gli chiedo. Poi il silenzio. Nessuno dei due proferisce più parola, restiamo semplicemente immobili, in mezzo alla pista, che ci guardiamo. Ed in questo momento, nonostante una parte di me voglia odiarlo con tutta me stessa, so che ha ragione. Io non sono né cambiata, né sprofondata. La mia è una via di mezzo, ho deciso di aggrapparmi, per salvarmi. 

Quando il lento termina, io tolgo le mani dal suo corpo, nonostante il richiamo sia fortissimo, e mi allontano. Esco dalla palestra, tolgo i tacchi e comincio a camminare a piedi scalzi, attraverso il giardino. Mi ricordo di una posto dove andavo durante la pausa pranzo, quando volevo stare sola e mi dirigo a passo svelto verso esso. 

Una panchina di pietra, circondata da erbacce e rami di piante, sprofondata tra il verde delle foglie, si trova in un angolo del giardino che nessuno, probabilmente, ha mai trovato. Mi ci siedo sopra ed estraggo un pacchetto di sigarette dalla borsa, insieme ad un accendino. Ne estraggo una e cerco di accenderla, quando una voce mi ammonisce.

“Non dovresti fumare” mi volto e a pochi passi da me, avvolto nell’oscurità, lo vedo. 

“Tu non sei proprio nessuno per dirmi cosa dovrei o non dovrei fare” 

“Il mio era un consiglio, ma se ti vuoi rovinare i polmoni, avanti, fallo pure” sbuffa, caccio la sigaretta nel pacchetto e lo poggio accanto a me. Lui mi si avvicina

“Mi hai seguita?” chiedo. Lui scuote il capo.

“Sapevo che saresti venuta qui. Anche quando eri più piccola, questo era il luogo che più preferivi della scuola”

“E tu come lo sai?” 

“Credi davvero che non mi accorgessi della tua mancanza temporanea? Non ti vedevo ed ho cominciato a preoccuparmi, perciò ti ho seguita ed ho scoperto che venivi qui. Mi ricordo che la maggior parte delle volte ti sedevi, infilavi le cuffie ed iniziavi a leggere. Eri davvero bella, immersa in quel tuo mondo fatto di meraviglia e complicità. Talmente intenta a sprofondare nei tuoi sogni, non ti sei mai accorta che ti osservavo da lontano” mi spiega. Il mio sguardo è dritto, rivolto a chissà che cosa, mentre ripenso alla piccola me che si rifugiava nei libri, perché la realtà era troppo orribile per essere guardata. 

“Già” sussurro. 

“Mi sei mancata…” sussurra. 

“Sei stato tu ad andartene. Eri giovane e per questo bravo con i ragazzi, ma anche capace ad insegnare. La nostra preside avrebbe fatto di tutto per tenerti con noi, perciò non provare a dirmi che ti hanno licenziato loro, perché non ci crederei.” lo minaccio. 

“Hai ragione. Ho deciso io di lasciare questa scuola” mi volto verso di lui, mentre sento le lacrime salirmi agli occhi. 

“Perché? Perché hai voluto abbandonarmi?” domanda, con un tono di disperazione pura. 

“Eri minorenne, Rose. Potevo passare per un pedofilo, cazzo!” spalanco la bocca, stupefatta. 

“Era questo? Questo era ciò che temevi?” quasi urlo. 

“No, non solo. Cominciavano a capire di noi, tutti quanti ed io non volevo che il paese cominciasse a parlare di te, perché io ti conosco, Rose. So che sei fragile, che non avresti sopportato le voci che ti descrivevano come una troia, perciò ho scelto la via più facile, per impedire ad entrambi di soffrire. Ti ho lasciata e me ne sono andata”. Scuoto il capo

“Hai ragione, probabilmente avrei fatto fatica a reggere, ma lo avrei fatto perché ti amavo. E niente, ripeto, niente, mi ha fatto male quanto la tua lontananza. Ma ti capisco, sul serio, comprendo i tuoi dubbi ed anche il tuo dolore, in un certo senso. E proprio per questo ti chiedo di andartene. Tu hai fatto la tua scelta, hai preso la via più facile ed io non ho fatto né detto niente. Perciò pretendo che tu capisca me, perché anche io, adesso, voglio scegliere la via più sicura.” lui scuote il capo. 

“Sono solo otto anni di differenza, Rose. Non sono tanti. Ed io so che ho sbagliato, che ho agito da egoista, senza pensare realmente a te, ma, ti prego, non commettere il mio stesso errore” quasi mi imploro. Vedo i suoi occhi grigi arrossarsi e capisco che anche le sue di lacrime lottano per uscire.

“Non chiedermi di scegliere tra te e me, Aaron. Non chiedermelo, perché, alla fine, probabilmente sceglierei te e soffrirei ancora. Se davvero mi hai amata almeno un quarto di quanto ti ho amato io, vai via e non procurarmi altra sofferenza.” lo dico, mentre le lacrime scendono sul mio viso, macchiato di tristezza. Lui sospira pesantemente, mentre con le mani si copre il viso ed io so per certo che anche lui sta piangendo. 

“Va bene. Se questo è veramente ciò che può darti la felicità, lo farò” si alza, ma tempo di fare due passi e si ferma. Torna indietro, mi bacia la fronte e sussurra 

“Ti chiedo solo una cosa in cambio…” alzo il viso e lo guardo, aspettando di ascoltare ciò che ha da dire “Smettila di fumare. Ti prego.” annuisco e lascio il pacchetto di sigarette nella mano che mi ha dato. 

“Addio, piccola Rose. E’ stato bello innamorarmi di te” e se ne va, con il suo passo deciso, le spalle larghe e l’altura imponente. Sembra così forte da fuori, ma so che in realtà non lo è affatto. 

“Addio, signor Gray.” rispondo, quando ormai è troppo lontano per sentirmi e lascio che le mie parole vengano trasportate dal vento, mentre in silenzio comincio a piangere. 




Quella fu l’ultima volta che vidi Aaron Gray. L’ultima volta che i miei occhi si riempirono della sua figura, l’ultima volta che le mie narici sentirono il suo profumo, o le mie orecchie la sua voce. 

E questa che ho detto, è una grande, immensa, folle bugia. 

The end. 

  
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