Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
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Autore: Piuma_di_cigno    25/09/2015    0 recensioni
Scarlett è una ragazza perfettamente normale, quando tanti piccoli cambiamenti stravolgono il suo mondo: attacchi di rabbia incomprensibili, una forza disumana che improvvisamente le scorre nelle vene, il fatto di non riuscire più a sentire il freddo ... Non capisce cosa le stia succedendo, finché un ragazzo, Will, pronuncia il nome della sua nuova condizione: licantropo.
Da allora, è una corsa senza fine, per cercare di capire quello che è diventata e quello che perderà della sua vita. E, soprattutto, tra queste perdite, ci sarà anche Daniel, il misterioso ragazzo che la salva nelle notti di luna piena? E se proprio lui, il suo salvatore, il suo scoglio nell'oceano, fosse il nemico peggiore?
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 25 - Consiglio

 

Quando raccontai alle altre della serata, poco ci mancò che Alexa mi picchiasse. Era furiosa con me e con Abby ed Ellie, ma nessuna di noi capiva il motivo del suo tormento.

Sembrava dilaniata da un dubbio a dir poco inesplicabile e camminava su e giù per la stanza come un animale in gabbia, lanciandoci di tanto in tanto occhiate assassine.

Abby sopportava con curiosa pazienza.

“Fa sempre così.”, disse, “Anni dopo, o a volte addirittura secoli, scopri che avresti dovuto ascoltarla.”

Corrugai le sopracciglia.

“Questo significa che dovrei andare da Daniel?”

No!” strepitò Alexa, balzando in piedi dal davanzale, gli occhi luminosi come lampadine e spalancati, grandi come biglie verdi. “Non pensarci nemmeno!” gridò puntandomi un dito contro. “A costo di sbatterti nell'ufficio di Will!”

“Ma che …?” eravamo tutte stupite dal suo comportamento, nonostante le rassicurazioni di Abby. Il punto era che Alexa non sembrava pazza, sembrava piuttosto tormentata, esasperata, come chi ha un dubbio o deve assolutamente dire qualcosa, ma non può.

“Fidatevi.” garantì Abby “Due secoli fa non voleva che andassi nel bosco, io non l'ho ascoltata e sono quasi stata uccisa da un cacciatore. Si tormenta, ma dovete fare quello che dice solo quando lo dice. Una volta … Quand'era? Mi pare sessant'anni fa … Comunque, non voleva che andassi in una discoteca per licantropi. Io ci sono andata e ho conosciuto un licantropo con cui mi sono fidanzata. Anni dopo ci siamo lasciati e ho sofferto tantissimo, ma nonostante lei mi avesse avvertita ho dovuto andarci o mi ci avrebbe trascinata in catene.”

“Come scusa?” chiesi cercando di capire. Ma Abby mi liquidò con un gesto della mano.

“Sta' tranquilla e fidati: se dice che non devi andare da Daniel, non devi andarci.”

Mugugnai qualcosa tra me e me.

“No!” esclamò Alexa tirandosi su di scatto. “Deve! Lei dovrà andarci.”

“Eh!?” feci io.

“Come sarebbe!?” fece Abby.

“Non ora che ha Will!” esclamò mia sorella.

“Io non ho Will.” brontolai io. Alexa si voltò di scatto, le spalle rigide.

“Niente, non importa. Niente. Niente. Niente. Davvero. Ora … Io devo andare!” scappò letteralmente fuori dalla stanza di corsa, paonazza, e si gettò in corridoio sbattendosi la porta alle spalle.

Cominciavo proprio a preoccuparmi.

Ellie la seguì con lo sguardo, con aria affranta, e un attimo dopo ci lanciò un'occhiata di scuse mentre si alzava e la seguiva. Sapevo che erano praticamente sorelle, in qualche modo a noi del tutto incomprensibile, perciò mi limitai a sorriderle e a scuotere la testa: non aveva importanza.

Rimaste sole, io e Abby ci guardammo.

“Ti va di mangiare qualcosa, ora che hai ricominciato a farlo?”

Scrollai le spalle.

“Mangerò qualcosa.”

Il corridoio era deserto: era la seconda nevicata dell'anno e gran parte dei licantropi era uscito a godersi la neve. La cucina era inondata dalla fredda luce invernale e dal riverbero della neve, depositata sul davanzale. Era un sollievo non avere più freddo, ma dovevo ammettere che era ancora strano vedere i ghiaccioli pendere lì fuori e non sentire nemmeno in brivido.

L'unico modo che avevo per sentirlo era Daniel, pensai con una stretta al cuore.

La mia fame si dileguò istantaneamente e Abby, che evidentemente lo vide dalla mia faccia, cominciò a preparare una cioccolata calda con un sospiro.

“Non passerà.” disse voltandomi le spalle e armeggiando con le tazze. “Se continui così, il dolore non passerà. So come ci si sente a perdere una persona che si ama … Ed è terribile. Ci vuole tempo.”

Avrei voluto spiegarle che io non amavo Daniel, anche se forse provavo qualcosa che ci si avvicinava terribilmente, ma quello che dissi fu diverso:”Non c'è un trucco per far passare il dolore più in fretta?”

Sentii Abby sorridere e poi il suono morbido e delicato del latte versato nel pentolino. Mi lasciai distrarre e cullare dal leggero fruscio della neve che cadeva, poi dal rumore un ghiacciolo che gocciolava un po', e poi dalle voci che provenivano da fuori.

“No.” rispose lei, interrompendo i miei pensieri. “Ti direi che chiodo scaccia chiodo e quindi normalmente ti direi di uscire con Will, ma … Mi sembrerebbe crudele.”

Sorpresa, alzai la testa.

“Perché?”

Abby si voltò, lasciando che la cioccolata cuocesse e preparando le due tazze in cui l'avrebbe versata poco dopo.

“Tu ami Daniel. Sarebbe come dire che hai due figli e, quando ne perdi uno, hai sempre l'altro da amare.” scrollò le spalle. “Come amica, volevo che amassi Will o che ti dimostrassi interessata, almeno, ma non è così. Non riesci a far uscire Daniel dalla tua testa, non è vero?”

Annuii lentamente.

“E' così. Ma io non lo amo. Non eravamo … Niente. Era solo ...” ma non riuscii a trovare un modo coerente di finire la frase. Eravamo solo cosa? Cos'eravamo, in fin dei conti? Amici, forse? Amici che si baciavano, che si capivano meglio di chiunque altro … Come no.

“E allora, Sky, se non lo ami, vuoi dirmi perché è così doloroso? Andiamo. È passata una settimana. Non mi sembri affatto migliorata.” inclinò la testa e sorrise un po'. “Senza offesa, naturalmente.”

Non potei trattenere un sorriso rassegnato.

“Hai ragione, ma non … Non so. Non mi sembrava che fossimo innamorati.”

Abby versò la cioccolata nelle due tazze e me ne porse una. Si sedette davanti a me.

“L'amore è una cosa che cresce pian piano, come la fiducia e la stima l'uno nell'altra. Se tutto questo fosse successo più avanti, avrebbe fatto ancora più male.”

“Più male di così?” chiesi incredula, ad occhi sgranati. Non riuscivo ad immaginare che facesse ancora più male, che stritolasse il cuore ancora di più, che chiudesse ancora più spesso la mia gola con le lacrime impedendomi di mangiare. Non riuscivo neanche ad immaginare un vuoto simile.

“Sì. Può essere più doloroso.” rispose Abby con gli occhi socchiusi e l'espressione triste. Non incrociò il mio sguardo, ma capii lo stesso dalla postura rigida delle spalle che doveva aver preso qualche decisione difficile.

“Sky, ora voglio darti un consiglio da amica. Decidi tu se seguirlo o meno. Ascolta, io penso che sia meglio mettere fine a certe cose. Vedi, quando … Scrivi un libro e devi decidere se e come mettere il punto finale, nell'ultima pagina, non puoi metterlo se non hai scritto tutto quello che dovevi scrivere e risolto gran parte dei drammi tra i personaggi. Ecco perché penso che dovresti tornare da Daniel e … Parlargli. Dovresti risolvere quanto più possibile e mettere il punto. Solo poi riuscirai ad andare avanti.”

 

Le parole di Abby mi tormentarono per tutto il giorno e non accennavano a smettere con l'arrivo della sera. Provai a bere una camomilla, ma mi sentivo più iperattiva di prima. La luce della neve rendeva la stanza più luminosa e non riuscivo a dormire.

Mi giravo e mi rigiravo nel letto, spostando continuamente le coperte. La camicia da notte mi si era appiccicata al corpo ed ero tutta sudata.

Il pensiero di Daniel continuava a tormentarmi, stringendo stomaco e cuore in una morsa. Chiudevo gli occhi e rivedevo lui, li aprivo e trovavo il buio, mi addormentavo e c'era lui anche nei miei sogni … Avevo un enorme, doloroso, orrendo vuoto dentro.

Ogni cellula del mio corpo spasimava per il bosco innevato, dove sapevo che l'avrei trovato. Era l'unica cosa che volevo: porre fine alla mia sofferenza. Solo rivedendolo avrei potuto sperare di placare quel fuoco che infuriava dentro di me e che mi impediva di mangiare, di dormire, che mi stritolava.

Mi ritrovai in piedi, fuori dal letto. Di sfuggita, vidi il mio riflesso allo specchio: i capelli erano tutti scarmigliati, il viso pallido come non mai, gli occhi spalancati e rossi, le guance solcate di lacrime.

Non sapevo da quanto tempo fossi lì … Ormai doveva essere l'una di notte.

Senza accendere la luce, perché ormai non faceva più differenza, tolsi la camicia da notte e indossai un vestito nero, provando subito un gran sollievo. Significava che non dovevo più dormire, in qualche modo. Significava che ci avevo definitivamente rinunciato e la cosa, malgrado tutto, non fece altro che provocarmi un grande sollievo.

Con la mente finalmente sgombra, capii che, Daniel o non Daniel, avevo disperato bisogno di una corsa, una lunga corsa nei boschi.

Una debole ventata di felicità mi attraversò le vene quando aprii la finestra di camera mia e il gelo pungente dell'inverno mi scompigliò i capelli. Io ero fatta per questo. In assoluto.

Senza pensarci due volte, presi la rincorsa e mi tuffai letteralmente nel vento. Nell'istante stesso in cui i miei piedi piombarono a terra, cominciai a correre. E non era la corsa che avevo fatto di solito: questa era una corsa per sopravvivere. La velocità era quasi quella da lupa.

Mi ritrovai a sfrecciare attraverso il bosco, in forma umana, i piedi che volavano sul terreno gelato, i capelli scompigliati dal vento … Tutto intorno a me non era altro che una macchia indistinta, anche se nella mia mente c'era sempre Daniel, Daniel, Daniel.

Daniel, quando aveva riso con me.

Daniel, quando mi aveva preso la mano.

Daniel, quando mi aveva baciata.

Corsi, corsi e corsi, ancora, ancora, ancora e ancora, disperatamente, ricacciando indietro le lacrime, non fermandomi nemmeno quando cominciai a sentire le gambe doloranti, continuando finché tutti i miei sensi e i miei pensieri furono annullati e rimanemmo solo io, i miei piedi che affondavano nel terreno e il vento.

La sera era limpida, c'era la luna. Il bosco cantava, il vento fischiava … Quel mondo era lì per abbracciarmi. O per soffocarmi. Per soffocare i miei pensieri. Afferrai un ramo basso, quasi senza capire quello che facevo, e mi scagliai letteralmente in aria, fino a volare verso la luna. Il vento fischiò più forte mentre atterravo bruscamente a terra, i piedi di nuovo nella neve, e ricominciavo. Un altro ramo, un altro albero e in poco tempo non stavo più correndo, stavo volando. Volavo tra gli alberi, saltavo, tutt'uno con loro, nel disperato tentativo di non pensare.

E avrei continuato. Avrei continuato, forse per sempre, finché il mio cuore non avesse battuto troppo forte, se non fosse stato per le voci.

Mi fermai di botto, inginocchiata sul ramo di un grosso abete.

“Coraggio, tanto al matrimonio lo dovremo fare comunque. È meglio fare esercizio. Dopotutto, l'hai detto tu che era meglio così.”

Sentii un sospiro seguire quella voce brillante e argentina, come il gorgoglio di un ruscello. Mi chinai silenziosamente attraverso le foglie per guardare meglio. Non ero contro vento, non avrebbero sentito il mio odore, e nonostante ciò il cuore mi batteva all'impazzata, perché sapevo già chi c'era lì, davanti al lago.

Daniel, pallido come sempre, le mani in tasca, l'espressione indecifrabile, era fermo, di profilo, davanti a quella che, sapevo per certo, era una vampira. Era castana, ma i suoi capelli erano attraversati da incantevoli sfumature dorate. Aveva il viso pallidissimo, candido come la neve, grandi occhi viola, orlati da lunghe e folte ciglia nere. Il suo corpo era sinuoso. Non aveva traccia di muscoli … Mi sentii trafiggere il petto da una fitta. Dunque era per lei che mi aveva lasciata? Era tutto l'opposto di me. Indossava un minuscolo abitino argentato, attillato. Certo, lei non aveva il terrore di romperlo con la trasformazione.

“Coraggio, Daniel!” lo rimproverò lei.

“Isabelle ...”

“Hai acconsentito tu a tutto questo, lo sai, vero?”

Daniel abbassò lo sguardo e sospirò. Con il corpo completamente paralizzato dalla sorpresa, dal dolore e da quel vuoto sempre più grande in me, vidi Isabelle avvicinarsi a lui sempre di più, e le sue labbra scarlatte brillare alla luce della luna mentre chiudeva gli occhi.

Daniel esitò solo un istante, prima di chiudere anche lui gli occhi e di racchiuderle il viso in una mano, chinandosi verso di lei.

Quando vidi le loro labbra sfiorarsi, non riuscii più a trattenere l'impulso irrefrenabile di scappare. Non sapevo dove o come, ma dovevo andarmene.

   
 
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