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Autore: erflascor    04/09/2015    0 recensioni
Leon ha 15 anni, una fidanzata di cui è profondamente innamorato, degli amici che conosce fin da piccolo e una famiglia che lo ama, nonostante Bill, il compagno della madre, non sia il suo vero padre. Un giorno, però, la vita del ragazzo subisce una brusca svolta, e un susseguirsi di eventi negativi lo renderanno sempre più insofferente e apatico, finché non scoprirà veramente chi è...
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Una signora dai capelli corvini e la pelle abbronzata stava parlando al telefono con un'amica, quando sentì qualcuno bussare alla sua porta. Dopo essersi scusata e aver promesso che avrebbe richiamato a breve, si affrettò verso la porta, non avendo la più pallida idea di chi potesse essere. Si ritrovò davanti un ragazzone di venti centimetri più alto di lui che conosceva decisamente bene:
“Ethan! Che piacevole sorpresa, sarà passato un mese dall'ultima volta che ti ho visto. Sei cresciuto ancora, o sbaglio? Ah, perdonami... entra pure! Non cambi mai tu, eh? È quasi l'ora di cena, adesso ti obbligo a restare a cena da noi!”
“Grazie, zia Lisa, ma penso che me ne tornerò a casa...”
“Dici davvero?” gli disse la donna sistemandogli una sedia in cucina “Questa sera preparo la pizza con la mozzarella e il pomodoro, sei sicuro di non voler restare? Oh, ma ora che ci penso la cucina di tua nonna è insuperabile! Come sta ora? Ha sempre quel fastidioso dolore alla schiena? Perché la settimana scorsa è passato un signore in libreria, mai visto prima: aveva acquistato un libro di Tolstoj e uno di Allan Poe. Tu sai quanto io apprezzi gli uomini che hanno gusto in fatto di libri, e così ho iniziato a fargli qualche domanda. Ho scoperto che si è trasferito in città all'inizio dell'estate e che è un osteopata. Ricordandomi dei dolori di tua nonna mi sono fatto lasciare il biglietto da visita, ma poi mi sono scordata di chiamarla. Ora te lo do subito” disse cercando in una borsa piena di ogni tipo di oggetto.
Ethan, nonostante conoscesse la donna da così tanto tempo da chiamarla zia, non si era mai abituato alla sua eccessiva eloquenza, e rimase sbigottito nel sentire tante parole tutte insieme. La gentilezza, l'amabilità e i modi cortesi della signora Lisa stridevano nettamente con il carattere burbero e talvolta indisponente di Ethan. Ma anche se sapeva del caratteraccio del ragazzo, era certa che dentro di lui ci fosse anche un lato tenero, solo che bisognava scavare un po' in profondità per trovarlo.
“Se c'è la pizza, credo proprio che dovrò chiamare mia nonna e dirle che non ci sarò a cena. Comunque ultimamente con la schiena sta meglio: sto cercando di aiutarla con i lavori di casa, quindi si sta sforzando un po' di meno.”
“L'ho sempre detto che hai un cuore d'oro” disse la signora Lisa dandogli un pizzicotto sulla guancia “e ora sei diventato proprio un uomo: guarda che muscoli, e che spalle! Non capisco ancora perché tu non ti sia ancora fidanzato con Pleun.”
“Zia Lisa, te l'ho detto mille volte...” cercò di giustificarsi Ethan.
“Ma finiscila, che lo so benissimo che ti piace da quando eri piccolo. Che vi piacete, anzi. Proprio non capisco perché vi facciate tutti questi problemi. Bello mio, ormai sei grande e grosso, è possibile che a sedici anni tu non abbia il coraggio di andare da una ragazza e dirle ciò che senti per lei?”
Le guance di Ethan divamparono violentemente colorandosi di un rosso scarlatto, come quello della maglia che aveva addosso.
“Forse hai ragione...” ammise il ragazzo imbarazzato.
Ethan cercò subito di cambiare il discorso.
“Comunque ero venuto per lui... Come sta Leon?”
La donna si incupì di colpo.
“Sapevo che purtroppo saremmo arrivati a questo punto. Non sta bene, Ethan. Non sta bene per niente. È da una settimana che non esce di casa, che per strappargli qualche parola dalla bocca faccio una fatica immensa, sta mangiando pochissimo, non fa altro che stare sdraiato sul letto a guardare il soffitto... anche Bill non sa più cosa inventarsi... Ti prego, tesoro, tu sei il suo migliore amico: cerca di fare qualcosa per lui.”
“Certo zia, certamente. Ora dov'è?”
“È in camera sua, credo che stia dormendo. Vuoi che vada a svegliarlo?”
“Non preoccuparti, aspetterò che si svegli. Intanto...” si interruppe un momento Ethan, come se stesse pensando se fosse il caso o meno di pronunciare quelle parole “che ne dici di insegnarmi a preparare la pizza?”
Un raggio di luce riaccese il viso smorzato dalla preoccupazione per il figlio della signora Lisa.
“Ma certo! Così la prossima volta la cucinerai per Pleun.” disse la donna, che aveva capito subito i pensieri di Ethan.
Dopo un po' di farina e una manciata di minuti, l'impasto era spalmato sul tavolo, con cinque pizze belle tonde pronte per essere condite e infornate.
“Sai, Ethan, è stato un cuoco italiano ad insegnarmi a fare la pizza. È successo tutto quando andai in vacanza in Italia, quasi diciassette anni fa: partimmo io e la Catherine, la madre di Rebecca. A quei tempi io ero ancora single, mentre lei aveva iniziato a frequentarsi da qualche mese con un ragazzo che poi si è trasferito l'anno successivo. Eravamo riuscite a risparmiare i soldi per farci un viaggio insieme, solo noi due, tutto il resto del mondo alle spalle. Catherine stava per finire l'università, mentre io ero sempre più desiderosa di aprirmi una di quelle piccole librerie, dove non vengono venduti i soliti libri scontati, ma quelli che ti cambiano la vita... Ehm, dove ero rimasta? Ah, sì... Si venne a presentare quest'uomo, avrà avuto qualche anno in più di noi, che ci vide totalmente smarrite per le vie di Roma con una cartina in mano. Allora chiuse il ristorante per quel pomeriggio, andò dai suoi dipendenti e gli pagò il turno senza che lavorassero e ci portò in giro per il centro. Ancora lo ricordo, alto, con i suoi occhi color miele e il suo inglese un po' traballante. Anche Catherine era persa di lui, ma aveva occhi solo per me... alla fine ci portò a cena alla sua pizzeria, avresti dovuto vedere quanto era carino quel posto... Mangiai la pizza più buona della mia vita. Mi piacque così tanto che gli chiesi di insegnarmi a prepararla. Così lui mi portò nelle cucine quando i clienti iniziarono ad andarsene via, e mi insegnò la ricetta, ma mai, in sedici anni, per quanto mi impegni, sono riuscita ad avvicinarmi alla sua bravura.”
“E poi?” chiese Ethan, che per la prima volta avrebbe voluto che la zia avesse parlato un po' di più.
“Poi cosa?”
“Cos'è successo con questo signore? L'hai più rivisto? Non vi siete mai più sentiti? Cos'è successo dopo?”
“Cos'è tutta questa curiosità?” chiese imbarazzata la signora Lisa, abbassando lo sguardo “Cosa può essere successo in seguito? Ci siamo promessi che se fossi tornata in Italia l'avrei cercato, ma non è successo. Poi Catherine ha conosciuto Evan poco prima che si laureasse, all'università, e entrambi si innamorarono del modo in cui scriveva l'altro. Io, pochi mesi dopo aver aperto la mia libreria e aver coronato il mio sogno, mi ritrovai un giorno Bill dentro il negozio ed iniziai ad uscirci... ed ora eccoci qui, io e te a cucinare la pizza, e Catherine e Evan a New York, lasciandomi con una lettera strappalacrime nella posta che solo loro sanno scrivere, con la promessa che, prima o poi, ci rivedremo.” disse la donna facendosi cadere una lacrima e tirando su con il naso.
“Già, anche Rebecca ha lasciato una lettera alla scuola... l'ha detto solamente a Leon, ma secondo te perché?”
“Te lo dico io il perché” si sentì una voce irrompere nella cucina “lei mi ha detto che ha agito così perché non voleva che anche noi dovessimo sopportare un fardello del genere, e ha preferito godersi gli ultimi giorni in nostra compagnia senza che da parte nostra ci fosse qualche segno di malinconia, di sofferenza... ha detto che per lei era già abbastanza vedere questi giorni come un conto alla rovescia, e che non voleva in nessun modo condividere quella sensazione d'ansia con noi”
“Ciao, tesoro” disse la madre riacquistando il sorriso in un secondo, come solo lei sa fare “finalmente hai ripreso a parlare un po'... Stasera faccio la pizza, resta anche Ethan a cen...”
“E tu cosa ne pensi?” la interruppe bruscamente Ethan.
“Non so più nemmeno io cosa pensare. Pensare mi fa male, guardami come mi sono ridotto” disse Leon, che effettivamente esibiva un bel paio di occhiaie sotto i suoi occhi ambrati e una corporatura un po' più longilinea ed esile rispetto ad appena una settimana prima.
“E quindi hai intenzione di rimanere recluso dentro casa fino alla fine dei tuoi giorni?” rispose Ethan, con i suoi soliti modi poco alla mano.
“Certo che no, idiota. Ho solo bisogno di riprendermi un attimo, di calmare un po' il macello che ho in testa. Mi sarà concesso dopo quello che è successo, no?”
“Certo che devi riprenderti, Leon, ma non chiudendo le tue porte a tutti: esci, sfogati, fai qualcosa. Parla con i tuoi amici! A questo servono gli amici, maledizione! Finché te ne starai da solo dentro casa a fissare il soffitto o le vostre foto appese al muro sarà solo peggio. Devi rassegnarti, tanto non tornerà. O comunque, anche se dovesse rifarsi viva, non lo farà di tre anni.”
“Andiamo in un'altra stanza, Ethan. Dobbiamo parlare in privato” disse Leon, dopo un lungo attimo di silenzio”.
Senza dire una parola, Ethan seguì l'amico. Attraversarono la stanza di Leon (era piuttosto disordinata, con il letto disfatto, il portatile sulla scrivania affiancato da una tazza e una scatola di cereali vuota, mentre a terra c'era la guerriglia dei fogli di carta appallottolati), uscirono fuori in balcone e, con un'agilità e una grazia degna di nota, salirono sul tetto del palazzo. Si sedettero sul muretto con i piedi a penzoloni verso il sole che cominciava a disperdersi al di là dell'orizzonte. Per un istante i due osservarono quel disco di fuoco che si faceva sempre più piccolo, sempre più lontano. Stormi di rondini cominciavano la loro marcia verso i paesi caldi e attraversavano il cielo, che aveva assunto tutte le tonalità dell'arancione, del rosa e del viola. Un leggero soffio di aria fresca manteneva la temperatura gradevole nonostante fosse ancora soltanto metà settembre e non erano neanche le otto di sera. Ethan si sfilò la felpa, mostrando il tatuaggio nuovo di zecca sull'avambraccio.
“E quello?” chiese Leon indicando il braccio dell'amico “non sapevo che volessi farti un tatuaggio”
“Oh, è una cretinata, l'ho fatto perché non avevo nulla da fare” rispose Ethan. Il suo orgoglio non gli avrebbe mai concesso di rivelare il significato di quel disegno. Poi riprese: “Comunque... cosa devi dirmi?” chiese, incuriosito dal motivo per cui Leon desiderasse una conversazione privata.
“Niente, forse sono io che mi immagino le cose, ma... non ti sembra un po' strano il modo in cui Becca se ne è andata via?”
“Cosa intendi?”
“Vedi, da quando se ne è andata si è cancellata da facebook, non risponde alle mail e il telefono è sempre staccato... è un po' come se fosse sparita dal mondo. Non è rintracciabile in alcun modo. In più controllo la Homepage del Times ogni ora, ma ancora niente: suo padre non ha ancora scritto nessuno stramaledetto articolo. Va bene, Simon sarà malato e avrà tutta una lunga serie di problemi, ma mi sembra una scusa un po' campata per aria, mi è parso di capire che non era veramente quello il motivo per cui sono scappati così di fretta a New York, senza dire nulla a nessuno...” rivelò Leon, con gli occhi color miele che brillavano illuminati dalla luce scarlatta del Sole che si andava ad inabissare dietro le basse montagne che davano ad ovest.
convinto
“Te l'ha detto il perché: non voleva trasmettere a nessuno l'ansia degli ultimi giorni. Ha voluto tenere la propria frustrazione tutta per sé. È un comportamento da ammirare, non su cui bisogna giocare a Sherlock Holmes”
“Per lei ho come una specie di sesto senso, capisci? È un po' come se riuscissi a leggere la sua mente, a comprendere ciò che pensa. Non credo di aver immaginato tutto quanto”
“Beh” disse Ethan che confidava poco in ciò che credeva Leon “hai detto che comunque, ora come ora comunque Becca è introvabile, vero?”
“Già” sbuffò Leon, grattandosi la testa e sistemandosi allo stesso tempo i capelli mori che ormai iniziavano a diventare lunghi. “A meno che non si faccia sentire lei, non la riuscirei a trovare nemmeno se andassi a darle la caccia da New York...”.
In quel momento una ragazzina con dei lunghi capelli castano scuro, gli occhietti vispi e neri come dei chicchi di caffè, con addosso una tuta azzurra e la stessa maglietta della scuola di karate presso cui si allenava il fratello. Arrivò nel balcone che si affacciava dalla camera di Leon, fiera dei suoi dodici anni compiuti appena due giorni prima. Si piazzò in mezzo al balcone, e dopo una rapida occhiata attorno a sé inspirò a pieni polmoni e strillò: “LEOOOOOON! È PRONTA LA PIZZA, SBRIGATI E VATTI A LAVARE LE MANI!!!”. Probabilmente il fratello l'avrebbe sentita anche se si fosse trovato dall'altra parte dell'America.
“Che cosa avrai mai da strillare?” bofonchiò il fratello mentre si calava all'interno del suo balconcino. Si aggiustò il ciuffo scuro di capelli quando arrivò a terra
La ragazzina arrossì di colpo quando vide Ethan che scendeva anche lui. Il ragazzo dai capelli dorati eseguì come se fosse niente un salto da almeno tre metri, cadendo a terra totalmente illeso.

“C-Ciao, Ethan...” balbettò la ragazzina profondamente imbarazzata, mentre cercava di nascondere in malo modo l'innamoramento segreto per quello che effettivamente era suo cugino e che conosceva da quando era nata.
“Ciao, Anne” rispose Ethan rivolgendole un sorriso radioso (con la famiglia Ewart riusciva quasi ad eliminare ogni aspetto del caratteraccio che aveva di solito) “come sono andati gli allenamenti di karate?”
“Ehm... bene!” rispose Anne con un velo di incertezza “ho vinto un combattimento con un ragazzo più grande di un anno, anche se è un ragazzo un po' magrolino”
“Bravissima, piccolina” disse il ragazzo passandole la mano sui capelli e dandole una vigorosa carezza sulla testa, provocando, per altro, un ulteriore arrossimento delle guance. “Andiamo a mangiare un po' di pizza? Ho aiutato io la zia a farla”
“V-va bene” disse Anne con entusiasmo.
“Anne, noi arriviamo” la persuase Ethan dolcemente “ti dispiace se però prima parlo solo un altro minuto con tuo fratello?”
Senza dir nulla, la ragazzina fece un cenno di assenso uscì dalla stanza. Ethan rimase in silenzio, alla ricerca del modo giusto in cui costruire ciò che aveva da dire. Ci fu un breve, ma interminabile, momento di silenzio, in cui si sentiva solamente il suono dei respiri dei due ragazzi.
“Senti, Leon...” cominciò “sai che non sono molto bravo con le parole, quindi cerca di venirmi incontro e prendi per buono quello che ti sto per dire. Devi riprenderti da questa cosa: torna a scuola, con i tuoi amici. Non startene rintanato dentro casa, altrimenti non smetterai mai di pensare a lei. Torna da noi, ci manchi” disse Ethan mettendosi sotto braccio l'amico e stringendolo forte a sé.
Leon capì che era arrivato il momento di reagire. Era stato dieci giorni rinchiuso in casa, facendo preoccupare i genitori e i suoi amici.
“Va bene... domani torno”
“Bravo, così mi piaci!” rispose Ethan portando la sua fronte attaccata a quella dell'amico e incatenando i loro sguardi. Per un secondo, quei due paia di occhi che sembravano fatti di miele e di vetro si fissarono, quasi entrarono in contrasto, esprimevano tutto l'affetto che c'era tra i due.
La voce acuta di Anne proveniente dalla sala da pranzo li interruppe:
“Insomma, ragazzi! Sbrigatevi o si fredderà la pizza”.
“Sarà meglio che ci sbrighiamo” disse Ethan “altrimenti tua sorella picchia anche noi”. I due, ridacchiandosela, uscirono dalla camera in disordine. Leon chiuse la porta, lasciandosi dietro le spalle la brutta storia della partenza di Rebecca e pronto per iniziare una nuova fase della sua vita.

 

   
 
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