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Autore: yuki rain    07/09/2015    1 recensioni
L'ettagono venne costruito allo scopo di creare un paradiso terreno, le guerre hanno distrutto il mondo, portando caos e disperazione.
nell'ottagono sentimenti come: il dolore, l'invidia, la paura si sono persi molti anni fa, ma sbagliare è dimenticato, io stessa lo capì solo dopo aver ricordato.
aver ricordato cos'è realmente la morte e il peso della vita.
per farlo sono entrata nella Tower of Pain con il mio migliore amico Ron, ma nessuno era realmente pronto alla verità.
Genere: Azione, Guerra, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Black Rock Shooter, Mato Kuroi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In  principio c’era solo guerra, il mondo era stato sconvolto dai grandi conflitti, portando odio e dolore nel cuore della gente.
Fu allora, che nell’uomo nacque un sogno, un idea di un luogo di pace, neutrale da tutto, un paradiso terreno.
Così venne costruito l’ Ettagono, una insieme di mura alte quasi nove metri  che impedivano a ogni cosa o persona di entrare o uscire.
Esse proteggono sette paesi o sezioni a forma triangolare, ognuno con delle proprie caratteristiche e strutture.
Ogni sezione contribuisce al sostenimento di se stessa e delle altre sei, la pace regna ovunque.
Ma  anche in paradiso esistono delle regole, le nostre erano molto chiare e chiunque le infrangesse veniva congedato al di fuori delle mura con la colpa di aver “istigato una guerra”.
Le regole non erano difficili, ma rispettarle lo era di più. prima regola, vietata ogni forma di: Ira, gelosia, avarizia, accidia, superbia, lussuria e gola.
Nessuno aveva più di te, nessuno aveva meno di te.
Nessuno valeva più di te, nessuno valeva meno di me.
Per rispettare l’equilibri non dovevano esserci differenze, di nessun tipo.
La seconda regola: in qualunque maniera è severamente proibito parlare, istigare o introdurre concetti di guerra e rivolte all’interno dell’Ettagono.
I conflitti portano al caos e alla disperazioni, emozioni che hanno distrutto l’essere umano, per questo Ettagono decise di farne a meno e col tempo perdemmo emozioni come il dolore, la pura, perfino la tristezza stessa stava svanendo.
La creazione di un luogo perfetto sembrava riuscita, ma l’uomo è curioso, vuole vedere sempre oltre.
Non tutti però, sono nati per vivere in una gabbia, il desiderio di sapere era troppo forte, come successe a me.
Per coloro che volevano vedere oltre, al centro dell’ettagono venne innalzata una torre in metallo alta più delle mura, anche essa con sette lati. La Tower Of Pain. ToP.
I suoi portoni venivano aperti quando qualcuno arrivava in cima, una volta entrato, potevi uscire solo da Campione o su un carro funebre.
Nessuno sapeva realmente cosa accadesse li dentro, ma tutti quelli che ne uscivano vivi, cambiavano radicalmente, io compresa.
Avevo sette anni, quel giorni mio padre sarebbe tornato a casa, dopo quasi dieci mesi nel mondo esterno, finalmente lo avrei rivisto.
Mi diresse verso le mura, dove c’era il portone che ogni primo del mese si apriva dall’alba al tramonto.
Solo i Campioni, ovvero chi era stato nella ToP, potevano entrare e uscire dall’ Ettagono.
Mio padre era un uomo molto mite, capelli corti marroni, occhi azzurri come i miei, con se portava sempre la sua valigetta d’argento, diceva che all’interno c’erano i suoi “strumenti di lavoro”.  Un giorno me gli avrebbe mostrati diceva, quel giorno non arrivò ma.
Appena lo vidi gli saltai addosso, abbracciandolo, lui ricambiò vigorosamente.
-Tesoro quanto mi sei mancata- disse con la sua voce roca.
-Anche tu mi sei mancato papà- lui per me era come un eroe, lo vedevo come colui che portavo il bene ovunque e forse una parte di me avrebbe vuole ancora che ci creda.
Non possedevamo tipo di tecnologia molto evoluto, avevamo appreso a controllare elementi come il fuoco, il ghiaccio, tutto ciò che poteva risultare dannoso  per la razza umana.
La mia casa era una delle tante, non aveva nulla di particolare, come la mia famiglia.
Un padre, una madre, io e un fratello più piccolo.
-Mamma siamo a casa- annunciai sulla porta tenendo la mano di mio padre.
Lei ci guardò con gli occhi pieni di gioia, mentre tra le braccia teneva Hiroto, ancora in fasce.
Io ero la fusione dei miei genitori, occhi azzurri come mio padre e capelli neri pece come mia madre, tendevo a raccoglierli in due codini anche se mi arrivavano  a malapena alle spalle.
Ogni volta che tornava a casa, mi facevo raccontare le sue avventure, lui narrava di luoghi magici, distese di sabbia, mari che toccano il cielo, campi pieni di fiori.
Una volta gli avevo chiesto cos’erano l’alba e il tramonto, lui rispose che erano troppo belli per essere descritti e mi promise che un giorno divenuta grande me gli avrebbe mostrati.
-Quando sarai grande, ti mostrerò la bellezza che c’è al di fuori, ti farò vedere tutto ciò che c’è stato negato. Però deve restare un nostro segreto-
-Si te lo prometto!- 
Fu quando compì dieci anni che mio padre smise di tornare, iniziai a pensare che avesse trovato un posto talmente bello da non volerlo più lasciare, come qui.
La mamma diceva sempre che un giorno avrebbe fatto ritorno e continuò ad aspettarlo, ma lui non tornò mai più.
Passarono molti anni da allora, avevo quindici anni e lavoravo come cameriera con mio fratello alla locanda di mia madre.
-Buongiorno Mato- disse un ragazzo seduto a un tavolo, Ron il mio migliore amico.
Un ragazzo sempre allegro e sorridente, con i capelli rossi-arancio e gli occhi scuri.
-Buongiorno Ron, hai già finito di lavorare?-
-Si, oggi il capo ci ha fatto andare via prima- Ron lavorava come tutto fare, quando qualcuno aveva bisogno di aiuto, di una riparazione lui giungeva a dare una mano.
All’Ettagono si lavorava per passione, il denaro era una delle tante cose che ci avevano tolto.
Il capo di Ron era un uomo che raccoglieva le richieste e poi le divideva tra i suoi collaboratori, lo conoscevo bene, era un uomo molto buono.
Il rosso mi fece segno di avvicinarmi –Sono venuto a parlarti,  puoi staccare un momento- disse serio, troppo seri.
-Certo- niente poteva prepararmi a quello che mi disse quel giorno.
Riportai il vassoio al bancone dove stava mia madre, aveva un espressione strana.
-Madre?- lei sobbalzò.
-Dimmi pure Mato- mi sorrise.
-Ron vuole parlarmi, posso prendere una pausa-
-Ma certo tesoro. Già che esci poi andare a prendere del pane-
-Certo- le sorrisi, prendendo la sacca che mi porse.
 
Stavamo camminando per lo stradone in silenzio, ogni tanto dei passanti ci salutavano.
-Mato - incalzò lui –Ho preso una decisione, era da molto ce ci pensavo e oggi ho deciso- lo ascoltai senza parlare.
-Mentre riparavo un tetto ho sentito i proprietari parlare, dicevano che avevano preparato un regalo per il figlio che sarebbe tornato a casa, come Campione-
-Non capisco- dissi fermandomi davanti al fornaio.
Dopo aver preso il pane ricominciammo a camminare, lui però si fermò all’improvviso e pronunciò quelle parole.
-Voglio entrare nelle ToP-
Quelle parole fecero sobbalzare il mio cuore per la prima volta, il mio primo pensiero,  molto egoistico, fu di impedirgli di partire, non volevo che soffrisse, non volevo che morisse.
-Mato, io …-
-Cosa vuoi fare nella ToP? A te piace il mondo qui- non riuscivo a guardarlo negli occhi.
-Vieni, te lo mostro- disse prendendomi per mano e conducendomi verso casa sua.
La sua casa era come la mia, non c’erano differenze, mi sedetti su una sedia, posando il pane sul tavolo.
Poco dopo fece ritorno con un album da disegno, non era più grande di un blocco ed era molto rovinato.
-Mia sorella tentava di tenermelo nascosto, ma adesso è a lavoro!- la sorella di Ron, Karen aveva completato la torre e andava spesso fuori dalle mura, però da quando se ne andò, la relazione con sua madre iniziò a peggiorare, fino a sparire completamente.
-Cosa è?- chiesi curiosa, vedendolo sedersi vicino a me.
Lo aprì mostrandomi un disegno di un paesaggio, era un enorme montagna da cui usciva del fumo. Quello seguente era il ritratto di una persona con dei strani disegni sul volto.
-Che belli- -Li ha disegnati lei, vedi cosa c’è al di fuori? Perché dobbiamo privarci di tutto questo? Perché ci siamo rinchiusi qui dentro?-
-Qui regna la pace- disse sfogliando i disegni finché non ne trovai uno che rappresentava un campo di fiori.
Ron si alzò e iniziò a gesticolare –Lo che regna la pace, però immagina di poter vedere con i tuoi occhi quei posti, chi ti dice che non esista un altro paradiso al di fuori? Io voglio vedere, Mato, per anni abbiamo visto gli stessi volti, le stesse idee di pensiero, lo stesso stile di vita. Ma ce più di questo, immaginati un mondo dove puoi scegliere chi essere e come esserlo.- quelle parole mi avevano scandalizzata, Ron non aveva mai accennato a queste sue idee e mi spaventavano.
-Tu sei un rivoluzionario- gli urlai scappando via col pane.
Dargli del rivoluzionario, era una delle accuse più pensati che potessi digli, lo avevo paragonato ai congedati fuori dalle mura.
La ToP non poteva aprirsi veramente mi convinsi, iniziai a credere che fosse tutto un sogno, ma si potevano fare sogni brutti?
Stavo per tornare da mia madre quando si sentì il suono di una sirena, in vita mia avevo sentito quel suono pochissime volte, ma sapevo cosa significava.
-Attenzione a tutti- disse una voce proveniente dalla torre, era una voce femminile e acuta. –E’ stato eletto il nuovo Campione, quindi la Tower of Pain da domani sarà ufficialmente aperta per tutti coloro che desiderano diventare Campioni, come sapete i requisiti per partecipare solo i seguenti: primo, è necessario almeno avere dodici anni compiuti. Secondo: il candidato deve essere sano fisicamente e mentalmente.
Terzo: i candidati dovranno abbandonare la loro casa, con se potranno portare un minimo di oggetti esclusi: armi, medicine e animali.
Quarto: la torre non si prende nessuna responsabilità nel caso di morte.
Ricordato questo, speriamo di eleggere presto una nuova generazione di campioni, per portare la pace- il silenzio che fino a pochi attimi fa si perse in un enorme brusio, nella mia mente però si formava solo l’immagine di Ron.
Riportai il pane a casa e ricominciai a servire i clienti, dovevo distarmi.
Come poteva Ron aver preso una decisione tale? Non gli bastava una vita pacifica? Un luogo a cui appartenere?
Quella sera finita la cena, mi sedetti a tavola con mia madre e gli raccontai quello che era successo, a quei tempi non avevo segreti per lei.
-Cosi ha deciso-
-Vorrei che cambiasse idea-
-Ognuno è l’artefice del proprio destino, fai pace con lui prima che parta-
-D’accordo mamma- dissi affranta.
Quella notte non riuscì a chiudere occhio, pensavo e ripensavo agli eventi della giornata, domani le porte della ToP si sarebbero aperte e Ron se ne sarebbe andato.
Scesi al secondo piano per prendere u bicchiere d’acqua, trovai mia madre addormentata sulla sedia, le coprì le spalle con un coperta.
Sul tavolo in parte a lei c’era un libro, uno sfondo blu con un uccellino bianco.
L’uccellino multicolore.  Lo presi e mi rinchiusi in camera, iniziando a leggere.
La storia parlava di un uccellino, che volava nel cielo, ogni volta che trovava un colore nuovo ci tingeva una piuma delle sue ali.
Alla fine del libro c’era una scritta, era la calligrafia di mio papà.
“Se anche tu vuoi essere l’uccellino, vola e vieni a cercarmi ”
Avevo ben capito le parole di mio padre, però per volare liberi nel cielo c’era bisogno che qualcuno aprisse la gabbia e che l’uccellino imparasse a volare con le proprie ali.
-Papà, io non sono l’uccellino della storia, io non ho le ali per volare- dissi iniziando a piangere su esso fino ad addormentarmi.
   
 
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