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Autore: Elly Priest    12/09/2015    1 recensioni
[...] Si guardò un attimo nella vetrata di una vetrina: capelli corvini e lunghissimi da regina, gli occhi allungati e azzurri. Tratti metà orientali e metà occidentali, ma lei odiava questa prima parte di sé.
I lineamenti troppo simili a quelli di suo padre, inconfondibili. Solo gli occhi azzurri non erano da parte sua e Karis ringraziò il cielo per questo.
Nel pontile risuonavano solo i suoi passi che toccavano la superficie a grata di metallo, oltre le turbine rumorose dei palazzi.
Fece un lungo respiro e chiuse gli occhi per un secondo, ascoltò per un secondo il battito del suo cuore: si sentiva viva, era viva. Tutti gli altri che sottostavano alle stupide regole delle Autorità le classificava come cadaveri. Una specie di gioco che faceva sempre con se stessa: decidere chi era vivo e chi era morto.
Sotto di sé c’era il vuoto più completo, solo nebbia, ma lei non aveva paura. L’altezza non era mai stato un problema per lei.
Mentre camminava non fece a meno di notare lei era sola: nessuno osava trasgredire alle regole delle Autorità. Forse lei era l’unica ad averne il coraggio? [...]
Genere: Generale, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La città dormiva. L’oscurità della notte non riusciva a penetrare nelle luci artificiali di New Paris.
Oramai di Parigi solo il nome rimaneva, il resto era completamente scomparso.
Gli infiniti grattaceli non avevano né un inizio né una fine: lunghe colonne nere punteggiate dalle luci azzurrognole delle finestre.
L’odore di azoto e combustibile era palpabile nella foschia che avvolgeva tutto.
Non esistevano strade, solo lunghe rampe sospese che collegavano i grattaceli e i pontili dove la gente comune camminava ogni giorno.
Ora non c’era nessuno: l’ora del coprifuoco era scattata da un bel pezzo, ma lei era ancora là.
Karis camminava sulle larghe tubature dell’ aria che collegavano i palazzi, sapeva che era pericoloso. Se l’avessero scoperta, sarebbe finita in guai seri. La legge era chiara: “Chiunque sia trovato in strada dopo il coprifuoco sarà arrestato, picchiato e perseguito penalmente”.
-Stronzate…
La ragazza si aggrappò a dei fili di acciaio pendenti dal pontile che stava sopra di lei e si sporse in avanti.
Guardare la città da quella prospettiva era una cosa che le era sempre piaciuto, poteva vedere in lungo e in largo gran parte della città: una ripetizione continua di grattacieli e costruzioni altissime che si alzavano dalla terra che non si vedeva.
Laggiù vivevano gli Hurai, gli inesistenti. Suo padre le raccontava sempre che a terra ci finivano le persone espulse dalla società, che non avevano più il diritto di vivere nei palazzi Alti.
Karis non capiva quel terribile concetto: i ricchi abitavano nei piani superiori, i poveri in quelli più vicini alla terra, i palazzi Bassi.
Chi non poteva nemmeno vivere nei palazzi Bassi era un Hurai: ecco la scala gerarchica che regnava a New Paris.
Si sistemò la maschera a gas sul viso, i vapori tossici della parte intermedia della città erano più forti che in quella alta della città e lei non era abituata.
Più si scendeva verso terra e più gli acidi del vapore erano invasivi.
Karis si chiese come gli Hurai potessero sopravvivere sulla terra.
“-Non sono più umani, ecco come… Se sei uno di loro, non sei più da considerare come una persona.”
Suo padre era stato molto chiaro al riguardo, anche perchè a lui non piaceva parlare di quell’ argomento in particolare.
Guardò l’ora: le tre del mattino, si era fatto troppo tardi.
Si sganciò dai fili metallici e cominciò ad incamminarsi verso casa.
Sotto di sé c’era il vuoto più completo, solo nebbia, ma lei non aveva paura. L’altezza non era mai stato un problema per lei.
Mentre camminava non fece a meno di notare lei era sola: nessuno osava trasgredire alle regole delle Autorità. Forse lei era l’unica ad averne il coraggio? Oppure non sapeva solo dove trovare le persone?
Alla fine della tubatura, fece un salto atterrando sul pontile più in basso.
Atterrò con un clangore metallico sotto i suoi stivali ed iniziò ad incamminarsi verso casa.
Tutto era spento e morto, nessun segno di vita. In quei momenti si sentiva la persona più sola che ci potesse essere. Nessuno con cui condividere queste esperienza, nessuno con cui parlarne.
Si guardò un attimo nella vetrata di una vetrina: capelli corvini e lunghissimi da regina, gli occhi allungati e azzurri. Tratti metà orientali e metà occidentali, ma lei odiava questa prima parte di sé.
I lineamenti troppo simili a quelli di suo padre, inconfondibili. Solo gli occhi azzurri non erano da parte sua e Karis ringraziò il cielo per questo.
Nel pontile risuonavano solo i suoi passi che toccavano la superficie a grata di metallo, oltre le turbine rumorose dei palazzi.
Fece un lungo respiro e chiuse gli occhi per un secondo, ascoltò per un secondo il battito del suo cuore: si sentiva viva, era viva. Tutti gli altri che sottostavano alle stupide regole delle Autorità le classificava come cadaveri. Una specie di gioco che faceva sempre con se stessa: decidere chi era vivo e chi era morto.
Persa tra i suoi pensieri e con le mani in tasca, non si rese conto di essere quasi arrivata a destinazione. Un grande cilindro di metallo si ergeva davanti a lei, tanto lungo che non si vedeva la fine né l’inizio.
Come qualsiasi cosa in questa città…
Karis osservò per diversi attimi il piccolo display accanto al cilindro, l’immagine di una persona continuava a lampeggiare sotto una scritta: Ricercato, vivo o morto.
Tratti fini ma allo stesso tempo duri, da adulto. Ma non poteva avere che qualche anno in più rispetto a lei. Capelli neri, tratti orientali, occhi scuri. Ma la cosa che più la colpì era lo sguardo penetrante che aveva. La ragazza si sentiva oltrepassata da quegli occhi, anche se l’immagine era dentro alo schermo.
Senza pensarci troppo, passò il polso sul display: il bracciale riconoscitore era l’ultima trovata di suo padre per tenerla d’occhio, solo che lui non sapeva che Karis l’avesse hackerato per non lasciare traccia dei suoi spostamenti. Ma il riconoscimento funzionava comunque: un sistema complesso che le aveva insegnato un amico della città Bassa.
Dopo qualche secondo, il cilindro si aprì rivelando un ascensore.
Riluttante si guardò dietro. L’ultimo sguardo alla città morta, prima di andare  dormire.
Le porte si chiusero e a malincuore l’ ascensore prese a muoversi verso l’ alto.
Ora era di nuovo a “casa”: la città Alta, la sede delle Autorità.
La sede di suo padre.
   
 
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