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Autore: akaweirdowriter    06/09/2015    1 recensioni
"Non la sopportava troppo, la tecnologia. Eppure, paradossalmente, l'Universo aveva deciso che lei sarebbe dovuta nascere nel ventiduesimo secolo, tempo di modernità, avanzamento e altre parole che Cass avrebbe potuto ripetere a macchinetta per quante volte se l'era sentito dire. "
Un breve testo fantascientifico nel quale, tra il tragitto da casa a scuola, ascolteremo i pensieri di Cassandra, una ragazza che continua a domandarsi sulla tecnologia, sulla sua generazione e su quelle passate.
Genere: Fantasy, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Gente del ventiduesimo secolo che parla di gente nel ventiduesimo secolo.

Bip,bip,bip. Bip,bip,bip.
"Dannazione" pensò, "siamo nel ventiduesimo secolo e ancora non si sono decisi a creare una sveglia decente".
Il motivo fastidioso continuava a ronzarle nelle orecchie finchè, finalmente, si decise a porre fine a quel tormento.
Diede un leggero colpo a quella che apparentemente sarebbe potuta sembrare una lastra di vetro. Sarebbe potuta sembrare ciò se non vivessi nel secolo in cui anche una penna poteva trasformarsi in una forchetta, un cucchiaio, un coltello o un pelapatate. Lei ne aveva ben tre di utensili del genere e si chiedeva pure il perchè.
Al tocco della ragazza, un fascio di luce emerse dalla lastra e, seppur debole, a Cassandra parve abbagliante il bagliore che emetteva nella sua buia camera dalle finestre chiuse. All'interno della proiezione, uno schermo continuava a girare e non si sarebbe fermato finchè, nuovamente, sarebbe stato toccato.
A Cassandra non piaceva la mattina. Amava il giorno, si, ma solo nel periodo in cui il sole era già alto in cielo. Non provava tanto affetto nemmeno per la sera che, per quanto le riguardava, era semplicemente un intermediario tra i diversi pomeriggi della sua vita.
A malincuore, Cass mosse velocemente la mano nella direzione del fascio di luce sperando, in qualche modo, di riuscire a fermare quella dannata sveglia.
Quando il rumore cessò, quasi si propose di rimanere comunque a letto. Ma sapeva che sarebbe stata solo una perdita di tempo. Si sarebbe dovuta alzare prima o poi.
Ancora sdraiata, portò un braccio fuori dalle coperte, lo stesso che avete utilizzato per zittire la sveglia, e  cercò qualcosa nel bordo dell'ampio letto su cui si trovava. Dei tasti.
I primi giorni dopo l'arrivo del nuovo letto si era limitata a premerne qualcuno a caso scoprendo quali magie rivelassero, ma, col tempo, riuscì a memorizzare lo scopo ed il luogo di ogni tasto. Il secondo da destra era forse l'unico che utilizzava davvero. E forse, se avesse controllato meglio, avrebbe scoperto che era l'unico dall'aria consumata, mentre gli altri avevano ancora un bell'aspetto, quasi nuovo. Ciò che faceva questo tasto non era poi chissà quale grande cosa. In pochi minuti,da sotto il letto, apparvero due belle pantofole, di un colore azzurro, poste nell'esatto punto in cui Cassandra avrebbe lasciato cadere i piedi. Quella era l'unica comodità di cui aveva bisogno.
Non la sopportava troppo, la tecnologia. Eppure, paradossalmente, l'Universo aveva deciso che lei sarebbe dovuta nascere nel ventiduesimo secolo, tempo di modernità, avanzamento e altre parole che Cass avrebbe potuto ripetere a macchinetta per quante volte se l'era sentito dire. E, paradossalmente, la sua famiglia era attratta da qualsiasi nuovo aggeggio la società gli mettesse davanti. L'utilità di questo, poi, passava in secondo piano. L'importante era possederlo e far vedere di essere ingrado di riuscire a maneggiarlo. Aveva letto, da qualche parte, che una volta non erano molti i genitori che si interessavano o si intendevano di certe tecnologie, e Cass continuamente si chiedeva com'era possibile dato che, a quanto pare, i suoi di genitori sembravano riuscire ad utilizzare ogni nuovo attrezzo dopo avergli dato anche solo una semplice occhiata. Stessa cosa valeva, ovviamente, sia per lei che per sua sorella , che erano state abituate sin da piccole a capire i meccanismi di tutto ciò che gli venivano presentato. Perchè, ormai, questo è quello che facevano i giovani. A loro veniva fatto studiare la tecnologia già dalle elementari. Si allenavano per poter diventare un giorno dei grandi inventori, poter creare qualcosa di unico per rendere fieri i genitori e dare onore al nome di famiglia.
La ragazza attraversò la stanza, ancora al buio, aprì la porta e si diresse verso la cucina. Il bianco della stanza era talmente abbagliante che dovette chiudere gli occhi ed aprirli lentamente prima di potersi ben abituare. Le pareti, fino al giorno prima di uno scuro arancione e ricche di scaffali in legno, ora erano interamente bianche, colore che a volte veniva intervallato dal blu delle mensolette sparse. I mobili, fortunatamente rimasti gli stessi, avevano cambiato posizione.
Era una cosa che sua madre adorava. Poter cambiare tutto con pochi gesti. A volte modificava la cucina, altre volte la casa intera. E Cass doveva costantemente abituarsi alle decorazioni orientali, a quelle minimal, a quelle rustiche e a tutte quelle che passavano in mente a sua madre.
Ora lei era seduta al tavolo che sorseggiava del caffè  e leggeva qualcosa sul tavolo. Cass non riuscì a vedere cosa stava scrutandola donna con tanto interesse finchè non le si avvicinò. Non stava leggendo qualcosa sul tavolo, stava leggendo il tavolo. Quella che probabilmente era la prima pagina di un giornale era come stata incollata al piano e  le parole erano talmente nitide che Cassandra si chiese se non fosse stata la madre a prendere un foglio, scrivere un paio di cose e attaccarlo al tavolo con nonchalancè. Non sarebbe sembrato poi tanto strano per lei.
-Buongiorno Cass! Come và? Stai bene?- Chiese la madre radiosa.
Cass odiava parlare appena sveglia. Solitamente si limitava a mugugnare qualcosa mentre la madre continuava a farle domande o a parlarle di notizie a cui Cass non importava proprio niente. A volte non rispondeva proprio.
Sapendo di non avere molto tempo per preparsi, la ragazza prese velocemente una tazza di latte, freddo, rivolgendo ogni tanto un sorriso alla madre. Dopodicchè si andò a lavare e vestire.
Tornata nella sua camera, prese il suo zaino. Ma cosa c'era da mettere dentro? Il tablet, il laptop e poi? Non c'era nient'altro di cui aver bisogno, se non qualcosa da mangiare. Di questo Cass era grata. Sapeva che nei tempi precedenti si utilizzavano libri cartacei per ogni materia, da dover portare sulle spalle ogni giorno. La leggerezza del suo zainetto le faceva apprezzare un po' quella tecnologia che la circondava.
Salutò tutti, uscì di casa e iniziò a camminare. In realtà, di tempo per arrivare a scuola ne aveva ancora molto. Si sarebbe potuta svegliare più tardi, prendere la metro, la linea rapida, o qualsiasi altro mezzo che ci avrebbe messo sicuramente pochi minuti per arrivare dove lei voleva. La verità era che a Cass piaceva camminare, piaceva poter stare a pensare tranquillamente e piaceva poter stare all'aria aperta. Questa non era più inquinata grazie a quegli aggeggi posti nei tetti delle case, che riuscivano a renderen l'aria pulita e, perciò, respirabile.
Cass passeggiava e guardava la gente per strada. Quasi tutti erano in macchina o nei mezzi pubblici, ma c'era ancora chi andava a piedi, forse per comodità o per andare di fretta.
Erano tutte uguali. Le persone, tutte uguali. Era ormai da un po' di tempo che si era diffusa questa moda. I colori dell'età nuova erano il bianco, essenziale e fondamentale, il viola e l'azzurro, entrambe, ovviamente, nelle tonalità più chiare, oppure pastello; qualche volta pure il nero. E così tutte le donne indossavano quei capelli corti e bianchi, non andavano mai oltre il sotto-spalla, la maggior parte delle volte dei caschetti. Certe volte c'era chi l'aveva di un viola tanto chiaro da sembrare solo bianco sporco. Spesso Cass si chiedeva se erano delle parrucche o semplicemente si facevano tingere le ciocche. Gli uomini, invece, andavano in giro con un taglio corto ma nero; le punte dei capelli erano quasi sempre azzurre. I vestiti, squadrati, erano degli stessi colori. Giacche, pantaloni, magliette, gonne, abiti. Tutto era una forma geometrica. Tutto era dello stesso colore abbagliante. La pelle era bianca e apparentemente delicata. Come facevano? Cipria? Gli occhi, poi, erano quasi sempre falsi. Si nascondevano dietro lenti colorate. Qualsiasi colore, qualsiasi forma.
La ragazza delle volte si trovava inadeguata con le gonne morbide e i capelli lunghi. E' vero, lei li aveva neri, con qualche ciocca di viola, perchè, si, le piacevano davvero tanto. Ma aveva deciso di lasciarli liberi, lunghi, selvaggi. Gli abiti che portava non avevano alcun senso della simmetria. Le piacevano le cose svolazzanti, leggere, e non rigide come quelle portate dalle sue coetantee. Gli occhi erano verdi, un colore che molta gente avrebbe apprezzato o addirittura adorato qualche tempo prima, ma che ora veniva talmente snobbato che spesso chi li possedeva li copriva con le lenti. Quindi, ovviamente, la gente la guardava quando era in giro. L'unica curva in quell'insieme di rette.
Spesso Cass si sentiva inadeguata, altre volte troppo osservata, altre ancora sopravvalutata. E nel senso che la valutavano troppo. La sua famiglia, i suoi amici, i suoi insegnanti. Tutti la credevano più di quel che era veramente. La credevano più intelligente, più perspicace, più attiva di quanto fosse. Cass era sempre andata bene a scuola e nelle poche attività che seguiva. Cercava di arrivare al meglio. Ma non sempre ci riusciva. E questo lei lo sapeva. Erano gli altri a non capirlo.
E così, quando qualche giorno prima i suoi insegnanti avevano dato il compito da fare nei prossimi tempi, erano tutti entusiasti. Creare un robot. La gente credeva che già dal secolo precedente si potevano vedere questi automi girare per la città, aiutando chi ne aveva bisogno, lavorando, facendo parte della comunità. Effettivamente, così è stato. Ma non per molto. Presto, infatti, i robot si ribellarono, schierandosi contro l'uomo, il quale è stato costretto dunque a disattivare tutte le macchine e allontanarne i progetti. Dopodicchè, la tecnologia è avanzata, ma nessuno ha voluto più provare a realizzare dei robot. Le morti causate erano state troppe, i danni provocati pure, e nessuno voleva rischiare. Nessuno voleva più rischiare, ormai. Volevano solo sentirsi al sicuro.
Cass fu sorpresa quando le venne chiesto tale compito. Come potevano chiedere il progetto di macchine di questo tipo a dei ragazzi? Fuori c'era gente più preparata e probabilmente con molte più idee. Infatti, nonostante non si volesse rischiare, c'era ancora chi parlottava proponendo iniziative o idee su un probabile  progetto futuro. Cass non ci pensava mai. Che senso aveva prepare qualcosa che non si sarebbe mai realizzato? Cass non pensava mai a molte cose. A cosa avrebbe fatto dopo la scuola, a che lavoro avrebbe intrapreso. Avrebbe fatto parte di un settore qualunque, oppure uno più ricercato? Ce l'avrebbe fatta a rimanere in servizio, date le sue idee spesso contrastanti con quelle troppo moderne degli altri? E se qualcuno le imporebbe di cambiare? Cass non lo farebbe mai. Ne per il lavoro, per la scuola o per qualsiasi altra cosa. Lei era così e gli altri dovevano accettarlo. Ma quando diceva che era così, come intendeva? Questo non lo sapeva.
Quando poi era tornata a casa, i suoi genitori erano pazzi di gioia. "Ce la farai sicuramente!", "Già ti vedo sui libri di storia!" e roba simile. La ragazza si chiese come potevano i suoi genitori e i suoi insegnanti, che avevano avuto la stessa reazione, avere tanta fiducia in lei. Come potevano sapere che ce l'avrebbe fatta. Sarebbe riuscita a creare i robot. Stabili, sicuri, che non avrebbero danneggiato nessuno. Perchè era questo che temeva. Che prima o poi anche i suoi robot si sarebbero ribellati e che tutto sarebbe andato male. Che avrebbe fallito e che tutti sarebbero rimasti delusi da ciò. O peggio, che avrebbe causato ferite, morti. Morti. Come si sarebbe sentita se avesse provocato qualcosa in grado di uccidere?
Controllò l'orologio, mancavano pochi minuti prima che il cancello si sarebbe chiuso. Dopo che ciò avveniva, non si poteva più entrare o uscire, fino alla fine dell'orario. Nessuno entrava dopo o usciva prima. Tutti volevano essere a lezione, a scoprire nuove informazioni, a prepararsi.
Quello era il giorno in cui avrebbero consegnato i progetti. Fino a quel giorno, Cass aveva sempre cercato di allontanare le domande degli insegnati, che continuamente chiedevano se avesse già fatto tutto. Nel frattempo vedeva ciò che avevano realizzato i suoi compagni. Robot in grado di guarire all'istante ogni ferita o malattia, robot in grado di costruire o demolire in pochissimo tempo. Che potevano allungarsi, deformarsi, prendere le sembianze di qualcuno. Nessuno sapeva cosa aspettarsi dal lavoro di Cass, neanche lei lo sapeva.
Avrebbe anche potuto non fare il lavoro, trovare una scusa qualsiasi. Rimandare all'infinto finchè tutti si sarebbe dimenticati. E invece lei il progetto l'aveva fatto. L'aveva pure portato, quel giorno. Ma non era sicura di ciò che sarebbe accaduto. Quindi ora entrava in classe, ancora non sicura se avrebbe esposto il progetto oppure no.



Lo spazio dove scrive l'autrice del testo

Oh, ehi, SALVE.
Questa è la prima storia che pubblico. In realtà, l'avevo scritto come testo per un concorso letterario, che poi non ho vinto, quindi ho pensato 'Perchè non metterlo su efp?'. Già, sono una persona alquanto trasgressiva.
E niente. Non aspettatevi una continuazione, perchè non c'è. Mi dispiace. So che la cosa vi addolora. Deal with it.
Ah e non pensate di fare come mia madre che, dopo averlo letto, continuava a chiedermi 'Dai, Elena, mi dici come finisce? Dai! Io sono tua madre!'
Nuh-hu.
Quindi spero vi piaccia, abbiate capito qualcosa e che non sia solo una cosa random che vi è capitata oggi.
Se vi va di darmi un parere, di darmi un consiglio, o di dirmi di smetterla con queste cose e andare a studiare latino, potete lasciare una recensione.
Se volete usare la tattica di mia madre per capire cosa succede alla fine, potete cercarmi su Twitter come @akaweirdoelena.
Questo è tutto.
Saluti :)

   
 
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