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Autore: Padme Mercury    03/09/2015    0 recensioni
Avrò l'anima di una principessa, ma il mio è un cuore pirata.
In un mondo in cui le anime sono contenute da gioielli, il capitano Rubina la Bella deve trovare la sua strada.
Si troverà davanti a scelte difficili, in mezzo alla sua famiglia di sangue e gli uomini che l'hanno cresciuta.
L'anima vincerà il cuore?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Rubina si lisciò una manica e si sistemò il cappello. Fece un cenno agli uomini di seguirla. Era ora di tornare sulla nave ormai, si erano riposati e divertiti abbastanza. Misurò le grandi pietre del pavimento, calpestandole con i suoi stivali di pelle marrone.
Rimase indietro di qualche passo, assaporando il dolce tepore del sole. Era diverso da quello che prendeva in mare. Quello bruciava la pelle e ti seccava le labbra e le mani. Ti costringeva a bere ogni dieci minuti per non morire disidratati e ci si trovava ogni giorno a pregare perché piovesse almeno un po’. Ma sulla terraferma no. Lì era diverso, era… Piacevole. Era dolce e tiepido, ti scaldava fin dentro e ti faceva sentire bene. Per qualche istante era anche in grado di farti dimenticare tutto il male della vita. La ragazza sorrise, arricciando leggermente il naso e chiudendo un occhio mentre guardava la grande stella.
 
-Capitano!-
 
Si sentì chiamare, ma la voce non era conosciuta. Non era uno dei suoi uomini, i quali si erano fermati a loro volta e si guardavano attorno confusi. Notarono un paio di uomini avvicinarsi, uno di loro aveva un gran sorriso sul volto.
Pirati. Molto giovani, ma erano anche loro pirati.
Rubina drizzò la schiena, guardandoli entrambi con le palpebre appena abbassate. Quello che aveva parlato era molto carino, biondo e con gli occhi tra l’azzurro e il verde. L’altro passava inosservato di fianco al suo compagno di avventure, anche se il viso incorniciato da ciocche castane era oltremodo grazioso.
 
-Sì, sono io- rispose freddamente, ma in fondo era curiosa. Nessuno l’aveva mai chiamata da lontano e nessuno si era mai permesso di fermarli se non volevano guai. Ma a quei ragazzi sembrava non importare.
Il biondo allungò una mano verso di lei, senza abbandonare il sorriso che indossava sulle belle labbra rosee.
 
-Sono Leroy Brown. Lui è Bern Stronk- si presentò con un leggero inchino. Rubina alzò un sopracciglio e incrociò le braccia sotto il seno, guardandolo. Era bizzarro, molto bizzarro. Non riusciva a capire se fidarsi di lui o no, le sue iridi non riuscivano a darle un’idea certa.
 
-Rubina. Ma credo lo sappiate già… Che cosa volete?- chiese secca, senza scomodarsi a dargli la mano o a sorridergli.
 
-Diretta, eh…- accennò una leggera risata, passandosi una mano sulla nuca. -Volevamo proporci per entrare nell’equipaggio-
 
-Cosa vi fa pensare che stiamo cercando nuovi uomini?- chiese, alzando il mento. Cercava di studiarli, di capire qualcosa. Ma erano criptici, era impossibile capire qualsiasi cosa sul loro conto.
 
-Nulla. Ma non si nega mai del lavoro a dei giovani volenterosi- questa volta era stato il moro, Stronk, a parlare. Aveva una voce più suadente e ipnotizzante dell’altro, che sembrava al contrario suonava molto deciso e sul punto di impartire ordini.
La mora alzò un sopracciglio, concedendosi un sorriso. Si girò verso gli altri uomini, avvicinandosi a loro. Si riunirono pochi minuti, in cui decisero se accettare la proposta dei due giovani. Li guardarono tutti, alcuni non sembravano particolarmente felici. Rubina sorrise.
 
-Avanti, saltate su! Verrete con noi. Ma vi avviso… Al primo passo falso, finirete in mare senza pensarci due volte- li ammonì, la voce terribilmente seria.
Leroy e Bern si guardarono, poi annuirono decisi assieme e seguirono le persone sulla grande nave.
 
Una volta sopra, un pirata mostrò loro la cabina in cui avrebbero dovuto dormire. Dovevano condividerla non solo loro due, ma c’erano anche altre tre o quattro persone che avrebbero dormito in quelle brandine di fortuna. Non c’era particolarmente un buon odore, infatti i due ragazzi dovettero trattenersi dal fare una smorfia evidente. Quel posto puzzava di topo morto e alcol e solo loro due sembravano accorgersene. Pensarono fosse perché erano in tanti e la stanza era piccola. A quanto pareva non passavano molto tempo in quel buco. Stavano più che altro fuori. Lo si poteva capire dal forte odore di salsedine che i loro vestiti e i loro capelli lasciavano sentire.
Poggiarono le loro borse, che a quanto pare erano più pesanti di quanto apparissero. Si sfregarono leggermente le mani mentre guardavano l’uomo che li aveva accompagnati uscire dalla piccola porticina.
Sistemarono con calma le loro cose, appropriandosi delle due brande vicine e più isolate dagli altri. Dopotutto non erano ancora veramente parte di quella ciurma e, a quanto avevano visto, non erano molto simpatici alla maggior parte delle persone su quella nave. Non li biasimavano, erano arrivati pochi minuti prima e già erano in viaggio con loro.
Stavano sistemando il loro cuscino, se così poteva essere chiamato, quando sentirono un certo trambusto provenire dall’esterno. Annuirono appena e decisero di uscire per andare a controllare di persona.
La prima cosa che videro fu un’enorme nave ancorata vicino alla loro. La Jolly Roger ondeggiava lento e minaccioso seguendo i movimenti del vento. Tuttavia era vuota, completamente vuota. Diedero un’occhiata al ponte e videro che erano tutti impegnati in una lotta abbastanza sostenuta contro i presunti occupanti dell’altro mezzo.
 
Rubina era a poppa da sola, la sua spada sguainata e intenta a parare colpi e infliggerne altri al proprio avversario. L’uomo che la fronteggiava era enorme a confronto del corpicino piccolo e delicato della ragazza. L’impressione era data anche dalla differenza di grandezza della spada; quello che poteva essere il capitano dell’altra nave impugnava una sciabola molto grande che avrebbe facilmente tranciato in due sia l’arma sia il corpo della ragazza se avesse avuto voglia di metterci un po’ più di forza. La osservarono duellare, se la cavava bene. Si muoveva con destrezza ed eleganza per schivare i colpi e infliggerne di nuovi. I capelli le danzavano come una nube nera attorno al viso e alle spalle. Leroy rimase incantato ad osservarla. Era bellissima, non poteva negarlo.

-Capitano!- la chiamò, per farle notare che erano arrivati anche loro due.
La ragazza si voltò e li guardò, accennando un sorriso frettoloso che nacque spontaneo anche sulle labbra del biondo. La sua espressione si tramutò istantaneamente in una preoccupata e di pericolo nel vedere il pirata nemico approfittare di quel momento di distrazione per abbassare la sciabola su di lei. Non ci pensò due volte e si buttò contro di lui, facendogli perdere l’equilibrio grazie soprattutto al suo essere sbilanciato per attaccare in modo più potente.
L’arma gli cadde dalle mani, scivolando con un rumore sordo sul legno del ponte. Rubina lo guardò stupefatta. Non si aspettava certo una reazione del genere dal ragazzo che aveva appena fatto salire sulla sua nave.
Sorrise soddisfatta prima di avvicinarsi e sollevare di peso l’uomo, stringendo un lembo della sua camicia.
 
-Torna sulla tua barchetta con i tuoi uomini, non ho voglia di uccidere- gli sussurrò minacciosa all’orecchio. Lo lasciò andare non prima di graffiargli il polso e conficcarvi le unghie come avvertimento. Gli avrebbe fatto male per un po’ di giorni e sarebbe stato impossibilitato ad usare la spada. Li osservò poi fuggire con la coda tra le gambe e quasi cadere in acqua nel tragitto.
 
****
 
Rubina guardò la luna splendere e sorrise. Il satellite era tondo ed enorme quella notte e le stelle brillavano come piccole briciole di diamanti tutto intorno. La ragazza amava la notte, vedere quella coperta nera illuminata di puntini di luce. Adorava l’aria fresca che le scompigliava i capelli e stare seduta da sola a pensare. Solitamente teneva il ciondolo tra le dita e faceva riflettere la luce lunare sulla superficie sanguigna della pietra.
Era seduta tranquillamente sul ponte, la testa appoggiata al bordo. Era più assorta delle altre volte e i suoi pensieri ruotavano tutti attorno al ragazzo nuovo, Leroy. Non l’aveva convinta fino in fondo all’inizio, era troppo strano che fosse spuntato dal nulla assieme al suo amico. Ma poi… Quello che aveva fatto un paio di giorni prima era stato fantastico. Assolutamente fantastico. Non se lo sarebbe mai aspettato ed era davvero molto, molto coraggioso.
 
-Come mai qui da sola, capitano?-
La voce maschile la fece sobbalzare e alzò lo sguardo. Il ragazzo cui stava pensando poco prima sorrise al chiaro di luna e si sedette di fronte a lei, osservandola curioso. La mora non poté fare altro che rispondere a quel piccolo gesto, incurvando gli angoli delle labbra verso l'alto.
 
-Mi piace stare fuori di notte. Mi aiuta a pensare- rispose candidamente, la voce appena più bassa del normale come se avesse paura di rompere la perfezione dell'atmosfera.
 
-Anche a me piace molto. A cosa stavi pensando, se posso chiedere?-
 
-A te-
 
Si rese conto pochi secondi dopo di come quelle due parole potessero risultare ambigue. Arrossì di colpo, ringraziando l'oscurità che le nascondeva il viso. Lo sentiva ridere sommessamente, forse un po' imbarazzato anche lui. Non doveva aspettarselo.
 
-Ma quale onore!-
 
-N-no, non pensare male! Non in quel senso...- sospirò, piegando le gambe contro il petto e appoggiandovisi sopra per stare più comoda. -Stavo ragionando sul perché ti sei buttato addosso a Fury l'altro giorno...-
 
Lui la guardò, leggermente confuso. Fury doveva essere il capitano della nave nemica, non c'era altra spiegazione. Si grattò una tempia e sospirò.
 
-Beh, ti eri distratta per colpa mia. In più sei il capitano del Cigno e... Non avrei mai permesso che quel gigante uccidesse un bellissimo e delicato fiore come te- rispose, guardando il cielo. Era davvero stupendo...
 
Rubina rimase qualche secondo incantata ad osservare il suo viso. La luce si rifletteva nei suoi occhi e li faceva apparire più chiari e più belli. La affascinava non poco. Si sentiva strana vicino a lui, come se non volesse mai andarsene, ma al contempo volesse stargli il più lontana possibile. Non riusciva ad attribuire un nome a queste sensazioni contrastanti, suo padre sicuramente ne sarebbe stato in grado. Sospirò.
 
-Grazie, allora... È stato molto coraggioso-  
 
Leroy sorrise nuovamente, guardandola. La ragazza tuttavia non riuscì a sostenere il suo sguardo, che cadde inevitabilmente sulle mani e il ciondolo che ancora stringeva. Lo accarezzò piano, con movimenti circolari e cercò di non lasciare gli aloni delle dita sulla superficie preziosa.
 
-Quello... È un rubino- costatò il ragazzo. Lei annuì, sovrappensiero.
 
-Già... Mio papà mi ha chiamata così proprio per questo...- sussurrò con aria sognante, ipnotizzata dalla luce rossa che emanava.
 
-Sai a cosa serve?-
 
-Lui... Mi ha detto che tengono le anime. Che se ce lo rubano, moriamo lentamente e invece se lo rompono la morte arriva subito. Che è la cosa più preziosa che abbiamo-
 
Leroy annuì piano, dolcemente. Kavor non le aveva mentito, ciò che lei aveva appena detto era la pura verità.
 
-E sai anche perché il tuo è diverso?-
 
-Perché non sono nata in mare... Così mi hanno sempre detto- lo guardò con i suoi occhi grandi, azzurri come il cielo estivo. Sembrava una bambina in quel momento. Una bambina ingenua e ignorante che non aspetta altro che qualcuno soddisfi la sua sete di conoscenza.
-Non è così?-
 
Lui scosse lentamente la testa, per poi piantare il suo sguardo in quello di Rubina.
 
-No. Cioè, in un certo senso. Ma non so se posso dirti tutto...-
 
-Ti prego, dimmelo! Voglio saperlo!- lo implorò. Lasciò andare la collana, che sbatté contro il suo seno fresco e giovane, solo per prendergli il braccio e stringerlo delicatamente per incitarlo a continuare. -Per favore...-
 
Lui si lasciò andare ad una leggera risata e si spostò un ciuffo di capelli dagli occhi. Si sistemò in modo da guardarla meglio in viso, non voleva perdersi alcun cambiamento d’espressione.
 
-Va bene, va bene!- alzò le mani all’altezza delle spalle. Le riabbassò e le unì in grembo, le dita intrecciate.
-Allora, tuo padre ha detto bene. Le anime sono in questi gioielli. Ognuno ne ha uno diverso, ma non so il perché. Credo riguardi la prima cosa che i genitori prendono per proteggere le anime dei loro bambini. Comunque… C’è un motivo per il quale sono così diversi.
Ogni pietra rappresenta una cosa particolare. Come sai, ognuna ha un significato diverso che si sposa con la personalità e le abilità del possessore. Ma non è così facile… Ognuna rappresenta una diversa posizione nella società. I sacerdoti hanno il diamante, la pietra più pura che esista. Lo smeraldo è la pietra della magia e, infatti, l’hanno i maghi. Gli alchimisti hanno la pietra più duttile, il quarzo. Mentre l’esercito e le guardie hanno l’ametista, una pietra dura e austera. E questi sono solo alcuni esempi-
 
-Perché?- lo interruppe con la sua voce squillante e curiosa. Aveva un gran sorriso in volto e i capelli corvini le scivolavano sensualmente da un lato, solleticandole il braccio.

-Sinceramente non lo so. Forse per farsi riconoscere al primo sguardo. Non ne ho idea, se devo dire tutta la verità. Ma il punto è un altro- si avvicinò a lei, prendendole le mani. Sul mignolo destro di Leroy brillava il debole bagliore azzurro dello zaffiro incastonato nell’argento dell’anello.
-Perché tu non hai lo zaffiro, Rubina? Un pirata ha quella pietra perché è blu, rappresenta il mare e l’avventura che esso porta con sé. Perché tu hai un rubino?-
 
-I-io… Io non lo so. Perché, Leroy?- lo guardò spaesata, gli occhi spalancati. Tremava leggermente, forse aveva un po’ paura. Lei sapeva che solo lui poteva darle la risposta. Per lei era solo il luogo della sua nascita, si era sempre accontentata di quella risposta. Per ventitré anni non aveva chiesto altro, non aveva mai voluto indagare oltre. Si fidava di suo padre e credeva le avesse raccontato tutto quello che sapeva. Ora… Ora non sapeva più nemmeno se Kavor era davvero l’uomo che diceva di essere.
 
-Perché tu non appartieni a questo mondo. Ventitré anni fa, durante una scorreria pirata a Trenzalore. Quel giorno, la principessa scomparve. Aveva appena un anno ed è stata rubata dalle braccia della sua balia. I suoi genitori la cercarono in lungo e in largo, gridando in ogni angolo del paese il nome di Myra, invano. Aveva un ciondolo troppo grande per lei, con un rubino. Quella pietra è simbolo di regalità, di nobiltà. Re Terrany e la regina Raiselle ne posseggono uno. La principessina anche- le passò due dita sotto il mento e la costrinse a guardarlo, notando che aveva abbassato lo sguardo a quelle ultime frasi. Aveva gli occhi leggermente lucidi che facevano apparire le iridi più chiare e più belle di quanto non erano già.
-Te lo chiedo un’altra volta. Perché tu non hai uno zaffiro, Rubina?-

Vide la ragazza deglutire con difficoltà ed esitare prima di rispondere. Prese un grosso respiro, il seno che si alzava dolcemente sotto il peso dell’alito della vita.

-Perché sono io la principessa Myra-

 
   
 
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