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Autore: Abigail_Cherry    07/09/2015    1 recensioni
2100 d.C. Charlotte Mason vive a Greenwich durante un dopoguerra che ha trasformato la tranquilla monarchia in cui viveva in una dittatura in cui la legge principale è che, entro i diciott'anni, i ragazzi debbano pesare almeno 80kg le femmine e 100kg i maschi. Il problema? Charlotte è ben sotto quegli 80kg che dovrebbe pesare, e ciò avrà conseguenze devastanti...
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cinque
 
Non voglio andare in camera sua, non voglio. Ma, d'altronde, sarò costretta a farlo, se non voglio morire dissanguata o, peggio, per un'infezione.
Appoggio lentamente le mani al muro, cercando di muovere il meno possibile il busto, ma mi provoca ugualmente male alla schiena, così resto immobile finchè il mio corpo non si abitua alla posizione, poi mi muovo di nuovo. Continuo così finchè non riesco ad alzarmi in piedi.
Ora sono nervosa. Devo fare il primo passo. Il peggio è passato, ma se cadessi, dovrei rialzarmi di nuovo, rivivendo il peggio.
Con una mano attaccata al muro, mi costringo a muovere il primo passo. Fa male, e per poco non cado, ma resisto e, passo dopo passo, tenendo d'occhio i numeri delle stanze, arrivo alla stanza del ragazzo vestito di viola.
Mi avvicino alla porta e quella si apre da sola. A quel punto, vedo il ragazzo riccioluto venire verso di me e prendermi una mano per portarmi al letto.
<< Tutto bene? >> mi chiede.
<< Tu che dici? Sono stata frustata e marchiata, come mi dovrei sentire?! >>.
<< Bastava solo dire no. >> ribatte, poi mi accarezza la testa. << Sei stata brava, in corridoio. >>.
<< G-grazie. Ma non mi hai nemmeno vista. Facevo pena. >>.
<< Non importa. Sei arrivata, giusto? A proposito, sarà meglio vedere queste ferite. >> delicatamente, mi prende l'orlo della maglietta e mi scopre la schiena. Poi resta un attimo in silenzio ad osservare le ferite. << Sette frustate? Ma perchè? Pensavo ti avessero chiamata solo per il marchio. >> mi abbassa la maglietta. << Invece hai tutti i vestiti insanguinati. >> sospira. << Ti aiuto a togliere il camice, così lo lavo e ti posso medicare.
Mi prende l'orlo della maglietta ma gli spingo via le mani. << N-non voglio... >> dico, imbarazzata.
Lui resta un attimo confuso, poi capisce e sorride dolcemente. << Non sono i primi e spero non saranno gli ultimi seni che vedrò. Siceramente, al momento sono più preoccupato per le tue ferite, e da sola non riuscirai a toglierti il camice. >> mi prende la mano che lo aveva fermato poco prima e la stringe. << So quello che stai passando. Ti prego, fatti aiutare. >>.
Tra i singhiozzi, stringo forte la sua mano << Okay. >>.
Lui mi lascia la mano e, delicatamente, mi sfila la maglietta.
Incrocio le braccia sul petto per coprirmi. Se avessi un corpo normale, non penso sarebbe un grande problema stare senza maglietta, invece ho i seni piccoli, la pancia piatta senza neanche un po' di grasso.
Sono così brutta...
Il ragazzo mi accarezza la testa. << Va tutto bene, azzurra. >> mi sorride e comincia a dirigersi veso il bagno. << Mettitti sul letto a pancia in giù mentre metto in ammollo il camice. >>.
Ubbidisco e poco dopo il ragazzo torna con il kit medico in mano. Lo appoggia a terra affianco al letto e lo apre, prende del cotone e ci sparge sopra del disinfettante. << Brucerà un po'. >>.
Non rispondo, un po' spaventata. Non ho visto le mie ferite, non so quanto possano essere profonde o quanto potrà fare male essere madicata.
Appena il ragazzo appoggia il cotone sulla mia schiena, un gemito mi sfugge dalla bocca. Stringo le lenzuola tra i miei pugni per sopportare il dolore.
C'è un attimo di silenzio in cui nessuno sa cosa dire.
<< Mi chiamo Dylan, comunque. >> mi dice poi, penso cerchi di distrarmi dal dolore.
<< Charlotte. >> rispondo tra i gemiti.
<< Un nome francese... sei di Parigi? >>.
<< No. >> rispondo. << Sono di Greenwich. >>.
<< Io sono di Londra. Non abitiamo poi così lontano. >> ridacchia.
C'è un altro attimo di silenzio.
<< Quindi... >> comincio. << Come mai in camera tua non ci sono telecamere? >>.
Dylan sorride. << Ma ci sono. Sono solo riuscito a fregare quelli che controllano le telecamere. Non è stato così difficile. Ma non so quanto durerà. >>.
<< Spiegati. >>.
<< Ho pensato al fatto che ogni giorno qui dentro è sempre uguale. Quindi ho chiesto che mi fosse data una videocassetta con una scusa innocente poi... >>.
<< Stop. Come? Loro ti possono... dare degli oggetti? >>.
<< Ogni settimana, ti sottopongono alla prova peso. E se sei aumentato di almeno mezzo chilo, allora ti premiano, altrimenti... >>.
<< Cosa? >>.
<< Altrimenti ti puniscono. >>.
<< E... a te è mai capitato? >>.
<< Possiamo non parlarne, per favore? >> sospira.
<< Scusami. Non volevo... >> mi schiarisco la voce. << Dopo che ti sei fatto dare la cassetta che hai fatto? >>.
<< Mentre creavo una piccola interferenza, ho inserito la cassetta nella videocamera e ho registrato un'intera giornata. E dopo mi è bastato far riprodurre quella registrazione in continuazione, ogni giorno. Ho fatto la stessa cosa con la videocamera che riprendeva l'entrata della mia stanza. Così non sapranno mai chi entra e chi esce dalla mia stanza. >>.
<< Ahi! >> esclamo, Dylan ha premuto troppo su una ferita.
<< Scusa... >> dice lui cambiando il pezzo di cotone insanguinato con uno nuovo.
<< Comunque è stata una grande idea! Mi hai stupito. Io non penso che ci sarei mai arrivata. >>.
<< Oh, io penso di sì. Non sei così stupida come credi. >>.
Sorrido.
<< A proposito, >> continua lui. << tornando al discorso di prima, come mai ti hanno frustata? >>.
<< Oh... beh, potrebbe darsi che io abbia accidentalmente "aggredito" un adroide. >> rispondo.
<< Azzurra! >> fa lui con tono di falso rimprovero. << Non si fa! Non sai che la nostra cara Aghata Leener adora gli androidi? >> ecco come si chiamava! << Gira anche la voce che abbia una relazione amorosa con uno di loro. Forse proprio perchè nessun uomo è mai riuscito a sopportarla. >>.
Rido, anche se mi provoca un po' di dolore, e Dylan assieme a me.
<< Non penasavo che un umano ed un androide potessero... >> faccio.
<< Infatti no. Ma se hai abbastanza soldi da poterne "modificare" uno... >>.
Arrossisco leggermente. << Mentre... con "gira voce", cosa intendi? Insomma, qui nessuno parla con nessuno. >>.
<< Pensaci, Charlotte, noi due parliamo. Ma sei davvero convinta che tra tutti questi camici siamo gli unici due? Basta conoscere le persone giuste. >>.
<< E tu le conosci? >>.
<< Fatto! >> mi interrompe. << Ma non abbiamo ancora finito. Mettiti seduta, ti disinfetto velocemente quel cavolo di marchio e ti fascio le ferite. >>.
<< Mi metto a sedere lentamente, stando attenta a non farmi troppo male, mentre Dylan cambia per l'ennesima volta il cotone. Poi si gira di nuovo verso di me ed appoggia il cotone sul marchio, appena sopra il mio seno. Non riesco a guardarlo in viso per l'imbarazzo.
<< Perchè mi hanno marchiato? >> chiedo.
<< Lo fanno con tutti appena entrano in questo... posto. >> la sua voce fa trasparire un grande disprezzo. << Penso che lo facciano per torturarci psicologicamente, per farci capire che siamo di proprietà del presidente, che lui può fare ciò che vuole con noi. Che la nostra vita gli appartiene. >> butta via il cotone e prende la fasciatura. << Ho bisogno che ti alzi in piedi. >>.
Io eseguo e lui continua il discorso. << Ma io non sono d'accordo. >> comincia a fasciarmi girandomi velocemente attorno partendo da sotto le ascelle. << Il presidente è solo un dittatore. >>.
<< Quindi... hanno marchiato anche te? >>.
Si fferma un attimo. << Sì. >> dice freddamente, poi ricomincia a fasciarmi il busto finchè non finisce. Taglia la fasciatura in eccesso e la incolla al resto sul mio corpo con una qualche sostanza. Adesso ho il busto quasi del tutto fasciato.
Dylan ora ha un'altro sguardo. Ripone gli strumenti nella cassetta del kit medico e si posiziona di fronte a me. Con uno scatto rabbioso si abbassa il collo della maglietta del camice, mostrando il marchio.
È molto più vecchio del mio e il viso del presidente stampato sulla pelle ha una croce a "x" che sembra essersi fatto da solo.
In quel momento, mi sembra di comprenderlo. Comprendo la rabbia, il dolore, la frustazione... lo guardo un attimo, poi apro le braccia ed affondo la testa nel suo petto. Lui rimane sorpreso e non si muove.
<< Non penso che io sia stata la prima a cui tu abbia prestato aiuto, ma penso che nonotante questo nessuno abbia mai pensato... che tu fossi il primo a soffrire. >> dico, quasi sussurrando. << Volevo che spessi che ti sono vicina, qualsiasi cosa tu abbia bisogno. >>.
Lui ricambia l'abbraccio, facendo attenzione a non farmi male. << Ora stenditi e riposa. >> dice, il suo tono di voce è tornato dolce. << Aspettiamo che si asciughi il camice, poi puoi andare. >>.
Mi stacco da lui e mi infilo sotto le calde coperte, appoggiando la testa sopra al profumato cuscino.
Poi mi addormento come se niente fosse successo.
Grazie, Dylan.
 
<<>> 
 
Quando mi sveglio, non ho idea di che ore siano, ho solo un gran dolore alla testa e alla schiena. Mi sforzo di mettermi seduta e solo a quel punto sento dell'acqua scorrere. Dylan si starà facendo una doccia. Direi che l'ho già disturbato abbastanza. Guardo l'orologio. 9:33. Manca ancora una mezz'ora prima che la porta si apra, poi prenderò il mio camice e me ne andrò.
Sento l'acqua chiudersi e poco dopo Dylan esce dal bagno con un asciugamano legato in vita ed uno appeso al collo. << Oh, ti sei svegliata. >> dice.
Solo allora mi rendo conto di aver passato tutta la notte nella stanza di Dylan. Arrossisco. << Quanto ho dormito? >> chiedo.
<< Quasi venti ore. >>.
<< Ma... dovevi svegliarmi! Ero sul tuo letto... tu dove hai dormito? >>.
<< Lì. >> Dylan indica con un cenno della testa un cuscino e delle coperte sistemate sul pavimento.
<< Ma... adesso mi sento così in colpa! Perchè non mi hai mandata via? >>.
<< Come ti ho detto, so quello che hai passato, volevo solo essere gentile. >> prende uno dei tanti camici viola dal suo armadio assieme ad un paio di boxer bianchi. Chissà se anche io ho della biancheria e dei camici nella mia stanza... ora che ci penso, non ho mai guardato dentro nessun mobile. << Vado a vestirmi. >> entra in bagno e chiude la porta.
Ho uno strano senso di colpa che mi sta aggredendo lo stomaco. Continuo a fargli tornare in mente ricordi terribili con le mie domande, anche se non lo faccio apposta. Dylan è un po' un mistero. Non lo conosco quasi per niente e quando provo a chiedergli qualcosa su di lui, ci gira attorno o non mi risponde.
Poi, il televisore si accende.
Per un momento, non si vede nulla, solo una schermata bianca, poi il volto del presidente colora lo schermo. << Buongiorno, camici. >> dice.
Guardo lo schermo, esterrefatta. << Dylan... Dylan! >> urlo.
Lui apre la porta del bagno. Si è vestito ma i suoi riccioli sono ancora bagnati. << Non urlare! Qualcuno potrebbe sentirti! >>.
<< L-la TV... giuro che non l'ho toccata! >>.
<< Ah. >> dice lui. << Non preoccuparti, lo fanno ogni settimana. >>.
<< ... non dovete preoccuparvi. >> sta dicendo il presidente. << Questra struttura vi sta offrendo una seconda possibilità, per vivere una vita normale. Per essere belli d'aspetto ed in pace con voi stessi. >>.
<< Perchè? >> chiedo, riferendomi alla frase di Dylan.
<< Hai presente il discorso che ti ho fatto a proposito della "tortura psicologica"? È più o meno lo stesso discorso, solo che questa è più: "manipolazione". Se in un momento in cui sei emotivamente scosso continui a sentire lo stesso discorso, alla fine ci crederai. >> c'è un momento di pausa. << Io non me lo sono permesso. >>.
<< ... se non farete niente di male al nostro sistema di governo... >> continua il presidente. << ... lui non ne farà a voi. >> sorride.
Le parole del presidente continuano a rieccheggiarmi nelle orecchie, sul mio volto è stampata un'espressione di terrore. Ma lui continua a sorridere, sapendo benissimo quanto sarà incommensurabile il dolore che provocherà ai ragazzi. A me. A Dylan.
<< Spegni la TV, ti prego. >> dico. Non posso sopportare il ghigno del presidente.
<< Non posso. >> risponde lui, mordendosi la punta del pollice. << Quando proiettano un annuncio del presidente non si può fare niente. Sei costretto ad ascoltare, anche perchè sanno che sei per forza in camera tua a quest'ora. >>.
<< ... voglio che sappiate che ci teniamo a voi. Tutto ciò che facciamo è per il vostro bene. >> il presidente sfoggia il suo più largo sorriso. << Vi auguro una splendida settimana. >>.
La televisione si spegne esattamente alle dieci, quando la serratura della porta si apre.
Posso finalmente uscire, ma le mie gambe non si muovono. Sono ancora troppo scossa.
<< Stai bene? >> mi chiede Dylan.
Le mie gambe, le braccia, tutto il mio corpo trema, chiede aiuto. Mi costringo a sorridere. << Sì. Tutto bene. >> dico. << Ora dovrei andare. Ci vediamo. >>.
E senza aspettare una risposta, vado in bagno, prendo il mio camice ed esco veloce dalla stanza di Dylan.
   
 
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