You are the reason I still fight
Staring out into the world across the
street
You hate the way your life turned out to be
He's pulling up in the driveway and you don't make a sound
'Cause you always learned to hold the things you wanna say
You're always gonna be afraid(*)
Sono seduta sul letto, sfinita da una dura di giornata di
lavoro in fabbrica.
In mano ho una lettera, scritto in quei caratteri hipster
che vanno tanto mi moda c’è un invito per una cena
di classe del corso di
matematica del liceo.
Una cosa così normale che quasi mi spaventa, da quando mi
sono diplomata un anno fa la mia vita ha cominciato una lunga discesa
verso
l’inferno.
Ho capito che sarebbe andata male quando mio padre ha
trovato i soldi che faticosamente avevo guadagnato –
rinunciando a feste, libri,
cd e a tutte quelle cose che rendono la vita da teenager degna di
essere
vissuta – per la mia fuga di casa.
Mio padre non è come gli altri, non è affettuoso,
non mi
sostiene, non sono la sua piccola, sono il suo fardello e me lo ricorda
almeno
dieci volte al giorno.
Quel giorno è stato così felice che mi ha
spaccato in
testa il barattolo, dopo aver tolto il malloppo prima.
Al pronto soccorso ho inventato la solita storia
dell’incidente domestico, ma dubito che mi abbiano creduto.
“Jayla, sporca negra, vieni giù!”
Io mi alzo dal letto e volo al piano di sotto.
Lui è vicino alla credenza del salotto, un dito alzato
contro di me.
“Qui ci sono tre dita di polvere, puttana.
Ti do da mangiare perché tu tenga in ordine questa casa,
ma quelli come te non ce la fanno a capire concetti come
l’ordine e la
pulizia.”
Mi dice con voce strascicata, chiaramente ubriaco.
“Ho pulito ieri.”
Provo a dire, ma lui mi afferra per i capelli e comincia a
schiaffeggiarmi e a
prendermi a pugni fino quasi a farmi perdere conoscenza. Poi mi molla
all’improvviso facendomi cadere a terra, sento del liquido
caldo sul volto,
immagino sia sangue.
“Papà, posso uscire domani sera?”
Chiedo con un filo di voce, per tutta risposta lui mi dà un
calcio in faccia e
se ne va sbattendo la porta di casa. Io rimango accovacciata a piangere
per un
po’, la mia vita è sempre stata così:
botte e insulti, insulti e botte.
Mi chiama negra perché sono mezza aborigena e ho la pelle
più scura degli altri, grandi labbra, occhi e capelli
castani. Non sono bella e
lui me lo ricorda sempre.
Vivo da sola con lui da quando mia madre è morta di
leucemia, io avevo solo dieci anni e lui non mi è stato per
nulla di aiuto.
Mi alzo faticosamente, pulisco il salotto, mi medico e
mangio una pizza surgelata, perché non ho la forza di
cucinare nulla. Dubito
che lui venga a cena, a quest’ora sarà a
ubriacarsi da qualche parte e non
gliene frega molto del cibo in quei momenti.
Digito una risposta positiva per la cena e prego Dio che
dorma quel giorno.
Due giorni dopo metto del sonnifero nella sua dose di
alcool quotidiana, alle cinque crolla addormentato sul divano e
dovrebbe
rimanerci per le prossime dodici ore.
Mi faccio una doccia, indosso una maglia rossa e un paio
di shorts pieni di tagli, un paio di anfibi neri e prendo la borsa.
Non ho la macchina quindi prendo il pullman che mi
porterà verso il centro, sono stanchissima tanto che rischio
di addormentarmi e
perdere la mia fermata.
Una volta scesa cammino verso la pizzeria dove si
dovrebbe svolgere la cena e il mio cuore salta un battito, è
venuto anche lui e
non l’avrei creduto possibile. Ora che è una
rockstar internazionale non
pensavo sarebbe venuto a una cena tra ex compagni.
Sto parlando di Luke Hemmings, il mio compagno di banco
durante le ore di matematica. Ho una cotta pr lui da secoli. Lui
è perfetto, è
tutto quello che non sono.
È bianco quanto io sono nera.
È biondo quanto io sono castana.
Ha degli occhi azzurri, quanto i miei sono castani.
E quel piercing al labbro gli sta divinamente.
È un angelo sceso in terra che non noterà mai una
nullità
come me.
“Jayla!”
Urla Adam, l’organizzatore.
“Finalmente sei arrivata, adesso possiamo entrare.”
Io annuisco e saluto un paio di persone, lui è circondato
dalle ragazze più
belle del mio corso che fanno le oche con lui.
Inabbordabile.
Entriamo nel ristorante e io mi siedo tra Adam e una
bionda di nome Emily, tutti parlano delle facoltà che
frequentano, chi
economia, chi architettura, chi lettere; le scelte sono varie. Io
rimango in
silenzio e annuisco, cosa ho da raccontare?
Che lavoro in una fabbrica tessile quando ero piuttosto
brava con le lingue straniere e sognavo di iscrivermi a lingue?
Mio padre non ha voluto e io ho la mia vita di merda con
cui fare i conti ogni giorno. Ordinata la pizza, pesco una sigaretta
dal pacchetto,
l’accendino ed esco.
L’accendo e guardo le macchine che percorrono la strada
affollata davanti a me, anche io vorrei essere su una di quelle e
andarmene di
qui.
Lontano, dove mio padre non può trovarmi e nessuno mi
conosce.
La porta del ristorante si apre alle mie spalle e lui
esce.
“Oh, ciao!”
Mi saluta.
“Ciao, Luke. Ti ricordi di me?”
Gli chiedo con un mezzo sorriso, tante volte gli ho fatto copiare le
mie
verifiche.
Lui si gratta la testa.
“Aspetta, quelle oche mi hanno confuso il cervello. In ogni
caso non dovresti fumare, fa male.”
Io scrollo le spalle.
“Mi chiamo Jayla.”
“Jayla! Eri la mia compagna di banco, adesso mi
ricordo.”
“Sono felice, pensavo che la vita da rockstar ti avesse un
po’ cancellato la
memoria.
A proposito, com’è?”
“Com’è cosa?”
“Essere liberi, girare il mondo con degli amici facendo
quello che ami.”
“Oh, molto bello, anche se è stressante. Non mi
piace parlare durante le
interviste e certe fan sono un po’invadenti e poi tutte le
ragazze vengono da
me perché sono famoso.”
La sua bocca fa una strana smorfia.
“Sì, vedo che sei a disagio ogni tanto nelle
interviste.”
“Sei una nostra fan?”
“Certo, non potevo perdermi i progressi del mio compagno di
banco.”
“Vuoi una foto?”
“Solo se non ti dà fastidio.”
Lui scuote la testa.
“Ma va, non sei una fan come le altre. Tu lo conosci un
po’ il vero Luke Hemmings.”
Ci mettiamo in posa e io scatto un selfie con il mio vecchio
smartphone,
sembriamo più due vecchi amici che una ragazza con il suo
idolo.
“Come mai sei scappato fuori?”
“Quelle tizie mi stavano mandando in para, Cal dice che sono
troppo timido e
che me la devo far passare.”
Chiacchieriamo un altro po’, poi Adam ci avvisa che le
pizze sono pronte.
“Senti, Jayla. Verresti a fare un giro con me
domani?”
“Solo alla sera, durante il resto della giornata
lavoro.”
“Cosa fai?”
“Lavoro in una fabbrica tessile.”
“Ah, ci vediamo alle nove?”
“Dieci e devo essere a casa entro mezzanotte.”
“Va bene.
Entro sorridendo, dopo anni ce l’ho fatta a ottenere un
appuntamento con lui.
You learned the hard way to shut your mouth and smile
If these walls could talk they would have so much to say
'Cause every time you fight the scars are gonna heal
But they're never gonna go away (*)
Il giorno dopo il vecchio bastardo
è più rincoglionito
del solito, ma lo devo sopportare poco visto che torno dal lavoro alle
sette e
lui alle nove è già fuori alla ricerca di un
qualche bar.
Io mangio qualcosa, mi faccio una doccia e mi metto un
vestito rosso, delle all star dello stesso colore e mi trucco un
po’.
Alle dieci Luke si presenta puntuale a casa mia, non
commenta l’evidente povertà e incuria e gliene
sono grata. Lo so benissimo di
vivere in un porcile, io cerco di fare la mia parte, ma non posso
arrivare
ovunque.
“Ciao, Jayla.”
“Ciao, Luke.”
Salgo nella sua macchina e mi siedo composta sul sedile passeggeri.
Lui fruga nel vano sotto il cruscotto e mette un cd dei
blink nel lettore cd, poi ingrana la prima e partiamo.
“Come mai fai l’operaia?”
“La mia famiglia non è ricca, come avrai
notato.”
“Avresti potuto lavorare e studiare. Magari avresti anche
vinto una borsa di
studio e non avresti pesato su di loro.”
“Lui.”
Lo correggo automaticamente, lui mi guarda senza capire.
“Vivo solo con mio padre, mia madre è morta quando
avevo dieci anni.”
“Ah, mi dispiace.”
“Possiamo non parlare della mia famiglia?
Parliamo di dove andiamo, ad esempio.”
“Sì, certo.
Beh, pensavo di andare alla spiaggia. Mi piace andare in
spiaggia la sera, lo trovo rilassante.”
“Va bene, piaceva anche a me.”
“Piaceva?”
“Adesso non ho nemmeno il tempo per respirare.”
Il biondino non dice nulla e gliene sono grata ancora una volta.
Arriviamo in centro, parcheggiamo e poi andiamo al
lungomare. Guardiamo i negozi, commentiamo divertiti i negozietti
più tamarri
alla Jersey Shore e
ci prendiamo un
gelato.
Lo mangiamo seduti su una panchina, lui mi racconta
episodi della vita in tour. Ashton russa, Calum è
sonnambulo, Michael tiene
discorsi molto articolati nel sonno che da sveglio non sarebbe in grado
di fare.
“Cioè, lui è nel lettino sopra di me e
lo senti che parla
di Dio, della Madonna e degli alieni come se sapesse quello che
dicesse. Forse
ha una seconda personalità che esce quando dorme e poi
Calum… Calum una volta è
andato dal nostro autista e lo ha costretto a fermarsi, solo che era
sonnambulo
e quando è tornato in sé non sapeva di cosa
diavolo avesse bisogno all’area di
servizio. Si è comprato due pacchetti di sigarette e del
cioccolato giusto per
non dare l’impressione di essere completamente rimbambito.
Poi non è facile vivere con Mike, lo sai che cambia
spesso il colore di capelli?”
Io annuisco.
“Ha anche il brutto vizio di lasciare in giro le ciotole
piene di tintura avanzata. Una volta, quando si è tinto i
capelli di verde, Ash
ha preso la tintura avanzata e l’ha messa sui miei capelli
mentre dormivo. Mi sono fatto una
doccia e quando sono uscito ho notato che avevo i capelli verdi, li
avrei
uccisi.
Ho dovuto comprare e farmi una tintura bionda per
riparare ai loro danni.”
Io ascolto rapita e rido.
Poi mi tende una mano e io la afferro.
Entriamo in spiaggia da un cancellino, mi tolgo le scarpe
e lo seguo fino alla battigia. Passeggiamo per un po’ in
silenzio, la luna
intanto si alza dal mare.
All’improvviso prende la mia mano, la mia prima reazione
è quella di ritrarmi – odio il contatto fisico
– ma capisco subito che lui non
mi farebbe male. Lui non usa le mani per picchiarmi, ma per suonare la
chitarra.
“Non riesco a capire perché sprechi
così la tua vita.”
“Ci sono persone che sono fortunate e altre che non lo sono.
Io non lo sono e ho dovuto imparare a convivere con questo
fatto.”
“Non vuoi nemmeno combattere?”
“Se voglio sopravvivere, no. Non posso combattere.”
Si volta all’improvviso, mi prende il volto tra le mani.
Oddio, adesso mi bacia. Mi dico.
Lo voglio, ma è troppo presto e lo capisce anche lui
perché mi bacia la fronte.
“Spero che un giorno troverai la forza per combattere,
l’unica lotta persa è quella
abbandonata.”
Io arrossisco.
“Grazie delle belle parole, Luke.”
Guardo il cellulare.
“È un quarto a mezzanotte, Cenerentola deve
tornare a
casa.”
Lui annuisce un po’ dispiaciuto.
“Peccato, mi piace passare del tempo in tua compagnia.
Domani sera ci vediamo ancora?
È l’ultima sera che sono a Sidney.”
“Va bene.”
Gli rispondo con un sorriso. Domani il mio caro genitore si
prenderà un’altra
dose di sonnifero.
È folle che io debba ricorrere a questi mezzi al limite
della legalità per avere quello che le mie coetanee danno
per scontato.
Usciamo dalla spiaggia, ci rimettiamo le scarpe e saliamo
in macchina. Il tragitto del ritorno sembra più breve, forse
perché non voglio
separarmi da lui, ma non posso rischiare.
Se mio padre non mi trovasse a casa, domani Luke per
vedermi dovrebbe andare all’ospedale e – dato il
crescendo di violenza – temo
anche all’obitorio.
Quello sarebbe capace di uccidermi e andare a bere, io
per lui non sono nulla.
Arriviamo davanti a casa mia, io scendo dalla macchina e
lui mi abbraccia forte.
“A domani.”
Mi dice dandomi un altro bacio sulla fronte.
Io corro sul portico e guardo la sua macchina andare via.
Bentornata in galera, Jayla.
Entro in casa, mi tolgo il vestito e mi strucco, poi mi
metto in pigiama. Mi infilo a letto e il mio smarty vibra.
“Buonanotte, donna misteriosa.”
È Luke.
“Buonanotte anche a te, rockstar.”
Gli rispondo sorridendo e lo stesso sorriso aleggia sul mio volto anche
mentre
scivolo nel sonno.
You're stuck in the same old nightmare
He's lying, you're crying, there's nothing left to salvage
Kick the door 'cause this is over, get me out of here
Kick the door(*)
La
mattina dopo mi sveglio alle sette.
Ho dormito pochissimo, ma mi sento carichissima, adesso
ho una ragione per andare avanti. Faccio colazione, pulisco tutto e poi
mi reco
in fabbrica.
Alle dieci Luke mi manda un sms per augurarmi buongiorno
a cui rispondo subito, la cosa mi strappa un sorriso.
Alle cinque smonto come al solito e trovo mio padre a
casa, è sdraiato sul divano con una bottiglia mezza vuota.
Quando mi urla di portagliene
una nuova, io metto il sonnifero e gliela porto, lui non se ne accorge
nemmeno
e crolla addormentato mezz’ora dopo.
Lo guardo con disgusto, berrebbe anche l’alcool etilico,
anzi perché non lo beve e muore?
Avrebbe dovuto morire e non mia madre, penso con astio,
lei sei spaccata la schiena esattamente come me e non ha ricevuto che
insulti.
Anche quando era malata lui non si preso cura di lei, l’ha
lasciata
semplicemente morire come se fosse una cosa senza importanza.
Mio nonno non voleva che si sposassero – aveva capito il
tipo, quello che sposa un’aborigena solo perché
è alla ricerca di un esotico di
cui si stancherà presto – ma lei era giovane e
innamorata e non gli ha dato
retta.
Salgo al piano di sopra e mi faccio una doccia, mi metto
un vestito giallo e degli anfibi, mi trucco leggermente e poi mi siedo
sul
portico in attesa di Luke.
Alle sette arriva e io mi avvio verso la sua macchina.
“Ciao.”
“Ciao, Jayla. Tutto bene?”
“Si tira avanti.”
Saliamo in macchina e noto che lui guarda insistemente un vecchio
livido. So
che vuole chiedermi chi me l’ha procurato, ma sa anche che
non risponderò.
Parcheggia davanti a una pizzeria ed entriamo nel locale,
lui viene subito circondato da un gruppo di ragazzine, io mi faccio da
parte e
aspetto che finisca di fare foto e firmare autografi.
Quando anche l’ultima fan se ne è andata non mi
sfugge
l’aria stanca che ha, la maschera subito con un sorriso, ma
l’ho notata lo
stesso.
Ci sediamo al nostro tavolo.
“È dura essere una persona famosa.”
“Sì, non hai privacy. Scusa per prima.”
“È famoso, sei normale. Non me la sono
presa.”
Gli dico con un sorriso.
“Piuttosto a te fa bene tutto questo?”
“A volte mi sento un po’prigioniero, ma
è il prezzo da
pagare e lo accetto.”
La cameriera ci porta i menù e nessuno parla per un
po’.
Ordiniamo le nostre pizze, lui prende ne prende una al
prosciutto, io una margherita.
"Come è andata la tua giornata?”
“Normale. Ho lavorato e sono tornata a casa.”
E ho ficcato del sonnifero nel whisky di mio padre per venire qui,
perché se
glielo avessi chiesto mi avrebbe riempito di botte come un sacco da
boxe.
“Tu?”
“Oh, niente. Ho raggiunto Mike nella sua man cave e abbiamo
giocato un po’, poi
al pomeriggio ho fatto surf con Ash.”
“Bello.”
Arrivano le nostre pizze e mangiamo parlando di argomenti
più leggeri.
Finita la cena andiamo di nuovo sul lungo mare e lui mi
compra una collanina con un ciondolo a forma di luna, nonostante tutte
le mie
proteste.
“Ti va di andare ancora in spiaggia?
Non sono un genio nell’inventarmi gli appuntamenti
perfetti, Cal lo è.”
“Non esistono cose perfette a questo mondo, esistono cose
rotte di cui
impariamo ad amare le imperfezioni e le crepe, comunque
sì.”
“Wow.”
“Cosa?”
“Ti chiedo di andare in spiaggia e tu mi tiri fuori una frase
filosofica in
cinque secondi.”
“Sì, d’estate.”
Dico per sdrammatizzare, lui ride.
Il momento d’imbarazzo è passato. Entriamo in
spiaggia da
un cancellino e ci sediamo in silenzio sulla sabbia.
“Mi manca la scuola.”
Dico a caso.
“Sì?”
“Sì. Mi mancano i professori, le lezioni, i miei
compagni, un certo biondino
che faceva schifo in matematica.
Lo conosci?”
“No, assolutamente no.”
Ride, passandosi un dito sotto il naso.
“Davvero ti sono mancato?”
“Sì.
“Io non ho più pensato alla scuola.”
“E perché mi hai parlato ieri?”
“Mi sembravi diversa da tutte le ragazze che ho
incontrato. Calma, tranquilla, gentile, non mi sei saltata addosso solo
perché
ero famoso etc. Sembravi interessata al vero Luke e non a quello dei 5
Seconds
of Summer e mi ha colpito. Tutte le ragazze adesso mi si avvicinano
perché
vogliono un po’ di fama e a me non va bene, io non sono
Ashton. Lui sta con una
che è nota per uscire solo con gente famosa, io non riesco a
sbattermente, io
voglio qualcuno che mi voglia per quello che sono realmente.”
“Luke, posso dirti una cosa?
Smettila di paragonarti ai tuoi compagni di band, tu vai bene
così come sei.
Va bene che tu sia un po’imbranato.
Va bene che tu voglia una ragazza che ti accetti per
quello che sei e non per la maschera che porti.
Vai bene così, non devi cambiare nulla.
A me piaci così come sei.”
Gli dico rossa come un peperone.
“Davvero?”
“Sì.”
Sono una demente, ma perché gliel’ho detto?
Cosa se ne fa dell’amore di una perdente come me?
Sto per dire qualcosa per ridimensionare le cose e
cercare di renderle meno imbarazzanti, quando lui mi prende il volto
tra le
mani e mi bacia.
“Io, ecco… Mi piaci anche tu.”
Si gratta la testa.
“Avevo una mezza cotta per te al liceo, ma tu te ne stavi
sempre sulle tue e io pensavo di starti antipatico, perché
non facevo altro che
chiederti aiuto nelle verifiche.
Pensavo di essere solo una rottura di palle.”
“No, Luke, no.
Non lo eri, anche io avevo una cotta per te, solo che non
sapevo come farmi avanti. Tu sembravi interessato solo alle mie
verifiche e
pensavo mi considerassi una brutta secchia, utile solo per avere buoni
voti in
mate.”
Lui ride.
“Forse avremmo dovuto parlare prima.”
“Immagino di sì, e adesso?”
“Tu non puoi lasciare casa tua per una ragione che non mi
puoi dire, ma
possiamo provare a fare funzionare le cose a distanza. Messaggi, Skype
e
vederci quando torno.
Sempre se vuoi, capirei se non volessi.”
“Luke, stai zitto.
È ok, mi so accontentare.”
Ci stendiamo e lui mi prende tra le braccia e rimaniamo
così per non so quanto tempo.
Non mi interessa sinceramente, quando sto con lui dimentico
i miei problemi e questo mi basta.
Iniziare una relazione a distanza è perfetto,
perché mio
padre non potrebbe interferire e non noterebbe i lividi e il resto.
Vorrei
dirgli della mia situazione, ma ho paura che scapperebbe disperato,
anche se so
che un giorno lo dovrò fare.
“Jayla, promettimi solo una cosa.”
“Dimmi.”
“Promettimi che un giorno mi dirai cosa non funziona a casa
tua, perché lo
sento che c’è qualcosa che non va.”
“Un giorno.”
La mia voce si incrina.
“Un giorno te lo dirò, ma non ora, ok?
Ora godiamoci il momento.
Mi capita raramente di stare bene, per favore non
rovinare questi momenti.”
“Ok.
Mi riprende tra le sue braccia e mi culla canticchiandomi
“She’s kinda hot.”
Sì, adesso
ho
anche io a disposizione un tentativo per raddrizzare la vita storta che
mi
ritrovo, non so come, ma lo capirò. Ne sono certa.
They will have to find another heart to break.
Why don't we just run away?
Never turn around, no matter what they say.
We'll find our way.
When the sun goes down
On this town,
There'll be no one left, but us.
Just like runaways,
They will have to find some other hearts to break, hearts to break.(**)
Due mesi passano in fretta.
Messaggiamo, ci sentiamo su Skype e Kik, lui mi racconta
la sua vita fatta di concerti e di posti solo intravisti, io la mia di
lavoro e
di faccende domestiche.
Ogni tanto mi chiede come mai non parlo mai della mia
famiglia e di cosa ci sia che non va a casa mia. Io nicchio, tentenno,
prendo
tempo. Non voglio dirgli di mio padre, ho paura che mi molli, ma so
anche che
non posso evitare per sempre questo argomento.
Anche le mie colleghe si sono accorte che c’è
qualcosa di
diverso in me, ma nessuna osa chiedermi cosa perché sanno
che non do
confidenza. Non dico loro perché ogni tanto indosso troppo
fondotinta o
ombretto e non dico loro di Luke.
Lo so già cosa direbbero: che è solo una cotta,
che
presto mi mollerà per mettersi con un’altra
ragazza più adatta a lui.
Io però ci voglio credere, non voglio rinunciare a questo
sogno perché è l’unica cosa che mi fa
andare avanti. Mi piace pensare che un
giorno riuscirò ad andarmene da questa casa e a raggiungerlo
e per questo sto
di nuovo risparmiando. Ogni mese nascondo un po’ di soldi
sotto un’asse in
camera mia, sperando che lui non li trovi.
Anche oggi dopo il lavoro e avere preparato la cena a mio
padre, lo chiamo su Skype. Il vecchio stronzo è uscito per
il suo giro
giornaliero dei bar della zona.
“Ciao, Luke!”
Lo saluto sorridendo e sperando che non si noti che sono
eccessivamente truccata per nascondere i lividi.
“Ciao, Jayla.
Come va?”
“Oh, come al solito. Lavoro e faccende domestiche.
Tu?”
“Anche oggi abbiamo spaccato!”
Calum si piazza davanti alla camera e risponde al posto
del suo amico, che lo caccia a manate facendomi ridere.
“Che palle, non si può mai parlare in
pace!”
Sento delle risate di sottofondo, segno che anche il resto della band
è nella
stanza.
“Il pinguino è innamorato!”
Urla Ashton.
“Taci, demente! Come mai sei così
truccata?”
“Oh, così. Mi andava.”
Lui stringe gli occhi.
“Cosa mi nascondi?”
“Io? Niente.”
“Jayla, lo sai che un giorno me lo dovrai dire.”
“Lo so, ma non mi va di farlo davanti a un pubblico.
Ciao, ragazzi.”
“Ciao, Jayla!”
Urlano loro.
“Scusa, ma non riesco a farli andare via. Sono peggio di
tre vecchie comari.”
“È che il nostro piccolo si è
innamorato ed è uno
spettacolo così tenero!”
“Ok, Mike. La prossima volta che ti starai facendo una
groupie farò irruzione
con una telecamera, vi riprenderò e metterò il
video su YouTube.”
“No! Dai, che forse ho trovato una ragazza che mi interessa,
una grupie fissa.
Mi pesterebbe se mi vedesse con delle altre ragazze.”
“Non è carino tenere sulla corda la
gente.”
“Lo so, Jayla. Ma non mi sento ancora pronto, insomma sono
solo un ragazzino
alla fine.”
“No, è che sei timido e non lo ammetterai mai. Timidone.”
“Non sono timido!”
Urla infatti, gonfiando le guance.
“Odio questa band.”
Mugugna Luke.
“Vorrei parlare con la mia ragazza e dirle che mi manca e
mi ritrovo ad ascoltare per la duemillesima vota i problemi
sessuali-sentimentali-caratteriali di Michael Clifford.”
“Scusa, amico. Ma Jayla almeno non mi dà del
puttaniere.”
“Finché non arrivi a picchiare una donna non sei
poi così marcio, c’è ancora
speranza.”
Dico in tono duro e tutti si accorgono che ho toccato un tasto dolente,
lasciano la stanza senza dire una parola.
“È questo che succede a casa tua?
Ti picchiano?”
“Luke, scusa devo andare.”
Chiudo in fretta la chiamata, mi è parso di sentire arrivare
mio padre e non mi
sbagliavo. Mio fiondo a letto e fingo di dormire. Mando un messaggio di
scuse a
Luke e mi addormento dopo aver letto la sua risposta.
Il giorno dopo prendo coraggio a due mani e scrivo una
lettera in cui gli dico tutto: chi sono, cosa è successo
nella mia vita, cosa
mi sta succedendo. Gli parlo di mia madre e della sua morte, di mio
padre e
delle botte quotidiane, sperando che capisca chi sono.
È il massimo che io possa fare e chiedo mentalmente scusa
a Luke per il modo impersonale che ho scelto.
Passa un altro mese, Luke è sempre un amore, ma
ultimamente sembra avere deciso di lasciar perdere con la storia della
mia
famiglia. In questi giorni poi è sfuggente, sembra che mi
stia nascondendo
qualcosa e la mia testa si fa film particolareggiati su cosa mi stia
nascondendo. Probabilmente ha trovato un’altra ragazza e non
sa come disfarsi
di me.
In fondo non sono una bella ragazza e non ho una vita
interessante, l’unica cosa che mi rende diversa è
il mio ostinato desiderio di
tenere un segreto.
Il problema è che dei segreti prima o poi ci si stanca e
credo che sia quello che è successo.
Stamattina non mi ha mandato nessun messaggio, nemmeno
quello di buongiorno, anche durante il resto del giorno è
muto.
Io sono in ansia, sento la terra mancarmi sotto i piedi e
per errore rompo un piatto mentre sto preparando la tavola.
“Sporca negra, cosa hai fatto?”
Senza aspettare risposta mi è subito addosso e comincia a
picchiarmi
furiosamente. Io ormai non oppongo più resistenza e rimango
a terre inerme
quando lui se ne va.
Che senso ha la mia vita?
Mi alzo in piedi, mangio quello che ho preparato, orma
freddo e salgo in camera. Accendo il computer e noto che lui non
è in Skype, mi
siedo sul letto con ancora la mia tuta da lavoro indosso e guardo l
nulla.
Sta di nuovo andando tutto in pezzi e non riesco a fare
niente per evitarlo.
Non so quanto rimango così, ma sento lo stronzo tornare e
poi chiudersi in camera sua.
Sto per mettermi a letto quando sento il rumore di
qualcosa che picchia contro la mia finestra, mi affaccio e vedo Luke.
“Riempi lo zaino con le tue cose.”
Mi mima, io non me lo faccio ripetere due volte.
Riempio velocemente il mio vecchio zaino di scuola di
vestiti, salviette, biancheria intima, lo spazzolino e i soldi che ho
risparmiato. Mi metto gli anfibi e corro fuori dalla mia stanza, il
rumore
sveglia il bastardo.
“Dove vai, sporca negra?”
Mi insegue, ma io riesco a distanziarlo.
Volo, mentre scendo le scale e poi vado dritta alla porta
di ingresso. Fuori, mi fiondo verso la macchina di Luke ed entro. Lui
sbatte il
naso contro il vetro del finestrino.
“Metti in moto.”
Gli dico agitata.
Lui non se lo fa ripetere e parte sgommando mentre quello
viene spinto via e poi ricade sul marciapiede.
“Come hai fatto a scoprirlo?”
Gli chiedo sconvolta.
“Ho letto la tua lettera, mi ci è voluto un attimo
per
capire che eri tu, ma poi i pezzi sono andati a posto.”
Mi accarezza la guancia gonfia e bluastra.
“Come mai lo ha fatto?”
“Ho rotto un piatto, pensavo volessi lasciarmi ed ero
agitata.”
“Lasciarti?
No, assolutamente no, io ti amo e non voglio che tu non
viva un altro giorno con lui.”
“Oddio, Luke! Ti amo anche io.
Ma dove posso andare.”
Lui mi accarezza i capelli.
“Verrai con me, c’è un biglietto che ti
attende per
l’America se arriviamo in tempo
all’aeroporto.”
Io sgrano gli occhi, sta succedendo davvero?
Un sorriso si dipinge sul mio volto: sono libera!
“Lo sai che se non stessi guidando ti bacerei?
Mi hai salvato la vita.”
Lui mi stringe la mano e in questo momento non mi importa
dei lividi e della mia tuta da operaia, mi sento la ragazza
più felice e
fortunata del mondo.
Sto per partire alla scoperta del mondo con il mio
ragazzo, cosa potrei chiedere di più?
Questa è Jayla