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Autore: Luce_Della_Sera    03/09/2015    2 recensioni
In un pomeriggio come tanti, una diciassettenne esce da scuola e va alla fermata dell’autobus per tornare a casa; è presa da piccoli problemi e dai dubbi tipici della sua età, ma un incidente in cui resta coinvolta cambierà il suo modo di percepire le cose…
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lezione di vita

Affondai le mani nella tasca del cappotto, maledicendomi per aver dimenticato i guanti: anche se c’era il sole, faceva piuttosto freddo, e freddolosa com’ero di certo mi sarei congelata a breve!
“Ma poi, chissà dov’è finito l’autobus?”, pensai. “Doveva arrivare dieci minuti fa!”.
Mi guardai intorno, tanto per fare qualcosa, e notai una coppietta, appoggiata ad un muretto poco distante: entrambi avevano circa tredici o quattordici anni, non di più, ma si baciavano appassionatamente come se fosse questione di vita o di morte… mi girai di scatto, imbarazzata e nervosa. Tutte le fortune agli altri! Perché le ragazzine più piccole di me dovevano avere la possibilità di fare certe cose con i loro ragazzi, e io a diciassette anni invece non avevo avuto ancora uno straccio di fidanzato? Che cosa avevo di sbagliato?
Fissai lo sguardo su una anziana signora che era a pochi centimetri da me, augurandomi di non dover arrivare zitella alla sua età; poi sbuffai, guardando l’orologio.
Ero così livida che quando l’automobile arrivò, strombazzando e sbandando, non feci in tempo nemmeno a fare un solo passo indietro… fu meno di un istante, una mera frazione di secondo: venni sbalzata indietro e non vidi più nulla.
“La macchina mi è venuta addosso”, pensai, mentre cercavo di capire il motivo della mia improvvisa cecità e mi sentivo cadere, con il petto oppresso da qualcosa di molto pesante.
Avevo intuito, più che sentito, il rumore di vetri infranti, gli allarmi antifurto che suonavano e le urla; ma non mi importava. Volevo piangere, strillare anche io, ma non ci riuscivo. L’unica cosa che riuscivo a pensare, era che non avrei più rivisto i miei genitori; mio fratello l’anno seguente avrebbe iniziato le scuole medie e mia sorella invece avrebbe iniziato le elementari, e io non li avrei visti crescere, così come non avrei mai più potuto innamorarmi. Non avrei mai festeggiato il mio diciottesimo compleanno, non mi sarei mai diplomata…
“Chissà se potrò vederli, vegliare su di loro? Vedrò subito la luce, come succede nei film? Oppure dovrò restare qui sulla Terra per un po’?”.
Per me era finita, ne ero convinta: al punto che, quando caddi pesantemente a terra e sentii il dolore irradiarsi dall’osso sacro al resto del corpo, mi sembrò di essere rinata. E come quando ero venuta alla luce la prima volta, scoppiai a piangere, mentre tutto attorno a me riacquistava consistenza e colore. Vedevo l’asfalto, il riflesso del sole su dei vetri rotti, le mie mani graffiate.
“Maya?”
Mi guardai intorno, cercando di capire da dove proveniva la voce; alla fine, scorsi una figura familiare, che si abbassava al mio livello per guardarmi negli occhi.
“Maya, sono Gloria, mi riconosci? La cugina di tua madre!”.
In un primo momento, non ricordai; poi, come se provenisse da un minuscolo spazio della mia mente confusa, la comprensione arrivò.
“Sì, mi ricordo…”, dissi debolmente. La mia voce assomigliava paurosamente ad un gracidio, ma non mi importava: in quel momento, non mi era mai sembrata più bella.
“Come ti senti? Hai dolore da qualche parte? Riesci ad alzarti?”.
Mi concentrai, ascoltando il mio corpo come non avevo mai fatto prima.
“Ho dolore ad entrambi i polpacci, alle mani, all’osso sacro e alla schiena, probabilmente per il contraccolpo che ho avuto cadendo…”.
“Niente di rotto?”.
“Non credo”.
“Vieni, ti aiuto ad alzarti: molto probabilmente hai solo qualche contusione, per fortuna, ma è meglio se andiamo via di qui”.
Fu un sollievo sentire di nuovo il suolo sotto i miei stivaletti: non feci in tempo a godermi la sensazione, però, che venni trascinata via.
“Dove mi porti?”.
“Nel mio negozio”.
Ogni passo mi provocava una fitta di dolore, ma fortunatamente per me non dovemmo andare poi molto lontano: dopo qualche minuto oltrepassammo una porta, superammo una stanzetta con un divano pieno di donne in attesa e ci ritrovammo dentro un salone ampio e pieno di sedie girevoli e piccoli sgabelli.
Mi venne un pensiero ridicolo: che la mia parente pensasse che avessi bisogno di una messa in piega, dopo quel che avevo vissuto?
“Siediti dove vuoi, io intanto chiamo tua madre”.
Imbarazzata, mi sedetti sulla prima sedia che trovai, cercando di ignorare gli sguardi incuriositi di clienti e parrucchiere, alcune delle quali smettevano addirittura di lavorare qualche secondo pur di darmi un’occhiata. Nell’aria, oltre al profumo dei prodotti per capelli, si percepiva una domanda: che è successo esattamente?
Me lo chiedevo anche io, e così non tardai a domandarlo.
“Un ragazzo ha perso il controllo della sua automobile”, mi spiegò Gloria, dopo avermi informata che mia madre, avvertita di quel che era successo, sarebbe venuta lì entro pochi minuti per portarmi all’ospedale per un controllo.
“E l’automobile è venuta addosso a me”, conclusi io.
“No, ti sbagli: l’automobile è rimbalzata su altre auto, poi è finita addosso ad una signora la quale è finita addosso a te”.
Presi un bel respiro, e ricollegai tutto: in quel momento, le cose che i miei occhi avevano visto, ma che il mio cervello non aveva potuto registrare e classificare per quello che erano, acquistarono un senso. Il peso al petto non era l’automobile, ma la signora anziana che era accanto a me poco prima dell’incidente, che era stata colpita dall’auto impazzita; i vetri che avevo notato a terra appartenevano alle altre macchine, che erano parcheggiate davanti a me e nei pressi della fermata dell’autobus, e anche gli allarmi che avevo sentito appartenevano molto probabilmente almeno ad alcune di esse.
Inoltre, la mia improvvisa cecità di certo era stata dovuta allo shock e la paura: per autodifesa, il mio corpo aveva eliminato momentaneamente la vista.
Non sapevo cosa fosse successo alla signora, né che fine avessero fatto i due innamorati che avevo notato inizialmente, ma sapevo di essere viva.
Ero viva, e avevo ricevuto una lezione di vita che non avrei mai dimenticato: a volte, ci si preoccupava troppo, per cose troppo stupide. Cos’erano un paio di guanti dimenticati, di fronte ad un incidente come quello che avevo vissuto? E un autobus che non passava? Non avevo il ragazzo: e allora? Avrei avuto tante occasioni per dimenticarmi i guanti, per perdere gli autobus…e anche di innamorarmi, di sbagliare e di prendere decisioni giuste: in quel momento, mi resi davvero conto di quanto la vita fosse preziosa, e di come fosse troppo breve per essere sprecata rimuginando su cose futili.
“D’ora in poi, sarò meno severa con me stessa, e cercherò di vivere al meglio”, pensai, mentre mi alzavo con l’intenzione di uscire per osservare il luogo dell’incidente. “Farò tesoro di questa esperienza, e terrò sempre a mente quanto sono fortunata ad essere viva!”.

  
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