[...] Si guardò un attimo nella vetrata di una vetrina: capelli corvini e lunghissimi da regina, gli occhi allungati e azzurri. Tratti metà orientali e metà occidentali, ma lei odiava questa prima parte di sé.
I lineamenti troppo simili a quelli di suo padre, inconfondibili. Solo gli occhi azzurri non erano da parte sua e Karis ringraziò il cielo per questo.
Nel pontile risuonavano solo i suoi passi che toccavano la superficie a grata di metallo, oltre le turbine rumorose dei palazzi.
Fece un lungo respiro e chiuse gli occhi per un secondo, ascoltò per un secondo il battito del suo cuore: si sentiva viva, era viva. Tutti gli altri che sottostavano alle stupide regole delle Autorità le classificava come cadaveri. Una specie di gioco che faceva sempre con se stessa: decidere chi era vivo e chi era morto.
Sotto di sé c’era il vuoto più completo, solo nebbia, ma lei non aveva paura. L’altezza non era mai stato un problema per lei.
Mentre camminava non fece a meno di notare lei era sola: nessuno osava trasgredire alle regole delle Autorità. Forse lei era l’unica ad averne il coraggio? [...]