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Autore: MardukAmmon    16/09/2015    1 recensioni
"Ahriman così, sporco dalla barba fino ai piedi di sangue umano, uscì fuori, presentandosi al suo popolo come un orso, che con la preda tra le fauci si esibisce davanti alla sua prole.
Alzò la lancia al cielo e disse: Non esiste Deywos , ne Dei del cielo, che può avvicinarsi alla mia potenza, non esiste forza che non può incarnarsi in me."
Queste furono le parole dette dal Re senza scettro, signore della pianura solcata dai tre fiumi. Il suo sangue era nobile, ma non il suo animo, che ambizioso e scellerato lo portò a mettere in ginocchio la terra dove lui stesso nacque, soggiogandola con eserciti stranieri alla ricerca di gloria. Solo due luminose stelle, protette dallo sguardo degli Dei, potranno ridare agli uomini la speranza perduta, in quella lunga notte, alla fine dell'età dell'Argento.
Genere: Fantasy, Guerra, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
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Sursalevca casa di luce..

 

Svegliati all'alba dall'anziano Vate, si sentirono dire: Il sole si sta alzando nel cielo, venite a pregare!. A queste parole i giovani ragazzi si alzarono in piedi, il Rosso si mise alla destra dell'anziano, il Biondo alla sinistra, Diwonusojo fermo tra i due, piegò la gamba destra poggiando il ginocchio a terra compiendo un inchino, mentre alzato lo sguardo e le mani al cielo, così cominciò a pregare il lume celeste con queste parole:

Quando s'alzano in cielo i tuoi sei raggi

segni di virtù ancestrali io sono felice.

 

Ti ricordo alle foci del grande fiume, sorgere dal corpo del padre antico.

Tu hai vegliato tutto il tempo da solo

circondato in quell'oceano, dai tuoi fratelli

fino a quando vedesti le prime piante sorgere

sulle membra della nera Madre.

Ed io Ricordo, quando per mezzo di te arrivarono i lumi sulla terra.

Bestie dalle forme grottesche vivevano sulla superficie antica

anche se piano esse scomparirono

lasciando posto a ben più armoniosi esseri

io ero li a seguire i tuoi passi.

 

Con il tuo calore hai reso rigogliosa la terra

hai dato sostentamento agli uomini

ed hai permesso loro di vedere

facendoli avvicinare a ciò che di luminoso ti fa bruciare dentro, O'

Sole e che nel fulcro degli esseri vivi arde.

Quindi O' Ispirazione dei Potenti

O' salvatore dei mortali

ogni notte vai

ogni giorno sorgi ma

incandescente per sempre dentro i nostri cuori, Ardi.

Così io ti rendo onore.

 

Poi espirato, l'anziano ritornò in piedi, piegò il busto in avanti tenendo le mani unite e fece un inchino e rivolgendosi ai ragazzini disse: Bene andiamo, dobbiamo ancora raggiungere casa. Radunati gli animali, Diwonuojo prese il bastone di faggio da dentro il cerchio e lo diede in mano ai due giovani, poi salito sul bisonte bianco disse disse a loro: Su salite. Yama, che teneva tra le mani il bastone, senza farsi attendere lo ridiede all'anziano Vate e poi insieme al fratello Obràzok salì in groppa all'animale riprendendo quel viaggio diretto alla casa nel mezzo della Selva. L'ambiente incorrotto emanava potenza e mistero, dai rami alti ed intrecciati dei faggi fino alle loro profonde e salde radici, ogni ruga sulla corteccia sembrava parlare da sola una storia immortale, i cespugli verdi e rigogliosi erano fioriti, decorati da bianchi ed azzurri petali, gli unici insetti erano delle farfalle, dalle violacee ali brillanti, macchiate dal giallo, colore del polline. Per tutto il tragitto i ragazzini chiedevano supplici all'anziano: Ma quando mangiamo? Abbiamo fame, sete, siamo stanchi.

Ma l'anziano Vate non rispose, guardando sempre avanti diretto ora all'interno di un'ulteriore selva, i giovani ragazzi allora rimasero muti in groppa al bianco animale e si lasciarono placidamente trasportare, illuminati dai raggi del sole che attraversavano le alte fronde, mirando intorno a loro cervi e cerbiatti che estasiati saltavano da un lato all'altro del sentiero salutando con vistosi versi il loro padrone in cammino, il principe Obràzok rimase così stupito che tentò con la mano destra di accarezzare un cerbiatto arrivatogli vicino: Che belli. Mormorò tra se, mentre la fame cominciò a scemare, tanto fu sconvolto nel vedere così tanta armonia sulla terra, quei cervi dalla pelliccia luminosa avevano occhi color cobalto, unici e brillanti. Diwunosojo, non rivolse la parola con nessuno dei due principi, rimase con la schiena ritta, tenendo forte il bastone di faggio con la mano destra, il tempo passava ma lui non mosse ciglio ne si voltò indietro, il percorso doveva essere terminato e nessuno doveva rallentarlo. Più la carovana si avvicinava a Svrsalevca più l'ambiente intorno a loro cambiava impercettibilmente, i cervi non c'erano più, ma picchi ed altri volatili tipici della foresta presero il loro posto volando sopra le teste del gruppo, intonando canti di gioia, graditi da tutti gli animali che seguivano il vetusto signore. Eppure ancora non si vedeva la casa lontana, il sole piano scendeva ed arrivava il meriggio, tipico per i suoi colori tenui e caldi e con lui anche la fame si ridestava nei due ragazzini, ma non emisero parola alcuna, sconvolti nel vedere chi e cosa abitava quella foresta più fitta e scura, nel calare delle tenebre; gli uccelli diventavano piccole fiamme luminose, verdi e rosse, dalle ali sfarfallanti, i cerbiatti erravano sulle due zampe posteriori ed avevano, dalla vita in su un corpo umano, tranne per le corna sulla loro fronte, alcune piccole, altre lunghe e simili a rami.

I satiri dai volti umani ma dai tratti caprini, tenendo tra le mani flauti d'osso lunghissimi suonavano una melodia lugubre e cadenzata che sembrava inondare all'infinito le alte fronde degli alberi, solo quando videro il loro padre il suono prese a mutare in un crescendo, stridulo e gioioso, i figli giocondi cominciarono a festeggiare con suono armonici, spezzati da note cacofoniche, circondati dal canto di uccelli notturni dai grandi occhi, nascosti tra i rami coperti di foglie. La foresta sacra ampia, abitata da si tante bestie notturne, con sincerità si mostrò agli occhi dei due ragazzini, che mai avrebbero pensato in vita loro di poter vedere qualcosa di simile.

Yama allora preso dalla curiosità disse: Questo è il famoso Bosco dei lamenti?.

'anziano signore fece un segno d'assenso con il capo, ma non mosse le labbra, proseguendo sotto l'ombra sempre più allungata delle fronde e dei tronchi; il tempo proseguì inesorabile, i due ragazzini, sempre più provati dalla fame continuavano a sentire lievi fitte allo stomaco, fino a quando davanti ad i loro volti non divenne ben visibile il punto di arrivo, l'Ashram del Dio, situato in una radura circolare all'interno di un'ampia foresta, quel rifugio meditativo aveva un aspetto mistico e pieno di forza, consisteva in una quercia gigantesca e millenaria , nel cui tronco s'apriva un'ampia voragine scolpita dal tempo e dalla vecchiaia. Al suo interno, alta s'ergeva una fiamma che brillante illuminava le naturali pareti lignee, ad ogni passo del corteo ferale essa diventava sempre più luminosa e l'aureola, che ampia l'avvolgeva cambiava colore, dal rosso fino al violaceo brillante il padrone di casa era finalmente ritornato ed era in buona compagnia.
Quando la carovana fu abbastanza vicina all'anziano albero, Diwonusojo gridò ai suoi animali: Fermi!. E a quell'ordine tutti gli animali della foresta si arrestarono, gli uccelli smisero di cantare, i cervi fermarono il loro vagare tra il sottobosco, i ratti appollaiati tra i verdi rami cessarono squittire ogni essere vivente assecondò il suo ordine. L'anziano Vate scese dal candido bisonte e cominciò a guardare i due ragazzini in volto, Obrázok e Yama, voltarono i loro visi verso sinistra, faccia a faccia con lui e silenti anche loro si sottomisero al suo volere attendendo. Diwonusojo fece un gran respiro e disse: Su scendete, andiamo a mangiare.
Poco dopo, porgendogli la mano li aiutò uno ad uno a mettere i loro piedi scalzi sulla nuda terra e senza lasciarli li accompagnò mano nella mano verso l'ampia e vetusta quercia.

Ad ogni passo che i tre compivano verso l'entrata, la fiamma si muoveva serpeggiante, solo quando si trovarono davanti ad essa i giovani ragazzi riuscirono a contemplare la magnificenza della struttura, le pareti interne dell'ampio tronco erano scavate e decorate da miriadi di nicchie che arrivavano quasi fino al tetto, oscuro, al loro interno facevano bella mostra teschi umani, ossa e fiori, sbocciati loro stessi tra le rughe vetuste dell'albero, irrigate dalla materia fertile che nasceva dal decadimento di quei corpi, lasciati li perpetui, a decomporsi. Dietro alla fiamma, difronte l'entrata era posto l'imponente trono del Dio; ricoperto da una pelliccia bruna simile a quella dei bisonti, possedeva una forma particolarmente insolita, come braccia presentava due grosse zanne, bianchissime, ricurve verso l'alto, maestose, erano decorate da solchi spiraliformi, sulla destra era ben visibile, tra i segni circolari, sette punti a formare la costellazione dell'orsa, orientata verso un cerchio forato nel suo centro, sulla sinistra incisi c'erano tra le varie spirali concentriche, tante forme stilizzate simili a quelle umane, tutte impegnate a muoversi in giro ad un centro, dove v'era scavata la forma di un fiore a sei punte. Ossa, collane d'ambra, pugnali asce, archi da caccia, girlande floreali sempre verdi e vasellame donati dai pellegrini al Dio del Santuario, erano accatastati ai due lati del trono ferale, sul quale tre neri corvi infilzavano i propri artigli gracchiando spensierati; al centro, sul punto più altom maestoso v'era l'esemplare dai profondi occhi dorati brillanti, sopra il nero abissale del piumaggio, alla sua destra, dalle iridi chiare come il cielo più alto, stava fermo il secondo corvo ed alla sua sinistra il terzo, non meno maestoso degli altri due, aveva uno sguardo intenso, caratterizzato da un verde brillante e purissimo. Tutti e tre impassibili, non sembravano curasi del nero serpente che si muoveva sinuoso sotto le loro zampe, girando intorno allo scranno indisturbato avvolgendolo in una sola spira, come un anello intorno ad un dito; dove finiva il capo con la le fauci schiuse, iniziava la coda la cui punta finale tra esse era tenuta. Il biondo Obràzok, dalla giovanissima età prima mormorò tra le proprie labbra poi alzò la voce continuando infervorato dallo stupore e dalla devozione: Eccoci al trono di Tridivo, dalla millenaria pelliccia mai consumata dal tempo, che gli fu donata dall'arciere celeste dalle lunghe trecce bionde, il difensore dei confini e dei campi dove ancora oggi le nostre bestie continuano a pascolare insieme alle miriadi di fiere ancora senza padrone. La sola presenza su questa terra, di questo trono rappresenta la speranza per ogni viaggiatore che in queste terre si perde, pilastro del mondo su cui ruotano intorno le terre, come in cielo ruotano le costellazioni dai mille occhi che giudicano, chi ,sotto di essi passa, coperto dall'operato delle proprie azioni.

Il sommo Vate compiaciuto lo guardò, annuì ma non rispose, rimanendo in placido silenzio.

Yama dai fulvi capelli, alzò il celeste sguardo verso l'anziano Diwunusojo, lo osservò attentamente, studiò il suo viso antico dai tratti perfetti e taglienti, seguì le sue rughe con attenzione prima di chiedergli con sicurezza nella favella: Oh Signore, ci avevi promesso un pasto, io non vedo nulla.
Ma nessuna risposta venne detta nell'immediato dall'anziano, che lasciò le mani ai due ragazzi ed attraversò, intatto, il fuoco luminoso per andarsi a sedere sopra il suo arcaico scranno. I due ragazzi attoniti non riuscirono a pronunciare alcuna parola sensata, sconvolti davanti alla loro prima theofania; senza credere ai propri occhi videro il vetusto Vate alzare le braccia e chiudere gli occhi tenendo stretto nella mano destra il bastone, ora fiammeggiante e pronunciare parole incandescenti;

Hare Dyaus, cielo Diurno!, Hare Woranos, cielo notturno!, Hare MahaDiwoniso, cielo scintillante!.

Poi dal suo volto una luce accecante incominciò ad irradiare le pareti interne dell'albero con raggi così forti, che costrinsero i due ragazzini a coprirsi gli occhi; nell'aria s'alzò il roboante suono di un antico corno che vemente svegliò gli uccelli notturni, solo quando luce dai mille colori diminuì d'intensità, i due decisero di abbassare le braccia, Yama spalancò i celesti occhi e Obràzok riprese a guardare attraverso le sue iridi color smeraldo la scena immortale. Davanti a loro c'era Diwonusojo, vestito con una tunica bianca luminosa dai mille colori, il suo viso era senza rughe, ringiovanito, su di esso, brillanti v'erano tre occhi, il sinistro verde, il destro color del cielo e l'ultimo, sorto sulla fronte, color dell'oro più puro; non più due braccia partivano dalle sue spalle scoperte, ma ben dodici, dai palmi delle mani aperte s'originavano fiamme che insieme formavano l'Aurora. Inchinatisi, i due ragazzini alzarono le braccia verso il Signore luminoso dall'aureola di mille colori recitando canti sacri e solo quando finirono, Diwo tuonò roboante all'interno della vetusta quercia: 
Voi, giovanissimi mandriani, avete vissuto come principi fino a poco tempo fa, riveriti e pasciuti avete subito per tre giorni la schiavitù e sconfitto la serpe, ora giovani principi, c'è un popolo che ormai da più di dieci anni è schiavo e costretto dalle armi straniere. Muore e lentamente scompare, quello che abita nella capitale che fu nostra, quella dei Vyr. Tu Yama, bello ed antico, sei l'immagine vivente di tuo padre, il legittimo Re dell'intera esistenza, Ohrmazd, invece tu oh chiaro e forte Obràzok, figlio del Mahavir Xshatrha ne incarni la potenza ed il coraggio, araldo perfetto della potenza creatrice ed ordinatrice del Cosmo, Per natura voi due siete regnanti, fratelli mai per un caso, a voi due è stato messo tra le mani il destino della nostra gente; voi siete coloro che degnamente diverranno Re dei Vyr, così che chi giusto è nel cuore sia giusto nel Regno. Ma ancora non siete pronti, siete giovani, troppo giovani per prendere le armi, il vostro corpo è troppo debole, il vostro spirito ancora non riesce a manifestarsi perfettamente davanti agli occhi di tutti, quindi starete con me per sei anni, farete ciò che io vi dirò, eseguirete i compiti che io vi darò seguendo il senso naturale del tempo, quando vi sarà la bella stagione voi dovrete superare una prova con fatica, poi vi riposerete fino all'inverno, dove ne compirete un'altra, temprati dal vento gelido e dalla neve, così avverrà per ben sei anni, fino a quando diventerete uomini forti e pronti alla battaglia. Ora figli del sole! Mettete le vostre mani dentro la fiamma davanti a voi e prendete ciò che è nascosto tra la catasta ardente, poi mangerete il vostro ultimo ricco banchetto.

I ragazzi sentite queste parole, sconvolti per la rivelazione ricevuta e ansiosi di riempire il loro ventre avvicinarono le mani alla grande fiamma, il calore era insopportabile e spaventati tremavano ma senza desistere con le loro falangi entrarono nel fuoco, senza sentire nessun dolore. Yama cercando con attenzione sentì tra le dita un fascio di crini simili a quelli di una corda, la strinse e temendo di romperla spostò le dita lungo di essa arrivando a toccare il legno a cui era legata, prendendolo con le falangi uscì dalle braci e dai legni fiammeggianti l'arma; un arco dalla forma sinuosa e levigata. Obrázok imitò il fratello, mise anche lui la destra tra le fiamme ardenti, cercando con attenzione tra le braci senza paura, visto il fratello indenne; quando le sue falangi si avvicinarono all'oggetto dal corpo metallico sentì sui polpastrelli una superficie tagliente, che lo costrinse a scendere lungo di essa con lentezza per non tagliarsi, fino a quando arrivò alla base lignea, piantata nelle braci, fece un profondo respiro tirò verso l'alto alzando lentamente la picca piantata nel terreno fino a quando fece uscire il metallico cuneo dell'arma fuori dalla catasta fiammeggiante e tirata fuori la destra dai legni intricati e ardenti andò con il palmo a prendere l'asta dell'arma uscendo la lancia dalle lingue fiammeggianti del fuoco sacro. Diwonusojo annuì con lo sguardo e disse:
Queste sono le armi che io vi do per il vostro sostentamento, Yama tu avrai l'arco e con questo sarai temibile, Obrázok tu hai ricevuto la lancia 
nata dalla terra e forgiata dalla folgore del cielo, con questa difenderai il popolo, bene da domani dovrete usarle cacciando, io per mia natura non mangerò, voi se vorrete vivere, dovrete attrezzarvi, quasi ogni preda qui può uccidervi; il cinghiale, adolescenti come siete, non temerà di attaccarvi, ne il cervo dalle ampie corna si farà scrupolo nel mettersi salva la vita e non dimenticate i bisonti loro non temono nulla, qui è facile passare da preda a predatore; ed ora Oh Satiri, sileni selvaggi portate il cinghiale!.
Ed a questo ordine all'interno della quercia fecero ingresso questi individui dai tratti caprini e ferali, prima d'allora visti solo da lontano lungo il tragitto nel bosco, erano otto con in spalla degli ampi piatti di legno sopra i quali era servito la carne di quel selvaggio suino di cui erano ancora ben riconoscibili le teste. 

Ad un cenno del Diwo, i suoi otto fratelli si sedettero a terra e cominciarono a dividere la carne tra i presenti, mangiando l'un l'altro dai vari piatti tenuti a terra difronte ai piedi di ogni commensale. Quella sera i due giovani si riempirono lo stomaco, affamati e stremati si ingozzarono spensierati ma consci di avere ora nel cuore una grande missione, troppo pesante per una sola persona, ma sopportabile se divisa tra due fratelli, pronto a difendersi a vicenda, l'uno armato d'arco e frecce per colpire lontano, l'altro con la lancia in mano pronto ad abbattere chiunque si pari davanti alla loro strada o tenti di colpirli alle spalle.

 

   
 
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