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Autore: Hermione Weasley    15/09/2015    3 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5

~

 

La cima di un campanile svettava tra le ombre notturne in fondo alla vallata. Avevano camminato per tutta la notte: se Clint non avesse avuto gli avvenimenti della sera precedente a vorticargli rabbiosamente davanti agli occhi, si sarebbe lasciato vincere dalla stanchezza molto prima di raggiungere la meta. A dirla tutta, non aveva neppure una pallida idea di dove fossero diretti. Senza rendersene conto, si era affidato completamente a Natasha; era ancora troppo scosso e confuso per mettersi a pensare ad un piano alternativo o a chiederle dove stessero andando. In fin dei conti, continuava a ripetersi, non aveva alcuna importanza.

Il male ai piedi, però, quello cominciava a farsi sentire. L'opaco susseguirsi degli eventi non aveva smesso un secondo di tormentarlo. Ricordava a malapena di essere rimasto a guardare mentre Natasha recuperava quel poco che avrebbe potuto salvare dall'incendio, di averla vista scomparire al piano di sotto e poi ritrovarsela sotto gli occhi vestita di tutto punto in abiti decisamente più consoni ad una fuga. Si era gettata un lungo mantello sulle spalle, coperta i capelli – rossi come il fuoco che li aveva circondati – con l'ampio cappuccio di cui era fornito, procurandogliene uno perché facesse altrettanto.

Erano usciti dalla casa del tagliaboschi attraverso la porticina sul retro, dove il cerchio ardente che circondava la costruzione lasciava aperto uno stretto varco che li aveva condotti fin nel cuore del bosco. La determinazione della donna era tanta e tale che non aveva potuto fare a meno di affidarlesi completamente. L'istinto gli suggeriva di seguirla e quello aveva fatto, avendo appena la prontezza d'animo di dirle che se avessero deviato solo un poco verso est sarebbe riuscito a riprendere la borsa che aveva preparato in vista della sua partenza da villa Coulson. Natasha non aveva fatto domande, ma l'aveva accontentato.

Adesso la sacca gli sbatteva fastidiosamente sulla schiena ad ogni passo. Il mantello pareva essersi impregnato dell'umidità di cui era carica l'aria, minacciando di trascinarlo giù da un momento all'altro. Di parole ce n'erano state poche, di circostanza. Se doveva essere sincero non sarebbe neppure riuscito a richiamarle alla memoria.

Solo il paesaggio che li circondava era andato mutando, cambiando faccia, con ogni ora che passava. All'inizio c'era stata la fitta vegetazione del bosco, poi un campo arido, incolto e sconfinato, il terreno poco battuto di stradine impervie e seminascoste (il che gli aveva fatto capire che Natasha stava evitando le principali vie di comunicazione del regno), infine le colline, le cui linee sinuose si stagliavano come onde nere contro il manto della notte. Di persone ne avevano incrociate poche – qualche vagabondo dall'aria intontita.

Non avrebbe saputo dire quante miglia avessero percorso e neanche gli importava. Lo shock aveva avuto l'effetto di anestetizzarlo; forse avrebbe potuto andare avanti ad oltranza finché il suo corpo gliel'avesse concesso.

La chiesina, però, la cui sagoma andava facendosi sempre più distinta man mano che l'oscurità cedeva il passo ai primi bagliori dell'alba, aveva tutta l'aria di essere la meta designata. L'idea che la presunta strega avesse scelto la casa di dio come rifugio, in altre circostanze, l'avrebbe divertito. La prospettiva che la folla inferocita avesse ragione sul conto della donna era semplicemente ridicola, ma ciò non significava che Natasha non continuasse ad essere un mistero. Un mistero che non era più tanto sicuro di voler svelare. Il modo in cui aveva fatto strage degli uomini di Rogers gli aveva messo addosso una sensazione gelida che si faceva sempre più difficile da ignorare: com'era possibile che una ragazza sola fosse capace di mettere fuoriuso sei dei migliori uomini dell'esercito regio? Soldati addestrati, scelti tra gli uomini più sani e robusti del regno. Era riuscita a spazzarli via senza rimediare neppure un graffio.

Nonostante tutto, era ancora abbastanza lucido da rendersi conto che la magia non c'entrava proprio niente. La giovane possedeva delle capacità fuori dal comune; abilità che si era ben guardata dal condividere con lui. Non che avesse mai avuto un buon motivo per farlo...

Fatto stava che il rompicapo Natasha, di cui era andato curiosamente cercando il pezzo giusto in grado di completarlo, si era ricomposto inaspettatamente sotto i suoi occhi. Non una fuggiasca dall'aspetto angelico e lo sguardo sfuggente, ma una donna in grado di difendersi a mani nude, tutt'altro che spaventata dalle atrocità del sangue alle quali non si era sottratta. Il rompicapo era sì ultimato, ma gli restituiva un'immagine confusa. Incomprensibile. Inquietante, persino.

Non gli pareva più tanto assurdo di essersi sentito più affine alla giovane fanciulla che nelle fiabe si perde nel bosco, piuttosto che al pericolo che l'attende all'interno. Aveva ceduto al richiamo del mistero e adesso... adesso aveva la netta sensazione che ne avrebbe pagato le conseguenze e che il conto sarebbe stato salato.

Raggiunsero il portone della chiesa che l'aria si era ingrigita, concedendogli di distinguere più facilmente le forme che li circondavano. Non si servirono dell'entrata principale: Natasha lo condusse sul retro, alla porticina della sagrestia e solo allora si decise a bussare per ben tre volte.

I colpi rimbombarono cupamente nel silenzio. C'erano soltanto il cinguettio di uccelli lontani e lo stormire del vento a far sì che non fosse totale.

Attesero per un minuto buono, tanto che Clint cominciò a convincersi che nessuno si sarebbe fatto avanti. Ma la determinazione che le lesse nello sguardo lo fece desistere dal dire alcunché a riguardo. Aspettarono in silenzio finché un rumore – che identificò come passi trascinati sul pavimento – non arrivò a stuzzicare i suoi sensi esausti. Seguì un clangore metallico e poi il cigolio dei cardini arrugginiti.

Trattenne inconsciamente il fiato mentre il volto spaurito e smunto di un prete in camicia da notte si materializzava nel minuscolo spicchio nero che questi aveva osato aprire.

I suoi occhi pallidi cercarono febbrilmente quelli di Natasha, ma il sollievo dell'identificazione – che pur gli lesse in viso – non sembrò sedare del tutto la sua preoccupazione.

“T-Tu?” Riuscì a pronunciare, rivolgendosi poi verso di lui con sguardo sospettoso.

“Abbiamo bisogno di un posto dove trascorrere le ore di luce, Erik.” La donna non si era scomposta minimamente, ma non gli era sfuggita la nota di desolazione che le aveva inflesso la voce, anche se solo per un istante.

“Sono passati... a-anni...”

“Lo so,” tagliò corto lei. Era chiaro che non aveva intenzione di spendere un minuto di più in piedi in mezzo al niente, dove chiunque avrebbe potuto individuarli.

“Lui chi è?” Le chiese, abbandonando l'aria impanicata in favore di un approccio più indispettito.

“Lui è con me.”

“Natasha, se mi stai mettendo nei guai, i-”

“Erik.” La voce di lei ebbe il potere di richiamarlo bruscamente all'ordine.

L'uomo serrò le labbra fino a ridurle ad una linea sottile, gli occhi chiarissimi che sondavano il viso della donna. Durò solo per qualche secondo. L'estremità del suo berretto da notte che si agitava nel buio gli suggerì che doveva aver fatto dietrofront per permetter loro di entrare.

“Andiamo,” lo esortò Natasha, seguendo il prete senza ulteriore esitazione.

Clint, dal canto suo, indugiò sulla soglia; l'odore della cera sciolta mischiato a qualcosa di dolciastro che non riuscì ad identificare gli annebbiò ancora di più la coscienza intorpidita. La sagrestia era un buco nero che prometteva di inghiottirlo da un momento all'altro.

Eppure, pensò amaramente, non aveva nessuna alternativa.

 

*

 

I colpi del tamburo gli vibravano nello stomaco, accompagnando il battito angosciato del proprio cuore.

La folla anonima lo circondava come un banco di nebbia soffocante. Non riusciva a distinguere nessuna delle fattezze di quei volti opachi, così uguali gli uni agli altri.

Sentiva l'odore dell'incenso, quello di un cero acceso, i richiami sgraziati dei venditori di dolciumi, di bicchieri di acqua e anice.

L'odio che emanava da quella massa informe di spettatori cresceva al ritmo dei tamburi, montandogli nello stomaco come un fiume sempre più gonfio, sempre più violento, sempre più minaccioso.

L'ostilità rendeva l'aria densa e appiccicosa, a malapena respirabile, quasi stesse facendosi acquosa, liquida, per annegarlo senza possibilità di emersione alcuna.

Passi trascinati sull'assito del patibolo lo costrinsero a mettere a fuoco il luogo d'esecuzione. Il cappio ciondolava contro il cielo grigio ed immobile. La comparsa dell'uomo scatenò la furia del pubblico affamato di violenza e catartica espiazione; Clint se ne sentì come sommerso. La confusione gli impediva di concentrarsi sul condannato.

Dovette fare appello a tutte le sue forze per mantenersi in equilibrio, aggrappandosi alle ombre che rinserravano i ranghi da ogni lato.

Poté vedergli solo i piedi, calzati da un paio di scarpe eleganti – troppo per quello che, nella sua mente, era il guardaroba del delinquente medio. Si riarrampicò con gli occhi lungo le gambe imbiancate da calze immacolate; le brache di tessuto pregiato, il candore della camicia, del fazzoletto al collo.

Quando i suoi occhi incontrarono quelli spauriti di lord Phillip, si sentì precipitare in un baratro senza fondo. La vertigine fu come un brusco contraccolpo, quasi le bacchette del suonatore di tamburo gli stessero battendo direttamente sullo stomaco. Bum, bum, bum. O forse era il suo cuore che faceva tutto quel baccano: tutto, di quella scena atroce, sembrava penetrargli sotto pelle, diventare parte integrante di lui. L'ostilità della folla senza nome, quel rimbombare che scandiva il tempo, la faccia pallida ma determinata di lord Phillip.

Avrebbe voluto urlare che lui non c'entrava niente, che era innocente, che qualsiasi fosse l'accusa che gli muovevano contro, doveva essere stato commesso un grave, gravissimo errore. Il modo in cui la stanchezza gli aveva appesantito lo sguardo, scavato le rughe, incurvato le spalle, gli contorse ferocemente le viscere.

C'era stato lui, un tempo, su quel patibolo. Un ragazzino vestito di stracci, sporco, col moccio al naso. Se non fosse stato per lord Phillip, non avrebbe mai ridisceso i pochi gradini che l'avevano condotto a quel pezzo di corda. Adesso era arrivato il momento di ricambiare il favore, di pagare il debito che per anni si era sentito pendere sulla testa come una spada di Damocle.

Ma per quanto desse fiato ai polmoni, per quanto si sgolasse per far sentire le proprie ragioni, per quanto convulsamente si stesse agitando per farsi strada tra la gente, i suoi piedi rimanevano piantati dov'erano. Le sue labbra si dischiudevano per non liberare alcun suono.

Un'ombra scura si mosse alle spalle di lord Phillip. Mentre il cappio gli cingeva il collo, Clint lo vide sussultare, un impercettibile brivido di paura sulla maschera di fierezza che si stava sforzando di mantenere.

Gli doveva tutto. Che razza di figlio ingrato sarebbe stato se non avesse neppure tentato di salvarlo? Come avrebbe potuto rimanere lì, fermo ed immobile, a guardarlo morire senza alzare neppure un dito? Forse lord Phillip aveva commesso un imperdonabile errore di giudizio. Forse salvare quel moccioso non gli aveva portato altro che guai. Forse la scommessa che aveva piazzato in una lontana giornata di marzo, si era finalmente rivelata fallimentare. L'investimento era caduto nel vuoto.

La leva che gli spalancò la botola sotto ai piedi lo colpì come una stilettata gelida al petto. La vertigine tornò a trascinarlo verso il basso, dove non c'era aria da respirare, solo il dolce odore marcescente della morte. Il suo cuore impazzito seguiva il ritmo con cui i piedi del condannato si agitavano febbrilmente senza poter trovare appoggio alcuno.

Annaspò in cerca d'aria, artigliò il niente nella patetica speranza di un disperato appiglio, ma la caduta era irreversibile...

 

… scattò giù dal letto improvvisato come una molla, scaraventando via la coperta di lana grezza. Mosse ampi passi attraverso la stanza finché non ebbe raggiunto la parete opposta, praticamente alla cieca. Ci si accostò con occhi sgranati, il volto pallido e la fronte sudata.

Gli ci vollero un paio di lunghi istanti perché la fredda pietra su cui aveva poggiato i piedi cominciasse a riportare i suoi sensi all'attenzione.

Si costrinse ad inspirare ed espirare, riuscendovi più agilmente man mano che i contorni dello spazio gli si palesavano uno ad uno. Scheletri di letti abbandonati lungo le pareti leterali, qualche mobile sbilenco tristemente accostato negli angoli, la candela spenta appoggiata sul davanzale di una finestrella sigillata. Un bancone, che aveva l'aria di appartenere ad un alchimista scalcagnato, occupava l'angolo più buio; fiale, bottigliette di vetro, mortai di varie dimensioni e forme, cassettine di legno che emanavano odori acri e pungenti.

Deglutì a fatica mentre si rendeva conto che si era svegliato di soprassalto proprio in uno dei due materassi di fortuna che riportavano ancora le sagome di chi vi aveva dormito; l'istinto che gli aveva suggerito di allontanarsi il più possibile dal luogo dell'incubo ancora ben vivo alla base dello stomaco.

L'altro, invece, doveva aver ospitato Natasha. Non l'aveva sentita svegliarsi, né sapeva quanto tempo fosse passato da quando padre Erik aveva concesso loro – seppur con riluttanza – ospitalità. Una sottile linea di luce trapelava nel magazzino della chiesa attraverso i bordi della finestra; voci lontane sembravano raggiungerlo da chissà dove. Forse era l'ora della messa. Possibile che il sonno fosse stato talmente profondo da impedirgli di sentire le campane suonare?

Si scostò dalla parete col cuore ancora in tumulto, ma finalmente più lucido. Si affrettò a reindossare gli stivali e a recuperare la sacca nascosta sotto il materasso pieno di paglia. Non aveva ancora un'idea ben precisa di ciò che avrebbe fatto: quel che sapeva con certezza è che c'era una questione in sospeso da risolvere e neppure un secondo da perdere.

Quando fu sicuro di aver preso tutto, si avvicinò alla porta, studiandone sommariamente la fattura per capire come aprirla producendo il minor rumore possibile. Era una tecnica che gli aveva insegnato suo fratello per uscire di casa senza farsi sentire dai genitori, nel breve periodo in cui avevano avuto l'una e gli altri.

Fece pressione sulla maniglia e trattenne il respiro.

“... venire fin qui,” la voce concitata del prete non era più che un sussurro tra le pietre della sagrestia.

“Sono stata cauta. Nessuno mi ha seguita.”

Di Natasha non riuscì a distinguere che un breve stralcio, decentrati com'erano rispetto al suo campo visivo. Parlavano a bassa voce, a distanza ravvicinata, mentre l'uomo si teneva occupato col sistemare i poveri contenuti di un vecchio armadio.

“Quelli non scherzano e tu lo sai bene,” ribatté dandole le spalle per cambiare ripiano ad un ammaccato calice d'ottone.

“Non ho avuto altra scelta. La situazione è precipitata.”

“Avevi giurato che non saresti più tornata, finché non-”

“So cosa ti aveva promesso. Non sarei venuta meno alla parola data se non si fosse trattato di un'emergenza.”

“Se dovessero trovarmi qui, non avrai più un posto sicuro dove andare. Te ne rendi conto?”

“Come pensi che non me ne renda conto?” La voce della donna si era affievolita, la sua solita determinazione che cedeva il passo a qualcosa di molto simile al rimorso.

“Avevi detto che l'avresti fatta finita, avevi detto che era l'ult-”

“Erik.”

“No, non puoi zittirmi ogni volta. Sono passati – quanti? Tre anni?”

“Non tengo il conto e sai bene che se potessi me ne sarei già andata.”

“Non devi loro un bel niente. Fuggi... nasconditi a sud.”

“Mi troverebbero. Hanno occhi e orecchie ovunque, superano i confini e tu lo sai.”

“Sempre una scusa.”

“Non sono scuse.”

“Avranno sempre un valido motivo per farti rimanere. Avranno sempre qualcosa con cui ricattarti.”

“Devo pagare il mio debito. Dopo potrò andarmene.”

“Dopo sarà impossibile tornare indietro. Ti hanno cambiata. Sei diversa, te ne sei accorta?”

“Non parlarmi di queste stronzate, Erik.”

“Stronzate!” Il prete strinse i pugni e li agitò a mezz'aria come trattenendosi disperatamente dal prenderla a male parole. “Che dio mi perdoni!” Esclamò alzando gli occhi al soffitto prima di riabbassarli su di lei. “E che perdoni anche te, perché non sai quello che fai.”

“Non c'è nessun dio in grado di perdonarmi. Non c'è mai stato.”

Lo squittire di un topo da qualche parte vicino alla porta del magazzino, attirò l'attenzione di entrambi. Clint ebbe appena il tempo di spalancare la porta, come per dare l'idea di essere appena comparso sulla soglia della sagrestia.

Il prete gli lanciò uno sguardo allarmato, ma si affrettò a sostituirlo con un'espressione stizzita.

“Stupidi ratti!” Sbottò con esasperazione fin troppo calcata per i suoi gusti. Corse a recuperare la ramazza appoggiata contro una vecchia cassapanca, cominciando ad inseguire topi invisibili con religioso fervore.

Natasha, dal canto suo, era rimasta immobile a guardarlo. Per un attimo Clint ebbe il timore di essere stato scoperto ad origliare. Ma la reazione che si aspettava rimase sospesa nell'aria, senza concretizzarsi in niente.

Gli si fece vicina: ad ogni passo, la preoccupazione pareva volatilizzarsi dal suo viso, alleggerendole la postura e lo sguardo. Quando gli fu davanti, era la solita Natasha di sempre. Precisa, calma, perfettamente padrona della situazione. Sembrava essersi spogliata di ogni briciolo di incertezza, cancellando l'umanità tutta terrena che aveva sentito nella sua voce solo un attimo prima. La donna che aveva sorpreso a colloquio con padre Erik non aveva niente a che vedere con quella che adesso lo fronteggiava.

“Sei riuscito a riposare?” Come aveva fatto a non accorgersi di quanto suonasse calibrato il suono della sua voce? Di quanto fosse calcolata l'espressione in cui atteggiava di volta in volta il viso?

Per la prima volta da che la conosceva, Clint realizzò quanto profondo fosse l'enigma che la donna sembrava sottoporgli.

“Non tanto,” ammise, sperando che la sincerità l'avrebbe aiutato a disperdere il nervosismo.

Doveva scendere a patti con quell'incontrovertibile verità: di lei non sapeva proprio un bel niente. Ne aveva sottovalutato i segreti perché l'aveva sentita affine; una ragazza sola, senza famiglia, isolata in un mondo ostile. Gli era capitato di osservarla di sfuggita e di riconoscere se stesso nei suoi gesti, nel modo in cui il suo sguardo si perdeva verso mete non meglio definite.

Ma quale che fosse la verità, Clint aveva ormai la netta sensazione che la reticenza di Natasha andasse ben oltre il pudore per una manciata di fatti personali che preferiva non condividere. Qualcosa di oscuro dettava il corso della sua vita, qualcosa che aveva a che fare col modo in cui si era liberata degli uomini di Rogers, con la conversazione nel bel mezzo della quale l'aveva sorpresa solo qualche attimo prima.

“C'è una stanza lì accanto,” gli indicò una porticina di fianco all'armadio in cui aveva visto trafficare il prete. “C'è dell'acqua calda, se vuoi farti un bagno.”

“Non c'è tempo per un bagno,” le disse, suo malgrado più risentito del previsto. Avrebbe sinceramente voluto che la donna fosse stata davvero una strega, almeno avrebbe avuto una scusa per giustificare il modo in cui l'aveva ciecamente seguita fino a quella chiesina sperduta tra le colline. Soltanto la vittima di un perfido incantesimo.

“Vai da qualche parte?” Natasha si era rifatta scettica, sarcastica.

“Devo tornare indietro.”

“Hai intenzione di farti ammazzare?”

“No, non ho-,” si bloccò prima di poter finire la frase. Non aveva voglia di parlare o giustificarsi, soprattutto con chi non aveva fatto altro che mentirgli – seppur per omissione – fin dall'inizio. “Non importa. Torno indietro e basta.”

Una parte di lui si attendeva una qualche reazione da parte della donna, un disperato tentativo di convincimento o magari un rabbioso richiamo alla ragionevolezza. Ma Natasha si limitò a guardarlo, come prendendo quietamente atto della sua decisione.

“Ti conviene aspettare il calare della notte,” suggerì. “E' pieno di soldati qua in giro.”

“Soldati?” Si aspettava di vederlo tornare sui propri passi per una bugia tanto assurda?

“I campi qua intorno appartengono al cugino del re,” gli spiegò. “I contadini si sono ribellati per ben tre volte dall'inizio dell'anno... le condizioni di lavoro sono terribili.”

Avrebbe voluto smascherare la sua menzogna, lì su due piedi, ma gli era bastato rifletterci per realizzare che Natasha stava dicendo la verità. Ricordava di aver sentito Grant discuterne più volte con lord Phillip sia a cena che durante le pigre serate trascorse in salotto a fumare e a leggere le notizie che arrivavano dalla capitale.

“E' stato richiesto l'intervento dell'esercito,” riprese Natasha. “Ci sono soldati ovunque. Sarà più facile eluderne la sorveglianza al calare della notte.”

Il suo lato irrazionale avrebbe voluto ignorare il consiglio della donna, sfidarla apertamente e uscire dalla chiesa, sprezzante del pericolo. Quello più ragionevole, però, sapeva che la notizia dell'attentato alla vita del capitano Rogers doveva già essersi diffusa almeno nei territori limitrofi al villaggio, che i soldati disseminati per le campagne circostanti avrebbero prestato il doppio dell'attenzione ai volti estranei che avrebbero incrociato sul loro cammino. Una delle personalità più in vista del regno era stata aggredita – anzi, nessuno gli assicurava che il capitano fosse riuscito a superare la notte – e la solidarietà che intercorreva tra le file dell'esercito non era di certo un segreto ben mantenuto: se attaccavano uno di loro, li attaccavano tutti. Dal primo all'ultimo. In quel caso, la celerità non gli avrebbe garantito alcuna sicurezza: a che sarebbe servito precipitarsi al villaggio se l'avessero arrestato dopo neanche un miglio di cammino? A quel punto non avrebbe potuto prestare il suo aiuto a nessuno: chiuso in gattabuia sarebbe stato ancora più inutile che ad aspettare in quella chiesa a farsi uno stupido bagno.

Avrebbe voluto combattere con quella ritrovata consapevolezza, ma sapeva di essersi già rassegnato all'evidenza. E a giudicare dal modo in cui la donna lo stava osservando – con un falso disinteresse che rischiava di dargli ai nervi – anche Natasha doveva essersene accorta. O forse quell'accenno trionfante che le leggeva nello sguardo non era nient'altro che un indispettito autocondizionarsi.

“Aspetterò il tramonto,” le concesse in modo più scontroso e definitivo del solito.

“Ottimo.” La donna non parve lasciarsi scalfire dalla sua stizza. “Vado a cercarci qualcosa da mangiare.”

 

*

 

Usò l'ultimo pezzo di pane nero per ripulire il fondo del piatto prima di sbarazzersene, poggiandolo sul pavimento. Si ributtò all'indietro sul materasso di fortuna, rilasciando un basso sospiro.

Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che aveva mangiato una minestra tanto schifosa, né si era mai soffermato a chiedersi se la permanenza a villa Coulson avesse in qualche modo raffinato i suoi gusti. Aveva sempre preso in giro le pietanze impossibilmente complicate che la cuoca di lord Phillip proponeva loro ogni giorno, ma forse si era anche disabituato a sfamarsi con brodaglie dall'aspetto discutibile, in cui galleggiavano pezzi di verdure non meglio identificate.

Riavvicinò arco e faretra, ricominciando a pulire le frecce su cui stava lavorando prima che Natasha arrivasse a condividere con lui quel lauto pranzo.

La donna stava seduta sul suo giaciglio, leggendo distrattamente un libro che doveva aver preso in prestito dalla ridotta biblioteca del curato.

Tentò di ignorarla e di concentrarsi sulle poche ore che ancora lo separavano dal tramonto. Di lì a poco avrebbe potuto inforcare l'uscita della chiesa e ritornare sui propri passi. L'attesa, però, si stava rivelando ben più snervante del previsto: i pensieri si accavallavano gli uni sugli altri, rinfocolando paranoie e preoccupazioni che non avevano intenzione di concedergli alcuna tregua. Gli era sufficiente abbandonarsi per un istante alle proprie elucubrazioni per lasciarsi tormentare dal volto di lord Phillip, da quello di Kate, dalle espressioni inferocite degli abitanti del villaggio. La sensazione di aver commesso un grave tradimento gli si palesava davanti agli occhi a più riprese, gettandolo ogni volta in un baratro fatto d'angoscia e senso di colpa.

Si sforzò di focalizzare sul lavoro che aveva scelto per ingannare il tempo: riaffilare le punte di freccia, assicurarsi che fossero sufficientemente bilanciate, dare un'occhiata alla pistola dall'aria antiquata che aveva portato con sé. In tutta sincerità non avrebbe saputo dire perché aveva scelto un'arma da fuoco: non le prediligeva e non ne aveva neppure una gran dimestichezza. Ma non aveva voluto lasciare niente al caso; non si era fatto alcuna illusione sulla vita errante che aveva scelto, né sui pericoli che essa nascondeva.

“Se hai intenzione di chiedermi qualcosa, ti conviene farlo e basta,” gli sfuggì però. Se Natasha avesse continuato a far finta di leggere quello stupido libro, avrebbe finito per logorargli i nervi.

Non ebbe bisogno di rialzare lo sguardo dal proprio lavoro per accorgersi che la donna lo stava osservando, che non aveva smesso un secondo di farlo da quando si era seduta per consumare in silenzio il suo pasto.

Nonostante il suo invito, però, non disse niente ancora per svariati secondi, tanto che Clint si convinse che non gli avrebbe chiesto alcunché. Non che gli importasse: la convivenza con la donna si era fatta fastidiosamente scomoda da quando era dovuto scendere a patti col suo essere una completa sconosciuta.

“La notte della festa,” la voce di Natasha, infine, lo costrinse a lanciarle una rapida occhiata, “avevi pianificato di fuggire.”

“Questa non è una domanda,” le fece notare.

“Non ho detto che dovevo farti una domanda.”

“Allora cos'è che vuoi sapere?” Per quanto si stesse sforzando di mantenere la calma, quella situazione non faceva proprio niente per aiutarlo in tal senso.

“Saresti fuggito comunque, a dispetto di quello che è successo. E adesso vuoi tornare indietro? Perché?”

Fece appello a tutto il suo autocontrollo per non suggerirle di farsi gli affari suoi. Quella questione non la riguardava minimamente: con che diritto gli chiedeva spiegazioni, lei che non sembrava avere alcuna intenzione di essere sincera con lui? O di dirgli che ci facevano in quella chiesa, magari, chi era padre Erik, di che diavolo stessero confabulando quando li aveva sorpresi nella sagrestia.

“Perché è la cosa giusta da fare,” le rispose invece, riprendendo a controllare che le sue frecce fossero in buone condizioni.

“Per chi?”

“Perché ti interessa?” Si ritrovò a chiederle bruscamente, lanciandole uno sguardo di fuoco.

“Non mi interessa,” lo corresse lei senza rinunciare alla sua placida indifferenza. “Abbiamo ancora quattro ore di luce e comincio ad annoiarmi.”

“Bè, magari puoi trovare un passatempo migliore.”

“Rimbeccarmi non renderà il tuo proposito meno stupido di quanto già non sia.”

“Non m'importa di cosa pensi del mio proposito.”

Natasha era l'ultima persona ad avere voce in capitolo nella sua vita. Dopotutto chi era per lui? Una sconosciuta che era andata a rintanarsi nel bosco vicino a villa Coulson e che aveva preso in simpatia solo perché tutti gli altri si erano affrettati ad esprimersi negativamente sul suo conto. Magari quello era uno di quei casi in cui la maggioranza aveva ragione: se nessuno si era fidato di lei, se tutti erano stati concordi nel darle di strega, forse c'era una motivazione valida. Per assurdo, nessuno gli assicurava che non fosse stata davvero lei ad attentare alla vita del capitano Rogers; dopotutto aveva tolto di mezzo i suoi uomini senza il minimo ripensamento, cosa gli impediva di pensare che il suo obbiettivo fosse disintegrare l'intero reggimento?

“Dovrebbe,” ci tenne a contraddirlo, “visto che ti farà ammazzare.”

“Nessuno mi ammazzerà.”

“Sei un illuso. Sono convinti che tu sia un mio complice.”

“Mi hanno visto tutti in piazza. Sanno che non avrei mai potuto scoccare quella freccia,” rinfilò l'ultimo dardo nella faretra e ritornò a guardarla con una certa sfacciataggine.

“Credi che sia il buonsenso a motivarli?”

“Non avrò bisogno di molto per persuaderli della mia innocenza,” volle contraddirla, ma non era sicuro di avere ragione. Aveva fin troppo presente quanto irrazionali e superstiziosi potessero essere gli abitanti del villaggio, quanto pericolosi potessero farsi quando pensavano tutti con uno stesso cervello. Spesso e volentieri le autorità erano state costrette a piegarsi alle loro ridicole credenze pur di mantenere l'ordine. Natasha non aveva tutti i torti: cosa gli assicurava che non sarebbe accaduta la stessa identica cosa? Dopotutto non era mai stato simpatico a nessuno di loro, anzi, aveva sempre avuto la netta sensazione che aspettassero a gloria di coglierlo in fallo per punirlo della sua fortuna. Non importava quanto lord Phillip si sforzasse di renderlo parte della famiglia, Clint rimaneva un intruso ai suoi stessi occhi e maggiormente a quelli del paese.

“Non ci credi neanche tu alle stronzate che dici,” l'accusò lei a mezza voce, riaprendo il libro come a decretare la fine della conversazione.

“Si può sapere che t'importa?” Cominciava seriamente ad innervosirsi: aveva giurato a se stesso che non ci sarebbe stata nessuna quantità di ragionevolezza sufficiente a convincerlo a mutare il corso d'azione su cui si era orientato.

“Non m'importa, te l'ho detto. Sono solo annoiata.”

“Non sai neppure di che diavolo stai parlando,” l'accusò.

“No, sei tu che non sai dirmi perché vuoi tornare indietro.”

Era quasi sul punto di rivelarle le proprie preoccupazioni, più per zittirla che informarla, ma si costrinse a richiudere la bocca senza aver emesso il benché minimo suono. Come avrebbe potuto dirle che il movente di quel brusco cambio di rotta gli era stato dato da un incubo? Che si era irrazionalmente convinto che lord Phillip stesse pagando per l'attentato al capitano Rogers solo in base ad uno stupido sogno? Non aveva bisogno di essere esageratamente lucido per rendersi conto di quanto suonasse idiota.

Eppure l'angoscia che l'esecuzione onirica di lord Phillip gli aveva causato era ancora ben viva e presente alla base del suo stomaco, pronta ad alimentare paranoie e senso di colpa – temeva – all'infinito. E anche se l'avessero accusato? Non era forse vero che, se non si fosse fatto vivo, qualcun altro avrebbe pagato al suo posto? La freccia che avevano usato per ferire il capitano gli apparteneva: certo, chiunque avrebbe potuto sottrargliene una in qualsiasi momento, ma senza un sospetto alternativo abbastanza convincente, avrebbero comunque voluto la sua testa su un piatto d'argento. E poi c'era Kate: tutti al paese sapevano che erano soliti trascorrere insieme interi pomeriggi. Sarebbe bastata un'illazione particolarmente spinta a trascinare giù con lui anche la ragazza, impedendole di contrarre un matrimonio vantaggioso o, peggio, di essere accusata dell'aggressione al capitano. Che ne sarebbe stato di Bobbi se qualcuno avesse messo in giro la voce dei loro incontri notturni? C'era il rischio che il suo promesso sposo si vedesse costretto a ritirare la parola data solo per l'affiliazione che la donna aveva con l'indiziato principale Analoghe preoccupazioni lo attanagliavano se pensava a Simone e ai suoi due bambini: sarebbe stata l'ennesima scusa che le donne al lavatoio avrebbero usato per emarginarla il più possibile.

No, anche fosse stato condannato a morte, doveva tornare indietro e impedire che tutto il resto andasse a rotoli. Senza contare che se avessero scoperto della fuga che aveva pianificato, allora le circostanze avrebbero assunto gli inquietanti contorni della premeditazione: era intenzionato a lasciare il villaggio proprio quella sera perché sapeva cosa sarebbe successo.

“Non voglio che qualcuno paghi al mio posto,” si ritrovò a dire, più turbato dai propri pensieri di quanto avrebbe voluto ammettere.

“Vogliono noi due,” ribatté Natasha, il tono di voce leggermente meno ostico. “Nessun altro.”

“Come fai ad esserne sicura?”

“Non lo sono,” puntualizzò, quasi avesse voluto mettere in chiaro che di certezze non ne aveva alcuna, e che persuaderlo con un qualche scenario pateticamente ottimistico non era nei suoi piani. “Ma dovrebbero avere ottimi motivi per accusare un nobile di assassinio.”

“Lord Phillip non è come tutti gli altri.”

“No, ma fa comunque parte della categoria.”

Forse aveva ragione, forse era vero che non avrebbe avuto alcun senso. Al massimo gli avrebbero dato la colpa di essersi tenuto una serpe in seno per così tanti anni, ma non avrebbero mai potuto punirlo per la follia del suo protetto.

“Devo tornare indietro comunque,” ribadì, più per convincere se stesso che la donna. Sentiva la sua determinazione cominciare a vacillare sotto le percosse degli argomenti di Natasha.

“E' inutile.” La voce le uscì sferzante e impietosa. “Se hanno già individuato un colpevole non lo scagioneranno di certo per la tua ricomparsa. Al massimo vi condannerebbero entrambi.”

“Ci sono persone che rischiano di venir trascinate nel fango solo per-”

“Vale anche per loro.” Gli puntò addosso lo sguardo, verde e terribile come la prima volta che l'aveva incrociato. “Non sappiamo quale sia la situazione.”

“Che mi consigli di fare?” Le chiese sarcasticamente.

“Di stare alla larga finché le acque non si saranno calmate.” Si rifece più seria, di nuovo quell'aria desolata che le aveva letto in viso mentre discuteva con padre Erik, quasi si sentisse in colpa per qualcosa. “Ti hanno visto entrare in casa mia,” alluse senza dire nient'altro.

Fu sul punto di chiederle di elaborare oltre, ma la realtà dei fatti lo colpì come un pugno allo stomaco. All'esaurirsi dell'incendio avrebbero rinvenuto i cadaveri degli uomini di Rogers, e a quel punto nessuna scusa sufficientemente arzigogolata l'avrebbe potuto scagionare dall'accusa di omicidio che gli avrebbero mosso contro. Nessuno gli avrebbe creduto se avesse giurato che era stata la donna ad ucciderli, che lui era arrivato solo a giochi fatti.

“Cazzo,” si ritrovò a smozzicare, socchiudendo gli occhi mentre la consapevolezza si sedimentava nella sua coscienza.

Rimasero in silenzio per una quantità indefinita di tempo, a concentrarsi sui rumori ovattati che provenivano dall'esterno: voci lontane, il soffio del vento, forse il brontolio di un tuono, l'abbaiare di un cane affamato.

“Ho intenzione di andare a nord-est. Conosco qualcuno che potrebbe offrirci ospitalità, nasconderci finché la tempesta non sarà passata.” Natasha era ritornata a fingere interesse per il suo libro, ma l'indifferenza del suo tono non era più tanto cristallina.

“Perché dovresti aiutarmi?” E soprattutto chi gli assicurava che non si sarebbe trattato di un altro padre Erik? Qualcuno legato al suo misterioso passato, che avrebbe accettato di aiutarli solo vincendo una spiccatissima riluttanza?

“Perché è anche colpa mia se la tua posizione si è aggravata,” rispose lei, evitando accuratamente il suo sguardo.

Mentre studiava la sua espressione, il cipiglio serioso che le aveva corrugato la fronte, un dubbio tornò a tormentarlo come un fastidioso spiffero d'aria gelida nella sua coscienza. Quante erano le possibilità che fosse stata davvero lei ad uccidere il capitano? Possibile si sentisse in colpa perché ci era andato tanto stupidamente di mezzo?

Clint non rispose, sentendosi ancora più confuso e smarrito di quanto non fosse in precedenza. Il suo proposito di ritornare al villaggio si era sfaldato come neve al sole, ma l'alternativa – seguire Natasha solo dio sapeva dove – non lo convinceva affatto.

Il silenzio riempì il magazzino, logorando poco a poco le sue sicurezze, i pochi punti fissi che credeva di aver stabilito al suo risveglio.

Un leggero bussare alla porta arrivò a distrarli entrambi, subito seguito dallo strusciare di un foglio di carta sul pavimento di pietra.

“Per la bontà del signore e di tutti i santi, vi voglio fuori di qui subito dopo il tramonto!” La voce di padre Erik li raggiunse attraverso la porta prima di riallontanarsi in tutta fretta, accompagnata dal rumore dei suoi passi trascinati.

Natasha si rimise in piedi per andare a recuperare il foglio che il prete aveva fatto passare sotto la porta. Clint la vide farsi mortalmente seria mentre lo passava sommariamente in rassegna.

Solo dopo un momento che gli parve lunghissimo, la donna si decise a mostrargli di che si trattava.

In altre circostanze si sarebbe sentito profondamente offeso dal pessimo ritratto di se stesso con cui si ritrovò faccia a faccia. Ma la sua preoccupazione, adesso, era un'altra: sulla sua testa pendeva una taglia di duemilacinquecento denari.

Vivo o morto.











Note: tormenti interiori ai tormenti interiori con contorno di tormenti interiori! Il nostro povero Clint non fa che tormentarsi, e le cose da tenere in considerazione sono talmente tante da fondergli il cervello. Non gli resta che affidarsi a Natasha, ma sarà la scelta giusta? Lo scopriremo... solo vivendo :P Il viaggio è appena iniziato e riserverà diverse sorprese. Intanto qui fa la sua apparizione un'altra guest star: il caro Erik Selvig, trasformato per l'occasione in prete alchimista fallito che appartiene in qualche modo al misterioso passato di Natasha.
Grazie a tutti quelli che leggono & recensiscono e come sempre alla sclerosociabeta Eli (:
Alla prossima settimana! 
(◡‿◡✿)

 
  
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