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Autore: Whiteney    18/09/2015    1 recensioni
|Sesta classificata al concorso "Nei tuoi occhi" indetto da milla4 sul forum di Efp|
"«Allora, come ci si sente a essere un eroe, giovane detective?»
«Si è trattata solo una di un’occasione fortuita… a seconda dei punti di vista, il fatto che mi trovassi lì e che, inoltre, avessi ancora la pistola, che si è rivelata molto utile»
«Jay, era scarica» Gli feci notare io, guardandolo male.
«Ma questo loro non lo sapevano» Mi rispose con nonchalance, alzando le spalle come se niente fosse. «E non chiamarmi “Jay”»"
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 Nome (forum e sito EFP): Whiteney Black

 

Titolo: Right beside you

 

Raiting: Giallo

 

Genere: Generale, sentimentale

 

 

 

 

Right beside you

 

 

 

 

«Sei in ritardo» Mi sibilò in sussurro appena udibile mentre mi passava la pistola e mi accovacciavo al suo fianco, in silenzio, limitandomi a roteare gli occhi e trattenendo a stento uno sbuffo.
«Sei tu che mi hai tirato giù dal letto alle tre del mattino» Risposi io stringendo l’impugnatura nera. «Non tutti siamo in grado di svegliarci, prepararci nel giro di cinque secondi e apparire comunque favolosi
, sai?» Continuai prendendolo in giro, in un sussurro, sporgendomi leggermente per dare un’occhiata alla situazione.
«E io ti ricordo che questo è il 
nostro lavoro, non abbiamo molta scelta se non quella di essere tempestivi» Mi rispose a tono lui assottigliando gli occhi, poggiando le spalle al muro e piegandosi di qualche centimetro in avanti, facendomi segno di imitarlo. «E adesso chiudi la bocca»
Annuii e lo imitai, costretta a ignorare le sue parole lapidarie e purtroppo corrette, in attesa di istruzioni. Lo vidi piegare il capo oltre il vicolo nel quale ci eravamo riparati, iniziando ad analizzare nuovamente la scena per diversi minuti, nei quali io rimasi completamente immobile, osservando i suoi occhi grigi saettare da una parte all’altra come un falco, fino a quando non alzò il braccio e stese tre dita, mettendomi sull’attenti.
Poggiai l’indice sul grilletto e mi misi in posizione, prendendo un profondo respiro per concentrarmi mentre lui abbassava il pollice, dando inizio al conto alla rovescia, e rabbrividii quando un soffio di vento imbeccò nel vicolo piccolo e stretto.
«E comunque» Riprese inaspettatamente lui con fare tranquillo, abbassando il medio e lanciandomi un’altra breve occhiata. «Anche tu mi sembri “
favolosa” come sempre»
Ebbi esclusivamente il tempo di battere le palpebre una sola volta, stordita, prima che abbassasse anche l’indice e scattasse in avanti con passo felpato e veloce, sussurrando un rapido “ora”, costringendomi a ricompormi e seguirlo, mentre i colpi di pistola prendevano ad esplodere nell’aria assieme ai fuochi d’artificio. 

Buon quattro Luglio.

 

 

Mi lasciai sfuggire un gemito di dolore, ritraendo la mano che era andata inavvertitamente a spazzolare la manica del braccio destro, quello dolorante, mentre continuavo a seguirlo lungo i cunicoli della città, i fuochi d’artificio ancora alti nel cielo brillavano fulvidi e brillanti, illuminando le strade più di quanto non facessero le luci pallide dei lampioni.
«Rotto qualcosa?» Mi chiese voltandosi brevemente verso di me, mentre si tamponava distrattamente un lungo taglio sulla guancia. Mi strinsi nelle spalle scuotendo il capo, sorridendo appena.
«Solo un po’ dolorante e acciaccata, direi» Risposi tastando con cautela l’occhio destro, immobilizzandomi quando una scossa di dolore mi percosse il corpo: occhio nero, perfetto
.
«Dopo quell’ematoma che il terzo uomo ti ha procurato, mi sorprende che tu sia ancora in piedi» Disse con fare pratico mentre ripiegava il fazzoletto sporco e lo poggiava nuovamente sulla guancia e io rabbrividii al ricordo, la sensazione di dolore e vertigini non mi avevano ancora abbandonato del tutto.
«Beh, io almeno non mi sono quasi beccata un proiettile in testa» Gli feci notare io piegandomi verso di lui con le mani allacciate dietro la schiena, guardandolo in attesa e con un sorriso incoraggiante. Lui mi fissò incarnando un sopracciglio, e assieme ai suoi movimenti fieri, rapidi e al fazzoletto bianco premuto sul viso che gli avevo regalato il Natale scorso – le iniziali J.K. ricoperte di sangue mi fecero piangere il cuore –, aveva un aria molto seria, regale e ridicola tutte messe insieme.
«Immagino tu voglia un grazie?» Mi domandò guardandomi come se si stesse rivolgendo a una bambina, e io annuii con fervore, aprendomi in un largo sorriso. Sospirò, spostandosi i capelli neri appiccicati sulla fronte a causa del sangue. «Immagino che questa volta te lo sia meritato, quindi grazie mille, Charlotte»
Mi rimisi dritta allegramente, ignorando la fitta di dolore che mi attraversò il fianco, ormai abituata a sopportare dolori simili, ma non ebbi nemmeno il tempo di congratularmi con me stessa o di iniziare a gongolare, che la voce pratica e ragionatrice di Jake ruppe il mio momento di gloria, 
come sempre.
«Ma ti faccio notare che hai quasi rischiato di essere 
tu quella con un proiettile in testa» Notò aggrottando la fronte, facendomi gemere afflitta: aveva un’incredibile mania per le piccolezze e la perfezione, per non parlare poi del fatto che dovesse sempre mettere in luce tutti gli errori, miei e suoi, che commettevamo durante una missione. Nonostante sapessi che fosse lui il capo tra i due, in quanto da sola non sarei mai andata molto lontano, sapeva essere incredibilmente snervante alle volte.
«Questo, nel migliore dei casi» Continuò poi portandosi una mano sul mento con fare pensoso, facendomi voltare verso di lui scioccata. «C’è stato un momento in cui ho pensato che saremmo morti entrambi»
«Grazie per la fiducia, eh» Borbottai tornando a guardare di fronte a me, calciando via una lattina vuota mentre l’ennesimo scoppio rimbombava sopra le nostre teste.
«Il diversivo dei fuochi ha funzionato proprio bene» Disse poi dopo qualche istante, più a se stesso che a me, volgendo lo sguardo verso l’alto e portandomi a imitarlo, mentre uno sparo rosso si apriva nel cielo.
«Già, ma per quanto tempo ancora andranno avanti?» Domandai accigliandomi. «Non penso che le persone abbiano tutta questa gran voglia di dormire insieme a tutto questo chiasso, spirito patriottico o meno»
«Non ne ho idea, avevo dato ai gemelli carta bianca» Mi spiegò tranquillo. «L’importante è che nessuno sappia perché gli spari del quattro Luglio siano iniziati alle tre del mattino»
Lo guardai perplessa decidendo che no, non avrei iniziato a fare domande a un’ora così tarda e no, non mi importava il fatto che mi avesse tenuto all’oscuro dell’intera vicenda fino alla fine. Tanto oramai c’ero abituata, e quando avevi come capo/socio/chiamami-come-vuoi Jake King, la prima cosa che dovevi imparare a fare era adattarsi. E avere pazienza. E a non lasciare mai la cucina in disordine.
Mi stiracchiai, chiudendo gli occhi quando intravidi la mia figura attraverso una vetrina sporca e avvertii una fitta di dolore attraversarmi il corpo, fingendo per un istante, un solo istante, che tutto quello che mi circondava non fosse reale, che non mi fossi appena procurata un occhio nero dopo aver combattuto contro cinque energumeni vestiti di tutto punto e armati fino ai denti in quell’ennesimo scontro mortale nei quali ormai venivo tirata dentro di continuo, da quando avevo deciso di unirmi a 
lui, sicura come non mai e senza altre opzioni a cui mirare.
Era stressante, alle volte.
Vedere le altre ragazze comportarsi come era consono alla loro età, alla 
nostra età, mi faceva riflettere, mi fermavo e le osservavo da lontano mentre vivevano la loro vita a modo loro, pensando distrattamente che, un tempo, anche io ero stata così. Un tempo anch’io me ne andavo in giro per negozi con le mie amiche, a Parigi, con l’unica preoccupazione di non prosciugare la carta messami a disposizione da mio padre, anche io ero stata come loro. Poi però un giorno, che mi sembrava ancora così irreale nonostante fossero passati diversi anni, tutto finì, e io mi ritrovai costretta a dover decidere quale strada percorrere, entrambe vicoli ciechi, entrambe apparentemente senza uscita, entrambe orrende ai miei occhi ma, purtroppo, una scelta andava fatta. 
E a nessuno sarebbe importato.
Ed era stato proprio il fatto che a nessuno importasse di quello che mi era successo, il fatto che a nessuno importasse che non avessi avuto scelta, che mi aveva fatto arrabbiare.
L’avevo trovato ingiusto.
Poi avevo incontrato lui, che mi fece capire che no, a nessuno sarebbe importato di quello che mi era successo e che no, non era giusto, ma appunto per questo me la sarei dovuta cavare da sola da quel momento in poi.
Perché lui l’aveva già sperimentato, prima di me.
E nonostante tutto, lui, di cui nessuno era mai importato nulla, fu quello che mi offrì una mano per rialzarmi. Forse per pena… o forse perché semplicemente gli serviva un aiuto a basso costo, ma mi era andata bene anche così.
E nonostante ora mi ritrovassi con un occhio nero, il corpo dolorante e i capelli un disastro, continuava ad andarmi bene così.
Anche se alle volte era un po’ dura.
«Vuoi andare alla festa, dopo?» Mi domandò di punto in bianco, riportandomi alla realtà.
«Perché una francese e un inglese dovrebbero festeggiare il quattro Luglio?»
«Io lo chiedevo per te, sai. So che ti piacciono questo… genere di manifestazioni»
«Trovo davvero incredibile la tua capacità di riscoprirti aperto a questo “genere di manifestazioni” quando, le suddette, non interessano nemmeno me» Lo presi in giro io fermandomi di fronte alla porta del nostro palazzo, mentre lui infilava la chiave nella toppa.
«E io trovo incredibili le capacità linguistiche della tua lingua»
«Ti voglio bene anche io»
«… e» Aggiunse scuotendo il capo, alzando gli occhi grigi al cielo. «trovo molto stupidi i tuoi tentativi di essere l’ultima ad avere la parola»
«Uffa, se mi lasciassi vincere una volta ogni tanto la smetterei» Sbuffai io mentre salivamo le scale. «E adesso posa 
il fazzoletto, ti disinfetto quel taglio»
«Pensa prima al tuo occhio. Il tuo viso ha decisamente avuto giorni migliori» Lo disse senza cattive intenzioni, solo fredda e spietata schiettezza e verità. 
E mancanza di tatto.
«No, prima il tuo taglio» Tagliai corto io, facendolo sedere di fronte a me mentre gli afferravo il viso tra le mani, corrugando la fronte. «Che dopo quello penso ti disinfetterò anche quella 
linguaccia»

 

 

«Non sapevo fossimo detective» Esclamai genuinamente sorpresa mentre leggevo il titolo scritto a carattere cubitali in prima pagina, puntando lo sguardo su di lui.
«Dovevano pur definirci in qualche modo» Rispose lui con un’alzata di spalle, sfogliando distrattamente un libro. «E detective era il termine che la gente avrebbe apprezzato sentire, anche se non è titolo che ci si addice meglio» Continuò pensieroso alzando lo sguardo e puntandolo verso la finestra.
«Beh, “ci” non è la particella pronominale che avrei usato» Dissi corrugando la fronte, mentre lo vidi con la coda dell’occhio voltarsi verso di me, probabilmente sorpreso dal fatto che avessi parlato come faceva lui di solito. «Infondo qui si parla di 
te, sei tu quello che ha arrestato il gruppo di rapinatori in banca, ieri. È perfino sul telegiornale»
Come a voler darmi ragione, dalla televisione accesa sul tavolino la prima delle intro delle notizie del giorno fu proprio sulla sventata rapina avvenuta ieri, che mi portò ad abbassare nuovamente lo sguardo sul giornale.

Sventata rapina con ostaggi alla “International Bank” per mano di un giovane detective. – diceva in tono altisonante l’articolo, portandomi ad alzare lo sguardo sul “giovane detective” – Ieri mattina, verso le 11:40 circa, un gruppo di rapinatori ha fatto irruzione alla “International Bank” armati di pistole e altre armi da fuoco, prendendo in ostaggio civili e costringendo il titolare a ritirare tutti i soldi dalle casseforti; lo stesso diede l’allarme non appena ne ebbe la possibilità, portando così la polizia ad arrivare tempestivamente sul posto, giusto in tempo per assistere a un vero atto di eroismo da parte di un giovane eroe il quale, con una serie di sotterfugi ben congeniati, è riuscito a disarmare e fermare i tre rapinatori che, resisi conto dell’allarme lanciato, avevano minacciato di sparare a un cittadino anziano, portando così il giovane dal sangue freddo Jake King, detective privato presso la diciassettesima strada, a tentare il tutto per tutto pur di salvare la vita dell’uomo e degli altri ostaggi, uscendone vittorioso seppur lievemente ferito. L’identità dei tre…”

Mi fermai, alzai gli occhi e lo guardai, soppesando le parole del giornale: lievemente ferito, certo, non erano stati loro ad aver rischiato un crepacuore quando l’ospedale aveva chiamato.
Scossi il capo, ripiegando il giornale e poggiandolo di fronte a Jake, picchiettando sul titolo inchiostrato di nero.
«Allora, come ci si sente a essere un eroe, giovane detective?» Gli domandai con un sorriso sedendomi di fronte a lui, poggiando il viso tra le mani. Lo vidi puntare gli occhi prima sul giornale, poi su di me, con un cipiglio marcato che dava voce fin troppo bene ai suoi pensieri.
«Si è trattata solo una di un’occasione fortuita… a seconda dei punti di vista, il fatto che mi trovassi lì e che, inoltre, avessi ancora la pistola, che si è rivelata molto utile»
«Jay, era scarica
» Gli feci notare io, guardandolo male.
«Ma questo loro non lo sapevano» Mi rispose con nonchalance, alzando le spalle come se niente fosse. «E non chiamarmi “Jay”»
«Ti sei beccato una pallottola» Rilanciai io, tamburellando sul bancone con le dita e ignorando l’ultima frase.
«Sulla spalla sinistra, di striscio, nulla di grave» Rimasi in silenzio per qualche istante, osservandolo.
«Vuoi davvero farmi venire un colpo, non è vero?» Gli chiesi quindi storcendo la bocca. «E ci passi pure da eroe! Anche se devo dire che la cosa non è poi così malvagia… e poi la moglie del signore che hai salvato ci inviato una caterva di specialità italiane, per non parlare dei ringraziamenti per il tuo gesto da vero eroe! Non male, eh»
«Eroe» Ripeté lui roteando gli occhi. «I giornalisti amano impreziosire notizie in sé per sé semplici»
«Non quando si tratta di un misterioso e giovane 
detective inglese che sventa una rapina e salva un uomo da morte certa, soprattutto compiuta per mano di una banda molto pericolosa che la polizia non era mai riuscita ad acciuffare… senza contare poi delle testimonianze dei presenti, qualcuno ha perfino detto che i tuoi movimenti a un certo punto erano stati così rapidi e silenziosi da paragonarti a “un’ombra silenziosa”!» Spiegai io dondolando le gambe, guardando il suo sguardo criptico osservarmi con quel cipiglio.
«Beh, presto la notizia si farà vecchia e tutti se ne dimenticheranno» Borbottò lui scuotendo il capo e poggiando la guancia sul palmo della mano. «E la smetteranno di chiamarmi “eroe”»
Aggiunse con un che di disgustato che mi sorprese; non sapevo perché la cosa gli desse così tanto fastidio, soprattutto considerando la pubblicità che quell’evento avrebbe potuto portarci. Anche se non eravamo effettivamente definibili come “detective” – almeno non io, il mio spirito di deduzione iniziava e finiva dove iniziava il suo tatto –, qualche caso di quella portata avrebbe potuto farci comodo, anche poco importanti e semplici, soprattutto perché avevo bisogno di una pausa da tutti quegli scontri mortali di cui la polizia non voleva occuparsi.
Ma la cosa sembrava dargli inspiegabilmente fastidio, e considerando il suo Q.I. ero certa che aveva già tenuto in conto i vantaggi che quel momento di notorietà ci avrebbe portato, ma se lui non voleva, io non avrei insistito. 

Lui aveva sempre i suoi motivi.
«Hm, immagino tu abbia ragione» Mi limitai a dire sorridendogli. «Ora, ordiniamo cinese?»
Infondo aveva ragione, presto tutti se ne sarebbero dimenticati.

 

 

Dovemmo ricrederci.
Sinceramente non sapevo come fosse successo, ma nessuno parve più dimenticarsi di lui dal famoso episodio della rapina sventata e, da quel momento in poi, ogni “caso” che risolvevamo (quasi tutti, ovviamente, esclusi quelli di cui non potevamo particolarmente parlare) venivano raccontati sui giornali locali in base all’importanza, e considerando la “nostra” sempre maggiore notorietà, un sempre crescente numero di persone aveva iniziato a venire da noi per i motivi più disparati.
Qualcuno – qualcuna
 – veniva perfino solamente per poter avere l’occasione di parlare con Jake.
Perché per quanto ci sorprendesse la cosa (più a lui che a me, visto che ero a conoscenza del suo fascino), da quando era finito in televisione Jake aveva riscosso un certo… successo.
In tutti sensi.
Da qualche ammiratrice eravamo passati a solerti giovani di tutti i tipi e generi desiderosi di potersi unire a lui nella sua lotta al crimine, e io ero sempre rimasta in silenzio a osservarlo, perché nessuno pareva curarsi particolarmente “della fedele assistente che lo seguiva ovunque”.
La cosa non mi aveva mai infastidito, in realtà, perché io sapevo cosa c’era oltre.
Io mi fidavo di lui e lui si fidava di me, e sapevo che non mi avrebbe mai sostituito, anche se non ero esattamente la migliore in circolazione
Per questo aspettavo sempre pazientemente mentre lui spiegava, con modi più o meno cortesi, di come non avesse più bisogno di altri “assistenti” (neanche lui apprezzava questo appellativo nei miei confronti, per mio grande sollievo e rincuoro) o di “ragazze” all’infuori di me.
Alla fine le reazioni erano sempre diverse, ma finivano sempre allo stesso modo: Jake che sospirava irritato, scuoteva il capo frustrato, mi guardava e poi si stendeva sul divano, annunciando che il prossimo che avrebbe bussato l’avrebbe defenestrato e che, infine, detestava profondamente tutta questa nuova 
stronzata del giovane detective.
Io continuavo a rimanere in silenzio e lo guardavo, perché sapevo e avevo capito perché la cosa gli desse tanto fastidio, almeno a grandi linee. E allora gli preparavo un po’ di thè e glielo porgevo sorridendo perché, alla fine, io c’ero.
E io sapevo.

 

 

Era passato qualche tempo dall’episodio della rapina, e benché la situazione si fosse notevolmente tranquillizzata, le notizie riguardanti i nostri casi più interessanti non passavano mai inosservate sul giornale e, se erano veramente succose, perfino sul telegiornale.
Ecco, quel giorno eravamo finiti di nuovo in televisione.
La polizia aveva iniziato ad affidarci casi meno… sporchi da quando Jake era inevitabilmente finito in prima pagine e, benché continuassimo ad occuparci di suddette mansioni, erano aumentati i numeri di casi più o meno importanti che richiedevano la nostra assistenza, facendomi quasi sentire come Sherlock Holmes e John Watson in un po’ tutti sensi, dato la notorietà non trascurabile che aveva accumulato. Il punto era, tuttavia, che anche quella volta eravamo finiti tra le notizie del giorno a causa di un trafficante che era riuscito a scappare e ad introdursi in un locale pubblico armato di pistola. E nonostante per un momento la situazione aveva raggiunto un picco critico inimmaginabile, la situazione si era ristabilita. E il mio braccio non faceva poi più così male.
Ma fu proprio in quella situazione, mentre ascoltavo il giornalista presentare l’evento, che un suono nauseato e infastidito catturò la mia attenzione.
«Ti fa ancora male?» Gli domandai, alludendo alla spalla con un cenno preoccupato. Scosse il capo, apparendo tuttavia terribilmente infastidito mentre osservava con risentimento la piccola televisione.
«È quell’uomo che mi irrita» Mi disse facendo una smorfia, riordinando un ripiano della piccola libreria accanto al bancone della cucina.
«Luke Smith non ti piace?» Chiesi spalancando gli occhi confusa, puntandoli sul giornalista biondo. «E dire che è tanto carino»
«Alle volte mi domando se sei stupida o ti diverti solamente a farmi irritare»
«Ehi!»
«Non è lui il problema… anche se avrebbe potuto dire al suo chirurgo di fiducia di andarci piano con quegli zigomi» Spalancai gli occhi sconvolta, puntando nuovamente lo sguardo su di lui.
«Si è rifatto?!»
«Sì, anche se non è quello il punto» Disse, sospirando frustrato. «È la faccenda in sé per sé che mi innervosisce»
«Ah, parli del fatto che sei diventato una specie di mezza celebrità?» Gli chiesi mettendo a muto per non irritarlo oltre.
«Non capisco perché si ostinino a chiamarmi come qualcuno che non sono» Mi disse massaggiandosi la fronte, esausto, lasciandosi cadere al mio fianco, permettendomi così di osservarlo per qualche istante.
«Parli della questione del detective?» Mi guardò male, ma con mia grande sorpresa, scosse semplicemente il viso.
«No, l’altro
» Soffiò, strofinandosi il volto.
«Ah, giusto, “il fattore eroe”» Mi guardò male di nuovo, ma lo ignorai. «Sai, Jake, nonostante quello che tu possa pensare, tu 
sei un eroe»
Si voltò verso di me, guardandomi sorpreso, e io lo guardai sorridendo, certa di aver centrato il segno perché, dopo tutto quel tempo anni, sapevo come funzionava il suo modo di pensare, più o meno, e sapevo esattamente che il suo cruccio principale era che, nonostante quello che dicevano i mass media, lui si sentiva tutt’altro che un eroe.
Perché per lui era semplicemente impensabile.
«Io non sono un eroe» Mi disse serio, e io roteai gli occhi. «Charlotte, io ho solo fatto quelle cose perché sono le uniche che sento naturali per 
me, non perché me lo diceva il mio onore o chissà che altro, semplicemente perché è una cosa che io so fare… a me non importa degli altri»
«Ma la vuoi smettere con queste stronzate?» Esclamai corrugando la fronte e facendolo sussultare sorpreso, mentre mi voltavo per guardarlo meglio, allacciando le braccia al petto.
«Intanto ti ho detto mille volte di smetterla con questo “Charlotte” qui e “Charlotte” là, lo sai che preferisco Lottie» Gli puntai un dito contro con fare inquisitorio. «E poi risparmiami i tuoi discorsi da lupo solitario, lo sappiamo benissimo entrambi che, va bene, forse non sei l’eroe che 
tutti gli altri pensano tu sia… anche se non so nemmeno che cosa si aspettino da un tipo simile… ma non venirmi a dire che non ti importa affatto di quello che succede alle altre persone. E non dirmi nemmeno che non sei un eroe perché, per me, tu sei un eroe. E io so cosa aspettarmi da te, quindi smettila con questo muso lungo e sbuffi e apprezza un po’ di fama, visto che tra i due io sembro essere l’asino da soma più che la tua collega… anche se potrei vederne il motivo, ma non ha importanza»
Mi fermai prima che mi dilungassi troppo, avendo detto tutto quello che volevo, e mi limitai a fissarlo con fare severo, attendendo la sua risposta mentre lo vedevo guardarmi pensieroso, soppesando le mie parole e notai nei suoi occhi grigi una sorta di movimento, quasi l’avessi sorpreso, probabilmente non aspettandomi una simile verità da parte mia.
Alla fine lo vidi scuotere il capo, ma notai con una punta di sollievo gli angoli della bocca del mio collega sollevarsi, e mi rilassai.
«E va bene» Acconsentì scuotendo il capo. «Diciamo allora che sono un eroe, ma solo un po’»
Annuii, mi andava bene anche così.

 

 

Non pensavo avrei mai provato così tanta paura, non di nuovo perlomeno.
Scesi giù dal taxi appena lo vidi rallentare, pagandogli senza controllare la somma precisa e precipitandomi il più in fretta possibile verso la porta di vetro scorrevole, sentendo che se avessi smesso di correre prima di essere arrivata a destinazione sarei scoppiata a piangere. 

“Io non sono un eroe”, aveva detto, ah!
Quello stupido, imbecille, deficiente, 
stronzo, l’avrei preso a botte non appena lo vedevo, sì, assolutamente. L’avrei picchiato nonostante fosse indicibilmente più di me, l’avrei insultato, gli avrei messo in disordine l’intera stanza, gli avrei… gli avrei…
Sniff
Digrignai i denti e ricacciai in dentro le lacrime.
Quello era uno stronzo, altro che detective, altro che eroe, e se avesse provato a lasciarmi così, l’avrei riempito di schiaffi, perché non poteva, tantomeno in quel modo. 

Sniff
No, non avrei pianto.
Mi fermai davanti la porta e la spalancai, catturando subito l’attenzione del paziente, che si voltò verso di me sorpreso.
«Oh, ciao Charlotte»
Lo guardai trafelata mentre il mondo intorno a me continuava a girare, ignorando i fatti che accadevano al suo interno, ignorando le vite che si spegnevano e le vite che nascevano, ignorando i fatti gioiosi e quelli drammatici che avvenivano in ogni istante, ignorando il dolore di una singola persona, come se non contasse nulla in questa matassa continua di gioia e tristezza infinita, che non finiva mai, non importava quanto avessi sofferto in passato e fossi riuscito a rialzarti nonostante tutto, c’era sempre qualcosa di peggio.
E no, non era giusto.
Per questo, guardandolo mentre mi osservava tranquillamente, quasi non fosse successo nulla, non potei farne a meno.
E scoppiai a piangere.

 

 

«Perché l’hai fatto?» Gli chiesi quella sera, dopo essermi placata, guardando distrattamente fuori dalla finestra, dove il mondo continuava a girare e le persone continuavano a vivere nonostante tutto. Nonostante tutto.
Lui si voltò verso di me con uno scatto, quasi temesse che scoppiassi di nuovo a piangere dopo la crisi di quel pomeriggio che l’aveva preso completamente di sorpresa. Gli lanciai una semplice occhiata.
«Fatto cosa?» Mi domandò quindi con cautela, osservandomi attentamente con gli occhi grigi.
«Farti quasi investire per salvare il ragazzo» Specificai. «Pensavo che non ti importasse cosa succedeva agli altri. Né che tu fossi un eroe»
Sembrava sorpreso dalla mia domanda, tanto che rimase in silenzio per qualche istante, quasi a ponderare la risposta.
«Non lo so» Disse alla fine, e io mi voltai con uno scatto verso di lui.
«Come sarebbe?» Gli chiesi aggrottando la fronte, burbera.
«Voglio dire che… non lo so. Non so neanche io cos’è successo» Sospirò, passandosi una mano sul viso e per la prima volta in vita mia, lo vidi veramente combattuto e afflitto, come mai prima d’ora l’avevo mai visto.
«E allora proviamo a capirlo» Dissi allacciando le mani. «Racconta»
Mi guardò per qualche istante, titubante, ma alla fine, quando vide che non accennavo a parlare o a muovermi, iniziò sospirando.
«Stavo… facendo una passeggiata. Sai, dopo tutti gli impegni che abbiamo avuto, volevo passare un po’ di tempo per conto mio. Ecco, stavo camminando sul marciapiede, vicino al negozio di Madame Boyer sulla sesta quando… ho sentito lo stridio una sgommata sull’asfalto, e una macchina nera sfrecciare a tutta velocità lungo la strada, poi ho notato il ragazzo che attraversava la strada, e lì ho potuto calcolare con sicurezza che se non si fosse spostato, sarebbe stato investito» Fece una pausa, nella quale aggrottò la fronte, massaggiandola. «Non… non so cosa sia successo ma, in quel momento, ho capito che non si sarebbe spostato in tempo. E che… nessuno avrebbe fatto nulla per salvarlo, perché quei pochi che si erano accorti della situazione si erano immobilizzati, come me»
Lo guardai senza muovermi, notando il suo tormento e la sua confusione.
«E, non lo so, quando ho visto che nessuno avrebbe fatto nulla, che non 
avremmo fatto nulla per impedirlo, io… sono saltato in avanti prima ancora che me ne rendessi conto»
Calò il silenzio e lo guardai mentre si strofinava il collo, combattuto. 
Ma certo.
«Chissà cosa gli sarebbe successo se tu non l’avessi aiutato» Ruppi il silenzio alzandomi in piedi e avvicinandomi al suo letto. «Chissà cosa gli sarebbe successo se tu non ci fossi stato, chissà se qualcuno l’avrebbe fatto al posto tuo… chissà se qualcuno avrebbe rischiato»
Mi fermai al suo fianco e mi sedetti sul letto, guardandolo con un cipiglio serio mentre lui mi osservava silenziosamente.
Perché sapeva, e io più di lui.
«Anche se in modo totalmente diverso» Continuai. «Tu hai salvato quel ragazzo perché ti ha ricordato in qualche modo te, non è vero?» Gli domandai, e vidi distintamente le sue labbra stringersi in una linea dritta.
«Sono due cose totalmente diverse, l’hai detto anche tu» Sospirò, lasciandosi sprofondare nel cuscino. «Ma sì, ammetto di aver ripensato a quella cosa quando… ho visto che nessuno, me compreso, non avrebbe fatto nulla»
Sospirai anche io abbassando lo sguardo e guardandomi le mani, dondolando i piedi leggermente, perché avevo capito.
«Pensavano tutti… che fossi stato tu ad uccidere tuo fratello e la sua famiglia» Bisbigliai, osservando il suo corpo immobilizzarsi e le sue nocche sbiancare. «Tutti, perfino i tuoi genitori erano arrivati a pensare che eri stato tu. Pensavano… che lo invidiassi perché aveva avuto il meglio, nonostante fosse il più piccolo: un buon lavoro, una bella casa e una bella famiglia mentre ai loro occhi tu… eri l’esatto opposto»
Mi strofinai le mani avvertendo un brivido attraversarmi la schiena, mentre lo vedevo fissarmi senza vedermi veramente, immerso nel mio racconto quasi fosse stata una favole a lui sconosciuta.
«C’era tutto ai loro occhi. Il movente, l’occasione e la mancanza di un alibi… e il tuo essere singolare e cinico… e il fatto che possedessi un’arma. Quello che dicevi tu, tuttavia, quello che provavi non contava, non importava quanto avessi insistito e gridato, gridato che eri innocente, per loro la tua parola non contava, il tuo amore per tuo fratello non contava, contavano i fatti, anche se erano sbagliati. Loro non lo sapevano, e non ci credevano» Mi fermai di nuovo, espirando, un sospiro tremolante che mi uscì dalla gola in modo strano, mentre l’aria nella stanza si era fatta pesante e tesa, ma nonostante tutto continuai, perché sentivo che dovevo farlo.
«Nessuno ti credeva. A nessuno importava cosa provavi in quel momento, quali fossero le tue emozioni, per loro eri solo… un assassino. Nessuno ti aiutò, nessuno ti 
salvò» Puntai gli occhi nei suoi. «Per questo, decisi di salvarti da solo. Non avevano ancora prove schiaccianti, solo allusioni, presupposti e qualche indizio che ti incriminava, tutti sbagliati. Tu invece sapevi di essere innocente, e lottasti per dimostrarlo. Trovasti il vero… il vero colpevole, lo incastrasti e alla fine… eri nuovamente libero»
«Già, ma a che prezzo» Rise amaramente, sorprendendomi. Aveva un sorriso amaro sul viso mentre mi osservava con le mani giunte, gli occhi grigi velati da un’aspra e triste malinconia autoironica, quasi si facesse pena da solo.
Mi si strinse il cuore, ma non contestai.
«Anche dopo essere stato finalmente libero… nessuno parve più guardarmi come prima» Scosse il capo. «È un incredibile paradosso, nonostante fossi riuscito a trovare… a trovare il vero assassino… a discolparmi dalla colpa che mi era stata inflitta nei riguardi di mio… 
fratello e della sua famiglia… tutto era cambiato»
Si mise a sedere staccandosi dal cuscino e io lo guardai, come facevo sempre, stando attenta che non avesse un capogiro.
«Non avevo molti amici, e forse questo aveva aumentato i sospetti ma tutte le persone che conoscevo… perfino il postino che si fermava sempre a tenermi informato sulle notizie più insulse… tutti sembravano improvvisamente guardarmi come se temessero che potessi uccidere per davvero qualcuno. Era ridicolo, tutto quello che avevo fatto era scovare il criminale, perché non volevo assumermi la sua colpa, non volevo… assumermi 
quella colpa. Ma alla fine dovetti accettarlo, per forza»
«Anche se era ingiusto» Dissi io, ormai familiare a quelle parole dolorose e schifose, prendendo un profondo respiro. «Lo so, dopo che mio padre fu arrestato per aver collaborato e salvato la vita a un numero indicibile di boss criminali io… io non fui più Charlotte Leroy ma… semplicemente la figlia del dottore criminale… tanto famoso e tanto stimato tra gli ospedali di Parigi… che quella notizia non ci mise molto a distruggere il nostro nome… e 
me. Non penso avrei resistito oltre agli sguardi delle persone quando mi vedevano… lasciare la Francia è stata la scelta migliore che io avessi mai fatto»
Mormorai, ma mi interruppi, voltandomi verso di lui, intento a squadrarmi attentamente, per nulla scalfito dai ricordi dolorosi che avevamo riportato a galla.
«Perché lo stiamo dicendo di nuovo? Conosco già la tua storia, e tu la mia» Mi chiese lui piano, osservandomi con la fronte aggrottata e io sorrisi, forse per la prima volta quel pomeriggio.
«Il punto è, 
Jay, che io trovo che tu sia un eroe. Non per il semplice fatto di aver salvato quel ragazzo, ma perché sei riuscito ad alzarti dopo tutto quello che ti è successo, ad accettare il fatto che nessuno sarebbe venuto in tuo aiuto, a salvarti, anche se ne avresti avuto il diritto, sei andato avanti contro tutti da solo. E io non sarei mai riuscita ad alzarmi se non fosse stato per te, per questo voglio dirti che semmai dovessi nuovamente pensare di non essere all’altezza delle aspettative degli altri, beh, sappi che almeno le mie le hai già raggiunte. E scavalcate, mio eroe!» Terminai ridendo leggermente, cercando di smorzare la tensione.
Mi fissò per qualche altro istante intontito, e io osservai i suoi occhi vacillare tra il sorpreso e, se potevo osare dirlo, l’onorato. Passò subito, però, non appena scosse il capo sconvolto, portandosi una mano sulla fronte.
«Sai, l’ultima volta che mi hai fatto un tale discorso, pensavo seriamente di essere impazzito, perché il fatto che tu, tra tutte le persone, mi considerassi in quel modo mi aveva… sorpreso e 
allietato più del consentito, se mi è dato dirlo» Mi lanciò un’occhiata inequivocabile, e io spalancai gli occhi per un secondo, sconvolta, per poi aprirmi in un largo sorriso, intimandogli di continuare. «Quindi, sai, penso che potrei anche accettare questo appellativo stupido e insulso se tu, come mi hai detto, trovi che mi si addica… basta solamente che la smetti di chiamarmi Jay»
«Solo se tu mi chiamerai Lottie» Dissi imitando il suo tono serioso, portando le mani ai fianchi.
E alla fine risi nonostante tutto, lanciandomi verso di lui per abbraccialo.
Perché nonostante tutto, lui c’era.

 

 

Ero rientrata in anticipo rispetto al previsto quando sentii, dallo studio, delle voci discutere.
Mi fermai, riflettendo e venendo alla conclusione che no, non aspettavamo nessuno e che sì, una delle voci era, ovviamente, di Jake mentre l’altra sembrava essere a primo impatto quella della cameriera, fattorina e figlia dei proprietari del ristorante cinese dove ordinavamo sempre da mangiare.
Ponderai per un momento la questione, conscia che non erano affari miei e che Jake odiava che origliassi le discussioni che non mi riguardavano, ma quando colsi al volo la frase: “Non sono interessato a simili relazioni”, mi ritrovai attaccata al muro prima ancora che me ne rendessi conto, silenziosa, inosservata e curiosa
, sporgendomi leggermente.
«Apprezzerei quindi che la smettessi di scribacchiare sulle mie bacchette il tuo numero di telefono, se non ti spiace» Sentii dire da Jake con quel suo solito tono pratico e senza tatto, portandomi a scuotere il capo: quello non era assolutamente il modo di trattare con una ragazza.
«Si tratta della tua assistente, non è vero?!» La sentii soffiare con tono piccato, portandomi a stringermi contro il muro mentre avvertivo una sorta di panico e fastidio sulla bocca dello stomaco.
Iniziava un po’ a infastidirmi questa storia dell’assistente.
«Parli di Charlotte?» Domandò sorpreso Jake.
«Di chi altro?» Sbuffò lei. «Avrei dovuto immaginarlo che la sua presenza non fosse del tutto inutile, come assistente fa schifo» Sbiancai all’allusione, non sapendo se fosse più la rabbia o l’imbarazzo per essere stata paragonata a una dai facili costumi.
«Già, perché lei non è né la mia assistente né la mia… non so il termine che avevi in mente, ma preferirei non ripeterlo. Lei è la mia 
collega»
«Collega, e di cosa? Di letto?» Domandò lei, ora più divertita che altro.
«No, affatto. Le persone basse possono essere anche le più letali, sai? Non so quante volte ho evitato di avere un proiettile impiantato nel mio cranio grazie a lei» Rispose in modo non molto affabile, senza tuttavia scomporsi, inducendomi a pensare che fosse solo stanco di quella discussione; infondo era da qualche tempo che avevo iniziato a notare le 
avances della ragazza verso il mio collega che, facendo finta di niente, le aveva sempre respinte tutte.
Quindi immaginavo che, quel giorno, uno dei due avesse deciso di mettere fine a quella situazione.

«Ok, va bene» Fece lei fieramente, ma con una punta di fastidio nella voce. «Ma me ne andrò solamente quando mi dirai cos’è quella ragazza per te»
Calò il silenzio per qualche secondo, nel quale mi misi sull’attenti, curiosa di sentire l’opinione che aveva su di me Jake, preparandomi mentalmente a qualunque cosa avrebbe detto.
«Difficile da spiegare, senza dubbio» Lo sentii dire con fare pensoso. «Lei per me è…
»
Si interruppe, portandomi a farmi mordicchiare il labbro nervosamente. 
«La mia Lottie» Furono le parole precise che gli sentii pronunciare.
Non pensavo sarei mai stata in grado di sorridere così tanto. Sogghignai ampiamente, quindi, osservando di sottecchi lo sguardo di Jake, sempre pratico e ordinato, aprirsi in un sorriso. Mi riscossi tuttavia quando la vidi alzarsi senza dire una parola, salutare e incamminarsi verso l’uscita.
Io mi precipitai verso l’ingresso il più silenziosamente possibile, e finsi di essere appena rientrata quando la vidi approcciarsi alla porta. Mi salutò educatamente, tuttavia con un’espressione torva sul viso, e uscì a testa alta. E fu a quel punto che vidi Jake incamminarsi verso il divano, sedendovisi sopra e salutandomi appena, facendomi sghignazzare di nascosto.
«Hm… è successo qualcosa?» Domandai accomodandomi al suo fianco, facendo finta di niente.
«Probabilmente dovremmo cambiare ristorante cinese di fiducia» Mi disse piatto, massaggiandosi la fronte. 

«Oh, ho capito» Feci ridendo leggermente.
Rimasi un momento in silenzio, osservando i suoi occhi grigi contemplare il soffitto con fare assente, immerso in chissà quali problemi.
Sorrisi di nuovo. 

«Quindi nei tuoi occhi…» Iniziai poggiando il mento sulla sua spalla, guardandolo. «Io sono la tua Lottie»
Non glielo domandai, perché mi andava bene così e non volevo che se lo rimangiasse. E mi andava anche bene il rossore improvviso che gli colorò il volto, mentre i suoi occhi tremavano per la sorpresa e mi fissava sconcertato.

«Perché sai, nei miei occhi invece… tu sei il protagonista della mia storia»
E quando vidi i suoi occhi spalancarsi, sorrisi nuovamente.
Perché sapevo.
E a quanto pareva, adesso sapeva anche lui.

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice

Prima storia originale, non una delle mie più brillanti, lo ammetto apertamente.
Ho avuto dei dubbi iniziali, dato che ho cambiato completamente idea per tre buone volte prima di arrivare a una conclusione.
Spero di non essere stata troppo precipitosa con i fatti e che non sia, in più, un completo disastro. >_>
Non so cosa pensare, ecco, temo di essermi un po' incasinata, anche se ho ricontrollato.
Serve per imparare. ^^"

In un modo o nell'altro la volevo finire per il contest, dato che l'idea mi piaceva... e sì, so che non è una perla,,, ma ci ho provato.
Nient'altro da dire!

Grazie per aver letto.

Ciao e

A preeesto

 

Whiteney 

   
 
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