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Autore: Espen    05/09/2015    2 recensioni
[Fanfiction partecipante al contest "Love for a fee" indetto da Yuko_chan]
All’interno del Rugiada, uno dei bordelli più famosi della Slam City, era Océan: la puttana con gli occhi del colore del mare e l’ombretto blu scuro.
Era facile, in fondo: uno sguardo ammiccante, un sorriso seduttore e un balletto volgare.
Era tutta una recita e lui doveva essere un grande attore, visto quant’era desiderato.
In quei momenti doveva interpretare la puttana dagli occhi color del mare e far finta che lui, la vita che non era riuscito a salvare, non fosse mai esistito.
Jaime, in realtà, odiava davvero Océan.
*********
Una puttana dagli occhi color dell'oceano che nasconde mille segreti, uno più doloroso dell'altro, e un sognatore intrappolato in una vita che non desidera.
Un incontro di una notte che si trasformerà in qualcosa di più.
In una città annegata da lotte fra clan e peccati di ogni tipo, quanto riusciresti ad amare?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Organization Zero'
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Parte terza.
René
 
Blaise Roussel era conosciuto come il boss del più temibile e pericoloso clan di Parigi, omonimo del suo cognome. Si era arricchito col traffico di droga e d’armi con l’estero e la sua fortuna aveva raggiunto livelli altissimi, provocando l’invidia negli altri clan.
La gloria, però, è una dea passeggera e pericolosa, che per lui finì una notte di quindici anni prima, dove un incendio a Palazzo Roussel divorò la sua famiglia e il suo clan.
Gli unici superstiti furono i suoi figli Jaime e René, gemelli, identici se non per un neo sulla guancia che il primo non aveva.
A sette anni rimasero soli, senza più casa e famiglia, con solo il fratello come ancora e riparo sicuro.
Gli orfani non vivono a lungo nelle megalopoli e i due bambini avevano dovuto imparare in fretta a sopravvivere.
 
Riuscirono a trovare rifugio in un teatro abbandonato, che loro chiamavano La Base. Era pieno di insetti e topi, il soffitto aveva numerosi buchi e il palco sembrava star per cedere, ma almeno avevano un posto dove stare la notte.
Vivevano rubando, anche se più di una volta avevano rischiato di essere presi. Col passare dei mesi, però, avevano ideato un piano abbastanza efficace che permise loro di guadagnare qualcosa in poco tempo.
L’arrondissement[2]  Les Halles era sempre pieno di persone. René aveva imparato in fretta a distinguerle e etichettarle: c’erano i membri dei clan, che camminavano sempre in gruppo e avevano un sacco di tatuaggi; i solitari, invece, erano coloro che non appartenevano a un gruppo, ma erano abbastanza forti da andarsene in giro da soli senza preoccuparsi, avevano un passo sicuro ed erano robusti o, comunque, con molti muscoli.
Infine c’erano i comuni, ovvero quella gente che non apparteneva a nessun clan e sapeva di non essere in grado di difendersi, camminavano sempre velocemente e a testa bassa, spesso tenendo stretta la borsa o lo zaino fra le mani (come se servisse realmente a qualcosa).
Le vittime dei loro furti erano quest’ultimi, René li indicava a Jaime e questo, con una grande velocità, li derubava per poi sparire nella folla, prima che capissero cosa fosse successo.
-Guarda quanti soldi abbiamo guadagnato oggi, forse riusciamo a mangiare un hamburger, è da settimane che non vediamo nemmeno un po’ di carne!-esclamò Jaime, facendo vedere al gemello ciò che aveva rubato, avevano entrambi il volto sporco e un corpo magro, ma non importava, finché erano insieme erano felici.
-Siete davvero bravi per la vostra età, sapete?
Entrambi si girarono verso quella voce seria, proveniente da un ragazzo con i capelli rossi e i piercing sul viso. Aveva un’aria intimidatoria, ma il suo sorriso sembrava benevolo.
I fratelli, però, avevano imparato a non fidarsi delle apparenze e lo guardavano pronti alla fuga.
-Come vi chiamate?- continuò a chiedere il misterioso personaggio, avvicinandosi sempre di più ai bambini. Jaime, d’istinto, si parò davanti al gemello, come per difenderlo; anche se René aveva una mente che gli permetteva di uscire dalle situazioni più difficili, era lui ad avere più forza fisica (per quanto un bambino di quasi otto anni potesse averne).
-È solito presentarsi prima di chiedere il nome a qualcuno- gli fece presente cercando di sembrare minaccioso, ma l’altro scoppiò in una sonora risata.
-Mi piaci moccioso, sei cazzuto- spiegò, ridacchiando ancora – Sono Felix Lemaire, boss del clan Lemaire. Ora tocca a voi.
Jaime era dubbioso sul dirgli la loro vera identità, ma René parlo per entrambi –Noi siamo René e Jaime Roussel.
Felix sgranò gli occhi grigi.
–Credevo che i Roussel fossero tutti morti- mormorò più a se stesso che agli altri due, poi scosse lievemente la testa, quel fatto non cambiava ciò che voleva proporgli –Vedete, esistono vari tipi di gruppi criminali, il mio è un clan di artisti. Noi crediamo che l’arte sia importante nella vita quotidiana, anche se ormai è stata dimenticata, capite?
I due bambini si guardarono in faccia per qualche secondo, visibilmente confusi. Non capivano esattamente come l’arte potesse essere importante, un quadro non ti salva la vita o ti da mangiare, ma annuirono ugualmente per farlo andare avanti col discorso.
-Voi due siete degli elementi davvero interessanti, vi osservo da un po’ e ho potuto notare che siete molto bravi nel rubare, considerando la vostra età, con il giusto allenamento potreste diventare ladri provetti! Quindi, ascoltate bene, ho una proposta da farvi: voi entrate nel mio clan e io vi do un tetto sotto cui vivere, insegnandovi tutto quello che c’è da sapere sull’arte del furto. Che ne pensate?
 
Entrambi sembravano entusiasti all’idea, ma non sapevano se fidarsi di quell’uomo. Si guardarono nuovamente negli occhi e, per un osservatore esterno, poteva sembrare che stessero parlando solo con essi, ma in realtà il pollice di Jaime scriveva velocemente lettere sulla mano di René. Quello era il loro linguaggio segreto, un modo loro per parlare senza  che gli altri si impicciassero.
 
Che facciamo?
Io direi di accettare, quel ragazzo sembra sincero
Ne sei davvero sicuro, Ren?
Sì, in fondo non abbiamo niente da perdere, no?
Hai ragione. E poi se tu ti fidi, allora mi fido anch’io.
 
Felix era rimasto a guardare quello scambio di sguardi con aria confusa, non era la prima volta che facevano una cosa del genere. Probabilmente utilizzavano una specie di messaggio in codice, anche se non riusciva a capire quale.
-Accettiamo- proclamò risoluto uno dei due gemelli, ma non riusciva a capire quale, non ricordava chi era quello con il neo.
Bah, avrebbe imparato col tempo.
Strinse la mano dei bambini, sorridendo.
-Benvenuti a bordo, gémeaux.[3]
 
 
La base del clan Lemaire era un appartamento in un enorme e anonimo palazzo nel Les Halles. Vi viveva tutto il clan, ovvero cinque persone.
-Siamo nati da pochi anni, ma abbiamo già il nostro giro di clienti e guadagniamo bene- spiegava Felix mentre entravano nell’abitazione.
Jaime, con la mano stretta a quella del fratello, osservò per qualche attimo la cucina riversa nel caos totale, con piatti e cartoni nel lavello e schifezze e buste di patatine sparse un po’ dappertutto; e quadri appesi ovunque, non ne aveva mai visti così tanti in una stanza così piccola.
Felix si compiacque nel notare che i fratellini erano rimasti a bocca aperta nel vedere tutte quelle imitazioni appese al muro, significava che l’arte non era loro indifferente.
-Ragazzi, abbiamo dei nuovi arrivati!- esclamò e subito si precipitarono nella stanza due ragazzi. Uno aveva i capelli biondi e gli occhi verdi, con il tatuaggio di una fenice sulla guancia sinistra, mentre l’altro aveva la pelle olivastra e gli occhi a mandorla, tipicamente orientali.
-Wow, che piccini che siete! - esclamò questo, chinandosi alla loro altezza e sorridendo –Io sono Mizuki, sono originario di Osaka, in Giappone. Mi occupo delle rapine e sto imparando a contraffare quadri.
-Siete identici, Il est étonnant!- disse l’altro, per poi presentarsi appena il giapponese ebbe finito –Mi chiamo Theo e, come Mizu, mi occupo di saccheggi e di curare questo gruppo di scalmanati quando si fanno male.
-Io sono René, mentre lui è Jaime- come al solito René parlava per entrambi, ma al gemello la cosa non disturbava, non amava comunicare con gli sconosciuti e quei ragazzi, anche se erano gentili, lo intimorivano un po’.
-Ora che vi siete conosciuti, vi porto nel mio ufficio che vi spiego un paio di cose- disse Felix ai due bambini, prima di rivolgersi ai suoi subordinati –Quando tornano gli altri, avvisateli di questa novità, è importante che conoscano il clan.
Vennero condotti in breve corridoio, che si affacciava su sei stanze; si diressero in quella in fondo, che custodiva una stanza in cui troneggiavano una scrivania e una poltrona scura, sulla parete destra c’era una piccola libreria, mentre in quella opposta troneggiava un ampia vetrata che si affacciava sulla strada.
-Nel nostro clan ci sono poche e semplici regole e siete tenute a rispettarle- cominciò a parlare Felix, con voce autoritaria, ma non con l’intenzione di spaventarli.
-Prima di essere un clan, i Lemaire sono una famiglia, quindi da oggi voi siete René e Jaime Lemaire. Noi ci occupiamo principalmente di rapine e contraffazione di opere d’arti, cosa abbastanza facile di questi tempi. Avete mai sentito dell’incendio al Louvre?
René annuì, ricordava di averlo letto in qualche libro trovato in una biblioteca abbandonata settimane fa’ –Il Louvre era uno dei musei più grandi e famosi al mondo, ma, in una guerra fra clan, fu incendiato e la maggior parte dei quadri bruciarono. Gli altri non si sa che fine abbiano fatto, ma attualmente al Louvre non ci sono più opere.
Felix annuì, colpito che un bambino così piccolo e lontano da quell’evento, sapesse in modo così dettagliato una cosa del genere.
-I collezionisti, ricchi sfondati che vivono lontano da questo schifo, sono molto interessati ai quadri scomparsi e noi facciamo finta di ritrovarli, quando in realtà ne facciamo delle imitazioni. Chiaro?
Jaime lo guardò confuso –Come fate a fare delle imitazione se non ci sono più gli originali?
Il boss rise, indicando la libreria –Quei libri sono pieni di quadri che si trovavano al Louvre, noi facciamo delle copie a grandezza naturale e li studiamo attentamente, per poi ricopiarli. -Infine li vendiamo ai collezionisti spacciandoli per originali.
I due fratelli annuirono e Felix si compiacque nel notare che i loro occhi, di un blu intenso, quasi finto, brillavano di curiosità. Adorava i bambini anche per quell’innocente voglia di conoscere e capire ciò che il circondava, a loro, probabilmente, il fatto di appartenere a un clan sembrava  solo un gioco. Ma andava bene così, anche in quel mondo schifoso i bambini meritavano un’infanzia.
All’improvviso bussarono alla porta e una ragazza dai capelli rossicci e una bandana sulla testa fece capolino insieme a un altro dalla pelle pallida e il fisico possente.
-Boss, Theo e Mizu hanno detto che voleva vederci- annunciò lei, entrando insieme al collega quando Felix fece loro segno.
-Abbiamo dei nuovi arrivati- annunciò questo, mentre indicava i fratelli, presentandoli.
La ragazza sorrise loro, per poi tendere loro la mano –Io sono Roxanne, mi occupo della contraffazione di opere d’arti, mentre lui – indicò l’energumeno accanto a lei –è Jeremy, è muto, ma nelle lotte clandestine non lo batte nessuno.
Solo in quel momento Jaime si accorse che sulla guancia sinistra di Jeremy spiccava una macchia violacea.
-Com’è andata?- si limitò a chiedere Felix con aria seria.
Roxanne sorrise mentre tirava fuori dalla tasca della giacca una busta piena di soldi e gliela passava.
-Jeremy li ha stesi tutti,  evidemment [4]
Felix sorrise e, una volta sedutosi dietro la scrivania, prese a contare i soldi, per poi trascrivere qualcosa su un libricino.
-Tutto il denaro che ottenete dovete darlo a me, così registro tutte le entrate e le uscite su questo quaderno- spiegò ai nuovi arrivati, mostrandogli una tabella pieni di cifre. Anche se i due non ne capivano molto, annuirono.
-Ora potete andare. Roxanne mostra ai gémeaux la loro nuova casa- poi si rivolse a Jaime e René –Fra due giorni inizierete le lezioni, così avete il tempo di ambientarvi.
 
La prima notte che passarono lì, stretti in un solo letto perché “purtroppo non ne abbiamo altri, per adesso utilizzate entrambi questo, tanto siete piccoli, ci state” fu strana, per certi versi, perché erano in un ambiente completamente nuovo. Dividevano la stanza con Mizuki, che era ancora in salotto a guardare la televisione con Theo e Jeremy, mentre loro erano andati a dormire presto, sotto consiglio di Felix.
-Jay…
-Mh?
Jaime aprì un occhio blu, guardando il fratello che, al contrario di lui, sembrava fin troppo sveglio.
-Che ne pensi di tutto questo? I Lemaire sembrano persone gentili, ma ho un po’ paura per queste lezioni, cosa credi che ci faranno fare? Io non sono molto bravo ne—
-Ren!
-Sì?
-Parli troppo.
Jaime alzò gli occhi al cielo mentre il fratello ridacchiava nervoso, René tendeva a straparlare quando era agitato, al contrario di lui che stava sempre zitto.
-Non ti preoccupare, Ren- mormorò infine, accarezzandogli i capelli corvini.
Poi si addormentarono abbracciati, sperando che quella nuova vita fosse migliore della precedente.
 
Oltre ad imparare a contraffare e rubare, i Lemaire fornivano ai due gemelli anche lezioni scolastiche, come matematica, storia, letteratura e lingue.
-È importante che apprendiate il più possibile nel maggior numero di campi. Ogni informazione si può rivelare utile nel nostro lavoro- aveva spiegato Felix.
Nel corso degli anni Jaime mostrò una grande abilità nel disegnare e dipingere, mentre fu chiaro che René, anche se negato nell’ambito del fratello, aveva un’intelligenza superiore alle media: dotato di grande memoria, imparava schemi e dati in pochissimo tempo, in più mostrò grande interesse per la tecnologia e una grande abilità nell’usare i computer.
Jaime ricorderà sempre gli anni tra i Lemaire come i più felici della sua vita. Nel giro di poco tempo erano diventati le mascotte del clan e venivano coccolati da tutti.
Rammentava ancora di quella volta in cui, a nove anni, avevano ritardato oltre il coprifuoco perché Mizu, dopo una rapina, aveva voluto ricompensarli regalandoli dei peluche a forma di gatto.
Vedendo i loro sorrisi, Felix non aveva avuto il cuore di rimproverarli.
In fondo si diceva sono solo bambini, devono essere felici e spensierati prima che il mondo si prenda la loro innocenza.
 
Col passare degli anni, i Lemaire si erano ingranditi e avevano acquisito una certa importanza a Parigi. Avevano ottenuto dei subordinati, anche se non vivevano in un Palazzo come la maggior parte dei clan, ma ero dispersi un po’ per tutta la città.
Il nucleo operativo centrale, però, era sempre composto dai soliti sette, con Jaime che cominciava a dipingere alcuni dettagli nei quadri e René che era diventato l’hacker ufficiale del gruppo.
A undici anni, Felix decise di portare Jaime con lui ad uno scambio.
-È importante che conosciate tutti i lati del nostro lavoro. Portarvi entrambi nella stessa volta sarebbe rischioso se le cose si mettono male- gli aveva spiegato, con quel tono autoritario che celava una strana gentilezza, perché anche se Felix faceva il duro e menefreghista, sapeva quanto tenesse alla sua famiglia. Una caratteristica comune di tutti i membri del clan, era di essere orfani. Felix li aveva presi dalla strada, donando una nuova vita e una famiglia. Per tutti loro era non solo il boss, ma anche padre, fratello e amico.
Comunque, quella notte dovevano scambiare La Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci, Jaime si era curato di Giovanni e Gesù bambino. Roxanne era stata felice del suo operato, diceva che sarebbe potuto diventare un grande contraffattore.
-Questo quadro è stato richiesto da Chen Zhen, un collezionista cinese. La cifra è già stata pattuita e dobbiamo solo effettuare lo scambio. La versione ufficiale è che abbiamo rubato il quadro da Jean Roux, un miliardario francese, che lo custodiva nella sua villa appena fuori Parigi.
-Questo tizio esiste davvero?
-Sì, ma di certo non ha quadri del da’ Vinci nella sua villa- ghignò furbescamente Felix.
Jaime annuì, per poi osservare il luogo in cui si trovavano: stavano attraversando il corridoio di un vecchio edificio abbandonato, una fabbrica forse. Con loro c’era anche Jeremy, la sua presenza imponente metteva in soggezione i compratori.
-Il luogo dell’incontro è la stanza numero tredici. Tu, qualunque cosa succede, rimani dietro di me o Jeremy e se accade qualcosa di grave, corri via e chiama gli altri. Intesi?
Jaime annuì deciso, anche se era un po’ spaventato. Sperava che non succedesse niente di grave.
 
Giunsero nella stanza in perfetto orario, ad attenderli c’era un uomo dai tratti orientali in giacca e cravatta, che Jaime intuì  essere Chen Zhen, mentre dietro di lui vi erano altri due uomini alti e grossi almeno quanto Jeremy, uno dei quali teneva una valigetta grigia.
L’undicenne diede un’occhiata al quadro, accuratamente impacchettato, che stava portando Felix, pregando che sarebbe andato davvero tutto al meglio.
-Felix Lemaire- disse con tono neutrale Chen, storpiando il nome con la sua pronuncia cinese, poi diede un’occhiata veloce a Jeremy per soffermarsi qualche secondo in più su di lui –vedo che ti sei portato dietro la famiglia.
Il boss dei Lemaire fece finta di non sentire quel commento, infatti pronunciò con un tono freddo che fece rabbrividire Jaime –Bando ai convenevoli, Zhen, ce li hai in soldi?
Il cinese fece un rapido cenno al suo subordinato, che aprì per qualche secondo la valigetta mostrando un sacco di mazzette di euro.
-Prima voglio vedere il quadro.
Felix fece come richiesto, tirando via l’involucro e mostrando l’opera in tutta la sua bellezza.
 –La Vergine delle Rocce, come richiesto.
Chen avvicinò il viso spigoloso al quadro, osservandolo attentamente –È davvero in ottime condizioni per essere sopravvissuto ad un incendio.
Felix sorrise affidabile, da bravo attore –Il Louvre è grande, l’incendio non ha colpito tutte le sale. Questo, probabilmente, non è stato rovinato da esso, ma soltanto rubato in seguito, come molti altri quadri.
Il cinese lo guardò sospettoso e Jaime si chiese come non facesse a sentirsi sotto pressione  davanti a quegli occhi neri come la pece.
-Dove l’avete rubato?- domandò, continuando ad analizzare il quadro, in cerca di qualcosa che non andasse. Jaime sapeva già che non avrebbe trovato niente, Roxanne era incredibile nel contraffare quadri.
-In una villa di Jean Roux, appena fuori dalla megalopoli. Non ha denunciato il furto perché il quadro era rubato.
L’altro annuì solamente, mentre Chen si soffermò sul Giovanni bambino e lui cominciava a preoccuparsi. Non voleva che l’affare saltasse per colpa di qualche sua imprecisione.
-Mi è sempre piaciuto Leonardo da Vinci, sa? Era un genio e non solo in campo artistico, anche la tecnica fu innovativa per l’epoca. Essa è molto difficile da imitare.
A quelle parole Felix ebbe un breve guizzo all’occhio e Jeremy si era portato lentamente una mano alla pistola, nella tasca posteriore dei jeans.
Chen, però, sorrise lievemente e fece segno all’uomo con la valigetta grigia di avvicinarsi.
-Questo sembra proprio il quadro originale. È stato un piacere fare affari con voi.
Jaime si rilassò, cercando di non farsi notare, mentre Felix prendeva la valigetta  per controllare che i soldi fossero veri, poi diede il quadro a Chen.
-È stato un piacere fare affari con voi!- esclamò, per poi andarsene, prendendo per mano Jaime.
Quando furono in strada, lontano dall’edificio abbandonato, Felix proruppe in una risata liberatoria.
-Prima me la sono fatta davvero sotto!- esclamò continuando a ridere –Fortuna che quel tipo è un idiota!
E Jaime, contagiato dall’allegria dell’altro, scoppiò a ridere di rimando.
Non si era mai sentito così felice.
 
Tutte le cose finiscono, anche quelle più belle.
Jaime se ne rese conto una settimana dopo il loro dodicesimo compleanno, quando, in una notte, subirono un attacco.
I Lemaire erano pacifici, raramente creavano risse o faide con altri clan, al contrario dei Moreau, un clan emergente che si era arricchito prendendo a forze le ricchezze dei suoi avversari più deboli.
Ricordava bene quella notte, dove era stato svegliato da un rumore di spari. René, seduto nel letto accanto al suo, guardava la porta chiusa con fare preoccupato. Il letto di Mizu, invece, era intatto, ma non ci fece molto caso, dato che passava molto tempo con Theo nelle ultime settimane.
-Ren, ch—
Non fece in tempo a dire niente che altri spari rimbombarono nella casa. Il fratello cominciò a tracciare velocemente le lettere sulla sua mano.
 
Sta succedendo qualcosa di brutto
Credi che dovremmo andare a vedere?
 
René annuì leggermente.
 
Prendi la pistola.
 
La porta dello studio di Felix era aperta e uno spiraglio di luce illuminava il buio corridoio. I gemelli si affacciarono, cercando di non farsi notare e René quasi cacciò un urlo nel vedere cosa stava succedendo.
Felix era riverso sulla poltrona con un buco al petto, dal quale usciva sangue, gli occhi grigi erano vitrei. Entrambi capirono che era morto.
-Dato che ho ucciso il boss del clan Lemaire, dichiaro questo posto e tutte le sue ricchezze di mia proprietà!
A parlare era stato un uomo di circa trent’anni, dalla pelle ambrata e i capelli scuri. La pistola era ancora sollevata contro il corpo di Felix.
 
Quello è Alain Moreau, il boss del clan Moreau.
 
Jaime spalancò gli occhi, aveva sentito cose terribili riguardo a lui, su come uccidesse a sangue freddo e non avesse pietà per nessuno.
Intravide Roxanne alzarsi, si teneva il braccio con una mano, probabilmente era stata ferita.
-Se pensi che ti lasceremo pr—
Uno sparo riecheggiò nell’aria e Roxanne cadde a terra, inerme, mentre una macchia vermiglia si allargava intorno alla sua testa. René emise un verso di sorpresa, cercando di trattenersi dall’urlare, mentre lui sentiva la bile salirgli lungo la gola.
Sentì una mano premergli sulla bocca e sentì la presa sulla mano di suo fratello sparire.
-E voi, mocciosi del cazzo, che pensate di fare?
Vennero spinti nella stanza e Jaime notò Mizu e Theo in un angolo. Erano in biancheria e quattro persone li trattenevano, erano sconvolti e infuriati.
Caddero entrambi sul pavimento, Jaime era paralizzato dalla paura mentre suo fratello aveva preso a piangere silenziosamente.
-Li ho trovati qua davanti, che origliavano, Alain- spiegò una voce profonda dietro di lui.
-Gemelli, uh?
Alain ghignò, avvicinandosi a Jaime. Si chinò lentamente alla sua altezza, prendendogli il mento fra le dita e guardandolo.
Jaime si era come gelato sul posto.
-Con questi occhi vendereste bene come puttane.
A quelle parole Theo scattò, mollando un pugno e un calcio ai suoi aggressori.
-Non toccarlo, porco schifoso!
Alain, con calma glaciale, si limitò a dire –Arthur, finiscilo.
Il ragazzo in questione, vicino alla scrivania,  prese Theo per la cottola e, subito, questo prese fuoco.
-No!
L’urlo straziante di Mizu arrivò a Jaime come una lama nel cuore.
La morte di Theo Lemaire segnò la fine del periodo di felicità di Jaime.
Da quel momento, per i sopravvissuti Lemaire, iniziò l’inferno.
 
Jaime ricordava poche cose dei giorni seguenti alla fine dei Lemaire, come il fatto che fossero stati rinchiusi nella loro camera, le lacrime di Mizu e René che vomitava e nessuno puliva.
Non sapeva precisamente quanti giorni passarono prima che Alain si mostrò loro. Mizuki, con le poche forze che aveva, si parò davanti a loro come a proteggerli.
Il boss dei Moreau rise gutturalmente, cattivo.
-Tieni proprio a quelle troiette.
Alain si avvicinò e accarezzò il viso di Mizu con fare lascivo. Lo sentì tremare leggermente e reprimere un singhiozzo, lui, nel frattempo, stringeva la mano del fratello fortissimo.
-Anche tu non sei male- sussurrò Moreau con tono viscido, che a Jaime ricordava molto un serpente o un avvoltoio.
 
Ho paura
Ti proteggo io
 
-Tu sei Mizuki, giusto?- chiese, sempre con quella voce ambigua e raggelante. Il ragazzo in questione annuì, avrebbe voluto piangere, ma sapeva di dover proteggere i gemelli, ciò che rimaneva della sua famiglia.
-Ho un patto da proporti- disse nuovamente, mentre la sua mano si posava sulla bocca di Mizu e scendeva giù, lentamente, fino al fianco, ridacchiò malvagio nel sentirlo tremare.
-Io lascio stare i due mocciosi e tu, in cambio, mi fai dei favori.
L’altro capì subito cosa intendesse quando sentì una mano stringergli una natica.
Singhiozzò, la sola idea lo terrorizzava e disgustava. Doveva farlo con l’uomo che aveva ucciso il suo fidanzato.
Ma non poteva permettere che Jaime e René prendessero il suo posto.
-Non gli farai niente?- sussurrò con voce tremula.
-Non torcerò loro nemmeno un capello, hai la mia parola.
Mizuki prese un profondo respiro, cercando di calmarsi.
-Accetto.
 
Nei giorni seguenti fu permesso ai tre di uscire dalla stanza, ma non di andare fuori dall’appartamento. Scoprirono che il laboratorio era stato trasformato in una mini-palestra e che alcuni membri del clan Moreau si era trasferiti lì. Vennero a conoscenza anche del fatto  che tutti i membri subordinati al clan Lemaire erano stati uccisi; anche se avessero voluto scappare, non avevano nessun posto dove andare.
Jaime aveva preso a rintanarsi in camera, disegnando su un album che gli aveva regalato Roxanne per il compleanno. Non era ancora riuscito a piangere per la morte dei suoi amici e non ne capiva il motivo, era come se la tristezza fosse troppa anche solo per essere espressa.
Suo fratello, invece, piangeva ogni notte, appoggiandosi alla sua spalla  e sfogandosi. Sembrava così lontano dal René allegro, che sorrideva sempre, e a Jaime faceva male vederlo così.
Come quando sentiva delle orrende fitte al cuore nel vedere Mizuki tornare a notte tarda, con lividi sulle gambe e sul collo e un espressione assente e vuota, come se stesse cercando di estraniarsi dal mondo per cercare di dimenticare ciò che gli stava succedendo.
Jaime credeva che non potesse andare peggio di così.
Non sapeva quanto si sbagliava.
 
 
Accadde sei mesi dopo.
Mizuki era entrato in camera visibilmente preoccupato e con le lacrime agli occhi.
-Dovete andarvene!- aveva esclamato con urgenza, raccattando tutto ciò che gli capitava sotto mano per metterlo dentro uno zaino.
-Io posso distrarli per un po’, così voi potrete scappare. Dovete essere veloci.
I due gemelli si guardarono negli occhi confusi, capitava che Mizu avesse degli attacchi di panico e parlasse di fughe, ma non era parso mai così disperato. 
Non capivano cosa stesse succedendo.
La porta si spalancò di colpo e lo sguardo di Alain andò prima a Mizuki, poi alla zaino sul suo letto e infine ai gemelli.
-Che cazzo credevi di fare?- tuonò irato verso il giapponese, facendo sussultare René e Jaime.
Mizuki lo guardò negli occhi, era la prima volta che lo faceva e sembrava furioso.
-Mi avevi dato la tua parola!- lo accusò –Avevi detto che non li avresti fatto niente!
Alain non parve sorprendersi della sua reazione e lo prese per la cottola della maglia, ridacchiando.
-Le parole di non uomo non valgono niente in questo mondo- disse, per poi sussurrargli minaccioso –E una puttanella come te non dovrebbe rivolgersi così a un boss.
Senza neanche lasciargli il tempo di ribattere, sbatté la sua testa contro il muro. Mizu cadde a terra, svenuto, sotto gli sguardi attoniti dei due fratelli.
Alain non li guardò nemmeno e si rivolse a delle persone all’esterno.
-Sono qui dentro, datemi i soldi e prendeteveli.
L’ultimo suo ricordo furono due persone che lo afferravano e un pizzicore al braccio.
Poi il buio.
 
Si svegliò ore o giorni dopo, non lo sapeva di preciso.
La prima cosa che sentì fu l’odore di salsedine e ruggine. Aprì gli occhi e provò a muoversi, ma scoprì di avere braccia e gambe bloccate.
-Ren…- mormorò confuso, cercando la presenza del fratello.
Questo era accanto a lui, seduto contro la parete d’acciaio, lo sguardo fisso su di lui.
-Ti sei svegliato- disse semplicemente, sembrava esausto.
-Sai dove siamo?- domandò Jaime, cercando di sollevarsi e sedersi accanto a lui, per poggiare la testa sulla sua spalla. Si rese conto che si trovavano in una piccola cella, con un oblò sulla parete accanto a loro e una porta d’acciaio chiusa davanti a sé.
-Su una nave, credo. Ho tanta paura, Jay.
Il ragazzino sospirò, per poi dargli un bacio sulla spalla, come a consolarlo.
-Anch’io, Ren.
 
Dopo qualche ora la porta si aprì, rivelando due persone con addosso delle tute bianche che, senza dire nulla, iniettarono loro un'altra sostanza che li fece riaddormentare.
Jaime, quella seconda volta, si svegliò in una stanza completamente bianca. Aveva le braccia e le gambe libere e notò che indossava un maglia e pantaloni grigi.
Sentì un gemito accanto a lui e vide René aprire gli occhi e guardarsi attorno confuso, anche lui aveva i suoi stessi abiti.
-Questo posto mette i brividi- mormorò, prendendo la mano del fratello e stringendola forte.
Ora erano soli in un mondo totalmente sconosciuto.
Jaime cercò di sorridergli, ma era talmente spaventato da quella situazione che riuscì a fare solo una smorfia.
Mosse velocemente il pollice contro il dorso della sua mano.
 
Non ti preoccupare, ti proteggerò io
Promesso?
Promesso.
 
René  sorrise appena, mentre sentivano delle voci fuori dalla stanza. La stretta sulla sua mano si rafforzò.
 
Che succede?
 
Jaime non fece in tempo a rispondere che una porta si aprì, rivelando due uomini con addosso un camice bianco. Uno era alto, con i capelli bitorzoluti e gli occhiali, l’altro invece era più basso e tarchiato, con i capelli quasi rasati. Entrambi sorridevano, ma senza coinvolgere gli occhi. Sembravano terribilmente finti, mettevano i brividi.
L’uomo più alto parlò, aveva una voce controllata e seria.
-Benvenuti nel progetto Gemini, ragazzi.
 
Il progetto Gemini consisteva nell’osservare i comportamenti dei gemelli e le loro abilità, per poi potenziarle. La finalità era, però, a loro sconosciuta.
Capirono subito di non potersi rifiutare, notando che i due avevano delle pistole nella cinta; così, arrendevoli, Jaime e René si lasciarono portare in un enorme stanza, sempre bianca, che assomigliava a una classe, con tanto di banchi e sedie,  cattedra e lavagna elettronica appesa a una parete.
Nella stanza vi erano altri ragazzi, tutti gemelli, di svariate età, che andavano dagli otto ai quattordici anni circa. Ogni coppia era vestita di colori diversi, ma anche i più accessi parevano spenti, quel posto metteva addosso una tristezza infinita.
Un uomo con i capelli rossi e lo sguardo glaciale si mise davanti alla cattedra, in mano teneva un plico di fogli.
-Io sono il dottor Jenkins- si presentò, parlando in inglese[5]  -Voi siete stati scelti per prendere parte al Progetto Gemini. Negli ultimi decenni i gemelli hanno mostrato particolari abilità fisiche e psichiche verso il proprio fratello. Spesso queste abilità rimangono sopite per tutta la vita, ma grazie a questo progetto riusciremo a farle venire fuori e, con accurati studi, a potenziarle.
Un bambino dai capelli biondi in seconda fila parlò –E se io e mio fratello non fossimo interessati?
Jenkins sorrise e tirò fuori da una tasca del camice bianco una pistola, puntandola contro il ragazzino sotto le urla e lo sconcerto di tutti.
-I soggetti ribelli verranno eliminati.
L’uomo ripose la pistola nella tasca.
-Questo è il mio primo e ultimo avvertimento, spero che sarete tutti collaborativi.
Come se niente fosse successo, diede i fogli al suo collega con i capelli rasati, che prese a distribuirli a tutti.
-Ora vi distribuiremo un test con domande che spaziano tutti i campi. Avete un’ora per completarlo.
Quando arrivarono anche a loro, Jaime notò che erano scritti in francese, probabilmente per facilitare loro la comprensione. Ciò che, però, lo spaventò fu la dicitura in un angolo.
 
Soggetto: AJ19
Gemello: BR19
Provenienza: Parigi, Francia
Status sociale:ex-membro di clan
Prova: N°1 (calcolatore QI e potenzialità)

 
Guardò René negli occhi e vi lesse una tremenda paura e confusione, come si sentiva lui.
Non avevano ancora capito che erano finiti all’inferno.
 
Dopo un paio di mesi fu chiaro che qualcosa in quel posto non andava.
Dalle originarie cinquanta coppie, erano rimasti in una trentina. Ogni tanto qualcuno spariva, ma nessuno dei dottori sembrava curarsene.
Inoltre le Prove non consistevano più in semplici test, ma avevano cominciato ad iniettare loro strane sostanza che li facevano vomitare, stancare o provocare fitte terribili alla testa.
Le regole erano dure e imparziali: i Soggetti, così venivano chiamati, potevano uscire dalle loro stanze solo per partecipare alle prove e andare in bagno, sempre vigorosamente accompagnati da qualcuno. I pasti venivano serviti tre volte al giorno dai dottori e consumati all’interno delle proprie stanze.
-Siamo cavie in un laboratorio di pazzi- gli aveva detto René un giorno, con tono triste, mentre fissava il soffitto bianco della loro cella.
-Lo so- aveva risposto lui, sdraiato accanto al fratello.
Le loro mani si intrecciarono.
-Ma resisteremo, finché siamo insieme.
 
Dopo la duecentoquindicesima Prova erano rimasti in una ventina.
Era chiaro che i Soggetti scomparsi venivano eliminati dagli stessi dottori poiché non superavano le Prove.
La paura era diventata una loro costante compagna e la morte aleggiava sulle loro teste come un angelo custode.
Fu dopo la duecentotrentesima Prova che qualcosa cambiò in peggio. Invece di essere portati nell’aula di test o nella stanza delle iniezioni, furono condotti in una grande camera, al centro della quale vi erano due lettini e un sacco di macchinari che emettevano rumori fastidiosi.
Beep
Beep
Beep
 
Secondo te cosa ci faranno?
 
Jaime rafforzò la stretta sulla mano del gemello, come se avesse paura che scomparisse da un momento all’altro.
 
Niente di buono.
 
-Dottor Lewis, proceda col preparare i Soggetti. AJ19 sul simulatore di destra e BR19 a sinistra. Diamo inizio alla Prova Schemi.
La voce del dottor Jenkins era, come sempre, neutrale, tanto da assomigliare a quella di robot senza emozioni. I gemelli ne erano sempre spaventati.
-Inietto l’anestetico?
Jenkins rifletté per qualche istante.
-No, i Soggetti devono avere il pieno delle loro capacità facoltative.
 
 
La Prova Schemi era la più lunga e, da quel che aveva capito, la più importante del Progetto, dato che non andavano più a fare le altre Prove.
Inoltre venivano monitorati ventiquattro ore su ventiquattro, nelle orecchie il costante suono delle macchine.
Vi erano vari tipi di Schemi ed erano uno più doloroso e terrificante dell’altro. René non riusciva ancora a capirne le dinamiche, ma sembrava che, a seconda del simulatore in cui veniva posti, cambiava la prospettiva dello Schema.
Si accorse, però, che qualcosa era cambiato nella mente propria e del gemello. Riuscivano a comunicare telepaticamente, a spostare oggetti piccoli e a creare dei minuscoli campi di forza.
-Ci stiamo trasformando in Skills- rifletté un giorno o una notte, in quel luogo non esisteva il tempo, ma solo i momenti delle Prove e quelli di riposo.
-Forse è quello che vogliono fare- ribatté Jaime, gli occhi chiusi e il tono lieve. Ogni volta che venivano sottoposti agli Schemi, suo fratello era sempre più stanco e i suoi sogni erano popolati da continui incubi.
René pensò a quello che aveva detto Jay. Era una cosa assurda, l’origine dei poteri straordinari degli Skills era sconosciuta, non ci si può trasformare in qualcosa che non si conosce.
Era una pazzia.
Poi si disse che anche rinchiudere una cinquantina di coppie di gemelli ancora bambini era una totale follia, e forse Jaime aveva ragione.
-Gli uomini sono davvero stupidi, vogliono replicare ciò che la natura ha donato ad altri.
 
Gli Schemi Visioni si rivelarono come l’inferno per Jaime.
Anche se i dottori dicevano che rispondevano bene alle simulazioni, il ragazzo era continuamente tormentato da incubi.
Sognava catastrofi passate, omicidi, complotti, tutto il male del mondo passato e futuro si mostrava a lui quando dormiva. E se lui era esausto, i dottori ne erano entusiasti.
-In così poco tempo sei riuscito a vedere sia il passato che il futuro! È un risultato straordinario, AJ19!- esclamavano dopo le simulazioni, senza curarsi delle sue lacrime o dell’orrendo mal di testa che lo tormentava.
Continuavano a monitorarlo e quell’incessante “beep” rischiava di farlo impazzire.
In più René stava ogni giorno peggio, era stanco e pallidissimo, quando non erano sottoposti agli Schemi, dormiva, senza riuscire a riposarsi veramente.
Ma lui continuava a tenergli stretta la mano, come a dargli forza. Sarebbero sopravissuti insieme, il loro legame non sarebbe svanito tanto facilmente.
 
E se Jaime pensava che non potesse andare peggio di così, si dovette presto ricredere.
René non ce l’aveva fatta ed era morto dopo il quindicesimo Schema Visione.
Non ricordava quasi niente di quel giorno, solo il corpo immobile del fratello sul simulatore e i suoi occhi blu socchiusi, che, privi di luce, fissavano il vuoto.
All’inizio non voleva crederci e aveva preso a chiamarlo, urlando e piangendo, fino a quando i dottori non l’avevano tirato via dal suo corpo.
-Non toccatemi, luridi bastardi! Voi l’avete ucciso, è colpa vostra se non ce l’ha fatta!- aveva cominciato ad urlare, infischiandosene delle conseguenze.
Non importava più nulla, René, suo fratello, la sua famiglia, il suo appoggio, era morto. Non avrebbe più visto il suo sorriso o i suoi occhi blu come l’oceano che racchiudevano una formidabile intelligenza e una voglia di scoprire sempre nuova.
Non era riuscito a proteggerlo, a rimanergli accanto come aveva promesso.
René era morto e lui era ancora vivo.
Perché?
Quella domanda lo assillerà per tutta la vita.
Perché non lui? Perché non entrambi?
Jaime non si sarebbe mai perdonato per essergli sopravvissuto.
 
Probabilmente l’avevano sedato ad un certo punto, perché non ricordava di essersi addormentato. Sentiva delle voci in lontananza.
-Dottor Jenkins, il Progetto Gemini è fallito. Ne è sopravvissuto solo uno.
-Lo so, Lewis. È davvero un peccato, BR19 aveva enormi potenzialità.
-Che ne facciamo di AJ19?
Un sospiro.
-Senza il gemello, la sua psiche non reggerebbe altri Schemi. È diventato inutile, lo venderemo a qualche bordello della Slam City, ha degli occhi che sembrano artificiali, sicuramente qualcuno lo vorrà.
 
E così fu, nel giro di due giorni Jaime fu venduto a Demetrius Huber per una somma esorbitante.
-Da oggi tu sei mio, lavorerai come puttana per me fino a quando non riuscirai a ripagare il prezzo con cui ti ho comprato.
E con quelle parole, Jaime iniziò la sua vita al Rugiada.
 
 
 
Epilogo
De lotte et d’amour.


 
Tajo osservava il soffitto della propria camera, mentre Jaime dormiva accanto a lui con la testa sulla sua spalla. Dopo avergli raccontato la sua storia era scoppiato a piangere, in preda ai ricordi più dolorosi, e lui lo aveva abbracciato forte, consolandolo fino a quando non si era addormentato.
Quel ragazzo aveva sofferto così tanto, più di quanto avrebbe mai immaginato. Il suo passato avrebbe continuato a tormentarlo, dato che quelle abilità nate dalla peggiore ambizione umana continuavano a evolversi anche senza macchinari terribili, come a ricordargli che lui era sopravvissuto e suo fratello no.
Gli accarezzò piano i capelli scuri, per poi sfiorare con le dita la guancia e il collo roseo. Era bellissimo, anche se si portava dentro un macigno incredibile, una tristezza che lo stava trascinando in un vortice pieno d’oscurità.
Avrebbe tanto voluto afferrarlo e riportarlo alla luce, ma non sapeva come fare. Non capiva nemmeno che rapporto avevano, soprattutto dopo che Jaime si era confidato a quel modo con lui.
Erano amici o più che amici? Soprattutto, lui voleva avere quel genere di relazione con Jaime?
Sì.
La risposta gli arrivò all’improvviso dal profondo del cuore, bellissima e spaventosa.
Era innamorato di Jaime.
Con quella nuova consapevolezza, si girò su un fianco, abbracciando l’altro stretto, come se  potesse scomparire in un qualsiasi momento.
Gli diede un bacio leggero sulla fronte e vegliò su di lui fino a sera.
 
Jaime era tornato dall’appartamento di Tajo due ore prima dell’orario di apertura del locale, ancora stordito da ciò che aveva raccontato. Era da anni che quella storia rimaneva nascosta nei meandri del suo animo, sotto strati di finta indifferenza e recite continue.
Tajo, con il suo sorriso da sognatore e quella vitalità così simile a quella di un René ancora innocente e spensierato, aveva frantumato la maschera di Ocèan e si era prepotentemente insinuato nel suo cuore.
Non ne era innamorato, persone come lui non potevano permettersi un simile lusso, ma il legame che aveva instaurato con lui, lo faceva sentire sicuro.
E poi, da quando gli aveva raccontato la sua storia, si sentiva un po’ più leggero, come se il grosso masso che si portava sulla spalle da quando era morto René si fosse un po’ sbriciolato.
-Il capo ti vuole vedere nel suo ufficio- la voce di Micheal interruppe i suoi pensieri. Era nella sua stanza a prepararsi per il turno serale e quella notizia lo colse all’improvviso. Huber chiamava una prostituta nel suo ufficio solo se aveva risarcito il suo debito, aveva bisogno di sfogarsi o se tale persona si trovava nei guai.
-Non ti ha detto il perché?- domandò, mentre si dirigeva fuori dalla stanza, seguito da Micheal.
-No, ma non sembrava di buon umore, spero che tu non abbia combinato niente di male.
 
L’ufficio di Huber era al piano terra, dopo un lungo corridoio, a cui si poteva accedere dal bar, e metteva in soggezione la maggior parte delle persone che vi entravano.
Era sempre in penombra, grazie anche ai tendaggi cremisi che coprivano l’ampia finestra, conferendo alla stanza un’atmosfera dark.
Non vi era molto al suo interno: un piccolo mobile in legno scuro,  alcuni scaffali pieni di alcolici e la scrivania in fondo alla stanza, dove, su una poltrona scura, stava sempre seduto Demetrius.
Sembrava quasi un vampiro, con quella pelle pallida, i capelli rosso sangue e uno sguardo glaciale, come la freddezza che avvolgeva il suo cuore.
Jaime aveva sempre avuto una grande soggezione di lui, fin dal primo momento in cui lo aveva visto.
-Voleva vedermi, capo?- sussurrò Jaime, entrando nella stanza.
Vide Huber annuire, per poi invitarlo ad avvicinarsi.
-Ho notato che ultimamente passi molto tempo con quel ragazzo del clan Campbell, Iglesias- disse semplicemente. Jaime sapeva in che modo ne era venuto a conoscenza: a ogni prostituta del Rugiada era stato iniettato un micro-chip nel braccio, in modo che il loro padrone potesse localizzarle in ogni momento, per questo, quando non lavoravano, le lasciava andare in giro per la megalopoli, anche se fossero fuggite, lui le avrebbe trovate in poco tempo.
Questo micro-chip, ovviamente, veniva tolto solamente se una prostituta aveva esaurito il suo debito e, quindi, era libera di andarsene.
-È solo un cliente con cui è piacevole scambiare qualche chiacchiera- mentì minimizzando.
Huber sospirò, probabilmente non gli credeva, ma non sembrava arrabbiato o quant’altro.
-Non mi interessa quello che fai con Iglesias fuori dall’orario lavorativo, ma ciò non deve intralciare la tue efficienza e qualità qui.
-Non ne sono innamorato, se è questo che intende.
E per qualche motivo, a Jaime fece uno strano effetto dire quelle parole, come se non le pensasse veramente, anche se non era così. Era ben consapevole del fatto di non potersi innamorare, non avrebbe giovato al suo lavoro.
Demetrius annuì meccanico, fissandolo serio negli occhi
-Sono felice di sentire ciò, l’amore non porta altro che dolore e sofferenze in questo mondo. Volevo solo essere sicuro che avessi i piedi per terra. Ora puoi andare.
Jaime, dopo aver ringraziato, fece per andarsene, ma la sua voce lo bloccò.
-Ah, mi stavo scordando di avvertirti che Cooper ti ha prenotato per tutta la notte. Vedi di soddisfarlo.
 
Mentre Jaime era stato convocato nell’ufficio del suo capo, Gordon, a Palazzo Campbell, aveva indetto una riunione con tutti i membri più importanti del clan.
Erano presenti i suoi tre figli, i suoi due fratelli, i coniugi Sokolov, un Nikolaj stranamente sobrio e la famiglia Iglesias.
Erano tutti seduti a un lungo tavolo, a cui capo c’era il boss del clan.
-Vi ho convocati qui oggi, per rendervi partecipe di un fatto molto importante per il futuro del nostro clan. Clark Murray, capo dell’omonimo clan, mi ha contatto per fare un trattato di pace.
Subito suoni d’assenso e non si diffusero per tutta la sala e Gordon fu costretto a riportare la calma battendo il pugno sul tavolo.
-Ho già preso una decisione in proposito- continuò con tono che non ammetteva repliche – questa guerra fra clan dura da troppo tempo e ha già causato molte perdite. È ora di mettere la parola fine a questa situazione. Ovviamente, a questo trattato, in zona neutrale, non ci andrò da solo. Ora elencherò le persone che vorrei venissero con me, potete anche rifiutare se non siete d’accordo, ma confido nel fatto che la pensiate come me.
Ci fu qualche istante di silenzio, in cui nessuno fiatò, poi la voce roca del boss scandì i nomi
-Boris e Alan Campbell; Daniel Campbell; Andrey Sokolov; Nikolaj Polanski e Tajo Iglesias. L’incontro è fissato fra tre giorni, alle nove e venticinque di mattina al bar Efestus. Avete tempo fino ad allora per valutare la mia offerta.
E con quest’ultime parole, li congedò.
 
Un gruppo di persone che entra in una stanza.
Un’enorme vetrata occupa un’ intera parete.
-Dove diamine è il Clan Murray? Dovevano essere qui minuti fa’.
Conosce quella voce profonda, appartiene a Gordon Campbell.
 -Papà, fosse è il caso di andar—
Una pioggia di proiettili rompe il vetro e si conficca nei corpi di quelle persone.
Ne riconosce alcune, come Nikolaj e Tajo.
I loro corpi sono riversi a terra, un odore di sangue penetra nell’aria in quella stanza che si è trasformata in un cimitero.
Jaime si svegliò all’improvviso, fuori è già mattina. Si sollevò piano a sedere, lentamente, guardandosi intorno; non era una camera dai vetri infranti piena di cadaveri, ma nella sua stanza al Rugiada. Non c’era odore di sangue, ma solo della muffa che si stava formando sul soffitto.
Ci mise poco a capire che ha avuto un’altra Visione, ultimamente stavano diventando frequenti.
Senza pensarci troppo, afferrò il cellulare e compose il numero di Tajo con i battiti del cuore accelerati.
Rispondi, ti prego, rispondi.
- Pronto, Jaime? Sono le otto di mattina, cos’è successo?
Il ragazzo non fece caso alla voce assonnata dell’altro e decise di andare subito al sodo.
-Il Clan Campbell deve incontrarsi con i Murray?
Forse aveva parlato troppo veloce perché Tajo, ancora mezzo addormentato, ci mise qualche secondo a rispondere.
-Come fai a saperlo, hai avuto una Visione?- domandò allarmato, da quello che aveva capito le Visioni non portavano mai belle notizie.
-Sì- mormorò con voce flebile.
-E com’era?
-Orrenda.
Jaime stava stringendo il cellulare convulsamente e si preoccupò quando l’altro non rispose. Che si fosse addormentato?
La voce di Tajo, però, si fece sentire subito dopo quel pensiero.
-Incontriamoci al Meteor fra quaranta minuti, così mi spieghi meglio.
 
 
Jaime sapeva che non avrebbe dovuto raccontare il futuro a qualcuno, era consapevole del fatto che non doveva giocare con il destino, ma non ce l’aveva fatta a tenere quel segreto terribile per sé, non quando una delle persone a cui teneva di più era coinvolta.
Non avrebbe fatto lo stesso sbaglio che aveva fatto con Yana.
Per questo, una volta giunto al locale, Jaime cominciò a raccontare dettagliatamente ciò che aveva visto , facendo delle pause prima di descrivere gli aspetti più macabri. Tajo ascoltò attentamente, cercando di non far vedere quanto fosse spaventato da quella prospettiva.
-Quindi i Murray ci tenderanno una trappola, fanno finta di volere una resa quando in realtà vogliono eliminarci- concluse infine l’ispanico.
Anche se non voleva darlo a vedere, Jaime aveva capito che l’altro era molto preoccupato.
-Che pensi di fare?
-Dovremmo parlare con Gordon, è lui il boss e saprà di certo cosa fare.
Jaime gli lanciò un’occhiata scettica.
-Perché l’uso del noi?
Tajo sorrise furbo, puntando gli occhi verdi nei suoi blu.
-Perché, anche se lui riesce a capire quando una persona mente, faticherà a credere a delle visioni. Magari se ci sei anche tu riusciamo a convincerlo.
 
In realtà convincere Gordon fu più facile del previsto. Anche se inizialmente risultò scettico, dopo aver sentito la storia di Jaime, che omise tutti i dettagli su René e si limitò a spiegare i fatti più essenziali, si dovette ricredere.
Non era la prima volta che sentiva di scienziati che volevano ricreare artificialmente i poteri Skills (come se fosse una cosa possibile, poi!), così prese le dovute precauzioni: indisse una riunione con i suoi accompagnatori e consegnò loro delle nuove armi, le stesse per cui Tajo aveva rischiato la vita mesi prima.
-Queste- spiegò, mostrando quelle che apparentemente sembravano armi da fuoco –contengono una nuova sostanza, la MB202, che riesce a fermare i poteri Skills per qualche minuti, giusto il tempo di ammazzarli senza rischiare di venire bruciati o fulminati, per capirci. Si adoperano come delle normali pistole, per cui non serve un particolare allenamento per saperle utilizzare.
Infine collaudò un piano contro i Murray, avevano l’effetto sorpresa dalla loro parte e, se tutto fosse andato come previsto, avrebbero messo fine a quella guerra fra clan uscendone vittoriosi.
 
La notte prima dell’incontro col clan Murray, Tajo prenotò Océan. Gordon non gli aveva fatto nessuna illusione: era diventata una missione pericolosa, quella che dovevano affrontare, e non era garantita la salvezza di nessuno.
Così aveva preso un’importante decisione: avrebbe confessato i propri sentimenti a Jaime. Se doveva morire, voleva farlo senza avere conti in sospeso.
Appena entrò nella sua camera, vide il ragazzo seduto sul letto. Aveva addosso una canottiera attillata nera e dei pantaloni a vita bassa dello stesso colore. Quando posò gli occhi blu su di lui, sorrise.
Jaime era estremamente bello e sexy così, altroché Océan e i suoi ombretti glitterati  e abiti succinti. Una bellezza naturale come lui non aveva bisogno di quelle porcherie.
-Che ci fai qui? Non dovresti prepararti per domani?- domandò il francese e, anche se il tono usato suonava un po’ come un rimprovero, Tajo sapeva che l’altro era felice di vederlo.
-Voglio passare quest’ultima notte con te, e poi…- prese un profondo respiro, doveva farlo, dirgli ciò che provava per lui –dovevo dirti una cosa.
Jaime lo guardò confuso e sorpreso, piegando la testa di lato, in un muto invito a continuare.
L’ispanico si irrigidì per qualche istante, per poi prendere le mani dell’altro fra le sue e tirarlo verso di sé, in modo che i loro corpi fossero più vicini.
-Io non sono molto bravo in questi discorsi- iniziò, parlando a voce bassa, cercando di calmarsi e di scegliere attentamente le parole da dire.
–La prima volta che venni qui al Rugiada volevo solo scopare, avevo bisogno di una valvola di sfogo in cui scaricare lo stress, non avrei mai immaginato di conoscere una persona con una così forte personalità e una sensibilità quasi introvabile in un posto come questo. Quello che voglio dire è…- prese un altro respiro, per poi buttare fuori l’aria e mormorare –credo di essere innamorato di te, Jaime.
Tajo si aspettava varie reazione da parte dell’altro ragazzo a quella confessione, da urla e spintoni a un odioso silenzio, ma non si sarebbe mai aspettato di vederlo piangere. Perché era proprio una lacrima quella che gli rigava il viso.
-Perché stai piangendo?- chiese a bassa voce, accarezzando con la punta delle dita la guancia dell’altro e pulendolo da quella lacrima dispettosa.
-Io non posso amarti, Tajo…- sussurrò. Jaime stava provando tante di quelle emozioni in quel momento: rabbia, confusione e felicità. Era da anni che non si sentiva così felice, come se il suo cuore rotto dalle mille perdite che aveva subito, fosse stato messo a nuovo.
E non riusciva a capirne il motivo.
O forse sì, ma non voleva ammetterlo.
-Non puoi decidere se amare o meno.
Jaime strusciò il viso contro la mano dell’altro, sorridendo triste, mentre altre lacrime calde scendevano sul suo volto
-Il mio lavoro rovinerebbe tutto.
Tajo gli sorrise, mentre la mano si spostava sulla nuca, accarezzandogli piano i capelli.
-Ti amerei anche se fossi un clown. Non mi importa del tuo lavoro, ci convivrò.
Jaime ridacchiò a quel paragone e strinse fra le mani il tessuto arancione della maglietta dell’altro.
-Ho paura.
-Di cosa?
-Di amarti. Tutte le persone che amavo sono morte, Tajo. E tu domani prenderai parte a una missione pericolosa.
L’ispanico lo guardò negli occhi, verde smeraldo in blu elettrico, prima di prendergli il viso fra le mani e poggiare la bocca sulla sua.
Fu un bacio lento e passionale, Tajo leccò le labbra dell’altro come in una cordiale carezza, prima di separarsi e sussurrare –Tornerò solo per saggiare di nuovo queste labbra, te lo prometto.
Stavolta fu Jaime a baciare l’altro, mentre gli accarezzava i capelli rossicci, col passare del tempo erano diventati più lunghi e gli sfioravano la nuca. Il bacio si fece più spinto e Tajo fece scendere le mani fino alle natiche dell’altro, infilando le dita delle tasche posteriori in modo da avvicinarlo al suo corpo ancora di più, facendo aderire i bacini.
Quella notte Jaime fece l’amore, senza trucchi o finzioni, ma solamente con sospiri sinceri e baci roventi. Le mani di Tajo accarezzavano il suo corpo, venerandolo quasi, e lui, per la prima volta in tutta la sua vita, non se ne sentì disgustato.
Fu diverso, quella volta, forse perché era con la persona che amava, quasi non ci credeva, dopo così tanto tempo passato a erigere un muro attorno al suo cuore spezzato dalla crudeltà umana, era bastata una sola persona per abbatterlo.
E Jaime non poteva esserne più felice.
 
Ciò che successe dopo nessuno lo saprà mai con certezza.
L’unica cosa certa è che il clan Campbell annientò i Murray. Della sorte del ragazzo sognatore e della puttana dagli occhi color del mare si dissero molte cose, nei bar affollati della Slam City.
C’è chi dice che Gordon, per ringraziare Jaime di aver salvato il suo clan, pagò il suo debito con Huber e diede il permesso a Tajo di lasciare il clan, perché in fondo sapeva non era lì la sua felicità. I due, così, furono liberi di partire e andarsene.
Altri sostengono che quegli sfortunati amanti scapparono, una notte, di nascosto e che passarono il resto della loro vita a viaggiare fra le città, come due vagabondi innamorati.
Nella Slam City non si sa cosa sia vero o cosa sia falso, ma di certo, da qualche parte nel mondo, un ragazzo dagli occhi color dell’oceano continua ad amare un sognatore ispanico.




Note:

[2] Nominazione per i quartieri di Parigi.
[3] “Gemelli” in francese.
[4] “Ovviamente” in francese.
[5] Ricordo che i gemelli hanno preso lezioni di lingue, quindi  capiscono e parlano l’inglese decentemente.

 
 



 
  
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