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Autore: Hermione Weasley    08/09/2015    2 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

~

 

Quando il suono delle campane riempì l'aria, Clint socchiuse gli occhi ed inspirò a fondo. Il vento spazzava dolcemente il tetto di villa Coulson, scompigliandogli i capelli già di per sé tutt'altro che pettinati.

Il tempo che si era concesso era scaduto. Riaprì gli occhi affinché lo spettacolo della campagna immersa nella luce dorata del tardo pomeriggio gli si palesasse davanti in tutto il suo splendore. I contadini arrancavano fuori dai campi per far ritorno alle loro case dopo un'intensa giornata di lavoro; gli animali da pascolo venivano condotti in direzione delle stalle, il loro andamento lento e barcollante. Oltre il viale alberato, si distingueva la sagoma del villaggio, assediato da un brulichio confuso di persone, viandanti e forestieri giunti per la festa del patrono. Almeno ufficialmente: in realtà, per il santo, non si erano mai fatte le cose tanto in grande. La presenza del capitano Rogers aveva ringalluzzito non soltanto lord Phillip, ma anche gli abitanti del paese, del tutto intenzionati ad impressionare il militare. Dopotutto, di celebrità non se ne vedevano molte da quelle parti. Clint non ne avrebbe fatto una colpa a nessuno se qualche mente illuminata non avesse deciso di farlo esibire per movimentare la serata.

Gli tornavano in mente i giorni bui che aveva trascorso coi genitori, il modo in cui suo padre era solito obbligare lui e Barney a chiedere l'elemosina ai passanti con richieste lacrimose o magari cantando stupide canzonette. Non doveva neppure concentrarsi molto per rievocare la vergogna e l'umiliazione; e neanche per ricordare come si era sentito quando avevano finalmente realizzato di essere rimasti soli. Liberi.

Scacciò in fretta e furia quegli inutili pensieri molesti prima che il volto del fratello tornasse a tormentarlo. Si calò giù dal tetto e attraverso la finestra della soffitta, scambiando l'aria fresca dell'esterno con quella pesante e stantia dell'interno. Si soffermò davanti ad una delle teche impolverate che tempestavano la stanza, un cimitero di vecchi cimeli, ritratti di uomini e donne dimenticati da tempo, oggetti che non avevano più alcuna utilità. Si sarebbe preso volentieri a pugni tutte le volte che quella considerazione gli balenava nel cervello, ma si sentiva perfettamente a suo agio tra tutte quelle cianfrusaglie dimenticate. Come se in fondo anche lui appartenesse a quella razza, ad un tempo conclusosi per sempre, a relazioni interpersonali ormai morte e sepolte. Era un intruso che aveva potuto continuare a vivere solo grazie ad un inganno del destino: tutti i giorni che era riuscito a guadagnarsi con quel colpo di fortuna continuavano ad apparirgli come immeritati, come tempo rubato che avrebbe prima o poi dovuto restituire. A chi però, quello non lo sapeva.

Si specchiò nella vetrina sporca che ospitava gli uccelli impagliati, finendo di sistemarsi il vestito elegante che lord Phillip aveva fatto realizzare per l'occasione. Era un completo relativamente semplice, viola scuro con le rifiniture argentate e il fazzoletto bianco. Ovviamente il suo colore preferito era quello che nessuno osava indossare: perché portava sfortuna, o infastidiva gli dei, o qualche altra stronzata del genere. Forse l'aveva scelto proprio perché sfidava le convenzioni e arruffava le parrucche dei bigotti che infestavano l'alta società, i fazzoletti e i cappellacci di quelli che affollavano la controparte bassa della stessa. Ma le poche volte che Clint si era lasciato convincere a farsi prendere le misure per un vestito nuovo, non aveva mai avuto il coraggio di chiederne uno viola. Neanche stavolta l'aveva fatto, eppure lord Phillip l'aveva accontentato. Possibile che stesse tentando il tutto per tutto per convincerlo a sposare lady Jemma e diventare a tutti gli effetti uno dei suoi legittimi eredi?

Non era sicuro di volerci pensare. Il bagaglio che aveva preparato per la sua fuga, programmata per quella sera stessa, giaceva mestamente sul pavimento. Aveva deciso di nasconderlo nel bosco prima di dirigersi al villaggio per la festa: dopo l'esibizione avrebbe approfittato della confusione delle celebrazioni per defilarsi in silenzio, recuperare i suoi pochi effetti personali dal loro nascondiglio e infine partire alla volta dell'ignoto. Non che quella particolare considerazione lo facesse sentire tanto meglio dell'idea di restare per sempre a villa Coulson. Tutt'altro. Ma tra i due mali, aveva optato per quello sconosciuto.

Dette un'ultima sistemata al fazzoletto, restando ad osservare il proprio riflesso nel vetro polveroso. Pochi attimi e la sua attenzione si spostò sui volatili che giacevano oltre la vetrina, solenni e ridicoli nelle posizioni a cui erano stati condannati dopo la morte. Il suo sguardo andò al falco pellegrino, le ali semiaperte a suggerire l'intenzione di un volo perennemente negato; il becco dischiuso in una smorfia indignata, in un grido per sempre soffocato.

Mentre fissava gli occhi nelle pupille vitree del rapace, la consapevolezza di non poter restare un giorno di più tornò a farsi sentire, concreta e insistente. Esitare avrebbe significato fare la fine del falco, per sempre sospeso su un'idea mai del tutto formata di andarsene, l'intenzione della fuga che non sarebbe rimasta altro che tale. L'ignoto schiudeva alla sua immaginazione infinite possibilità: alcune tremende, ma altre... preferiva correre il rischio, partire all'avventura nella speranza che il futuro avesse in serbo per lui una vita che gli andasse un po' più a genio di quella che conduceva attualmente. Sposare lady Jemma, ereditare parte dei possedimenti di lord Phillip, quello era un destino che spettava a qualcuno che non era Clint Barton. Non importava quanto si fosse sforzato di mimetizzarsi in quell'ambiente, il falco non poteva convivere tra quei corvi travestiti da colombe se non al prezzo di una dolorosa finzione. Un teatrino cui non aveva alcuna intenzione di sottomettersi.

Lì, davanti agli sguardi muti degli uccelli impagliati, Clint scelse di vivere. E per farlo se ne sarebbe dovuto andare quella sera. Tutto il resto l'avrebbe deciso strada facendo, come aveva sempre fatto prima che lord Phillip entrasse nella sua vita.

“Vedrò il mondo per tutti e due,” sussurrò a mezza voce, impedendosi di sentirsi ridicolo per le parole rivolte al falco ridotto a cadavere da esposizione. Si congedò facendo solenne promessa di essere gli occhi di entrambi. Dopodiché si voltò per raccogliere l'arco, la faretra e la borsa preparata per la fuga.

Uscì dalla soffitta senza guardarsi indietro, dirigendosi a passo spedito verso le scale di servizio – meno appariscenti e pretenziose di quelle principali – scendendo rapido fino al piano terra attraverso le stanze dei domestici, le dispense e le cucine. I pochi membri della servitù che erano rimasti alla villa, a dispetto della festa al villaggio, si fecero da parte per farlo passare, senza chiedergli dove fosse diretto. Raggiunse l'esterno dove uno degli stallieri lo aspettava con il suo cavallo. Non ebbe il tempo di ringraziarlo che l'uomo se ne andò bofonchiando qualcosa che Clint non comprese; lo guardò allontanarsi solo per pochi attimi prima di procedere col sistemare la borsa alla sella.

Era ormai sul punto di issarsi in groppa al suo destriero e andarsene, quando il rumore dei passi leggeri di lord Phillip sulla ghiaia non lo riportarono bruscamente all'attenzione. Il cuore gli si strinse nel vederlo avanzare verso di lui col vestito che indossava per gli eventi più importanti, i capelli radi sulla sommità del capo e la parrucca in mano insieme al cappello. Gli apparve più vecchio e stanco di quanto non ricordasse, lo sguardo spento, ma pur sempre gentile e tranquillo. Non sarebbe riuscito ad indovinargli la preoccupazione negli occhi neanche se avesse voluto: lord Phillip sembrava sempre avere tutto sotto controllo, come se niente lo turbasse realmente, quasi fosse convinto di poter risolvere qualsiasi problema, non importava quanto grave o spiacevole. Ma Clint non si illudeva che quella fosse davvero la realtà dei fatti. Solo perché lord Phillip era bravo a dissimulare, non significava che niente lo sfiorasse. Anzi. Le tenute rendevano sempre di meno, i raccolti si preannunciavano scarsi, il bestiame continuava ad ammalarsi; per non parlare di quanto fosse malvisto nella capitale per le sue tendenze eccentriche, per la sua inesausta volontà di offrire il suo aiuto anche a chi non trovava un posto nella società del regno; e infine tutti i grattacapi che il pensiero dell'eredità doveva dargli, la posizione da assicurare a Grant, e poi quella di Antoine, e infine di lady Jemma che rischiava di consumare la sua vita da zitella a villa Coulson.

No, Clint sapeva che essere lord Phillip Coulson era questione tutt'altro che semplice.

“Clint,” l'uomo si soffermò a pochi passi di distanza, “volevo augurarti buona fortuna per l'esibizione. Sono sicuro che il capitano Rogers apprezzerà.”

“Vi ringrazio,” annuì, tenendo a malapena a bada il senso di colpa che gli ruggiva nello stomaco.

“Non darmi del voi,” lo rimproverò l'altro a mezza voce.

“Non-”

“Lo so,” scosse il capo e gli rivolse un lento sorriso. Il silenzio piombò loro addosso, scomodo e gravido di aspettative. Il volto di lord Phillip mutò impercettibilmente espressione, le rughe ai lati degli occhi e sulla fronte improvvisamente più marcate ed evidenti. “Lo so che preferiresti non esibirti, ma sono fiero di te e voglio che tutti, al villaggio, lo sappiano.”

“Non è un problema,” mentì, sforzandosi di apparire disinvolto. “Mi piace tirare con l'arco.”

“Me ne rendo conto,” confermò l'altro prima di inspirare a fondo, quasi un peso gli stesse schiacciando il petto. “Ho sempre voluto solo il meglio per te, Clint. So che alle volte tendo a lasciarmi prendere la mano, ma...”

“Non è vero.”

“Oh, sì che è vero.” I suoi occhi si erano fatti tristi. “Non voglio costringerti a far niente che tu non voglia fare. Quando sembra che me ne stia dimenticando, ricordamelo. Va bene?”

Clint restò immobile a fissarlo. Possibile che avesse intuito le sue intenzioni? Possibile che stesse cercando di convincerlo a restare? Oppure... oppure erano soltanto le raccomandazioni di un padre preoccupato? L'incertezza solcava le burrascose acque del suo senso di colpa, ingrossatosi come un mare in tempesta pronto a schiantare la minuscola imbarcazione della sua vacillante volontà.

“Va bene,” acconsentì, senza sapere come sentirsi. Cos'avrebbe dovuto fare? Rivedere i suoi piani? Magari decidere di restare, risolvere la questione del matrimonio. Se solo avesse voluto, avrebbe potuto ritornare sulla possibilità di sposare Bobbi. C'era ancora tempo per dire ad Hunter che non se ne faceva di niente, no? Una vita normale, piena, non era ancora del tutto fuori discussione. E una minuscola parte di lui, aveva realizzato, la desiderava quasi con disperazione.

“Bravo ragazzo.” Lord Phillip si sporse per coinvolgerlo in un abbraccio che gli tolse il respiro. Ricambiò la stretta senza esitazioni, riversandovi l'addio che non avrebbe mai avuto il coraggio o la faccia tosta di rivolgergli a parole.

Durò solo pochi istanti, dopodiché lord Phillip indietreggiò di un paio di passi per permettergli di salire a cavallo. Clint si mosse come nel bel mezzo di un sogno, come se il suo corpo stesse prendendo tutto le decisioni e il suo cervello non potesse far altro che restare a guardare. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, essere sincero una volta per tutte. Ma non ci riuscì.

Gli rivolse un cenno d'assenso mentre afferrava le redini tra i palmi della mani sudate.

Lord Phillip gli sorrise e annuì a sua volta, come a dargli la sua benedizione.

Fu tutto l'incoraggiamento di cui ebbe bisogno per spronare il cavallo a partire.

 

*

 

Il villaggio si era trasformato in un'enorme baraonda di suoni, odori, colori. Saltimbanchi e piccole compagnie itineranti avevano riempito il paese con le loro attrazioni; venditori ambulanti di caramelle e dolciumi dall'aspetto stantio compivano instancabili giri attorno alla piazza principale, mentre mangia fuoco e divoratori di spade si erano appostati qua e là, scatenando la meraviglia degli abitanti.

Il fornaio vendeva piccole focaccine e biscotti ad una bancarella improvvisata proprio dirimpetto alla chiesa; il fruttivendolo aveva esposto le sue mele candite insieme a sacchettini di noccioline e semi di zucca; la merce della fioraia era invece un'esplosione variopinta di rose, tulipani, garofani e ginestre; l'oste aveva disposte una decina di botti davanti alla sua taverna, distribuendo boccali di birra, sidro o vino a chiunque avesse un soldo da spendere. Le ragazze avevano indossato gli abiti e i fazzoletti colorati che non avevano mai osato mettere, mentre alle finestre erano state appese bandiere e stracci celesti, verdi, gialli. Gli uomini di Rogers spiccavano nelle loro divise rosse, punteggiando qua e là la folla, impegnati com'erano a bere e divertirsi.

Almeno tre gruppetti di suonatori si erano installati in diverse zone della piazza centrale, serenando gli astanti con canzoni diverse, alcune tristi, altre talmente movimentate da scatenare folli balli improvvisati.

Non fosse stato tormentato da tutt'altre questioni, Clint ne sarebbe rimasto affascinato. Non capitava spesso che i bigotti del villaggio si lasciassero andare a celebrazioni tanto allegre e spensierate. Persino il carnevale, da qualche anno a quella parte, si era ridotto ad una lenta processione di maschere arcigne che non sollevavano il morale proprio a nessuno.

“Sir Barton.”

Si voltò per ritrovarsi davanti Kate che gli rivolgeva una pomposa riverenza, agghindata com'era in un lungo abito elegante tutto pizzi e trine che la faceva sembrare un enorme cuscino puntaspilli.

“Kate?” Per un istante dimenticò tutte le sue disgrazie e cercò disperatamente di non ridere: era abituato a vederla con indosso abiti maschili, gli stivali ai piedi e la faccia polverosa; quello era uno spettacolo del tutto inedito.

“Non ti azzardare a ridere,” biascicò lei minacciosamente, accortasi dell'ilarità che prometteva di scoppiare da un momento all'altro.

“Non sto ridendo.” O almeno ci stava provando.

“Sei veramente uno stronzo.” Gli si fece vicina, allungando una mano per tirargli un pizzicotto sul polso.

“Ahia!”

“E comunque anche tu hai un aspetto ridicolo,” ci tenne a fargli sapere.

“Me ne rendo perfettamente conto, tante grazie. Se non altro tu non devi metterti a fare la bella statuina là in mezzo,” le indicò lo spiazzo recintato che era stato preparato per la sua esibizione. Ai piedi dei gradini della chiesa era stato allestito un piccolo palco che avrebbe accolto le più importanti personalità del villaggio (lord Phillip incluso) insieme all'ospite d'onore e il suo secondo in comando.

“Ma chi di noi due ha un nido d'api in testa?” Gli ritorse contro Kate, indicandosi la complicata composizione in cui erano stati acconciati i suoi lunghi capelli neri.

“Almeno non è una parrucca pulciosa,” la consolò con un sorriso divertito. “Siamo entrambi messi piuttosto male.” Riconobbe infine.

“Mi ero offerta volontaria per il tuo numero,” rivelò Kate. “Ma quando mio padre l'ha scoperto è andato su tutte le furie,” si strinse nelle spalle.

“Alla gente sarebbe preso un colpo!”

“L'idea era proprio quella,” ammise lei con un sospiro melodrammatico. Bastarono pochi secondi perché lo sguardo della ragazza cambiasse, facendosi di colpo più indulgente e incerto. “Hai ancora intenzione di andartene?” Ebbe infine il coraggio di formulare.

Clint si era fatto serio di riflesso, ben consapevole di non poter eludere la domanda. Non le aveva più chiesto niente riguardo la sua proposta di fuga, ma Kate non aveva offerto alcun parere o delucidazione in merito, il che significava semplicemente che non l'avrebbe accompagnato. Si era messo l'anima in pace sin dal giorno in cui le aveva prospettato la possibilità di una vita lontana dagli obblighi e dalle convenzioni cui sarebbero per sempre stati soggetti nelle ville dei rispettivi padri.

“Non lo so,” rispose più sinceramente del previsto. “Credo di sì.”

“Stanotte?”

“Stanotte,” confermò.

Kate strinse le labbra, gli occhi fattisi lucidi di colpo. Dopotutto aveva solo sedici anni e tutta la vita davanti: niente gli impediva di pensare che sarebbe stata tutto sommato contenta. In tutta coscienza, non se la sentiva di convincerla ad abbandonare tutto e tutti per lanciarsi in una corsa verso l'ignoto. Era un azzardo bello e buono anche per lui, ma addossarsi la responsabilità di rovinare completamente la vita di qualcun altro non era esattamente nella lista di cose che avrebbe voluto fare prima di morire. Si era a tal punto sforzato di convincersi che, alla fin fine, era meglio così, che era riuscito a persuadersene davvero. Per quanto, però, quello non lo sapeva.

“Tornerai?” Gli chiese con voce flebile, ma decisa.

“Non lo so.”

“Mi mancherai, idiota,” biascicò lei mentre tirava su col naso.

“Anche tu.” Le sorrise tristemente un attimo prima che lo strillone non annunciasse la sua esibizione a gran voce. Il palco delle autorità si era finalmente riempito, e tutti – saltimbanchi, abitanti, soldati del capitano Rogers indifferentemente – si erano avvicinati allo spiazzo che fungeva da teatro alla sua imminente performance.

Tornò su Kate che ancora lo stava guardando; avrebbe voluto abbracciarla, ma non c'era modo di farlo senza che nessuno li notasse. Imbracciò meglio l'arco e si sistemò la faretra sulla schiena, mentre le teste degli astanti si voltavano verso di lui con curiosità.

“Ehi,” la richiamò nel tentativo di allentare la tensione che gli si stava gonfiando all'altezza del petto. “Te l'ho mai detto che sono stato anche un saltimbanco?”

Non aspettò una risposta, scavalcando piuttosto la recinzione che delimitava lo spiazzo con un agile balzo che gli valse qualche applauso. Lo strillone continuava a decantare le sue lodi agli ospiti seduti sul palco: il prete, il capo della polizia e lord Derek Bishop facevano compagnia al capitano Rogers, al suo secondo in comando – il tenente Wilson – e a lord Phillip.

Il sole era ormai tramontato del tutto, lasciando il cielo scuro della sera ad osservarlo dall'alto. Un rullo di tamburi accompagnò l'avvicinamento di almeno dieci bersagli che vennero sistemati lungo lo spiazzo: gli era stato detto che l'ingegnere del paese aveva in serbo per lui una sorpresa, ma Antoine – che l'aveva informato – non aveva scoperto niente di più dettagliato al riguardo.

Non aveva mentito quando aveva rivelato a Kate che era stato saltimbanco: era stato dopo la morte dei suoi genitori, quando lui e il fratello avevano dovuto cominciare a guadagnarsi il pane da soli, non importava facendo cosa. Si era esibito prima d'allora e in condizioni ben più ridicole e umilianti di quella. Per questo non fu un problema trafiggere quei bersagli uno ad uno, la folla che esultava ad ogni centro perfetto, la banda ad accompagnare ciascun tiro con una musica ad effetto.

Dopo gli obbiettivi immobili, fu il momento di quelli mobili: pannelli di legno stilizzati in forma umana vennero azionati tramite un congegno a manovella che permetteva loro di ruotare attorno alla recinzione. Colpirli tutti al cuore fu un gioco da ragazzi; non importava quanto rapidamente ruotassero quella dannata leva, le sue frecce trovavano sempre il loro obbiettivo. Infine, tra gli applausi sguaiati di tutto il villaggio e quelli più composti del palco delle autorità, sei ragazzini vennero fatti entrare all'interno dello spiazzo, tutti con una mela tenuta immobile sul capo grazie ad un fazzoletto legato sotto al mento. Clint non aveva la più pallida idea di chi fosse stato tanto stupido da farsi convincere a far partecipare il proprio figlio a quella pagliacciata, ma non intendeva lamentarsene. I sei mostriciattoli uscirono dal recinto e si ricongiunsero ai genitori mangiucchiando quello che erano riusciti a salvare delle mele che i suoi dardi avevano spaccato in due con millimetrica precisione.

La banda si era rimessa a suonare canzoni movimentate e allegre, e i crocchi di ragazze ballavano tutt'intorno, mentre si avvicinava la quarta ed ultima fase dell'esibizione. Un paio di ragazzi l'aiutarono a recuperare le frecce scoccate fino a quel momento, e infine un terzo gli condusse il proprio destriero: le sagome di legno erano state rianimate per l'occasione. Avrebbe semplicemente dovuto colpirle tutte stando in sella al cavallo. Niente di più semplice.

Si issò in groppa all'animale, spronandolo immediatamente per un giro di prova a ridosso della recinzione. I pannelli di legno, azionati dall'ingegnere, presero vita per la seconda volta. Clint imbracciò l'arco, incoccò l'ennesima e freccia e prese la mira. Inspirò ed espirò a fondo, ripetutamente, la corda tesa al massimo e pronta ad essere lasciata andare...

… ma non ebbe il tempo di farlo.

Un sibilo improvviso, estraneo, trafisse l'aria con un fischio. Il tempo parve rallentare mentre il dardo gli mancava la spalla per un soffio, continuando la sua inesorabile corsa da qualche parte, dietro di lui. Afferrò le redini del cavallo e lo obbligò a frenare e voltarsi, ma era troppo tardi.

La freccia trovò il suo obbiettivo e un grido di orrore si levò dalla folla degli spettatori.

Il capitano Rogers era in piedi davanti a lord Phillip, le spalle rivolte alla piazza e la freccia conficcata nell'uniforme militare all'altezza dei reni.

Bastarono pochi secondi perché la consapevolezza di quanto era appena successo scendesse sui presenti, scatenando il caos. Le donne presero a gridare e richiamare i figli, fuggendo il più rapidamente possibile dalla piazza. Gli uomini tentavano di non lasciarsi prendere dal panico, mentre la festa si trasformava in un enorme formicaio impazzito. Le banda avevano smesso di suonare, i venditori ambulanti si affrettarono a mettere al sicuro la merce, gli uomini di Rogers – ubriachi e barcollanti – abbandonarono le ragazze che stavano cercando di imbonirsi per accorrere al palco delle autorità.

Lì si trovava il capitano Rogers, una grossa macchia scarlatta che andava ingrandendosi sul rosso della sua divisa. Intorno, il capo della giustizia prometteva enfaticamente che avrebbe catturato i colpevoli di quell'increscioso incidente, il prete pregava incessantemente, lord Phillip e sir Derek aiutavano invece il tenente Wilson a soccorrere il capitano prima che fosse troppo tardi.

Clint spronò il cavallo fino al palco, nel momento esatto in cui Leopold si faceva strada sui gradini per raggiungere il ferito.

“Lord Phillip!” Richiamò l'attenzione dell'uomo, che però era troppo preso dallo sbraitare istruzioni a destra e a manca per potergli dar retta.

“Fate spazio! Fate spazio!” Esclamò sir Derek, lasciando che Leopold avesse la libertà necessaria ad accertarsi delle condizioni del capitano.

“Leo,” Clint insisté, sebbene il cavallo stesse cominciando ad agitarsi. “Leo, come sta?”

“Dobbiamo chiamare il chirurgo,” decretò solennemente il futuro prelato, facendo cenno al secondo in comando di Rogers di sostenere l'uomo. “Fate portare una barella!” Gridò strozzato, mentre lord Phillip si assicurava di ripetere il messaggio a chi di dovere.

“La freccia è avvelenata,” decretò Leopold, “non la toccate!”

“Avvelenata?” Sir Derek si allontanò in tutta fretta, tenendosi un fazzoletto su naso e bocca senza neppure aspettare una risposta.

“C'è un odore dolciastro di... di m-miele,” confermò Leo, sudaticcio e bianchissimo.

“Puoi fare qualcosa?” Clint domandò trafelato, il cuore che aveva preso a battergli all'impazzata nel petto. Qualcuno aveva approfittato della sua esibizione per distrarli a tal punto da attentare indisturbato alla vita del capitano. Da dove era arrivata la freccia? Possibile che nessuno avesse visto chi l'aveva scoccata?

“Se a-avessi qui le mie e-erbe potrei provare a p-preparare un antidoto,” balbettò.

“Dove le trovo?”

“Sono nel baule ai piedi del letto nella mia stanza!” Strillò, sempre più agitato dal caos che gli si stava muovendo attorno.

“Torno subito,” Clint lo rassicurò, prendendo un'improvvisa decisione.

“Clint!” Leo lo richiamò prima che potesse lanciare il cavallo in corsa. “Questa è una delle tue frecce!”

La faccia rossa e sconvolta del cugino gli fece scendere il gelo nello stomaco, ma non c'era tempo di riflettere o pensare. Quello che contava, adesso, era salvare il capitano Rogers. Decise di riordinare rapidamente le sue priorità e gli risolve un cenno affermativo, prima di spronare il cavallo in un celere galoppo che lo portò oltre lo spiazzo recintato e poi in una folle corsa contro il tempo.

 

*

 

Raggiunse nuovamente il villaggio che la confusione pareva essersi ridotta in tutta la piazza, fatta eccezione per la zona circostante il palco della autorità. Scese da cavallo con un agile balzo, correndo a perdifiato verso il punto in cui il capitano Rogers era stato adagiato su una lettiga a pancia all'ingiù, la freccia ancora conficcata alla base della schiena in un lago di sangue. Leopold si era liberato del mantello nero e della giacca, le maniche della camicia tirate su fin sopra i gomiti e un'espressione seria e determinata ad accompagnare ogni suo gesto.

Non appena si accorse di Clint che gli veniva incontro, sbraitò ai presenti di lasciargli spazio e si rimise in piedi per intercettarlo a metà strada e strappargli la borsa delle erbe di mano.

“Forse c'è ancora tempo,” biascicò a mezza voce, tornando immediatamente al suo posto per miscelare sostanze e pestare erbe di cui Clint non conosceva neppure il nome.

L'ansia gli era montata nello stomaco come un fiume in piena, minacciando di sopraffarlo da un momento all'altro. L'immagine della freccia che gli sibilava accanto al viso continuava a tormentarlo; non aveva smesso neppure un secondo di rivivere la scena nella sua testa, sperando in un qualche miracolo che gli permettesse di scorgere chi l'aveva scoccata, da dove e perché.

“Che ci fai qui?” Antoine gli si era fatto di fianco, afferrandolo per un braccio, sudato e trafelato.

“Ho portato la bor-”

“Te ne devi andare. Torna alla villa e non ti muovere di lì,” decretò seccamente a dispetto dell'agitazione generale.

“Di che stai parlando?” Si era accorto della paura che gli animava lo sguardo, eppure qualcosa gli diceva che non aveva direttamente a che fare con la sorte del capitano Rogers.

“La gente è impazzita. Sono convinti sia opera della strega per via del veleno.”

“Che cosa?” Il pensiero di Natasha lo colpì come un cazzotto nello stomaco. “Lei non c'era neanche!”

“Credi che abbia importanza? Una freccia avvelenata che sbuca dal niente! Il fatto che non fosse qui la rende soltanto più colpevole ai loro occhi!”

“Non ha alcun senso, Antoine!”

“Frecce e veleno, Clint,” il figlio adottivo di lord Phillip lo fissò dritto negli occhi, facendosi improvvisamente supplice. “C'è chi pensa che tu fossi d'accordo,” gli rivelò.

“Che cazzo stai dicendo?” Lo shock lo percorse come un fulmine.

“Lo so che sono tutte fandonie, ma c'è chi giura di averti visto nel bosco con lei!”

“Anche se fosse vero non significa che ci siamo messi d'accordo per uccidere Rogers!” La replica indignata non gli uscì così ferma come avrebbe voluto.

“Clint, dammi retta. Corri a casa e nasconditi finché le cose non si saranno calmate. Per la strega non c'è più speranza, ma p-”

“Di che stai parlando?”

“La gente! H-Hanno... hanno raccolto le armi e stanno marciando verso la casa del tagliaboschi per ucciderla.”

“C-Cosa? Non... non possono! Gli uomini di Rogers devono fermarli! Non possono ucciderla solo per una stupida allucinazione collettiva!”

“Gli uomini di Rogers sono più inferociti della gente del villaggio,” Antoine continuava a sperare di farlo ragionare, o almeno questa era l'impressione che gli stava dando. Ma niente di quella storia aveva alcun senso, e adesso – oltre al pensiero ossessivo del misterioso assassino – anche l'incolumità di Natasha si era imposta alla sua attenzione con sferzante urgenza. “Sono tutti ubriachi fradici, sono loro a condurre la folla!”

“Che... c-che cazzo stai dicendo?”

“Clint, devi nasconderti prima che decidano di rifarsela con te.”

Fu sul punto di ribattere, ma decise che non c'era più tempo da perdere, che se non si fosse dato una mossa avrebbero raggiunto Natasha, l'avrebbero circondata e dio solo sapeva cos'altro. Abbandonò Antoine in mezzo alla piazza, saltò nuovamente in sella al cavallo, lanciando entrambi lungo la strada principale ormai quasi del tutto sgombra, e poi verso il limitare del villaggio, i campi e il bosco. Un alone arancione si accendeva sulla sommità della sagoma scura degli alberi, segno che era stato appiccato un incendio. Possibile che avessero deciso di dar fuoco a strega e casa senza pensarci due volte? Possibile che la superstizione e la cieca ignoranza potessero portare a tanto?

Quell'ultima notte di maggio scendeva opprimente sulla poca distanza che lo separava dalla sua meta. Il vento gli sferzava il volto e i capelli, mentre l'eco lontana della folla che rumoreggiava cominciava a raggiungerlo. Varcò la linea degli alberi senza pensarci due volte, incitando il cavallo ad andare più veloce, a farsi strada tra la vegetazione sempre più fitta. Man mano che avanzava, la luce del fuoco andava facendosi più chiara, le voci più forti, il calore più insistente. E poi eccola, la folla assiepata davanti alla casa del tagliaboschi, ordinatamente disposta su quello che inizialmente gli parve un confine immaginario, ma che si rivelò essere un cerchio di fuoco che cingeva perfettamente la zona antistante l'abitazione.

“Fate largo! Fate largo!” Si fece strada tra la gente finché non ebbe raggiunto quel recinto infiammato che sbarrava il passaggio.

“Eccolo! E' l'arciere!”

“Assassino!”

“Figlio del demonio!”

Le accuse si moltiplicarono fino a ridursi ad un unico coro di insulti che andava fomentandosi da solo. La commozione generale ottenne l'effetto di far imbizzarrire il cavallo, che a malapena era riuscito a restare calmo alla vista del fuoco. Clint si vide costretto a smontare in fretta e furia, un attimo prima che l'animale lo disarcionasse per fuggire nitrendo lontano da quel caos infernale.

“Dove sono i soldati?” Tentò comunque di chiedere, sperando ci fosse qualcuno ancora sano di mente là in mezzo.

“La stanno facendo a pezzi, così come merita! Il suo stupido incantesimo non ha funzionato!” Gli rispose una donna con i capelli scomposti e una luce folle negli occhi.

“Non c'è stato alcun incantesimo!” Ribatté, nella disperata speranza di farli ragionare.

“Il cerchio di fuoco! La fattucchiera ha tentato di mettersi in salvo, ma i soldati erano già passati oltre!” Tuonò un uomo grasso e sudato che brandiva un forcone.

“Vi abbiamo visto, sapete? Il mio Peter vi ha visto!” Un'altra donna venne avanti per accusarlo, un poppante attaccato al seno e un figlio più grande appeso alle sottane, un'espressione colpevole sul volto.

“Visto cosa?” Di che diavolo andavano delirando?

“Le avete permesso di bere il vostro sangue e adesso vi ha in pugno!” Il vecchio che aveva parlato gli puntò contro il bastone di cui aveva bisogno per camminare. “Siete stato debole, ragazzo.”

“Non le ho permesso di bere il mio sangue! Ma che cazzo state dicendo?”

“E' inutile che mentiate! Il mio Peter vi ha visto!”

“Siete il suo schiavo!”

“Assassino! Eretico!”

“Lord Coulson avrebbe fatto meglio a lasciarvi morire impiccato!”

La massa ondeggiante si mosse all'unisono, minacciando di sommergerlo e sopraffarlo. Mille facce accese di vera e propria pazzia, mille mani che sembravano allungarsi per ghermirlo e afferrarlo, per trascinarlo nel baratro di superstizione e ignoranza in cui parevano sguazzare tanto comodamente.

Contemporaneamente un grido si alzò dalla casa del tagliaboschi in fiamme, un urlo talmente acuto che a malapena avrebbe potuto definirlo umano.

Non ebbe il tempo di pensare a niente di meglio: tra la folla che prometteva di stringersi e richiudersi su di lui e la preoccupazione per la sorte di Natasha, Clint finì per lanciarsi letteralmente oltre il cerchio di fuoco. Nel ricadere sul prato, ebbe appena il tempo di accorgersi di una sostanza vischiosa che imbrattava l'erba, prima di doversi occupare della giamberga che gli aveva letteralmente preso fuoco.

“Crepa, bastardo!” Strillò qualcuno dalla parte opposta.

“Va' all'inferno! Brucia!”

Gli insulti si riunirono nuovamente in un unico urlo che arrivò a colpirlo come uno schiaffo in pieno viso. Ma non c'era tempo da perdere: riuscì a salvare arco e faretra, ma dovette sbarazzarsi della giacca se non voleva ustionarsi. Si rimpossessò delle sue armi e si sbarazzò del fazzoletto che gli impediva di respirare, correndo in direzione dell'abitazione.

“Natasha!” La richiamò senza ottenere risposta, mentre il sussurro del fuoco sovrastava qualsiasi altro rumore. “NATASHA!”

La porta era stata divelta e gettata contro il muretto di pietra, un calore soffocante proveniva dall'interno della casa. Non si lasciò scoraggiare e varcò la soglia dopo aver incoccato una freccia, pronto a colpire se fosse stato necessario.

Ma allo spettacolo che gli si parò davanti non era preparato. Le fiamme che divoravano le quattro pareti, avevano attaccato il tavolo, la cucina, le scale, le porte, rendendo la consistenza dell'aria praticamente irrespirabile.

Un'ombra scura si muoveva agilmente in quell'inferno messo a ferro e fuoco. Si fermò di colpo, brandendo un'enorme spada. La sollevò sopra la testa e, con un tonfo sordo, la macchia rossa che aveva colpito crollò a terra. Solo allora si accorse che non era la sola, che ce n'erano altre sparse sul pavimento, dominate da quell'unica sagoma che ancora resisteva.

Le mani gli tremavano mentre metteva a fuoco la massa informe che giaceva ai suoi piedi: le fiamme già cominciavano a lambire i cadaveri straziati degli uomini di Rogers. L'odore del sangue gli si palesò un attimo dopo, persino più forte di quello di bruciato.

“Quella è per me?”

La voce di Natasha era un soffio basso in quella bolgia bollente. La consapevolezza che era rimasta informe, da qualche parte nella sua testa, fin dal primo momento che l'aveva incontrata, assunse improvvisamente contorni netti e decisi.

La donna svettava in mezzo alla stanza, i piedi nudi immersi nel sangue dei soldati uccisi, le gambe in parte scoperte dal lembo di gonna incastrato nella cintura per favorire una mobilità maggiore, il petto ansante nella camicia macchiata di rosso, le mani strette attorno all'elsa di una pesante spada che non aveva l'aria di appartenerle, ma che non faceva comunque alcuna fatica a brandire.

I contorni del viso delineati dalle ombre gialle, arancioni, rosse e nere che l'incendio le faceva danzare sul volto; le labbra piene e gli occhi verdi e terribili. Ma furono i capelli a sorprenderlo: la lunga treccia bionda – che notò a terra, nient'altro che una parrucca intrisa di sangue – era stata sostituita da capelli lunghi fino alla spalla, rossi come il fuoco che minacciava di ucciderli da un momento all'altro.

E mentre su quella chioma scarlatta si riflettevano le luci delle fiamme, Clint non poté fare a meno di pensare che la donna doveva essere davvero una creatura dell'inferno, che non sfigurava affatto in quel quadretto di morte e dannazione eterna, che anzi se ne sentiva come sopraffatto e dominato, quasi si fosse trovato in presenza di una divinità infera, potente e oscura.

“Se non lo è, ce ne dobbiamo andare,” riprese a parlare, apparentemente tutt'altro che scossa dal caos che imperversava loro attorno.

Avanzò verso di lui finché la punta della freccia ancora incoccata non le sfiorò il seno che per pochi centimetri.

“Barton,” lo richiamò all'attenzione. “Ce ne dobbiamo andare,” ribadì, cercando i suoi occhi ancora smarriti.

Gli bastò incrociare il suo sguardo, però, per capire che aveva ragione.

Riabbassò lentamente l'arco e annuì una sola volta.







Note: bè, come avevo promesso questo capitolo smuove di molto le acque e cambia decisamente le carte in tavola. Per chi si stesse chiedendo perché Natasha fosse bionda, la spiegazione è: una banalissima parrucca. Anche se questo significa che si sta nascondendo - il perché lo scopriremo più avanti. Clint, invece, ha davvero messo in atto la sua fuga - senza riuscire a trovare il coraggio di affrontare lord Phillip - anche se non come avrebbe voluto lui... e il caos e la superstizione l'hanno fatta da padroni. Per il resto non ho nient'altro da dire a parte specificare che Derek Bishop altri non è che il padre di Kate.
Per tutti gli altri misteri... ci vorrà pazienza :P
Per adesso ringrazio chi ha letto, chi ha recensito, chi si è fermato a spulciare, chi ha aggiunto la storia tra preferiti/seguiti, e ovviamente la sociabeta Eli.
Alla prossima settimana! 
(◡‿◡✿)
 
  
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