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Autore: Urheber des Bosen    08/09/2015    2 recensioni
Era malato.
Non c'era modo di addolcire la medicina.
L'odio colmava ciò che l'amore si rifiutava di vedere. Bello, era il demonio che attraverso quegl'occhi gli sorrideva.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: AU | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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Nella notte ci sono anime inquiete. Quest’ultime avendo dormito troppo di giorno, perché annoiate, stanche o indesiderate, si svegliano. Scalpitando, pretendono di guardare in alto. Nessuno sa per cosa quegl’occhi compiono quello sforzo.Probabilmente gli autori stessi ne ignorano il significato. Ma è così, è un richiamo, forse una preghiera. Probabilmente in quella fredda notte di Gennaio, quel corpo inginocchiato alla finestra, pensava a Dio. Come non pensare al paradiso, guardando quelle luci? Quella sera erano così luminose da penetrare il gelido cielo tedesco. C’era un qualcosa nella sua testa, che a volte gli ricordava che quel gelo, quella lastra che non faceva penetrare neanche la luce, gli era entrata dentro. Come un parassita, aveva scavato ed era arrivato nel suo cuore. A volte, aggrappato ad una notte, quasi materna, sentiva di non poter vedere la luce. Faceva sempre freddo.  Ad un tratto, il bambino perso nella sua preghiera, sentì dei piedi. Erano veloci, correvano bisognosi di qualcosa. Sembrava quasi un insetto,  Gilbert non aveva paura, sapeva.
“Ho paura da solo”. Sapeva anche questo. Il suo fratellino odiava stare solo, sopratutto quando scendeva la notte. Biondo, come il sole, luminoso, in quegl’occhi c’era la luce, la luce di un azzurro perso.Come poteva amare la notte? Quest’ultima, buia era cieca, non avrebbe mai potuto vederlo ed inondarlo d’amore. Era indifferente, ecco perché a Gilbert piaceva. La sera non lo vedeva,e lui, con i suoi occhi si sentiva Dio.
“Vieni”.Non l’avrebbe mai lasciato solo. Gli prese la piccola mano e lo condusse accanto a sé.
La notte era cieca, non vedeva niente, ma i  fratelli  Beilschmidt si sentivano. Quel calore era così soffocante da dimenticar la luce.
In quel momento il bambino con gli occhi persi in un calore accecante, capì che l’unica cura per quel dolore in fondo al petto era Ludwig.
Per un attimo, solo per un momento volle stringerlo così forte da distruggerlo. Era così debole nelle sue mani, così piccolo. Innocente, lo amava, ignaro del ghiaccio. Forse, nella consapevolezza lo avrebbe amato lo stesso, perché lui era il sole. Gilbert lo odiò.
E quel dolore, la fitta s’intensificò.
“Scusa..” Faceva male. Dio, perché la notte non portava con sé il male. Lo abbracciò più forte, così intensamente da farlo scomparire, forse così l’avrebbe protetto dall’impenetrabile gelo.
“Non ti lascerò più solo Ludwig, specialmente quando arriva la notte” Le parole, velate di un enfasi quasi crudele, pretesero di uscire dalla bocca del bugiardo.
“Lo so..” Rispose il piccolo, che sembrava godere dell’invadenza del fratello.
Aveva la testa sotto il mento del maggiore. Vedeva il bianco, una neve vista in tempi felici. Gilbert aveva un odore così rassicurante da dimenticare la notte.
Lo proteggeva dal freddo. Ecco perché l’avrebbe seguito, perché l’amava, di un amore incondizionato dato dal legame di sangue. Erano una sfera, che era riuscita a ricongiungersi. Ludwig, a volte non riusciva a seguire il flusso dei suoi pensieri, ma li assecondava. Troppo affascinato dalla conoscenza che lo avrebbe fatto avvicinare sempre più a Gilbert.

Era stanco.
L’ansia l’aveva intossicato.
Non era sicuro del percorso che stava intraprendendo, certo vivere con suo fratello, all’inizio gli era parsa un ottima idea. Non solo avrebbe potuto evitare di trasferirsi ogni anno a causa del lavoro della madre, ma finalmente avrebbe ripreso i rapporti con Gilbert. Quando quest’ultimo si era trasferito per gli studi, gli aveva promesso che non si sarebbero allontanati. Era stata una menzogna. Gilbert non era un bugiardo, questo era scontato, era stata colpa delle circostanze. E’ impossibile mantenere inalterato un rapporto dopo tanto tempo e soprattutto tante ore di aereo.
Ludwig era finito in Italia.
Non gli piaceva l’idea di abbandonare la Germania. Non conosceva bene l’italiano, non gli era mai piaciuto. Forse troppo poetico, o forse poco pratico. Aveva preferito l'inglese. Alzando gli occhi su un cielo troppo chiaro, si maledì. In sedici anni di vita non aveva ancora imparato a prendere le giuste decisioni. Sua madre, con tono impregnato di isprezzo, glielo ripeteva spesso: Con questa testa non andrai da nessuna parte. Ghigno, preferiva l’immobilità, alla confusione. Odiava i cambiamenti, ma la sua vita sembrava dipendere da questi. Dalla morte del padre tutto era cambiato, soprattutto la madre.
Quest’ultima aveva dovuto prendere in mano entrambe le figure genitoriali. Ma, incapace aveva fallito in entrambe. Aveva interpretato il padre scialbo e la madre crudele. Eppure Ludwig l’amava. Di un amore semplice, quasi comprensivo per quell’essere troppo piccolo ed impacciato.
La donna odiava quel tipo d’amore, sembrava pietà.
Ecco perché quando il figlio gli aveva proposto qualla soluzione, lei non  aveva obbiattato. Era felice di poter avere una vita senza quella disgustosa pietà. Ombra della crudeltà di suo marito.
 
Ora per Ludwig tutto sarebbe cambiato. Forse non sarebbe stato più solo. Si ritrovò a pensare al suo unico amico:suo fratello. Non lo vedeva da quasi un anno, patetico. Non era una persona estroversa, anzi se avesse potuto si sarebbe volentieri sotterrato. Non amava particolarmente le chiacchiere, inutili si schiantavano sul suolo. In realtà non amava la razza umana. Complicata, aveva un sistema. Ludwig non l’aveva capito.
Forse Gilbert, con quel carattere aperto, quegl’occhi gentili, l’avrebbe inserito. Gli avrebbe spiegato le cose. Non l'avrebbe fatto sentire un emarginato, come amava fare loro madre.
Il biondo un po’ impaurito si guardò intorno, invano. L’aeroporto era troppo grande, dispersivo. Era solo, di nuovo, come sempre. Abbassò lo sguardo e poi... una voce. Quell’odore di casa, faceva caldo.
“Bruder…”Finalmente una parola in tedesco.
Le sue orecchie erano in festa, tuttavia non ebbe la forza di alzare lo sgurdo. C’era un qualcosa, una paura, che con alito crudele gli ricordava che era passato un anno. Che  forse tutto era cambiato.
Poi la sicurezza arrivò.
Quegl’occhi, così gentili e profondi non erano cambiati.
Sorriso, su un volto in lacrime.
Dio, il sole aveva iniziato a splendere.
Gilbert sentì un calore che credeva non esistere.
Non era riuscito a chiamarlo prima, la sua bocca si era asciugata. I suoi occhi erano rimasti pietrificati dinanzi a tanta bellezza.
Il suo fratellino era cresciuto. Bello, come lui non sarebbe mai stato.Era tutto ciò che Gilbert avrebbe voluto essere. Un angelo, quest’ultimo faceva tenerezza nel suo smarrimento.
Ingenuo, come il più bel dei cherubini, piccolo come l’aveva lasciato. La vita, quella stronza non l’aveva graffiato, le persone, quei bastardi non l’avevano avvelenato, e soprattutto la notte non l’aveva inghiottito
Puro l’aspettava.
Come i figli che attendono un padre attento.
Per un attimo, solo per un secondo si sentì Dio.
Notò il blocco di Ludwig e per tanto decise di corrergli incontro.
La sfera si era ricreata.
Il mondo aveva smesso di urlare.
La luce non bruciava più.
Purtroppo, Gilbert aveva riscoperto  quel calore.
Strinse fino a fargli male.
 
 
 
 
  
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