Un'infinità di motivi
«Un’infinità di motivi?»
La divertita domanda sorse spontanea e improvvisa nella penombra della
camera da letto, ruppe il silenzio della notte e richiamò in
tal modo l’attenzione di Caldina che sorrise in risposta,
stretta tra le sue braccia. Amava quando Rafaga gettava via la maschera
di calma e compostezza che era solito indossare: con lei le sue
sopracciglia si distendevano, i suoi nervi si rilassavano e i suoi
scattanti muscoli riposavano dalle fatiche.
Quando lui si spogliava dell’armatura era come se smettesse
le vesti di Capitano delle Guardie Reali e rimanesse soltanto
quell’uomo che lei aveva imparato a conoscere notte dopo
notte – ad amare giorno dopo giorno.
Caldina ammiccò, prima di protendersi verso il suo volto per
un bacio che lo lasciò stordito e a corto di fiato: premette
la bocca su quella già schiusa – pronta
– di lui, lo anticipò nel conquistarlo con la
lingua, lo sfidò e vinse quel breve ma intenso, tacito
duello contro il più grande mastro spadaccino di Sephiro.
«Mh» esalò, poi, in un sospiro
soddisfatto.
Accarezzò con le agili dita i suoi zigomi alti, arrossati
appena di desiderio e imbarazzo: Rafaga non era ancora abituato
all’intraprendenza delle donne a letto, né alle
effusioni in pubblico – Caldina era certa che non avesse
avuto molte e brave amanti.
Con un piccolo sogghigno decise di non cadere nella sua provocazione,
come ogni tanto faceva per il puro gusto di battibeccare tra le
lenzuola: ormai, nessuno dei due sentiva più il bisogno di
troppe parole, troppi sguardi, troppi gesti – era
un’intimità diversa,
sconosciuta.
C’era stato un tempo in cui lei aveva vissuto solo per i
soldi, unico sostentamento di una ballerina incantatrice, e lui aveva
votato la sua vita alla spada e all’importante compito
assegnatogli.
C’era stato un tempo in cui lei aveva aiutato Zagato contro
quelle tre mocciose che adesso si facevano quasi ammazzare ad ogni
scontro soltanto per salvare le chiappe a tutti loro, e lui era stato
soggiogato per venire meno al proprio dovere, macchiando
così quell’onore che gli era sempre stato
riconosciuto.
E c’era stato un tempo in cui aveva tratto un malsano
divertimento dall'incantare e così illudersi –
sciocca e avida bambina nel desiderare –, per poi rompere
l’incanto e ritrovarsi a contare del denaro, prezioso e
più importante. Rafaga, invece, si
asserviva alle sue
carezze senza costrizione alcuna, ma soltanto per amore e desiderio di
lei, con una naturalezza tale da disarmarla, da abbattere con un
semplice sguardo ogni difesa.
Non aveva mentito. I motivi per i quali aveva smesso di viaggiare
– per i quali aveva perso la voglia di viaggiare –
erano molteplici, impossibili da elencare, da contare: Ascot, Sephiro
stesso.
E quel calore che iniziava quasi a bruciare sulla pelle scura ad ogni
carezza ruvida delle sue mani, letali se strette attorno
l’elsa di una spada.
E quelle umide labbra che sentiva scendere e salire con estenuante
lentezza: Rafaga aveva una pazienza innata, forgiata da anni di
servizio, così solida da farla spasimare quando si immergeva
nell’impresa – inaspettatamente e piacevolmente
esperto.
E quel rossore timido che nasceva per dei gesti spontanei con cui lo
sorprendeva sempre più spesso, incapace, lei, di nascondere
quello strano e pazzo sentimento.
E quei capelli biondi – lucenti come il sole che batteva con
forza sulle distese sabbiose di Chizeeta – in cui amava
intrecciare le dita, tirando talvolta alcune ciocche perché
era troppo ma mai abbastanza.
E quegli occhi che richiamavano l’azzurro limpido del cielo
di Sephiro prima della scomparsa della Colonna: quando li sentiva su di
sé, i muri, che istintivamente e ormai per abitudine ergeva,
crollavano miseramente, frantumandosi in polvere sottile che veniva
spazzata via dal suo caldo e affannoso respiro.
E quella pelle frastagliata da cicatrici vecchie e nuove, che lei si
premurava ogni volta di riempire di attenzioni, calda e imperlata di
sudore.
E quel corpo prestante, da guerriero, che la sovrastava e la avvolgeva
come la più morbida delle coperte.
E quei fianchi forti che cingeva con le gambe in un caldo e voluttuoso
abbraccio, impegnati a dettare il ritmo dell’unica danza che
lui sapeva condurre magistralmente.
Rafaga rappresentava quell’infinità di motivi che
non era riuscita a spiegare ai Cavalieri Magici, intimidita da
sentimenti che nacquero con un semplice sguardo, sbocciarono nel loro
primo bacio e maturarono notte dopo notte – insieme ne
coglievano i frutti.
«… Un’infinità di
motivi» mormorò, sfiorando con le labbra
piene e
il respiro fremente la sua pelle all’altezza del cuore, che
batteva forte.
Rafaga sorrise con il volto nascosto nei suoi capelli rosa, sciolti dal
fermaglio con cui era solita alzarli in una coda, e non le diede
più alcun motivo di distrazione.
Caldina lasciò uscire un gemito soffocato: tutti al castello
sapevano ormai cosa accadesse nelle stanze del Capitano delle Guardie
Reali, ma il mantenere segreta quella relazione era ancora un gioco
troppo allettante che la divertiva più delle carte e dello
spogliare di soldi e averi i poveri, disgraziati, sfidanti.
Quello, e un’altra infinità di motivi.
Ehilà :) Spero la lettura
sia stata piacevole! Grazie per
essere passati di qui ♥
Mia prima volta che scrivo su Magic Knight Rayearth e che mi cimento a
scrivere su una qualsiasi opera delle CLAMP in generale xD Diciamo
anche che è la prima volta che provo questo genere
un po’ lime ^^’ Spero di non aver combinato un
disastro >_<
Il titolo e il motivo portante di tutto questo momento Caldina/Rafaga
sono presi dalla seconda serie della versione manga
dell’opera, ovvero dalla risposta che Caldina dà a
Hikaru (e in generale ai Cavalieri Magici) quando le viene chiesto come
mai si sia fermata a Sephiro. Ho solo immaginato un momento postumo a
quella scena carinissima :3
Calime