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Autore: Mad_Dragon    10/09/2015    0 recensioni
La storia di un Cavaliere di Berk e del suo drago tra battaglie, giuramenti, amori e la vera conoscenza di sé e dei suoi compagni di squadra, fino alla scoperta di un terribile segreto e ciò che ne conseguirà.
Aggiornamenti irregolari, spiegazioni all'interno del capitolo XXV
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dagur 'Lo Squilibrato', Hiccup Horrendous Haddock III, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A dragon and a Trainer's path'
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Capitolo XXIV
- Oscura come la morte parte 2 -
 
Raffiche di vento polare sferzavano il volto di Hiccup arrossandogli gli occhi e screpolandogli le labbra. Il ragazzo arrancava a fatica nella coltre di neve bianca che gli arrivava quasi all'inguine. Si strinse ancora di più nel cappotto di pelliccia prima di voltarsi verso Moccicoso attirato dalle ingiurie che quest'ultimo gli stava rivolgendo.

"Hai freddo Moccicoso?" chiese Hiccup accompagnando la domanda con un sorriso sarcastico.

"Non fare troppo lo spiritoso" rispose a tono Moccicoso, raggiungendo a fatica l'amico. "Ti prego, dimmi perché, tra tutte le dannate isole di questo mondo, hai scelto proprio ammasso di neve per incontrare quei tizi" aggiunse poi mentre riprendeva fiato. Hiccup sbuffò, lanciando uno sguardo annoiato al suo compagno di viaggio. Dopodiché, liquidò la domanda fattagli raccontando come aveva incontrato la tribù dei ghiacci che aveva accettato di custodire l'uovo di Linguadorata e che erano stati loro ad imporre le condizioni di quello scambio, le quali infastidivano molto anche lo stesso Hiccup. Tuttavia, il ragazzo non aveva nessuna intenzione di disattendere i punti del loro accordo e che non aveva voglia di far aspettare quelle persone un minuto in più del dovuto.

"Quindi, se non ti dispiace, aumenta il passo" disse il moro poco prima di ricominciare la sua marcia forzata, concludendo così il discorso.

"Se hai davvero così fretta, perché non usiamo i draghi?" chiese Moccicoso mentre affiancava l'amico.

"Diciamo che queste persone non sopportano la loro presenza" spiegò Hiccup prima di coprirsi metà faccia con la sciarpa per schermarsi dal freddo. Per un attimo, Hic rabbrividì al ricordo del primo incontro che aveva avuto con la gente dei ghiacci e di come erano arrivati vicini ad uccidere Sdentato con le loro armi prima che il Dominatore dei Draghi riuscisse a fermarli.

Mentre vagava per quella landa innevata, i pensieri di Hiccup si concentrarono sul mistero che avvolgeva il suo uovo e il suo collegamento con quei Sigilli per cui la squadra di Karl aveva rischiato, in un modo o nell'altro, la vita: non aveva trovato molte informazioni riguardanti quei mistici oggetti escluse quelle che avevano rintracciato ad Uppsala. Invero, le sue ricerche erano state rallentate più e più volte dal continuo flusso di responsabilità affidategli da Stoick, doveri di cui Hiccup avrebbe fatto volentieri a meno. Il ragazzo non si sentiva affatto pronto per succedere a suo padre come guida del suo popolo, di quella che era diventata la sua famiglia. Sapeva che questa sua reticenza addolorava Stoick, il quale, ormai prossimo ai cinquant'anni, si sentiva ogni giorno più stanco e la vicenda in cui erano stati catapultati contro la loro volontà dalle macchinazioni del Fato non faceva altro che sfibrare ulteriormente il Capo Villaggio, eppure Hiccup non riusciva ad immaginarsi sullo scranno di Stoick.

Ad Hiccup piaceva esplorare quel mondo immerso immenso in cui viveva e viaggiare sul dorso di Sdentato sospeso tra il mare e il cielo. La sensazione che provava durante i suoi voli non poteva essere paragonata a nessun'altra emozione. Solo l'amore che provava per Astrid superava in forza ed in piacere quella sensazione. D'un tratto, il volto imbronciato della ragazza comparve davanti agli occhi di Hic, procurandogli una dolorosa fitta alla bocca dello stomaco a cui il ragazzo diede il nome di "senso di colpa". Lasciare Astrid a custodire i draghi era stata una scelta molto sofferta, ma il moro non poteva permettere a delle persone con cui aveva avuto così pochi contatti le facessero del male. Tuttavia, scegliere Moccicoso come accompagnatore si era rivelato una dura prova per i nervi di Hiccup.

Dopo quasi due ore di viaggio, il duo raggiunse una piccola spianata tappezzata da diverse macchie di muschi e di licheni che spiccavano vistosamente rispetto al monotono manto bianco che avvolgeva tutta l'isola. Il vento andava scemando e una sottile nebbia aveva allungato le proprie membra su quella zona, riducendo anche se di poco il campo visivo dei due Cavalieri. Dopo un paio di minuti, dalla cortina di nebbia spuntarono tre figure avvolte in abiti di pelliccia di un animale sconosciuto ai due Berkiani, i quali provarono una certa invidia per quegli indumenti che sembravano piuttosto caldi. In testa al terzetto c'era una figura piuttosto alta avvolta in un abito decorato dai alcuni fili dorati ricamati lungo le braccia che avanzava nella neve aiutandosi con un lungo bastone intarsiato e decorato da anelli metallici disposti in maniera regolare lungo tutta l'asta e sulla cui punta svettava una lunga lama ricurva. Il proprietario dell'arma abbassò il cappuccio, rivelando un grazioso volto femminile dai lineamenti orientali: i capelli neri erano stati raccolti in una crocchia che lasciava libere solo due ciocche che ricadevano in maniera simmetrica lungo il viso; un paio di orecchini non troppo elaborati le adornavo le orecchie. La donna, seguita dai due suoi compagni di viaggio, s'inchinò e disse:" Salute a te, Domatore dei Draghi"

"Salute a te, Fen dei Ghiacci" disse Hiccup mentre s'inchinava a sua volta, esortando con un veloce movimento del braccio Moccicoso a fare altrettanto.

Ad un cenno della donna, i suoi compagni, i cui volti erano ancora celati dai cappucci, si avvicinarono ai due Cavalieri e depositarono ai loro piedi un forziere di medie dimensioni.

"Vorrei che potessimo parlare un po' di più, Hiccup" disse Fen mentre si calava nuovamente il cappuccio sugli occhi. "Ma il fato ci è avverso. Le nostre sacerdotesse mi hanno detto che il destino di quel cucciolo sta per compiersi" aggiunse poi assumendo un tono quasi greve.

"Quanto tempo abbiamo?" chiese Moccicoso, spaventato dal tono della donna.

"Non posso dirvelo con certezza, ma possiamo presumere ragionevolmente che avverrà tra qualche mese"

"Combatterete al nostro fianco?" chiese Hiccup mentre prendeva il forziere.

"No" rispose secca Fen, mascherando abilmente un certo rammarico nella sua voce. "Fin dalla notte dei tempi, la mia tribù si è sempre dichiarata neutrale e io non ho nessuna autorità per infrangere questa tradizione" aggiunse poi a mo' di scusa.

"Ti ringrazio comunque per aver custodito l'uovo" disse Hiccup prima di avviarsi sulla via del ritorno, salutando Fen e i suoi accompagnatori con un inchino. Mentre camminavano nella neve, Moccicoso chiese al moro come intendesse combattere una minaccia di cui non sapeva nulla.
"Non ne ho idea, Moccicoso. Non ne ho la più pallida idea." Questa fu la sua risposta.

***

La primavera sembrava essere arrivata da molto tempo nelle isole che Willow e Caleb aveva attraversato: i terreni erano ricoperti da un manto i erba i cui colori passavano dal verde più pallido a quello più scuro simile alla tonalità delle pietre che adornavano i gioielli delle donne dei miti; le foreste ritornavano alla vita e le fronde degli alberi erano adornate con fiori colorati e profumati. Caleb fu investito dalla potenza di questo ambiente quasi idilliaco: non essendo abituato a vedere tutte quelle sfumature, il ragazzo perse diverse ore ad osservare le piante e gli animali di quei luoghi. Il ragazzo era affascinato da quell'ambiente e segnò diverse osservazioni riguardanti piante e creature su un piccolo taccuino che si portava sempre con sé.

Willow, che si era rivelata piuttosto intransigente riguardo alle scadenze durante quei mesi a Berk, si lasciò travolgere dall'entusiasmo del ragazzo tant'è che decise di mostrare a Caleb alcuni luoghi caratteristici di quelle isole che aveva visitato molte volte durante la sua infanzia. Lo portò su una grande scogliera contro la quale il mare s'infrangeva con grandissima potenza; lungo il fianco della scogliera c'era una bellissima spiaggia dalla sabbia bianchissima. Il fondale era cosparso da una moltitudine di sassi levigatissimi che riflettevano i raggi del sole, trasformando quel piccolo golfo in uno specchio luminescente.

Il secondo luogo che visitarono fu una piccola cascata situata in un'isoletta minore. Essa era circondata da rocce e da alcuni cespugli. La cascata formava alla base una pozza d'acqua di medie dimensioni la quale poi sfociava poi in un piccolo rivoletto d'acqua. Quando i due arrivarono in quel luogo ameno, un cervo dal manto color nocciola stava abbeverandosi alla pozza. Caleb si chinò e, nascosta all'ombra di un noce, tirò fuori dalla tasca il suo taccuino e un carboncino, cercando di non fare il benché minimo rumore. Dopodiché, esortò con un gesto Willow ad abbassarsi con altrettanta cautela. La ragazza rimase ad osservare il suo compagno di viaggio: si focalizzò sulle mani del ragazzo, le quali si muovevano delicate ma al contempo veloci formando un complicato tratteggio intrecciato. La cosa di cui Willow si stupì maggiormente fu la minuzia di particolari che arricchivano il disegno rendendolo molto verosimile. L'occhio sano di Caleb schizzava con velocità impressionante dal cervo al foglio e viceversa in tempi brevissimi.

Willow non era riuscita a ricavare nessuna informazione riguardante l'incidente di Caleb: nonostante fosse riuscita ad integrarsi in tempi relativamente brevi nel gruppo compatto della seconda generazione, i Cavalieri si erano sempre mostrati reticenti a rispondere alle sue domande. "Caleb non ne ha mai parlato con noi. Quando si sentirà pronto, ci spiegherà tutto" era la cantilena che i cinque ripetevano laconicamente ogni qual volta che Willow accennava più o meno apertamente all'argomento. La sacerdotessa decise quindi di rinunciare a sollevare la nebbia che avvolgeva quel fatto per non rovinare il rapporto che si stava formando con quel gentile ragazzo. Dopo pochi minuti, il cervo se ne andò e i due ragazzi si accamparono sotto un grande albero. Mentre Caleb raccoglieva dei rami per accendere un piccolo falò, Willow si dedicò all'osservazione del taccuino del ragazzo: molti disegni erano incompleti, ma tutti mostravano l'alto livello che Caleb aveva raggiunto. La ragazza si focalizzò principalmente su uno dei diversi paesaggi che aveva trovato sfogliando quel taccuino: il disegno rappresentava uno dei litorali di Berk durante un tramonto. Sulla scogliera si ergeva una donna il cui volto non era riconoscibile.

"Ti piacciono?" chiese Caleb mentre appoggiava i rami all'interno del cerco di pietre che aveva radunato qualche minuto prima.
Willow sussultò e un rossore vivido, causato dalla consapevolezza di essere stata colta in flagrante, comparve sul suo volto. "Sono davvero belli..." ammise poi la ragazza, la voce che tradiva una nota di imbarazzo.

"Ho trovato una cosa nella foresta e..." disse Caleb, arrossendo vivamente quasi quanto Willow. "Ho pensato che... Insomma, che forse ti sarebbe p-piaciuto" aggiunse poi mentre porgeva alla ragazza un fiore colorato. La corolla era formata da diversi petali che formavano uno spettro delle sfumature dell'arancio. Willow spese alcuni secondi ad osservare quel piccolo fiore e ne annusò il profumo intenso ma allo stesso tempo delicato che le ricordava la fragranza del Biancospino.
Caleb era preda dell'ansia. "Cazzo, non le è piaciuto" pensò mentre cercava di recuperare un minimo di controllo. "Forse avrei dovuto aspettare ancora un po', eppure mi sembrava tutto così dannatamente adatto per un momento del genere..." rimuginò mentre si torturava le mani. Quell'attesa lo stava lentamente uccidendo.

"È bellissimo" disse Willow mentre aggiungeva quel fiore alla sua treccia. La ragazza si alzò e, a mo' di ringraziamento, diede un rapido bacio sulla guancia del ragazzo. Caleb non riuscì a credere a quello che gli stava accadendo: dal punto su cui le labbra di Willow si erano posate si propagò per tutto il corpo del ragazzo una strana sensazione che gli scaldò il cuore. Per un attimo, Caleb si sentì al settimo cielo e questo lo aiutò a dimenticare per diversi secondi la vera ragione per cui i due ragazzi erano in viaggio.

Il resto del pomeriggio passò in maniera talmente veloce che i due ragazzi furono presi alla sprovvista dal calare delle tenebre. Caleb si prodigò celermente per accendere il fuoco e per cucinare quelle poche provviste che erano rimaste. Willow fu comunque costretta ad intervenire per evitare che il cibo bruciasse. La cena fu piuttosto frugale ma i due riuscirono comunque ad apprezzare sia il cibo bruciacchiato qua e là che la conversazione che seguì quel pasto.

"Caleb, avrei una domanda da farti" disse Willow mentre rimescolava con un legnetto, cercando di disegnare qualcosa nel terreno soffice di quell'isola.

"Fai pure" disse quasi senza pensarci Caleb mentre riordinava i resti del loro bivacco.

"Il tuo occhio... Cosa gli è successo?"

Caleb si fermò per un attimo e il pacco che teneva in mano gli sfuggì dalle mani. Guardò Willow, la quale notò che nell'occhio sano del ragazzo albergava una strana ombra. La sacerdotessa si pentì di avergli fatto quella domanda e tentò d rimediare ma un lungo sospiro del ragazzo la fermò. Caleb raccolse il pacco delle vettovaglie e lo ripose nello zaino, dopodiché si voltò in direzione di Willow e disse:

"Conosci già la storia ufficiale, vero?"

Willow annuì. L'enfasi data a quel "ufficiale" risvegliò la curiosità della ragazza, cancellando per un lungo momento i rimorsi che aveva provato.

"Beh, non c'è nulla di vero in quella storia" disse il ragazzo mentre si sedeva alla destra dell'amica, obbligandola così a mantenere un contatto visivo permanente. Caleb slacciò il nodo della benda e ciò che mostrò a Willow distrusse in un attimo tutte le teorie che avevano affollato la mente della ragazza per tutti quei mesi. due cicatrici parallele attraversavano la parte di volto coperta fino a pochi attimi prima dalla benda partendo da poco sopra lo zigomo e finendo poco sopra la sopracciglia. La corvina allungò timidamente la mano per sfiorare quelle ferite e Caleb la incoraggiò prendendole gentilmente la mano e facendole toccare le zone che non gli procuravano dolore.

"Una notte, un ladro entrò in casa mia" incominciò a raccontare Caleb poco dopo aver lasciato la mano della ragazza. "Io mi ero svegliato perché avevo sete e lo vidi mentre cercava qualcosa di valore. Anche lui si accorse di me e iniziò a minacciarmi con l'attizzatoio che avevamo lasciato nel focolare..." Caleb si fermò e la sua fronte si corrugò. Era come se rispolverare quei ricordi gli procurasse un dolore sia fisico che mentale. Willow si affrettò a dirgli che non era necessario continuare quel racconto ma Caleb replicò dicendo che l'unico modo per superare quel trauma era parlarne il più possibile alle persone a cui si voleva bene. Si umettò le labbra e riprese a raccontare dal punto in cui si era interrotto:" Urlai per la paura risvegliando così anche i miei genitori. Prima di scappare, il ladro decise che meritavo una 'punizione' per quello che avevo fatto: mi colpì all'occhio con l'attizzatoio arroventato."
"Gothi riuscì a salvare sia me che l'occhio, anche se non funzione più come dovrebbe. Vedo tutto sfuocato ed è per questo porto sempre la benda. Per nascondere questa vergogna agli altri" aggiunse poi dopo una breve pausa.

Un lungo e pesante silenzio si posò su entrambi come una cappa di piombo e nessuno dei due trovò la forza per cercare di liberarsi dal giogo di quelle parole. Quel racconto aveva scosso profondamente Willow e, per diversi minuti, non riuscì a capire cosa potesse spingere un essere umano a comportarsi in quella maniera con un bambino spaventato. Ancora troppo abituata all'atmosfera ovattata della vecchia Uppsala, la ragazza non si era ancora abituata alle varie sfaccettature della sfera emotiva degli umani, alle varie sfumature che il male e la cattiveria delle persone potevano assumere. La sua mente fu attraversata da un lampo di genio: forse aveva trovato il modo per alleviare il dolore fisico di Caleb. Con un movimento rapido ma allo stesso tempo delicato, Willow posò due dita della mano sotto l'occhio ferito dell'amico e sussurrò parole che il ragazzo non comprese. Una strana sensazione, simile al sollievo che si prova quando viene applicato un balsamo ad una ferita, pervase il volto di Caleb, privandolo del dolore fantasma che l'occhio gli procurava. Guardò Willow stranito e la ragazza lo implorò con lo sguardo di non parlare a nessuno di quello che aveva fatto.
"Promesso" disse poco prima di abbracciarla, sussurrandole nel mentre un grazie all'orecchio. Per un momento, Caleb desiderò che quell'abbraccio durasse per sempre.

***

Nel momento esatto in cui Arcadia aveva varcato la soglia del tempio, la mente di Karl fu pervasa da una strana sensazione. Il ragazzo non sapeva definirla, era come se una tenaglia gli stringesse la bocca dello stomaco, procurandogli un pesante disagio. Dopo pochi minuti Karl decise di andare ad assicurarsi che Arcadia stesse bene. Scartando le strane creature a guardia del tempio, le quali si erano rivelate piuttosto lente, Karl s'infilò nello stesso cunicolo in cui era entrata Arcadia. Man mano che procedeva in quel corridoio, il ragazzo sentiva che quella strana sensazione si faceva sempre più forte e che si stava arrampicando sempre più in alto, liberandolo da quel fastidio che lo aveva pervaso precedentemente; cuore, polmoni, gola e infine testa furono toccati in rapida successione da quello che si stava trasformando in un fastidioso dolore che si depositò nella parte posteriore  del cranio, proprio sopra l'attaccatura del collo.

Karl sbucò in una stanza quadrata dal soffitto decorato con quello che un tempo doveva essere uno splendido mosaico ma che ora era stato quasi completamente rovinato dai ghiacci. Tuttavia, l'aria, al contrario di quella esterna, era molto mite, quasi calda. D'un tratto, il dolore si affievolì sempre più fino a scomparire del tutto; finalmente libero da quel dolore, Karl si dedicò ad esplorare la stanza in cerca di un qualche sbocco per altri corridoi. Non trovandone, il ragazzo si voltò e vide che anche la porta da cui era entrato era sparito. Preso da un senso di ansia che si faceva sempre più opprimente, Karl esaminò i mattoni che avevano ricoperto l'entrata cercando un qualche meccanismo che l'aiutasse a fuggire da quella stanza.

"È inutile" lo ammonì una voce proveniente dal fondo della stanza. Aguzzando la vista, Karl riuscì a notare una figura seduta in un angolo buio della stanza. La figura si alzò lentamente e altrettanto lentamente uscì dal suo cono d'ombra, rivelando così la sua identità: Bjorn squadrava Karl con uno sguardo sprezzante. Il biondo indossava una giubba senza maniche coperta da una corazza e un paio di pantaloni rivestiti dal ginocchio in giù con degli scrinieri. Da dietro la spalla destra spuntava l'elsa di una spada. "L'unico modo per uscire da questa stanza è superare una prove" disse Bjorn mentre estraeva la sua arma. "E credo che tu sia la mia prova" aggiunse mentre puntava la spada verso Karl, il quale rispose alla provocazione del suo avversario sguainando a sua volta la sua spada.

"Permettimi di farti una domanda prima di iniziare: perché fai tutto ciò?" chiese Berkiano mentre assumeva una posizione di guardia.

"Diciamo che ho un obbiettivo" rispose Bjorn continuando a mantenere un'espressione strafottente. "Conosci la storia dei Sigilli?" chiese il biondo a sua volta.

"So che possono aprire e chiudere la porta della dimensione in cui è stato rinchiuso un demone"

"Ma non sai che possono prendere il controllo su di esso!"

Bjorn coprì la distanza che lo separava da Karl con un balzo incredibile che spaventò Karl. Il biondo menò un fendente discendente che il suo avversario parò a fatica: Karl sentì riverbrare l'onda d'urto per tutto il corpo e fu costretto ad arretrare di qualche passo per potersi liberare della spada avversaria. I due si scambiarono alcuni colpi e Karl ne approfittò per studiare il suo avversario: la muscolatura non aveva subito grandi miglioramenti dal loro precedente scontro. Karl spostò poi la sua attenzione all'arma di Bjorn: la spada era corta e sottile e, ad uno sguardo meno attento, poteva sembrare più una daga. Il moro non riusciva a capire come fosse riuscito Bjorn a sfoderare un colpo così potente. D'un tratto un'intuizione attraversò veloce la sua mente: Karl sferrò un calcio al suo sfidante, il quale rotolò per un paio di metri per cercare di evitarlo. Il moro approfittò di quel momento di pausa per confermare la sua intuizione: aveva letto, infatti, che alcune persone grazie ad un incantesimo acquistavano una forza ed un'agilità strabilianti. Un'altra ipotesi andava formandosi nella mente di Karl, ma il ragazzo la scartò subito poiché la riteneva troppo assurda. Per un momento si era dimenticato che la parola "assurdo" in quei mesi aveva perso completamente il suo valore.

Nel frattempo, Bjorn si era rialzato e guardava con astio Karl, il quale notò che gli occhi del suo avversario avevano assunto una colorazione piuttosto strana: erano diventati color dell'ambra.

"Non può essere..." mormorò il moro mentre arretrava di qualche passo.

 "Allora non sei intelligente come dicono" lo schernì Bjorn. La sua voce era diventata ancora più profonda, quasi animalesca.

Il corpo del biondo fu scosso da uno spasso che lo costrinse a piegarsi in avanti. Il suo corpo iniziò a mutare e grida di dolore accompagnarono la trasformazione, fendendo l'aria e straziando le orecchie di Karl. Il volto del ragazzo si allungò, assumendo così una forma che ricordava molto quella di un lupo; i suoi denti si trasformarono in una schiera di zanne accuminate mentre le sue pupille si riducevano a due fessure nere in mare ambrato. La schiena s'incurvò e le unghie di Bjorn si allungarono trasformandosi in artigli micidiali. Completata la trasformazione, il ragazzo si rialzò e con estrema calma ripose la spada nel suo fodero, dopodiché ruggì facendo tremare ogni fibra del corpo di Karl.

"Hai paura Karl?" chiese Bjorn, incutendo ancor più timore nel suo sfidante.

Karl si maledì per essere entrato in quel tempio di notte. Sentiva che la paura si stava impadronendo della sua mente e fece di tutto per tenerla bada, ben consapevole del fatto che non poteva combattere contro Bjorn e contro sé stesso allo stesso tempo.
"No..." replicò mentendo spudoratamente. "Hai un potere magnifico e non lo usi per aiutare gli altri. Potresti procurare gioia alle persone, potresti essere amato..."

"Sta' zitto" latrò Bjorn poco prima di attaccare Karl, afferrandone la spalla destra e affondando gli artigli fino a sentire l'articolazione della spalla per poi scagliarlo contro la parete. "L'amore di cui tu parli non esiste!" urlò poi mentre affondava gli artigli ripetutamente nel corpo di Karl, macchiando la sua corazza del sangue del ragazzo.
"Esistono solo due cose in questo mondo: la paura e la riverenza che essa provoca" ribadì ancora Bjorn prima di sferrare l'ennesimo colpo che Karl riuscì a prevenire con un rapido fendente che squarciò la corazza di pelle del biondo, procurandogli anche un taglio che guarì quasi all'istante. Karl cercò di allontanarsi dal licantropo, aggrappandosi alla lama per attraversare la pozza di sangue che si era creata ai suoi piedi: le ferite continuavano a sanguinare ma il moro tenne duro nonostante la vista continuasse ad annebbiarsi. Cercò di tamponarsi una delle lacerazioni al petto mentre il suo respiro si faceva sempre più pesante. "Non voglio morire, non qui" pensò mentre una paura cieca si impossessava del suo corpo: Karl si sentiva come la preda conscia di non avere speranze di vittoria, mentre Bjorn aveva un'espressione ferale e allo stesso tempo tronfia. Quel bastardo si stava godendo quel gioco, assaporando ogni momento di sofferenza del Berkiano e soddisfacendo la sete di vendetta che aveva covato fin dallo loro primo incontro. Dagli occhi ambrati traspariva ancora l'odio che Bjorn provava per Karl, il quale decise di sfruttare quel sentimento per cercare di guadagnare tempo.

"Perché mi odi?" chiese Karl a fatica mentre un rivolo di sangue gli colava dalla bocca.
Quella domanda provocò una grassa risata a Bjorn, trasformata in un rantolo odioso dalla sua trasformazione. "Io non ti odio Karl" disse una volta ripresosi. "Io odio le persone come te, uomini e donne che, pur avendo i mezzi per imporsi sugli altri, non li sfruttano e si mettono al servizio dei più deboli diventando poco più che degli zerbini" aggiunse poi.

"Io non sono uno zerbino"

"O sì che lo sei" replicò il biondo. "Pensa per un attimo a quello che ti è successo in questo anno: le persone che ti circondano ti commiseravano"

Bjorn iniziò a camminare intorno a Karl continuando il suo discorso. "Mi sembra di sentire ancora le loro voci:' Povero ragazzo, due lutti così forti in così poco tempo.'. Karl, la loro pietà era intrisa di malvagità"
"Ma qualcosa poi è cambiato: tutti sono diventati gentili e affidabili, tutti erano pronti a tenderti una mano. Avevano, anzi, hanno paura di te perché hai domato un Ali Cremisi, una creatura che potrebbe spazzarli via in un secondo." A quel punto, Bjorn fece una lunga pausa per recuperare il fiato, poi indietreggiò e riprese il suo sermone:"Potevi avere la tua vendetta, ma hai deciso di diventare uno dei loro cani da guardia. E i cani da guardia non meritano di vivere!"
Il biondo scattò in avanti pronto a menare l'ultimo colpo di quel duello. Karl chiuse gli occhi e i suoi ultimi pensieri andarono ai suoi amici, ad Arcadia e alla sua famiglia. Per un attimo, il moro sorrise all'idea di poter riabbracciare il padre e il fratello. Ma quella possibilità sfumò poiché un tonfo sordo costrinse Karl a riaprire gli occhi. Il suo avversario aveva cozzato contro uno scudo di energia rossa che si era frapposto tra lui e Karl. Poco dopo, il moro si accorse che anche le sue ferite si erano miracolosamente rimarginate.

"Allora non avevi finito i trucchi a tua disposizione" si lamentò Bjorn mentre sguainava nuovamente la sua lama.

I due iniziarono nuovamente una danza mortale: le spade s'intrecciavano s'intrecciavano come serpenti attorno ad una preda in un miscuglio di colpi informi ma letali. Cozzavano tra di loro formando una melodia di strida e scintille, veloce ed incalzante come il più disinibito dei balli. Karl faticava a mantenere quel ritmo forsennato per colpa del dolore che proveniva dalle ferite appena rimarginate. Anche Bjorn respirava a fatica poiché aveva cominciato ad assumere sembianze sempre più umane, forse a causa dell'indebolimento dell'energia proveniente dalla Luna. Le forze stavano abbandonando il Rinnegato, ma egli decise comune di  tentare un ultimo, disperato assalto. Si lanciò contro Karl e lo ingaggiò in un corpo a corpo, sfruttando il rimasuglio della sua forza sovrumana per liberarsi di entrambe le spade. I due rotolarono per un paio di metri e il moro fu tempestato da una serie di pugni fino a quando non riuscì a ribaltare la situazione con un veloce colpo di reni. Iniziò a colpire Bjorn, caricando i suoi pugni con tutta la furia e la forza che aveva in corpo ignorando al contempo il dolore che si faceva sempre più sordo.

Un rumore sordo precedette l'apertura di una porta sul muro di destra. "Finalmente..." mormorò Bjorn mentre sgusciava via dalla presa di Karl, il quale gli chiese cosa intendesse dire.
"Boadicea ha concluso il suo compito" rispose il Rinnegato mentre si asciugava con il braccio un rivolo di sangue che gli usciva dal naso tumefatto. "Se fossi in te, andrei a cercare la tua amica... Sempre che sia ancora viva" aggiunse mentre recuperava la sua spada.
Prima di avviarsi all'esterno del tempio, Bjorn rivolse per l'ultima volta la parola a Karl:"Karl, oggi hai vinto tu, ma la prossima volta che ci scontriamo ti giuro che ne uscirai in un telo per morti"
Karl non diede peso a quelle parole e si lanciò a grande velocità lungo il corridoio che portava al cuore del tempio, pregando tutti gli déi che gli venivano affinché le parole di Bjorn riguardo Arcadia non fossero vere.     

***

Arcadia camminava lenta per il corridoio ghiacciato che lo spirito aveva creato solamente per lei, per permetterle di poter recuperare prima del nemico il Sigillo. Stringeva in una morsa letale l'arco che Karl le aveva regalato nel tentativo di sentire la presenza del ragazzo più vicina, per trarne il coraggio necessario per combattere contro il suo avversario. Si maledì per non aver portato con sé l'accetta o qualsiasi altra arma per potersi difendere in un eventuale corpo a corpo. Un passo dopo l'altro, i pensieri di Arcadia si affollavano sempre di più attorno a quella donna con cui aveva combattuto su quell'isola. Si ricordava dello sguardo furente che le aveva rivolto quando era riuscita a ferirla al fianco, di come aveva giurato di fargliela pagare. Per un momento, Arcadia ebbe il presentimento che fosse proprio quella donna il suo avversario. Rabbrividì al solo pensiero e cancellò quell'ipotesi dalla sua mente con un veloce gesto della mano.

La seconda persona attorno alla quale i suoi pensieri si erano affollati era suo padre: ormai Hiccup o chi per lui aveva già provveduto a catturare il suo falco messaggero e ad arrestarne il proprietario. Per un attimo i rimorsi attanagliarono il cuore di Arcadia, la quale si convinse che denunciarlo non era stata una mossa intelligente. Si diede della stupida per aver pensato ad una cosa del genere: suo padre non aveva agito correttamente, aveva tradito le persone con cui aveva condiviso i suoi momenti più belli e, cosa forse molto più grave, aveva tradito gli stessi ideali che aveva inculcato ad Arcadia con forza quando ella era ancora piccola, quasi un'infante. Doveva pagare perché aveva distrutto la sua famiglia. L'unica che si sarebbe rifiutata di credere ad una cosa del genere era la madre di Arcadia, una donna esile e dall'indole passiva che durante gli anni di matrimonio era diventata dipendente dal marito come un ubriacone dal vino. Ma alla fine anche lei se ne sarebbe fatta una ragione, Arcadia ne era sicura.

Dopo quelle che parvero ore, la corvina riuscì ad arrivare alla fine del corridoio. Sbucò in una piccola stanza anch'essa ricoperta di ghiaccio, solo che questo ghiaccio era stato levigato in modo tale da poter riflettere, seppur con qualche imperfezione, le persone e gli oggetti all'interno della camera; al centro della stanza c'era una stalattite sulla cui punta era stato incastonato il monile che lo spirito aveva mostrato ad Arcadia. La ragazza allungò con cautela la mano, arrivando a sfiorare con la punta delle dita solo per essere interrotta dalla foce fredda, anzi, glaciale di una donna. Dall'altre parte della stanza emerse Boadicea, la guerriera che aveva giurato di ucciderla. Camminava con un passo altero avvolta nella sua armatura di cuoio e, forse per intimidire ancor di più Arcadia, faceva roteare minacciosa la sua lancia. I capelli, biondi e stranamente più lunghi di quello che Arcadia si ricordava, erano raccolti in due lunghe code laterali che davano al suo volto candido un aspetto infantile.
Arcadia arretrò intimorita, stringendo ancor di più le dita intorno all'arco fino a farsi sbiancare le nocche. Era spaventata, non tanto dalla lancia della donna, ma dal suo sguardo che conformava un contrasto stridente col resto del suo volto: erano iniettati d'odio, un odio che sembrava più profondo di quello che Arcadia avesse mai osato concepire. Un sorriso malsano si dipinse sul volto di Boadicea mentre sferrava un fendente con la lancia che Arcadia parò a fatica con l'arca. La corvina prese le distanze dalla donna con una serie di acrobazie, dopodiché incoccò veloce una freccia e la scagliò contro la mano della bionda. Altre tre frecce seguirono la prima ma furono tutte evitate o deviate dall'arma di Boadicea. Arcadia tuttavia approfittò di un attimo di distrazione della donna per sferrare una serie di calci che la bionda riuscì comunque ad annullare.

"Mi piace la furia con cui stai combattendo" commentò Boadicea soddisfatta mentre si asciugava le gocce di sudore. "Potrei anche risparmiarti la vita" aggiunse poi mentre caricava un affondo.

"Questa volta ho qualcosa per cui vivere" replicò Arcadia poco prima di evitare il colpo rotolando di lato. Dopodiché, sferrò un colpo al ginocchio destro di Boadicea costringendola ad inginocchiarsi e poi la colpì con l'arco, sfregiandole il volto candido. La donna si rialzò, ricoprendo nel mentre di insulti la corvina, la quale conficcò una freccia nella spalla di Boadicea.

"Lurida puttanella" latrò la bionda mentre veniva colpita da una seconda freccia al braccio.

"Da che pulpito" commentò sprezzante la Berkiana mentre un sorriso di scherno s'impadroniva del suo volto.

Arcadia si voltò per afferrare il Sigillo quando fu colpita al fianco da qualcosa.  Un piccolo taglio sanguinante si era formato sul suo fianco sinistro e la causa era stata la lancia di Boadicea o, per meglio dire, Boadicea stessa. Con grande stupore, Arcadia si accorse che le sue frecce erano scomparse e che la bionda era libera, seppur ferita e sanguinante. La corvina fu costretta ad evitare un secondo colpo e si ritrovò contro uno dei muri di ghiaccio. La paura invase la mente della ragazza, la quale perse il controllo e si lasciò sfuggire di mano l'arco. Era disarmata e Boadicea l'avrebbe uccisa senza pietà, fregandosene di qualsiasi codice d'onore. Un sorriso macabro s'impossesso del volto della donna, trasformandolo in una maschera grottesca.

"Che fine hanno fatto le mie frecce?" chiese Arcadia, cercando di guadagnare tempo.

 "Lo spirito non ti ha spiegato cosa succede agli oggetti che vengono in contatto con queste mura, vero?" chiese a sua volta la bionda abbandonandosi poco dopo ad una risata inquietante proprio come il suo sorriso. "Quello che ricopre queste pareti non è ghiaccio, stupida" disse dopo essersi ripresa dalla risata. "È un materiale speciale che assorbe gli oggetti con cui viene in contatto. Ci vuole un po' di tempo, a seconda dell'oggetto" aggiunse poi.

"Hai vinto, prendi il Sigillo e vattene" disse Arcadia trattenendo a fatica le lacrime.

"Ho un'ultima cosa da fare" disse Boadicea prima di affondare con un solo colpa tutta la punta della lancia nello stomaco di Arcadia. La bionda ritirò l'arma e Arcadia sputò un grumo di sangue prima di accasciarsi a terra stringendosi lo stomaco. Dopo pochi secondi, una pozza di sangue inghiottì i capelli della ragazza, trasformandoli in un ammasso indefinito.

"Salutami il tuo ragazzo appena lo vedi" disse Boadicea dopo aver recuperato il Sigillo, abbandonando la stanza con un sorriso tronfio sulle labbra.

***

Piccole nuvolette di respiro condensato uscivano ad intervalli regolari dalla bocca di Karl, il quale stava combattendo contro le fibre dei suoi muscoli per poter proseguire quella corsa disperata. ogni passo provocava una fitta dolorosa che improvvisa si propagava per tutto il corpo del moro, arrivando più di una volta a mozzargli il fiato. La vista continuava ad andare e venire, come se il suo corpo stesse ancora subendo gli effetti del dissanguamento subito durante il combattimento contro Bjorn. Per un attimo, Karl si ritrovò a formulare teorie su quello scudo che si era formato proprio nel momento del bisogno: nel momento esatto in cui lo vide, il ragazzo fu travolto dalla stessa sensazione che aveva provato al contatto con il Sigillo rosso. Sentiva tuttavia che quello scudo fosse qualcosa di diverso, qualcosa di malleabile, qualcosa di vivo. Karl si chiese quale fosse la relazione tra quello strano bracciale e quello scudo. Fu tentato di fermarsi per poter formulare un'ipotesi o un qualsivoglia ragionamento logico su quel fatto, ma la figura di Arcadia si presentò con una forza impressionante nella mente del ragazzo costringendolo a continuare la sua personale maratona.

Arrivò nella stanza del Sigillo col volto ridotto ad una maschera di sudore e stanchezza. Si fermò e un dolore lancinante al fianco destro lo costrinse a piegarsi in avanti e quasi cadde. Dopo un paio di minuti si rialzò e quello che vide spezzò definitivamente il suo corpo. Alla vista delle condizioni in cui versava Arcadia Karl perse completamente il controllo del suo corpo: cadde in ginocchio mentre  un fiume di lacrime iniziò a sgorgare copioso dai suoi occhi. Si avvicinò al corpo dell'amata e lo accolse tra le sue braccia, stringendolo a sé mentre mormorava il nome di Arcadia seguito da una serie di singhiozzi. Urlò, liberando tutta la sua sofferenza in quell'acuto stridente. Strinse ancora di più il corpo di Arcadia ed iniziò a cullarlo, desiderando ardentemente che la Morte falciasse anche la sua anima.

I due rimasero in quella posizione per molto tempo tant'è che dalla piccola finestrella posta sopra allo strato di ghiaccio penetravano i primi, deboli raggi di sole. Una luce ancora più forte oscurò quei raggi, destando l'attenzione di Karl. Egli vide una donna avvolta in una veste candida vergata di nero. I suoi capelli erano lunghissimi e mossi da un soffice vento che aveva iniziato a soffiare poco prima della comparsa della donna; i suoi occhi erano completamenti neri, come nere erano le striature che attraversavano sia il volto che le braccia, segno che quella donna non aveva nulla di terreno. Si avvicinò ai due ragazzi con un passo leggiadro, stando attenta a non toccare il sangue quasi rappreso di Arcadia.

"Chi sei?" domandò Karl a fatica.

"Il mio nome non ha importanza" disse la donna mentre si chinava su Arcadia e posava una mano sul petto della ragazza. "Non toccarla!" esclamò Karl guardando con astio la donna.

"Non ho intenzione di farle del male" disse la donna. "Posso salvarla" aggiunse poi spiazzando Karl.

"Cosa?!"

"La tua amata non è ancora morta. La sua anima è ancora legata al corpo, anche se il legame si sta indebolendo sempre più" spiegò la sconosciuta. "Posso riportarla indietro" aggiunse poi.

"Ti prego, fallo"

"Calma ragazzo, voglio qualcosa in cambio"

"Cosa vuoi?"

"Voglio che tu diventi il mio Vassallo. Io ho sempre desiderato visitare il mondo ma posso apparire solo in questi templi. Giurandomi fedeltà, diverrai i miei occhi e le mie orecchie nel mondo esterno"

"Accetto"

"Non è una decisione da prendere a cuor leggero"

"La mia vita non vale nulla senza Arcadia. Ti prego, salvala"

La donna sospirò, dopodiché appoggiò nuovamente una mano sul torace di Arcadia. Una luce si sprigionò dalla mano dello spirito e, pian piano, il sangue cominciò a ritornare nel corpo della corvina. Il processo durò alcuni minuti e Karl sentì una strana ombra prolungarsi nella sua mente, nascondendosi in un angolo della sua mente e rifiutandosi di rivelare la propria identità. Una volta completata l'operazione, la donna si alzò e disse:" Appena avrete lasciato il tempio si riprenderà"
"Grazie"
"Non ringraziarmi, ho solo fatto la mia parte"

Detto questo, la donna svanì in una nube accecante lasciando con un gusto amaro in bocca.  
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+ Angolo dello scrittore in erba +
Quasi mi vergogno a scrivere questo piccolo spazio. Sono cinque mesi e dieci giorni che non aggiorno questa storia. Diciamo che ho avuto un blocco piuttosto duro che mi ha portato a riflettere su questo lavoro: Watst è un progetto ambizioso, forse fin troppo. Sono giunto alla conclusione che questa storia ha bisogno di molta più cura rispetto agli altri e che quindi non potrò postare capitoli in maniera continua. Questo non vuol dire che metterò in pausa questa storia, tutto il contrario, vuol dire che i capitoli saranno dilazionati nel tempo. Spero che continuerete a seguire comunque questa storia e vi invito a lasciare una recensione anche solo per esprimere il vostro disappunto riguardo a questa mia decisione.
Un saluto \0-0/
Rovo
  
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