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Autore: Persephone Grey    25/09/2015    0 recensioni
avevo già pubblicato un paio di storie un paio d'anni fa. poi altri progetti, altri impegni, un blog tutto mio, mi hanno tenuta lontana da questo sito.
ora ritorno con un nuovo progetto, che non so ben dove mi condurrà ...
una storia originale ambientata nella Randland creata da Jordan.
spero che i fan di WoT non mi lancino troppi pomodori!!!
La Luce vi illumini!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jake si rigirò nel letto e il dolore diffuso in tutto corpo lo svegliò di nuovo. Era già mattino inoltrato ma aveva trascorso una notte da incubo, nonostante il letto della locanda fosse molto comodo: l’aggressione subita la sera prima gli aveva lasciato più strascichi di quelli che si era aspettato. Si era coricato con un senso di baldanzosa euforia, dovuta un po’ al denaro vinto, un po’ alle birre e anche se ancora non sapeva cosa ne sarebbe stato di lui, con la borsa piena di monete si sentiva decisamente più ottimista. Ma dopo un paio d’ore di sonno si era svegliato con il collo che gli doleva terribilmente mentre la schiena non gli permetteva più di stare sdraiato. Si era alzato e aveva provato a camminare un po’ nel buio dell’angusta stanzetta e quando la schiena sembrava dargli un po’ di tregua si era rimesso nel letto.
Si era svegliato di nuovo dopo un paio d’ore, e poi ancora e così via per tutta la notte, ed ogni volta le gambe gli parevano meno salde di prima.
Si alzò, almeno per vedere se riusciva a stare in piedi: ci riuscì, anche se le gambe erano leggermente malferme. Si avvicinò al lavabo, si vide riflesso nello specchio e trasalì: due grossi lividi scuri gli cingevano il collo dove l’aggressore lo aveva stretto.
“Sangue e ceneri” imprecò “dovrò cercare qualcosa per coprire il collo”.
Guardò la giubba e la camicia ancora sporche di sangue “E anche qualcosa da mettermi”. Decise che si sarebbe recato nel Maule, dove c’era sempre una sorta di mercato e avrebbe potuto trovare qualcosa che faceva al caso suo, spuntandoci anche un buon prezzo con un po’ di contrattazione.
“Prima però dovrei mettere qualcosa sotto i denti” si disse, sentendo lo stomaco che brontolava.
Si vestì con l’unica camicia che aveva, quella ancora macchiata di sangue, e scese nella sala comune, per consumare una colazione a base di pane all’uvetta e latte caldo; quindi chiese a mastro Clifford un paio di tavolette di legno che avrebbe legato sotto gli stivali, una volta raggiunto il porto, per muoversi nelle strade fangose di quella zona della città senza affondare nella melma.
Indossò il mantello ed uscì senza celarsi nel cappuccio. Aveva smesso di piovere, il cielo si era fatto sereno e un bel sole rendeva l’aria tiepida, come sovente accadeva negli inverni degli stati del sud; girare incappucciato per le strade non sarebbe stata una buona idea se non voleva farsi notare.
Non appena ebbe chiuso alle sue spalle la porta della locanda, vide in strada un gran trambusto: erano stati trovati i corpi dei due Difensori che aveva ucciso la sera prima, ed era intervenuta la Guardia Cittadina. Ben cinque soldati erano lì presenti e stavano interrogando tutti coloro che ritenevano potessero avere informazioni. La gente passava veloce e cercava di scansare gli sguardi inquisitori dei soldati, perché non si sapeva mai bene come potessero concludersi quegli interrogatori, ma quasi nessuno riusciva, in realtà, a sfuggire alle domande.
Jake fu colto dal panico: cercavano lui, anche se non lo sapevano, ma la sua camicia imbrattata di sangue e i lividi sul collo sarebbero stati indizi sufficienti per trascinarlo alla Pietra, e chissà là cosa sarebbe successo. Senza considerare che Jake non era sicuro di riuscire a inventarsi delle giustificazioni convincenti; doveva fuggire senza farsi notare, ma con i dolori diffusi nel corpo e le gambe malferme non riusciva a muoversi troppo rapidamente; diede le spalle alla scena e cercò di dileguarsi più alla svelta che potè, ma si mosse troppo tardi: una delle Guardie lo notò e lo chiamò a gran voce “Ehi tu! Tu con il mantello nero, fermati immediatamente!”
“Sangue e ceneri!” imprecò Jake tra sé “Sono un cretino! Sarei dovuto rimanere a letto!”
In ogni caso si voltò con dipinta in faccia l’espressione più stupita che riuscì a fare, ma si strinse di più nel mantello cercando di coprire le macchie di sangue sulla camicia: “Buongiorno, amico, dici a me?”
“Sì sì, dico a te, da dove arrivi?” Il tono del soldato era tutt’altro che amichevole.
“Da questa locanda” rispose Jake, innocente.
La risposta non piacque al soldato, che lo incalzò “Cosa ci facevi in quella locanda? Cosa ci fai a Tear? Non sei Tarenese”
In effetti, benché vivesse a Tear da diversi anni ormai, vagando di locanda in locanda per non dare troppo nell’occhio, Jake era nato nel regno di Cahirien, in un villaggio non troppo lontano dalla capitale.
“Vengo dal Nord e sono qui per affari” mentì Jake
“Che tipo di affari?”
“Commercio” Jake rimase vago, poiché  non sapeva chi i soldati stessero cercando ed ogni informazione poteva ritorcersi contro di lui, ma il soldato nuovamente non sembrò apprezzare e divenne ancora più aggressivo.
“Rispondi alla domanda, quali affari ti portano a Tear?”
“Ehi, amico, niente di losco. Commercio in pepe dei ghiacci e sono arrivato giusto ieri da Maradon. Un viaggio lungo.”
Cercò di mantenere un tono calmo e il sorriso un po’ furfante che più di una volta lo aveva tolto dai guai ma il soldato non rimase impressionato.
“Io non sono tuo amico e tu non mi sembri saldeano”
Jake cercò di mantenere il controllo, ma si rese conto che stava iniziando ad annaspare, il tipo era un osso duro, e probabilmente aveva fiutato la pista giusta.
“No, cioè sì … vengo dalla Saldea, ma non sono saldeano … cioè, sono nato a Cahirien, ma …”.
Il soldato non parve soddisfatto della risposta farfugliata, tanto che si avvicinò con fare inquisitore. Jake si chiese da quando non era più capace di passare inosservato.
“Non ti credo, stai mentendo … ”
Jake finse una risata di scherno, “E perché mai dovrei mentire? Io …” in quell’istante una folata di vento gli scostò il mantello, mettendo in mostra la camicia chiazzata di sangue.
“Ehi, cos’hai lì, sulla camicia?” e si avventò su Jake a strappargli il mantello, mettendo in mostra non solo le chiazze di sangue, ma anche i lividi sul collo. Con un grido richiamò l’attenzione delle altre Guardie.
“Eccolo, è lui! l’abbiamo preso!”
Jake cercò di divincolarsi e fuggire, ma il soldato gli afferrò il braccio con più forza e glielo torse dietro la schiena, costringendolo poi a terra.
“Ehi! Non ho fatto nulla! Lasciami, lasciami subito!” Jake cercò di protestare e divincolarsi, ma tutto quello che ottenne fu una ginocchiata nella schiena che lo costrinse a stendersi ancora più sul selciato. Gemette per il dolore, ma si convinse a non opporre altra resistenza, per lo meno fisica, soprattutto perché attorno a lui si erano radunati anche gli altri quattro soldati. Quattro armati contro uno disarmato, non aveva possibilità di fuggire. Non rinunciò però alle proteste verbali.
“Lasciatemi! Lasciatemi! Non capisco cosa volete, non ho fatto nulla!” ed effettivamente non capiva come fossero arrivati a lui così facilmente. Non erano passati che dieci minuti da quando era uscito dalla locanda, ma già si ritrovava a terra in stato di arresto. Eppure non aveva visto nessuno nella strada, la notte precedente, nessuno in grado di riconoscerlo, ne era sicuro. O forse no …
“Se non hai fatto nulla, perché hai macchie di sangue sulla camicia e lividi sul collo?”
“Sangue? Non è sangue! È … è … vino! Ieri sera, sapete com’è … si beve un po’ troppo …”
“Stai zitto! Mantieni il fiato per parlare davanti al Sommo Signore Caled!”
Un’altra ginocchiata, questa volta nel costato, gli tolse il respiro che gli rimaneva per protestare e si accasciò al suolo accovacciato su se stesso, gemendo.
Gli piegarono anche l’altro braccio dietro la schiena e gli legarono i polsi. Quindi due soldati lo afferrarono saldamente per le braccia e lo trascinarono via. Non poteva ribellarsi, non poteva tentare di fuggire; anche se fosse riuscito a divincolarsi l’aggressione della sera prima e i colpi subiti poco prima non gli avrebbero permesso di correre veloce. E con i polsi legati non sarebbe andato comunque troppo lontano.
Tra la folla di curiosi che si era riunita nella strada, Jake vide Juilin, l’uomo al quale aveva sottratto la maggior parte del denaro vinta la sera prima; aveva dipinto sul volto un ghigno soddisfatto e Jake capì che era stato Juilin a denunciarlo, probabilmente per risentimento, avendo notato il sangue sulla camicia e le ecchimosi sul suo collo.
Nel vedere il ghigno sul volto del giocatore, Jake fu colto da una furia cieca, digrignò i denti e promise che si sarebbe vendicato.
Ma intanto lo stavano portando di peso nella Pietra di Tear e Jake doveva, per prima cosa, capire come uscire da quella situazione e solo dopo avrebbe potuto pensare a cosa fare con il cadavere di Juilin.

Alys si trovava di nuovo immersa nella permanente luminosità del Tel’Aran’Rihod. Non c’era né giorno né notte nel Mondo dei Sogni, non c’erano il sole, la pioggia, nuvole o vento. Era tutto sempre uguale, anche se nulla era davvero immobile. Nel Mondo dei Sogni solamente quello che si trovava di fronte a lei sembrava avere una consistenza solida, e comunque solo quello che nel mondo reale era fermo e immutabile. Tutto quello che era in movimento o che poteva essere spostato da un luogo ad un altro perdeva di consistenza. Una casa, ad esempio, sembrava abbastanza solida, ma le porte e le finestre continuavano ad apparire e sparire. Inoltre tutto ciò che rimaneva a lato del campo visivo, sembrava invece tremolare e diventare evanescente.
Queste caratteristiche del Tel’Aran’Rhiod rendevano faticoso per Alys muoversi in quel mondo, che le provocava un senso di nausea costante, nonostante la donna non fosse in grado di entrare nel Mondo dei Sogni con tutto il corpo, stomaco compreso, ma solo con lo spirito. In quel momento, infatti, il suo corpo si trovava in una locanda in un villaggio sulla strada per Caemlyn, mentre il suo spirito si trovava in una immagine del salotto della sua casa a Caemlyn, seduta su una poltrona con lo schienale alto, mentre attendeva la persona che doveva incontrare.
L’aria di fronte a lei tremolò e comparve una giovane donna alta, con i capelli lunghi e biondi e gli occhi verdi. La ragazza aveva sangue Aiel, anche se nata e vissuta nelle terre bagnate.
“Sahra!”
“Alys Sedai” salutò protendendosi in una riverenza perfetta.
“Saresti una novizia perfetta, Sahra!” commentò Alys
“Alys Sedai, perdonami, ma ho pessime notizie da darti”
Parlava con un marcato rotacismo, normalmente reso irresistibile da un sorriso contagioso. Questa volta però il suo volto era serio, quasi spaventato. Sahra era una delle spie di Alys a Tear, e faceva parte della rete di spie dell’Ajah Verde, una ragazza molto affidabile.
“Siedi e raccontami”, accanto alla ragazza Alys fece comparire una poltrona. Uno dei vantaggi del Tel’Aran’Rhiod era che, se si era sufficientemente forti nell’uso del potere, si poteva manipolare quella realtà a proprio piacimento.
“Il tuo uomo, il Topo, è stato arrestato dai Difensori della Petra”
Alys sgranò gli occhi “Sangue e ceneri!” imprecò “Come è possibile?”
“Ha ucciso due Difensori della Pietra”
“Cosa? Luce santa, cosa ha combinato?”
“Te la farò breve, Alys Sedai: c’è stata una colluttazione, il Topo li ha uccisi e poi si è recato nella locanda, la Stella. Lì ha passato la serata a giocare a carte. Pare abbia la fortuna del Tenebroso e ha vinto parecchio. Uno dei suoi compagni di gioco, evidentemente non particolarmente contento di essere stato ripulito, la mattina dopo lo ha denunciato alla Guardia Cittadina, intervenuta dopo che erano stati scoperti i cadaveri. Non credo abbiano prove concrete se non la denuncia di quell’uomo, anche se, a quanto sono riuscita a sapere, pare che avesse macchie di sangue sulla camicia e lividi sul corpo”.
Alys sospirò stizzita e si prese il volto tra le mani.
“Luce santa, è mai possibile che gli uomini debbano sempre ragionare con i peli del petto e mai con il cervello?”
“Cosa intendi fare?”
“Dove si trova?”
“Nella Pietra, nelle prigioni”
Alys sospirò di nuovo “Di bene in meglio! Non ho alternative, lo tirerò fuori di lì”
Sahra sgranò gli occhi “E come intendi fare? La Pietra è inattaccabile!”
“Ancora non lo so. Ma devo trovare un modo. Quell’uomo mi serve. A Caemlyn. Vivo.”
Quando Alys aprì gli occhi nella stanza della locanda non era nemmeno l’alba. Si sentiva stanca perché il sonno trascorso nel Tel’Aran’Rhiod non era riposante, ma nonostante ciò si alzò dal letto, e accese la candela. Si lavò il viso, e spazzolò i capelli, quindi indossò uno degli abiti adatti a cavalcare, con le gonne divise, un abito di seta verde scuro con ricami geometrici verde più chiaro sul corpetto. Voleva essere rapida e per questo essere comoda, ma era pur sempre una donna, e una nobile; doveva darsi un contegno.
Sistemò tutti i suoi averi in un fagotto, quindi uscì dalla stanza e bussò alla porta della stanza accanto alla sua.
Dopo pochi istanti Gaebril comparve sulla soglia, già vestito e pronto come se nemmeno si fosse coricato.
“Preparati, torniamo a Tear”.

La donna, avvolta in un aderente vestito di velluto color sangue, sedeva a gambe accavallate con lo stesso contegno di una regina, anche se il suo interlocutore era di gran lunga più importante di lei; sorseggiava con finta non curanza una coppa di vino.
La donna era talmente bella che avrebbe catalizzato l’attenzione di qualunque persona presente in quella stanza, se ci fosse stato qualcun altro oltre a lei e all’uomo che le stava di fronte. E lui già letteralmente pendeva dalle sue labbra perfette, anche se fingeva di avere il controllo della situazione.
“Versati una coppa di vino, Caled. Abbiamo ottenuto un grande risultato, dobbiamo brindare” la donna bevve un altro sorso dalla coppa, mantenendo lo sguardo puntato sul suo interlocutore, uno sguardo che sembrava lasciare a intendere molte cose.
Il Sommo Signore Caled si versò una coppa di vino, e la alzò in direzione di lei:
“A te che ci hai portato dal Topo. Senza il tuo contributo probabilmente non l’avremmo mai scovato”
“Sì, è vero …” annuì “Dove si trova adesso?”
“Qui nella Pietra, nelle prigioni. Non lo vorrai mica incontrare?”
“No certo, non deve sapere nulla di me, non prima di averlo portato dalla nostra parte. E magari nemmeno dopo”
“Cosa intendi farne di lui?”
“Te l’ho appena detto, voglio portarlo dalla nostra parte. È troppo prezioso, troppo abile per lasciarlo in mano alle ex Sorelle, o qualunque cosa siano. Deve lavorare per noi”
Caled si fece pensieroso, mosse le labbra come per dire qualcosa, ma ci ripensò, sorseggiò il vino con espressione assorta. Rimasero in silenzio alcuni minuti, come se lui stesse cercando di capire fino in fondo quello che la donna gli voleva dire.
“Ma come intendi convincerlo a passare all’Ombra?” chiese infine “è un assassino, sì, ma non mi sembra votato alla nostra causa, anzi. Non mi pare votato ad alcuna causa che non sia il denaro”
“Oh, ma non ho nessuna intenzione di convincerlo. Non intendo nemmeno domandarglielo, se è per questo”
Improvvisamente il Sommo Signore Caled capì le implicazioni di quanto stava dicendo la donna e sgranò gli occhi, terrorizzato “Non vorrai dire che … una conversione forzata! Isabella, tu non …”
La donna posò la coppa e si alzò, avvicinandosi al Sommo Signore, con un movimento seducente e pericoloso, un cobra che si avvicina alla sua preda; gli arrivò ad un palmo dal viso, fissandolo negli occhi, e sorridendo gli posò una mano sulla guancia, carezzandolo dolcemente.
“Caled … Caled … non devi preoccuparti. Non sono cose di cui tu ti dovrai occupare. Hai fatto tutto quello che andava fatto. Sono sicura che i nostri Padroni sono già molto soddisfatti di te e dei tuoi uomini”
Così dicendo gli posò un lieve bacio all’angolo della bocca e si allontanò da lui, lasciandolo inebetito.
“A proposito, la ragazza e l’uomo grasso, li hai convocati?” domandò;
“Sì … sì certo, sono qua fuori”
“Falli entrare, per favore …”
Caled si allontanò e la donna sorrise soddisfatta. Il Sommo Signore Caled era completamente nelle sue mani, avrebbe potuto ordinargli di fare qualunque cosa e lui avrebbe fatto tutto, senza battere ciglio. Prese di nuovo la coppa d’argento, riccamente cesellata, e bevve un sorso. Caled … un uomo detestabile, senza spina dorsale; non capiva come potesse essere diventato il più influente dei Sommi Signori, ma non importava. La cosa davvero importante era che lei lo avesse in pugno.
Il Sommo Signore ritornò, seguito da un uomo, un tarenese grasso dalla pelle non troppo scura, e da una ragazza alta e bionda, una mezza Aiel probabilmente.
Entrambi si inchinarono a lei, l’uomo con un po’ più di difficoltà mentre la ragazza allargò la gonna in una riverenza perfetta.
“Siete stati molto bravi, miei cari, molto” esordì la donna con voce suadente.
La ragazza si mantenne immobile, le mani strette al grembo e la fronte bassa, mentre l’uomo era evidentemente a disagio, e sudava molto nonostante non facesse così caldo.
“Meritate una ricompensa per quanto avete fatto” e così dicendo prese due sacchetti pieni di monete “Ecco, prendete”.
L’uomo e la ragazza parvero un attimo confusi, ma poi presero il denaro con avidità.
La donna li guardò, come si guardano dei cuccioli bene addestrati, e pensò con una punta di amarezza che presto avrebbe dovuto liberarsi di loro: sapevano ormai troppe cose.
Sarebbe stato più difficile liberarsi di Caled: un Sommo Signore non può scomparire da un giorno all’altro, ma avrebbe ovviato al problema in qualche modo, quando non avrebbe più avuto bisogno di lui.
Di quei due, invece, avrebbe potuto tranquillamente sbarazzarsi senza problemi.
Li guardò e si dipinse sul viso un sorriso rassicurante.
“Potete andare ora. Vi cercherò quando avrò bisogno ancora di voi”
L’uomo grasso e la ragazza si inchinarono di nuovo e uscirono svelti, senza aver detto una sola parola.
Il Sommo Signore Caled sembrava aver recuperato una parte del contegno che lo caratterizzava.
“E adesso che intendi fare?”
“Tornerò a Caemlyn per qualche tempo. Tu terrai qui il prigioniero e farai in modo che resti vivo. Hai capito?”
“Certo, cosa credi? Che non sia in grado di tenere in vita un prigioniero?” il Sommo Signore stava mostrando gli artigli, probabilmente non voleva perdere la sua apparente posizione di superiorità.
“È un prigioniero importante, lo sai. Voglio essere sicura che non gli capiti nulla” la donna cercò di avere un tono rassicurante.
“Ancora non ti fidi di me, Isabella …”
La donna non capì se quella di Caled fosse una domanda o un’affermazione; in ogni caso no, non si fidava, ma ovviamente lui questo non doveva nemmeno sospettarlo. Lo guardò con un misto di tenerezza e compassione “Ma certo che mi fido di te, Caled. Non ti avrei affidato il Topo se così non fosse …”
Si avvicinò nuovamente al Sommo Signore, gli carezzò il viso e lo baciò sulla guancia.
“La Luce ti illumini, Caled” aggiunse con una risata divertita, ben sapendo cosa poteva significare tale augurio per un Amico delle Tenebre. Quindi lasciò la stanza e si incamminò verso quelli che erano i suoi appartamenti nella Pietra di Tear, ospite di molta importanza dei Sommi Signori.
Si augurò che il momento in cui si sarebbe sbarazzata di Caled arrivasse in fretta.

   
 
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