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Autore: Michan_Valentine    08/09/2015    3 recensioni
A volte anche gl'incubi senza fine possono incontrare svolte inaspettate.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucrecia Crescent, Sephiroth, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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I fumi dell’incoscienza si diradano. Ti trovi lì. Di nuovo. In piedi, accanto alle grosse finestre della Shinra Mansion. Sai ciò che sta per accadere. Rifiuti l’eventualità, ma non puoi evitarla. Artigli invisibili ti si serrano sullo stomaco.
 
Se sono sicura? Se sono sicura? Se la domanda riguarda solo me, allora sì, sono sicura!”
 
Il tono secco ti rimbomba nelle orecchie. Il significato delle parole nell’animo. E graffia fino a lasciare strie di sangue. Il tavolo che ti divide da lei sembra divenire addirittura insormontabile.

Il silenzio segue l’affermazione, anche se vorresti urlare. Le labbra, ti accorgi con sgomento, sono sigillate. Come sempre. Spettatore di un incubo a occhi aperti e senza fine. Di un viso bellissimo e tanto amato che ti si rivolge con durezza. Stenti a riconoscerlo, sopraffatto dal ricordo dei sospiri condivisi.

L’hai persa per sempre, l’hai persa fra le braccia di un folle che disprezzi e che ti considera niente. E assieme a lei hai perso anche te stesso.

Il cuore aumenta i battiti. Ti assorda. I contorni della stanza che conosci sbiadiscono e ti si stringono addosso, mentre la consapevolezza delle conseguenze si fa strada dentro di te e ti divora. Pezzo dopo pezzo.
 
Sì, sì! Un successo in questa sperimentazione giustificherà tutti i precedenti fallimenti! Un genio, ecco quello che sono. Un genio!”
 
Lei non c’è più. Ma lui è lì per te.

Si nasconde nell’oscurità e studia senza pudori la tua forma più vergognosa. Non puoi muoverti, non puoi nasconderti. Gode della tua impotenza, della tua dignità in frantumi. E l’oppressione che avverti - te ne accorgi solo in quel momento - è di vetro trasparente. Il lezzo è di disinfettante. Il gelo di lucido metallo. Il dolore è di pinze, aghi, bisturi e risate taglienti come lame. Ti s’infilano nella carne, nel cervello e iniettano veleno sconosciuto e corrosivo. Rabbia, paura. Odio. Ma è il senso di colpa che costringe le membra al tavolo operatorio. Che trattiene le urla di agonia in fondo alla gola. Meriti il tormento; e ciò ti arreca insperato sollievo. E beffarda speranza.

Moriresti per raggiungerla, ma la morte stessa ti rifiuta e t’incatena alla tua nuova condizione di non esistenza. Per un tempo troppo lungo perfino da concepire.

Inaspettatamente qualcosa ti tira per i capelli. Un tocco irrequieto, ma gentile.

Riprendi aria, schiudi le palpebre e la luce squarcia il velo dell’incubo. L’ultimo di una lunga, interminabile serie. Sei sdraiato supino nel letto, mentre il sudore ti si asciuga addosso. Ti guardi freneticamente attorno. Ad attenderti c’è il viso tondo di un bambino, che s’affaccia su di te e ti scruta da vicino con le sue iridi di giada. Stringe le manine attorno alle ciocche che ti cadono sulla fronte. Arriccia gli occhi, il nasino ed emette un suono entusiasta non appena si accorge che sei sveglio. Il sorriso ingenuo e infantile gli provoca piccole fossette sulle guance. Dalla bocca invece fanno capolino i suoi primi dentini. Gli stessi che vi hanno resi insonni per settimane – lo sai, senza bisogno di chiederti il perché.

“Ba! Paaa… pa! Pa!”

Sta chiamando te e il suono di quelle brevi, semplici sillabe ti scalda il cuore. Arricci leggermente le labbra verso l’alto e gli passi delicatamente il braccio dietro la schiena. Lo sostieni. E lasci che le sue manine ti esplorino il viso con curiosità.

Il profumo del caffè ti solletica le narici e attira improvvisamente la tua attenzione altrove. Qualcuno – lo senti soltanto in quel momento – sta intonando una nenia a labbra chiuse. Ne riconosci la voce – la riconosceresti anche in mezzo a mille. Eppure quando la vedi arrivare dalla stanza attigua quasi non riesci a credere che sia lei. E smetti di respirare.

Fra le mani tiene il vassoio con le tazzine. Deglutisci, incantato dalla sua immagine in veste da camera. E dal sorriso che ti rivolge quando solleva il mento e incontra il tuo sguardo. Senza timori. Senza vergogna. Persino il cuore potrebbe scoppiarti nel petto – anche se eri convinto di non averne più uno.

“Stanotte ti ha fatto penare, eh?” dice lei; e si siede sul margine del letto, accanto a te. Poggia il vassoio sul comodino e infila una zolletta di zucchero nella tazzina. “È un bambino capriccioso, non è così? Chissà da chi ha preso!” Ride, musica per le tue orecchie. “A un certo punto credo che tu abbia avuto un incubo… ma non ha importanza. Sei sveglio, ora, e ho fatto il caffè. Grazie per avermi lasciato dormire. Fra tesi e pannolini ne avevo un gran bisogno,” dice poi; e ti porge la tazzina.

Batti le palpebre, stordito e ancora un po’ incredulo. Poi ignori la bevanda e assecondi il bisogno più impellente di tutti. Sollevi il busto, allunghi la mano libera – intatta, priva di artigli, una mano umana – e le sfiori il viso. È tiepida e liscia come la ricordavi, forse di più. Lei arrossisce e schiude le labbra. Freme; e il caffè nella tazzina ondeggia. Copri la distanza che vi separa e la baci, affondi con le dita fra i suoi capelli castani, l’afferri per la nuca e la stringi a te. E per un attimo ti sembra di vivere un sogno. Di aver trovato la pace…

Apri gli occhi. Di nuovo. E stavolta sai che è vero. Il buio ti circonda. Sei solo nell’oscurità e tutto ciò che resta sono il silenzio agghiacciante e le quattro pareti del feretro in cui giaci. Spesse, ruvide. Reali. E il ricordo di quel sogno così vivido che si prende gioco di te, della tua mente. Delle tue percezioni. E puoi ancora sentire il sapore di quel bacio sulle labbra, le mani curiose del bambino sulla pelle. Il suono della parola “papà” nelle orecchie. Illusione di un pallido desiderio che non sarà mai. Un incubo – il peggiore – senza inizio e senza fine. Non per te. Il dolore ti assale con la consapevolezza, ma non c’è pace nelle tenebre. Solo altri incubi, annidati fra le piaghe del subconscio. Così pianti gli artigli, fendi l’oscurità e ad essa urli tutto il tuo cordoglio.
 
 
Thump. Thump. Thump. Screeeeeeak.
“Waaaaaaaah!”
“C’è davvero qualcuno qui dentro!”
“Ehi, ti senti bene? Hai fatto un brutto sogno? Cavolo! Doveva essere spaventoso! Guarda, a sentirti è venuta la pelle d’oca anche a me!”
A volte anche gl’incubi senza fine possono incontrare svolte inaspettate. 
 
Saaaalve! Vi ricordate ancora di me? ^^''' *sedie volanti e pomodori marci in faccia* °A°
Sì, ok, lo ammetto. Sono scomparsa. Purtroppo il periodo mi ha letteralmente uccisa e solo ora sto rientrando in carreggiata. Spero a breve di riprendere a scrivere come un tempo e di portare a termine i progetti lasciati in sospeso. >-< Questa cagat... ehm, questa roba qui è venuta fuori mentre cercavo disperatamente di ricordarmi - sì, ricordarmi - come si scrive. oo' Perciò prendetela come un esercizio mal riuscito con protagonista la mia vittim... ehm, il mio personaggio preferito! ^^' Il testo credo che racchiuda un po' tutte le mie ossessioni. xD Compreso Babyroth e Papincent! Lol. E sì, quella che parla alla fine è Yuffie. ùù Su per giù, quando il gruppo giunge nei sotterranei della Shinra Mansion, dice qualcosa di simile.
A parte ciò, è possibile che stasera pubblichi qualcos'altro. Di stupido, ovviamente. A quanto pare continuo a oscillare fra il drammatico e l'imbecille forte. ùù' Chiedo venia. Per il resto, chiedo ancora perdono;  cercherò di farmi sentire al più presto, fra recensioni ed mp! °A° Alla presto!
CompaH
   
 
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