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Autore: Lavi Bookman    04/09/2015    2 recensioni
[Hospital!AU] [Shota!Oikawa x Shota!Iwaizumi, con salto temporale all'età attuale.]
"Quello che non aveva mai fatto Iwaizumi Hajime era fare amicizia in ospedale. […] Però rimase zitto. Si era scoperto a fissarne il sorriso, pensando improvvisamente a quanto stonasse uno come lui all'interno di quella stanza."
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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A strange type of chemistry, how you’ve become a part of me
And when I sit alone at night, your thoughts burn through me like a fire
You’re the only one who knows, who I really am.



Aveva già scalato milioni di collinette di sabbia, visto quasi tutti gli animali del mondo allo zoo, completato almeno sei album di figurine, si era azzuffato già due volte con un suo compagno di classe, fatto esperimenti su delle formiche, e tante altre cose. Per i suoi nove anni poteva considerarsi già molto grande, e a volte lo diceva battendosi trionfante un pugno sul petto che, per l'occasione, gonfiava drizzandosi sul posto.
Quello che non aveva mai fatto Iwaizumi Hajime era fare amicizia in ospedale. Era un posto che non odiava particolarmente nonostante ci passasse gran parte della sua vita. Gli era in realtà pressoché indifferente. Aveva imparato, più per esperienza diretta sul campo che tramite libri o film, che la gente lì dentro moriva, ma non classificava quell'informazione come un qualcosa di così terribile. Era molto peggio quando qualcuno gli rubava la palla con cui giocava nel cortile sotto casa, per essere chiari. Senza parlare di quando sua madre lo richiamava all'ordine per andare a cena e lui non aveva ancora superato il suo stesso record di palleggi contro il muro. Quelle erano tragedie, non di certo un posto tutto bianco con gente vestita con cose simili a pigiami. Ci moriva qualcuno? Beh, anche per strada. O negli uffici. Aveva sentito che il nonno di un suo amico era morto nel salotto di casa sua (e questo fatto era stato raccontato come se fosse una storia dell'orrore).
L'unica cosa che davvero lo terrorizzava di quel posto erano gli aghi. Anche se le infermiere sorridevano e dicevano frasi come "usiamo la farfallina, non fa male!" lui ogni volta imparava a non fidarsi, perché farfallina o meno lui il male lo sentiva e poco contava se poi sua madre gli dava una caramella come premio. Poteva tenersela. Almeno per cinque minuti, quando poi non aveva più la forza di tenere il broncio.
Spesso, quando un'infermiera era nuova, gli faceva fare il tour completo del reparto. Lui la seguiva anche se in definitiva sapeva già da anni dove fosse il bagno, dove posizionassero le decorazioni per le feste, la sala con i giochi, l'altro bagno, l'uscita anti-incendio e via dicendo. Quel corridoio lungo restava sempre lo stesso, l'unica cosa a cambiare era la stanza a cui veniva assegnato.

Era il ventidue dicembre, ancora poco e sarebbe stato Natale. Non si stupì di trovare, come l'anno precedente, un albero finto decorato con nastri, palline e luci. Sorrise appena, stringendo la mano di sua madre che di rimando si chinò verso di lui indicando tutti i pacchetti alla base del pino. «Probabilmente lì c'è anche il tuo regalo, sai?»
Lui annuì, lanciando poi un'occhiata alla donna che aveva davanti. Non era particolarmente gentile, sembrava piuttosto che l'avessero costretta a infilarsi quel camice e soprattutto che le avessero puntato una pistola alla tempia per essere nel reparto pediatrico. Magari sbagliava, magari erano i capelli neri e lunghi e abbastanza sfibrati a farla sembrare una strega.
Lei si girò, sbuffando appena nell'indicargli la porta della stanza a cui poco dopo bussò, entrando senza aspettare alcun permesso. No, probabilmente era anche per la pelle rugosa, pensò prima di farvi capolino a sua volta.
C'erano sei letti, tre da un lato e tre dall'altro, il suo -l'unico libero-, al centro di quelli posizionati a destra. Scrutò brevemente le facce degli altri bambini, almeno di quelli svegli se si escludevano due che dormivano beatamente nonostante fosse pieno giorno.
L'unica vigile nella parte sinistra della stanza lo fissava incuriosita. Non gli disse nulla e Iwaizumi di risposta la ignorò. Si chiese solamente quanti anni potesse avere, constatando tra l'altro che aveva i capelli tagliati troppo corti per essere considerata "carina".
Si sedette sul letto, guardando verso la finestra, e lì vicino ce n'era un'altra, ancora insieme alla madre: una donna fin troppo robusta che ancora un po' e la imboccava nonostante ad occhio e croce avesse probabilmente la sua età. Guardandola meglio si accorse che era una di quelle bambine che gli adulti dicevano avere la "sindrome di down". Mentalmente sollevò le spalle, non aveva la benché minima idea di cosa volesse dire ma gli dava fastidio che non mangiasse per conto suo.
Girandosi infine dall'altra parte, al lato sinistro del proprio letto, vide lui. Stava sorridendo e parlando con i suoi genitori, che apparentemente sembravano più stanchi e sciupati loro di chi era ricoverato.
Aveva i capelli corti ma non troppo e leggermente mossi, con le punte rivolte all'insù. Gli occhi erano gentili, di un color nocciola che con quel poco sole che entrava nella stanza riusciva comunque a fare effetto. Continuavano a non posarsi mai su di lui e per un qualche motivo si sentì offeso.
«Hai visto?» iniziò a quel punto sua madre sedendoglisi accanto «ci sono altri bambini, puoi fare amicizia!»
Avrebbe voluto rispondere "ci sono sempre altri bambini di cui non mi interessa", ma più la guardava più notava quanto stesse cercando di tenere insieme i cocci. Allargò il sorriso che le aveva fatto in precedenza. «Sì, è vero.»

«Io sono Oikawa Tooru, comunque!»
A quelle parole Iwaizumi si costrinse a prestare attenzione al ragazzo del letto a fianco e ad aprire gli occhi. Non si era reso conto di essere così stanco finché l'orario delle visite non era finito, e tutti erano stati costretti ad andarsene. L'unico a restare, per un qualche motivo che neanche si preoccupava di analizzare, era il padre di chi ora lo guardava aspettando che si presentasse a sua volta.
«Tuo padre dov'è?»
«E' andato a prendere qualcosa da mangiare.»
«Iwaizumi Hajime.»
«E come mai sei qui?»
Pensò che non fossero cose che dovessero importargli e non rispose, tornando alla posizione iniziale. Non farti odiare da subito, ma la vocina nella sua testa non era abbastanza convincente.
Si ritrovò gli occhi puntati addosso della ragazzina incapace di mangiare da sola. Alzò un sopracciglio sputandogli un "beh?" innervosito. Avrebbe voluto chiederle che ci fosse da sorridere ma si limito a far finta che non esistesse.
«Perché non parli? Non ti sto simpatico?» dallo scricchiolare del letto poteva immaginare che l'altro si fosse sporto in avanti per fargli quelle due domande.
Corrugò la fronte, chiudendo gli occhi.
«Io non lo so perché mi trovo qui, sai?», se non sai qualcosa non iniziare un discorso, avrebbe voluto rispondergli. Era una frase che spesso gli avevano rifilato a scuola.
«Non te l'ho chiesto.»
«Lo so, ma almeno ora mi hai parlato!»
Forse il tono improvvisamente allegro di Oikawa, o quel continuo cigolare della rete del letto, o la voglia di mettergli una scarpa in bocca (se solo avesse saputo dove erano stati messi i suoi vestiti), lo convinsero ad alzarsi a sedere, girandosi per l'ennesima volta a guardarlo. Era abbastanza spazientito da quella giornata e si sentiva pronto a litigare.
Però rimase zitto. Si era scoperto a fissarne il sorriso, pensando improvvisamente a quanto stonasse uno come lui all'interno di quella stanza.
Le pareti erano colorate, lo notava solo ora, ma i colori erano smorzati. Le luci non illuminavano abbastanza, i giocattoli avevano il tipico odore di ospedale che ormai aveva imparato a riconoscere.
Ciò che lo fece riprendere da quei pensieri fu il ritorno in stanza del padre di Oikawa, che stringeva in mano qualcosa. «Tieni, non dire a mamma che ti ho fatto mangiare fuori pasto, eh!», lo sentì asserire mentre gli allungava una merendina al cioccolato.
«Hai fatto amicizia, sì?» e senza aspettare risposta la sua attenzione ricadde su Iwaizumi. «Come ti chiami?»
«Iwai-»
«Iwaizumi Hajime!» lo interruppe l'altro, addentando con evidente fare affamato il dolcetto, e disperdendo così briciole sul lenzuolo.
Assottigliò lo sguardo mentre riceveva in risposta una risata divertita. «... Esattamente. Mi chiamo Iwaizumi Hajime, signore.»
«E' un piacere conoscerti, davvero.» Lo vide sforzarsi un po' a increspare le labbra in quello che doveva essere un sorriso. Aveva probabilmente l'età di suo padre, ma era più asciutto. I vestiti erano stropicciati, e sicuramente non cenava a dovere da un bel pezzo.
«Ho un po' sonno adesso...»
Dal nulla Oikawa sembrava aver perso vitalità, ma non si fece domande. In fondo ci aveva parlato pochissimo e non gli interessava neanche troppo chiedergli se avesse avuto una giornata pesante. Guardò piuttosto l'orologio appeso alla parete vicino alla porta, erano quasi le nove e mezza e si stupì di aver dormito tutto il pomeriggio.
«No, non dormire, ti prego...»
Iwaizumi si girò verso l'uomo, abbastanza stranito. Aggrottò la fronte quando questo prese il figlio per le spalle cercando di smuoverlo. Ma ormai era tardi, Oikawa si era addormentato con una velocità che aveva dell'incredibile.
Diede le spalle a quel ritratto familiare, ritrovandosi ancora una volta lo sguardo dell'altra bambina puntato addosso. Sbuffò, chiudendo gli occhi. Sapeva che aspettava solo di poter attaccare bottone, e quella era l'ultima cosa che voleva.
Passerà in fretta anche questo periodo.
Stava per crollare a dormire quando iniziò a sentire il padre di Oikawa piangere sommessamente, cercando di non farsi sentire. Strinse le palpebre, rannicchiandosi. Non voleva saperne nulla, né di lui né del motivo dei suoi pianti.
«Se si sveglia e la vede piangere è peggio. Se deve farlo è meglio se esce.» E nel consigliarlo si morse il labbro inferiore.
La risposta fu uno scricchiolare di passi che si allontanava e l'appena udibile cigolio della porta.
Si raddrizzò sul letto, pancia in sù. Lanciò un'occhiata all'altro. Aveva un bel profilo, i lineamenti non erano marcati e la luce di fianco al letto lasciava poche zone d'ombra sul suo viso.
E' bello.



 




Probabilmente sarà composta di massimo tre capitoli, e spero di riuscire ad aggiornare minimo una volta a settimana, lavoro permettendo x°
Per il resto, spero non abbia troppi errori- ma in caso saranno revisionati e corretti!
  
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