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Autore: Chemical Lady    04/09/2015    4 recensioni
[Seguito di No Good Deed]
Passò gli occhi da una cartina all’altra, soffermandosi un istante sull’astrolabio che l’uomo davanti a lei le stava mostrando, fino ad arrivare alla pelle conciata dell’abissino.
La prese fra le mani, passandovi sopra le dita e saggiandone i rilievi, prima di alzare gli occhi in quelli di Leonardo. Il momento era giunto e lei si era preparata per quel giorno sin dalla sua nascita.
Aggirò il letto, andando verso quel piccolo scrigno che aveva sempre portato con sé, in ogni suo spostamento, quasi come se in esso vi fosse il più prezioso dei tesori.
Invero, era proprio così: Il diario di suo nonno, la chiave, il libro di Bologna e tutti i suoi appunti. Ore e ore passate a tradurre, interpretare e cercare di comprendere ciò che volevano dire.
Poi era arrivato lui, quell’artista folle dall’intelletto unico e tutto si era svelato: i pezzi di quel intricato puzzle erano finalmente disposti davanti a loro, ancora sparsi, ma pronti a rivelare la loro celata trama.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Parte Seconda:
Le minacce sol son arme dello imminacciato.
Capitolo Ottavo:
Alle volte è  meno saggio conoscere i fatti, che esserne totalmente estranei.
 
 
 
 
It's better to feel pain, than nothing at all
The opposite of love's indifference
Pay attention now, I'm standing on your porch screaming out
And I won’t leave until you come downstairs
(Stubborn Love – Lumineers
https://www.youtube.com/watch?v=UJWk_KNbDHo )
 
 
 
 
7 Aprile 1478, Firenze
Un giorno prima della dichiarazione di guerra
dello Stato Pontificio.
 
 
Otto mesi prima.
 
“Chi è, che stiamo cercando?”
S’erano incontrati come d’accordo, lasciando Porpora ed Edoardo indietro; Orso era stato molto chiaro in merito, sarebbero stati molto più lesti se fossero stati soli. In più, quella pareva per lui una buona occasione per spendere del tempo insieme a Beatrice, da soli. Non era più capitato, da Bologna e gli mancava quella sensazione di calore all’altezza del petto che solo lei sapeva donargli. Lanciò quindi uno sguardo al ventre rigonfio della giovane nobildonna, attendendo una risposta a quella domanda di primaria importanza.
“Cerco qualcuno di cui non so nulla. Ne che sia uomo o che sia donna, non so chi sto cercando.” Si fece più vicina a lui, sussurrando piano “Tu sei la sola persona al mondo, a parte Camilla, che sa di me cose che i più non sanno.” Non ci fu bisogno di aggiungere altro “Non c’entra con … Loro. Centra con mio marito. Io credo che Girolamo non sia davvero chi dice di essere. Il tarlo del dubbio mi sta uccidendo.” Scese anche gli ultimi gradini, prima di infilarsi sotto ad un portico, appoggiandosi ad una parete, nascosta insieme ad orso da un’alta pila di legna da ardere “Inizio a credere che la sua parentela con il Papa sia fasulla. O di tutt’altra natura. Ma non so come.”
“Credete sia di famiglia ebrea?”, le chiese Orso, facendosi perplesso, mentre si affiancava a lei. “Non l’ho mai notato, qui in giro. E poi alla taverna se ne parlerebbe di certo”.
La guardò un istante in volto, poi si imbronciò un poco, chiudendosi in chissà quale ragionamento. Naturalmente nessuno poteva saperne nulla. Non avrebbe avuto senso il contrario. Girolamo era bravo a sapere i segreti degli altri quanto a celare i propri.
“Avete detto di sapere molto poco circa la persona che state cercando”, considerò il giovane. “Non sapete chi sia, né che aspetto abbia. Sapete almeno il suo nome?”
Beatrice portò le mani alle tempie, sentendo delle piccole fitte “Vi posso solo dire che, prima di morire, un uomo del quale mi fidavo  mi ha detto che se avessi saputo la verità su Girolamo, non mi sarei mai più fidata di lui.”
Ricordare il nome preciso fu difficile, ma Beatrice si impegnò.  Ricordò il volto di Brancacci, stravolto dalla sofferenza, mentre la metteva a parte di questo grande segreto. I suoi occhi brillanti, spenti per sempre di ogni luce…
Abramo Lisymachus” soffiò fuori, guardando poi Orso costernata “Non so altro. Deduco sia ebreo, dal cognome, ma potrebbe anche non esserlo e allora avrei fatto tutto questo per nulla, vi avrei coinvolto per niente.”
Il ragazzo rimase un istante a guardarla, con il suo mezzo sorriso ancora sul volto ma spento, spezzato, rubato. Guardò Beatrice sbattendo più volte le palpebre.
“Abramo Lisymachus”, ripeté, perplesso.
La reazione di Orso parve molto strana agli occhi della Contessa. Lo guardò senza capire “Questo nome vi dice qualcosa, per caso?”
Alzò una mano, scostando con un gesto leggero una ciocca di capelli dal viso del giovane.
“Sembrate quasi…. Turbato, ma stranito insieme.”
Orso si riprese con una scrollata di capo.
“Non sono turbato solo … “ si prese un istante per cercare le parole esatte. “Bé, non capita tutti i giorni che Beatrice de’ Medici faccia visita alla mia famiglia”.
La ragazza boccheggiò per qualche istante, corrugando la fronte “La tua… Orso!”
Con un ringhio mezzo frustrato, Beatrice portò le mani al volto, appoggiandosi al muro dietro di lei.
Iniziava a detestare le coincidenze, che una alla volta si accavallavano nella sua mente. Quella era davvero una di troppo.
“Essere me è un incubo.” Sussurrò, devastata. Non voleva mettere in mezzo nessuno a cui orso era affezionato “Forse dovrei tornare a casa.”
“Che c’è? Che ho detto?”
La mano di Orso le afferrò il polso, costringendola ad avvicinarsi a lui in un abbraccio.
Le accarezzò piano i capelli, intrecciando le dita con qualche ciocca che sfuggiva da sotto il cappuccio.
“Vieni”, le disse dopo un po’ il ragazzo. “Si gela, qua fuori. Visto che non c’è Porpora, abbiamo qualche possibilità che mio zio ci lasci entrare in casa a scaldarci”.
 
~˚~˚~˚~
 
Beatrice non s’era mai sentita così tanto sola in tutta la sua vita.
Quell’infausta sensazione s’era palesata per la prima volta nell’esatto istante in cui, dopo giorni di attesa, le erano giunte notizie del marito.
Una lettera sgualcita dal messo, lunga e tortuosa, che però non voleva dire nulla le fu recapitata che era quasi notte inoltrata. Lei aveva passato quelle che dovevano essere ore di sonno a leggerla e rileggerla, sperando di trovarvi un senso che non v’era.
Non le chiedeva nulla, ne come stave Alessandro ne della sua stessa salute.
Parlava per parabole e metafore come sempre, congratulandosi dell’aministrazione di Forlì e dell’egregio modo in cui lo faceva sentir fortuna d’aver sposato una così pia donna.
Non sembrava nemmeno che parlasse di lei, a dire il vero.
A nove giorni dalla sua partenza da Firenze, aveva scritto tanto per non dir nulla.
La cosa la mise così tanto di cattivo umore che non rispose nemmeno.
Per altro, Girolamo non aveva fatto altro che discorrere di frivolezze, come di ciò che avveniva a Roma, al primo erede che Giacomo avrebbe avuto di li a poco fino al tempo.
Se prediligeva discorrere delle condizioni climatiche favorevoli rispetto che di suo figlio, allora la contessa non aveva nulla da aggiungere.
Appallottolò la lettera, sentendosi poi incredibilmente triste nel farlo, così semplicemente la dispiegò di nuovo, ficcandola dentro a un grande tomo di letteratura classica per lasciarla lì.
Però perseverò nel non rispondere.
La sola cosa degna di nota che la giovane donna trovò fra quelle righe fu la promessa del conte di tornare a Firenze, il prima possibile. Non una sola nota circa il fatto che l’avrebbe riportata a casa con sé o che bramava vederla.  O un solo cenno al modo in cui era stato cacciato dalla città, non sembrava ne indignato ne adirato.
Non era affatto interessato, invero.
Era chiaro come il sole che non gli importasse assolutamente nulla del suo benessere, così ella non si sentì ispirata al fine di informarlo.
Aveva di meglio a cui pensare, come il fatto che ancora Lorenzo si rifiutava di ricervela. Ad ogni richiesta che la giovane faceva, si sentiva rispondere con ogni sorta di scusa da parte di Gentile Becchi. Quasi come se di fronte a lui si trovasse ancora la bambina dagli occhi grandi che aveva visto diventare donna troppo in fretta.
Beatrice, da parte sua, tendeva a comportarsi come un infante, qualora si alterava ad ogni porta che le veniva chiusa in viso.
“Con chi è, ora? Con il viso infilato negli affari di stato o fra le gambe della sua troia??”
Becchi non sapeva più che dirle, così semplicemente si scusava e la pregava di non alterarsi.
Era ridicolo, davvero ridicolo.
Anche Giuliano non capiva il motivo di tutte quelle scena, ma si sapeva fin troppo bene che Lorenzo non era in grado di gestire i moment di crisi e prediligeva un capro espiatorio.
Quell pomeriggio non fece eccezione, poiché quando Beatrice si presentò alla porta dello studio, Becchi la pregò di non disturbare il Magnifico.
Aveva però qualcosa, in serbo per lei.
“Avete una visita, Beatrice.  Un uomo distinto, che dice di essere un noto commerciante di Costantinopoli in trattative con la vostra Forlivio, ha chiesto di vedervi. L’ho fatto accomodare nella sala dei ritratti.”
La contessa non capì a cosa il segretario fiorentino si stesse riferendo, ma quando mise piede nella stanza, si sentì incredibilmente stupida.
Abbassò gli occhi sulla pavimentazione di marmo ad arabeschi, unendo poi le mani sul grembo mentre un sorrisetto amaro le appariva sul viso. Quando riportò lo sguardo in quello di Al Rahim, si domandò quanto sfrontato dovesse essere quell’uomo per presentarsi a casa sua.
“Potete lasciarsi, Becchi. Io e il mio buon amico abbiamo di che parlare, ora.”
 
 
~˚~˚~˚~
 
 
“Zio! Aprite!”
Dall’interno della casa provenne un lieve fruscio di vesti, seguito dal pianto stridulo di un bambino. Orso sbuffò. “Zio, sono Orso”, ripeté, calmo. “Da solo, più o meno.” Mise la mano nel mantello e fece tintinnare qualche moneta che portava nella tasca.  “Fa freddo, qui fuori e …”
Non arrivò a terminare la frase che la porta si aprì, invitando seppur poco cordialmente i due giovani a entrare.
Orso scoccò un’occhiata fugace a Beatrice, facendole cenno di stargli vicino.
Beatrice non se lo fece di certo ripetere, portando una mano a stringere il tessuto ruvido della sua cappa grigia.   “Orso…” sussurrò appena, chiedendogli con gli occhi chi delle persone presenti fosse il suo obiettivo.
Arrivati nell’unica stanza della casa, Orso indicò con un cenno del capo il vecchio uomo che li osservava nascosto nella penombra, armato di una candela accesa e di un’espressione tutt’altro che rassicurante. Sulla destra, una donna sfrecciò sulle scale di legno, sparendo al piano superiore da cui proveniva il pianto di un bambino.
Orso sospirò.
“Zio”, esordì, prendendo posto al tavolo di legno e invitando Beatrice a fare lo stesso. “Abbiamo bisogno di te”.
La ragazza prese posto, ringraziando il Signore. Le caviglie la stavano uccidendo. Volse uno sguardo a quell’uomo dall’aria tetra, rimanendo in un educato silenzio, in attesa anche di un solo cenno. Questi, inizialmente, non la degnò di uno sguardo.
Si limitò a fissar male il nipote, sussurrando qualche parola che la giovane non capì. Poi notò il pancione e subito si rivolse ad Orso “Se siete qui in cerca di soldi perché avete ingravidato questa meretrice, allora potete anche andarvene, Vallesanta.”
La contessa storse il naso, indecisa se dire o meno chi fosse in realtà.
“Non sai chi hai dinanzi”, rispose Orso, apparentemente calmo e per nulla scosso dai modi bruschi dello zio. “Non parli con la madre di mio figlio, ma con Madonna de’ Medici, sorella del Magnifico, moglie del Conte Riario. Moderna i termini, sei in presenza di una signora!” Sorrise appena, voltandosi verso Beatrice con fare rassicurante. In quell’istante, Orso pareva tutto fuorché intimorito.
La ragazza sorrise quasi timidamente, un po’ in soggezione per tutta quella scomoda situazione. La famiglia di Orso, messa così in mezzo ai suoi affari.
Non le piaceva per nulla.
Di contraccolpo, il vecchio Lisymachus sbiancò. Guardò la donna come se si fosse trovata innanzi un fantasma e balbettò qualcosa in ebraico.
Lei non capì, ma Orso sì.
“Sono qui per chiedervi un favore e sono disposta a pagar bene il vostro aiuto.” Iniziò Beatrice, incrociando le mani sul tavolo, dopo aver abbassato il cappuccio dal capo.
Il vecchio guardò verso Orso, il quale annuì commentando con un paio di parole in ebraico dal tono gentile. “Va tutto bene”, disse poi, sorridendo appena. “E’ un’amica”.
Suo zio gli scoccò un’occhiataccia. “Ed è esattamente questo che mi preoccupa, Vallesanta”.
La Contessa lo guardò stralunata, prima di corrugare la fronte, non capendo “Io non sono qui per fare del male a nessuno.” Disse, appoggiandosi una mano sul cuore come se stesse giurandolo “Tengo molto ad Orso, e mi duole recar torto alla sua famiglia, ma necessito di risposte.”
Prese dalla mantella un sacchetto pieno di monete d’oro- quella che aveva tenuto dal furto in Vaticano-, e lo passò all’uno.
“Teneteli, sono venti ducati d’oro. Potrete averne altri, se mi darete delle risposte.”
L’uomo sospirò, mostrandosi seccato ma non disdegnando di far sparire sotto la sua mantella il denaro appena ricevuto.
“E sia”, concesse, sedendosi al tavolo per incrociare le braccia sul petto. “A quale domanda devo rispondere, mia Signora?”
Non mancò di lanciare l’ennesima occhiataccia a Orso, che nel frattempo si era perso a curiosare qua e là con lo sguardo.
La ragazza deglutì un paio di volte, prima di prendere un respiro profondo “Tempo fa, una persona a me molto cara, mi disse che mio marito non era l’uomo che io credo che sia.”
Abbassò gli occhi sulle venature del legno, cercando di non pensare a cosa potessero pensare di lei i due uomini nella stanza.
Per quanto ella sapesse di amare Girolamo, ma non si fidava.
“Non ha detto altro. Se non che voi mi avreste  detto chi si nasconde dietro al Conte Girolamo Riario.” Riportò gli occhi in quelli di Lisymachus “Quindi vi domando questo: cosa sapete su mio marito?”
In un istante, Orso parve tornare alla realtà.
Abbassò lo sguardo sul tavolo di legno e si rabbuiò, stringendo i pugni mentre apriva appena la bocca.
Suo zio lo richiamò con un paio di parole in ebraico, e stavolta nel suo tono parve mettere della sentita preoccupazione.
Per risposta, Orso non tolse gli occhi dal tavolo.
“Lo so”, si limitò a commentare, sottovoce, quasi nessuno dovesse udire.
Beatrice li guardò senza capire e, di istinto, appoggiò la mano su quella di Orso sul tavolo, ma l’uomo davanti a lei non le diede il tempo di chieder nulla.
“Siete venuta in casa mia a domandarmi cose che potrebbero non compiacervi affatto, Madonna de’Medici.” Commentò, guardandola incerto. “Siete certa che volete davvero sapere? Alle volte, l’ignoranza è amica del sonno, mentre la conoscenza del tormento.”
“Preferisco essere una donna tormentata, che non sapere chi ho sposato, Signor Lisymachus.”
 
~˚~˚~˚~
 
Zita era esausta, inginocchiata ai suoi piedi, col volto rigato da centinaia di lacrime e il capo fiaccamente appoggiato contro alla sua gamba, come un cucciolo in cerca delle attenzioni del padrone.
Girolamo non faceva nulla, per consolarla.
Teneva fra le mani quello che sembrava uno straccio bianco, stretto nel pugno come se volesse usarlo contro qualcuno per ferirlo, in qualche modo.
Il viso contorto da una smorfia di puro disappunto e la collera a bruciare le sue iridi di miele, infiammandole.
Non era certo di cosa gli provocasse più disagio, se i singhiozzi bassi dell’abissina, che ormai si erano fatti sempre più sporadici, oppure se la totale assenza di risposta da parte di Beatrice.
Aveva sempre giudicato sua moglie molto più intelligente di quanto non fosse, dunque?
Se non aveva risposto, però, c’era da porsi due domande: aveva compreso che le sue missive verso di lei erano controllate dal Papa in persona oppure semplicemente s’era offesa perchè lui non le aveva detto quasi nulla?
Di nuovo, Girolamo confidò nel suo buon senso e nel suo cervello, poiché non vi era altro modo per comunicare con lei. Non prima del suo viaggio a Firenze, programmato per il giorno successivo, che però non si sarebbe rivelato un soggiorno di piacere.
Tutt’altro.
Con un sospiro, poggiò la mano sui capelli di Zita, che alzò il viso per guardarlo, incontrando il suo sguardo.
La serva aveva gli occhi tristi, quello sinistro gonfio e livido; il labbro inferiore, carnoso e bello, era solcato da una piccola frattura laddove uno schiaffo l’aveva rotto.
Eppure la notte passata col Santo Padre non pareva aver scalfito il suo orgoglio. Teneva la testa alta, quasi come a sfidare il suo padrone a proferire parola.
Girolamo spostò lo sguardo, sorridendo appena.
Il padre stava cercando di distruggere quel poco di genuino che aveva nella sua vita, così come aveva sempre fatto.
Lupo era stato molto chiaro circa i provvedimenti che avrebbe preso contro Beatrice, se questa non fosse ritornata a Roma il prima possibile. Girolamo sapeva che ormai il Santo Padre era stanco e che bastava una parola per condurla al rogo.
Meno di una parola, uno stizzito cenno con la mano sarebbe stato più che sufficiente.
Forlì doveva dare un appoggio alla Santa Sede, in caso di Guerra. Un appoggio verbale e con testimoni, preferibilmente Lorenzo de’Medici sarebbe dovuto essere tra costoro.
Con un gesto deciso, allontanò Zita, che ricadde seduta sul pavimento freddo, senza fiatare. Si alzò, quindi, afferrando un paio di fogli appoggiati sulla scrivania, lasciando scorrere lo sguardo su di essi prima di avvicinarsi al camino. Lasciò cadere quella lettera, che mai sarebbe stata spedita, sulle braci ormai spente, prima di appoggiarsi con entrambe le mani al camino.
“Va a preparare la cena, Zita. Stasera avremo Mercuri a farci compagnia.”
Non una sola parola.
La sentì semplicemente alzarsi in piedi e lasciare le sue stanze, tenendo fra le mani la camicia da notte che l’aveva coperta solo nel tragitto da Castel Sant’Angelo a villa Orsini.
Impotente, Riario comprese che il solo modo che aveva per proteggere coloro che amava era tenerli lontani da sè.
In particolare suo figlio, poiché non avrebbe mai permesso che Alessandro sarebbe divenuto, al pari di lui, un galoppino della Santa Sede.
Nessuno lo meritava.
Prese un fiammifero dalla tabacchiera di madreperla appoggiata sul camino, lanciando uno sguardo alla finestra.
Avrebbe tenuto quella maschera di strafottente apatia sul viso, mentre il suo cuore moriva giorno dopo giorno.
Però avrebbe fatto ciò che era giusto, così come quando aveva deciso quale delle due lettere che aveva scritto sarebbe finite fra le mani di Beatrice.
Il fiammifero acceso cadde sulle pagine colme di verità per sempre celate, bruciandole affinché nessuno potesse leggerle.
‘….per questo e per altri motive, ti prego di andare a Forlì immediatamente, laddove non ti potranno far nulla…. T’ho pensata e per la tua salvaguardia devi capire il motive per il quale, d’ora in avanti, non potrai più vedermi…’
Impotente, fissò i suoi sentimenti bruciare e diventare ciò che erano nati per essere. Cenere.
Il presente non l’avrebbe mai definito, come ormai il suo passato e i suoi segreti avevano fatto. Non aveva vie di salvezza, poiché aveva un compito più alto da portare a termine.
Sapeva, però, che avrebbe provato in eterno il rimorso per quell ‘ti amo’ mai scritto, in nessuna delle due version della lettera.
 
 
 
 
~˚~˚~˚~
 
 
Beatrice iniziava a perdere la pazienza. Il discorso non pareva aver ne capo ne coda e Orso sapeva che di li a poco, la giovane donna si sarebbe stancata. Con un sospiro, ella riprovò  “Di chi è figlio Girolano,  se dei Riario ha solo il cognome?” ormai era quello il punto della discussione, fatto di contraddizioni continue.
L’anziano uomo sorrise ancora di più, traboccante di divertimento “Ma di Sua Santità il Papa Sisto IV, naturalmente. Chi se no? Anche se, invero, non è figlio di alcun Papa scelto da alcun concistoro.”Si concesse una risata profonda, notando quanto la ragazza pareva essere sull’orlo di un collasso nervoso. Si alzò e prese un paio di fichi, posandoglieli davanti insieme ad una tazza sbeccata piena di acqua.
“Questi vi serviranno, Madonna. Ora dobbiamo parlare della madre.”
Beatrice prese in mano un fico, scuotendo piano il capo, senza forza “Non può di certo esser peggio del padre. Questa notizia mi sconvolge nel profondo e neppure ne comprendo a pieno la verità celata. Figlio del Papa che non è il Papa, è così intricato da portarmi un gran mal di testa.”
“Ed è solo l’inizio.” L’uomo riprese posto, guardando però il nipote e non l’illustre ospite “La madre del Capitano Generale dell’esercito di Santa Madre Chiesa altri non è che un’ebrea. Una poveraccia, un’infedele. Mia sorella, Celia. Lei ha messo al mondo quel mostro, empio e crudele.”
Prima che Beatrice avesse modo di rispondere, Orso scattò in piedi, tanto pallido da sembrare un morto.
“Zio, tu vaneggi!”, esclamò, con la voce acuta e stridula di chi fa fatica a mantenere il controllo. “Dì un po’”, aggiunse poco dopo, ridacchiando nervosamente. “Quante pinte ti sei scolato, alla taverna?!”
“Stasera? Due.” Ammise accondiscendente l’uomo, prima di guardare il nipote diritto negli occhi “Ma non vi è menzogna nelle mie parole; la donna che ti ha messo il mondo ha fatto molto più di due errori. Celia è la madre di Girolamo, costretta a lavorare come serva per poterlo veder crescere. Quando è scappata, ha conosciuto tuo padre. Il resto della storia mi pare che lo conosci, Orso. Secondo te, perché è morta? Che bugia ti ha raccontato tuo nonno?”
Orso deglutì pesantemente.
“Hanno dato il ghetto alle fiamme”, rispose, balbettando. “C’eri anche tu, quella notte, ad implorare il perdono delle guardie”. Digrignò appena i denti, battendo una mano sul tavolo talmente forte che le pareti parvero tremare. “Mia madre e mio padre se li sono presi le fiamme”, sibilò. “L’unico fratello che avevo, è morto sotto le travi di casa tua”
“E chi ha appiccato il fuoco? Buon Dio misericordioso, ragazzo, ragiona!” anche l’anziano si alzò in piedi, fronteggiando il nipote “Ti ricordi quanto tempo fa è avvenuto? Ti ricordi che cosa è successo qualche giorno prima? Francesco della Rovere è diventato Papa! Usa il cervello per una buona volta, Vallesanta! È stato un omicidio bello e buono!”
Beatrice portò le mani alla bocca, incapace di emettere suono.
Guardò quell’uomo tanto crudele da divertirsi nel portare brutte notizia, mentre questi alzava un braccio ed indicava il pavimento. “Gli sgherri di della Rovere l’hanno decapitata proprio in quel punto.” poi spostò gli occhi verso la contessa, disgustato “Perché mia sorella aveva messo al mondo un vero demonio.”
Orso grugnì, ma trovò la calma necessaria per riprendere posto accanto a Beatrice.
La guardò, un po’ stralunato.
“Mi dispiace”, borbottò, voltando il capo verso lo zio, il quale ricambiò l’occhiata con uno sbuffo divertito. “Non ne avevo idea.”
“Oh, nemmeno io, fidati.” Replicò la contessa, prima di portare le mani alle tempie. “Ricapitoliamo.” Sussurrò, non troppo convinta di volerlo fare, ma decisa a chiudere quell’incresciosa situazione “Mio marito è figlio del Papa, che però non è, e di un’ebrea che è anche la madre di Orso e Porpora di Vallesanta. Una cosa davvero semplice da digerire.”
Beatrice voleva solo alzarsi e scappare, ma sapeva che sarebbe caduta in terra se solo avesse provato ad alzarsi.
“Chi lo sa, eccetto voi e Sua Santità?”
Lisymachus ci pensò su “Il Prefetto Mercuri. Ha accompagnato qui Girolamo, quando come voi, è venuto in cerca di informazioni.”
“Quindi mio marito sa tutto?!”
“Sì, Madonna. Anche di più, a mio avviso.”
“Cosa sa più di noi?”, chiese Orso, sospirando rumorosamente con le mani incrociate sul petto. “O, meglio. Cosa c’è in più da sapere?”
Piantò lo sguardo su suo zio e da lì non lo mosse, scuro in volto e oltremodo alterato, sebbene ciò non trasparisse dal suo tono.
Lisymachus però parve avvertirlo, visto che prese appena le distanze, sporgendosi con il busto indietro “La sorte di tua madre per quasi quindi anni alle dipendenze dei Della Rovere. L’ha cresciuto lei e per lui non è stata altro che una serva. Eravamo la famiglia ebrea più ricca di Savona, prima che lei rimanesse incinta. Poi abbiamo perso tutto e lei è sparita. Quando è tornata, non era più la stessa di un tempo.”
Orso strinse i pugni sul tavolo, chiudendo gli occhi.
Scandì bene le parole e per un istante fu come se la rabbia esplodesse dalla sua bocca.
 “Perché non era la stessa?”, sibilò, tagliente.
Beatrice lo guardò impotente, ferma e diritta su quella sedia come una statua di sale.
Era troppo sopraffatta, per poter dire qualcosa.
Poi non c’era nulla da dire, quanto meno non da parte sua.
Il padrone di casa, per la prima volta, si concesse un’espressione più umana. Sospirò tristemente, prima di sussurrare con tono basso e affaticato “Perché deve aver patito quindici anni di inferno, soprattutto grazie a quel figlio che non ha mai smesso di amare fino a che non è morta.”
“Ti sbagli”.
Orso mormorò quelle parole alzandosi dalla panca su cui si era accomodato pochi minuti prima, muovendo un paio di passi verso la porta.
Pareva distante, amareggiato, probabilmente furioso.
“Mia madre amava me e mia sorella”.        
Voltò le spalle a suo zio e a Beatrice e lasciò l’abitazione, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo.
Dal piano di sopra, il bambino ricominciò a strillare.
La Contessa si alzò a sua volta molto, molto lentamente “Dovrei andare anche io. Vi ringrazio,  farò in modo che abbiate ciò che desiderate tramite Orso, in qualche modo…. Ora voglio solo andare a casa e pensare.”
Lisymachus la prese per il polso, trattenendola senza però far forza. “Aspettate, voglio che prendiate una cosa.” L’anziano si alzò, prendendo da un cassetto una vecchia lettera stropicciata. “Questa l’ha scritta mia sorella, qualche giorno prima della sua morte. In un certo senso, lei se lo sentiva. Lei sapeva sempre tutto.”
La Contessa la prese fra le mani, guardando la carta ingiallita dal tempo. Sulla busta non vi era scritto nulla, se non il nome ‘Girolamo’ in un corsivo stretto ma elegante.
“Perché la date a me?”
“Bruciatela, o datela a vostro marito. Leggetela voi se lo desiderate, ma io qui non la voglio più.” Le rivolse uno sguardo stanco “Dandola a voi, rispetto il giuramento che feci a Celia, ovvero di attendere che Girolamo venisse qui a chiedere di lei per fargliela avere. Lui, anni fa, non ne volle sapere. Ora, magari, servirà a voi o a Orso.”
Beatrice la strinse al petto, sentendo il cuore batterle in gola “Mi duole l’aver richiamato in voi pensieri così cupi.”
“Non mi hanno mai abbandonato.” La corresse subito l’uomo, prima di ammorbidire la voce “Adesso vi prego di andare. Dobbiamo entrambi riposare. Non fatemi avere altro, domani non sarò di certo qui ad aspettare la lama di vostro marito.”
“Vi ringrazio nuovamente, Lisymachus. Buona fortuna.”
“Buona fortuna a voi, Madonna. Ne avete molto più bisogno di me.”
Non attese altro.
Con gran sollievo, Beatrice uscì di nuovo nel fresco della notte, sempre stringendo quella lettera come il più prezioso dei tesori. Cercò nel buio il suo accompagnatore, trovandolo appoggiato al bordo di un pozzo, con il capo incassato tra le spalle.
Si avvicinò, accarezzandogli la schiena piano “Orso..?”
Lui non si voltò, restando a fissare il buio del pozzo dinanzi a sé.
Tremava, tanto era scosso.
Rimase in silenzio a contemplare la notte, dopodiché trasse un profondo sospiro e si decise a parlare.
“Di una cosa vi prego, Beatrice”, esordì, prendendo a camminare nella direzione da cui erano arrivati. “Non fatene parola con Olivieri, quando lo incontreremo. Mia sorella non deve saperne niente”.
Quella sera, con gli occhi,Beatrice lo promise. Sarebbe morto con loro due, quel segreto. Non sapeva, però, che per Orso sarebbe stato davvero così.
 
 
 
 
Make you thinks she means it this time
She'll tear a hole in you, the one you can't repair
But I still love her, I don't really care
  
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