Anime & Manga > Soukyuu no Fafner/Fafner in the Azure
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Autore: SiriusLoire    27/09/2015    0 recensioni
[Soukyuu no Fafner (Fafner in the Azure)]
Lei, quel giorno di circa cinque anni prima, si era fidata di lui. Si fidò di lui, nonostante provasse una sorta di astio e disgusto nei suoi confronti: lo vedeva come un debole, un essere inutile che l’isola usava come batteria per il Mark Elf, unità che lei e Michio sottomisero senza troppa difficoltà. Ma, quella volta, lui voleva salvarla: aveva addirittura disobbedito agli ordini impartiti. Gli avevano ordinato di bloccarla, anche a costo di combattere contro di lei, di farla fuori. Ma lui non lo fece. Sapeva che sarebbe riuscito a scavare dentro la sua anima, che dietro la corazza da soldato integerrimo si nascondeva una ragazzina fragile che non sapeva quasi nulla sul mondo.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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-Quindi… avete riscontrato qualcosa che non va nel nucleo dell’isola?-
A quelle parole, provenienti dallo spogliatoio maschile, Canon si irrigidì. Stava finendo di sistemare la sua divisa nell’armadietto personale ed era pronta ad uscire. Ma quella frase la gelò, come se fosse stata in mezzo ad una tempesta di neve.
-Non è proprio qualcosa che non va.- spiegò Soshi, con tono pacato. –In questi giorni sono cambiati alcuni parametri, potrebbe non significare nulla…-
-Potrebbe non significare nulla…- ripeté Kazuki, chiudendo il suo armadietto. –Ma…-
-Non preoccuparti, qualsiasi cosa accada, per il momento, siamo al sicuro.-
Canon rimase ad ascoltare la discussione, chiudendo lentamente lo sportello e prendendo la borsa che aveva poggiato sulla seduta della panca. Il suo cuore batté all’impazzata. Se i Festum avessero attaccato Tatsumiya e le unità non sarebbero bastate… cosa sarebbe accaduto?
Cercò di scacciare questi brutti pensieri dalla sua mente e si alzò per uscire e tornare a casa. Il giorno era da sola, non c’era neppure Chocolat con lei: Yoko doveva restare a lavorare lì tutta la notte e avevano deciso che lui sarebbe rimasto all’Alvis per farle compagnia.
Uscì dalla sala, spedita, ma dopo qualche passo andò a scontrarsi con qualcuno. Perse l’equilibrio e quasi cadde col sedere a terra, se non fosse stato per qualcuno che le afferrò le braccia al volo, lasciandola quasi seduta in terra. Guardò in alto e vide che Kazuki e Soshi la stavano reggendo. La aiutarono a rimettersi in piedi in un batter d’occhio. Lei chinò la testa in avanti e arrossì.
-Canon, tutto bene?- le chiese Kazuki, continuando a tenerla per un polso.
-Non ti sei fatta male, vero?- domandò Soshi, che aveva mollato la presa per primo.
-S-sto bene, grazie.- rispose, camuffando l’imbarazzo. Kazuki teneva ancora la presa su di lei ben salda. Canon gli sfiorò la mano. –Non c’è bisogno che tu…-
Il ragazzo lasciò andare il polso lentamente e lei arrossì nuovamente.
-Meno male.- commentò Soshi. –Hai rischiato di prenderti una storta, sai?-
-Sì, scusa.- ribatté, raccogliendo la borsa da terra. –Ero sovrappensiero e…-
-Non devi scusarti!- esclamò Kazuki, sorridendo. –Sono cose che capitano.-
Le lo fissò. Provava qualcosa simile al piacere quando lo vedeva sorridere, ma allo stesso tempo si sentiva in imbarazzo.
-Bene, io devo andare.- disse Soshi, sistemandosi gli occhiali. –Devo lavorare molto stanotte, non sarà facile.-
Kazuki annuì. –Va bene, vengo a portarti la cena.-
Soshi sorrise e se ne andò, salutando i due. Passò qualche secondo di silenzio. Canon stringeva tra le mani i manici della borsa e strinse le spalle. Quella situazione la stava mettendo un po’ a disagio.
“Mi sa che torno a casa…” pensò. Quando aprì bocca per parlare, Kazuki la anticipò.
-Stai smontando da lavoro adesso, vero?- le chiese. –Io sto andando al Rakuen per le cene, ti va di venire con me per mangiare qualcosa?-
-EH?!?- Canon sentì il suo viso prendere fuoco. Non si sarebbe mai aspettata che lui, proprio lui, le chiedesse una cosa del genere. “Sicuramente avrò una faccia da stupida!” pensò, cercando di calmarsi. “Dai, mi ha soltanto chiesto di fargli compagnia, non c’è niente di male!”
Si limitò ad annuire. Lui sorrise nuovamente.
“Smettila di sorridere così! Mi metti in imbarazzo!” pensò.
-Bene, allora andiamo?- fece lui, poggiandole la mano destra sulla schiena. Lei sussultò e annuì nuovamente, troppo imbarazzata per parlare.
 
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La serata passò tranquilla. Canon si era offerta per dare una mano a Kazuki e gli altri, dato che parte del personale era partito con Miwa per la spedizione. Kazuki era andato a fare una consegna, probabilmente all’Alvis, e Reo stava sistemando le ultime cose dietro il bancone. Lei e Rina stavano finendo di passare lo straccio sui tavoli e vi sistemavano le sedie sopra, preparando il locale alla chiusura.
-Ehm, Canon, posso chiederti una cosa?- le chiese Rina, sottovoce, approfittando del fatto che Reo fosse andato a sistemare il grembiule nell’altra stanza.
-Certo, dimmi pure!- rispose lei, finendo di poggiare l’ultima sedia sul tavolo.
-L’ho sentito dire da Kaburagi, ma… è vero che stasera sei stata invitata da Kazuki a venire qui, al locale?-
A Canon scappò uno squittio e fece cadere lo straccio per terra.
-B-beh, ecco… S-sì.- rispose, raccogliendo il panno da terra.
-Allora Sui aveva ragione!- esclamò Reo, dalla stanza adiacente.
-Stiamo facendo discorsi tra femmine! Non intrometterti!- lo ammonì Rina, con fare intimidatorio. Si calmò e si rivolse nuovamente a lei.
Canon fece per andare a rimettere al loro posto gli strumenti usati per pulire il locale, ma venne bloccata da Rina, che la fissava con un sorriso leggermente malizioso.
-Scommetto che il senpai ti piace, eh?- disse, prendendole lo stracco dalle mani.
-COSA?- Canon iniziò ad arrossire. Perché Rina le stava facendo tutte quelle domande?
-Avanti, Canon! Si vede lontano un miglio che ci tieni a lui!- sentenziò, continuando a mantenere il sorrisino che aveva prima. –E lo trovi pure carino! Lo capisco da come lo guardi!-
-N-non…- Canon non riuscì a finire la frase: le parole si fermarono nella sua gola.
-Sono tornato!-
Le due ragazze si voltarono verso la porta: Kazuki era appena rientrato dalle sue consegne.
-Siete riusciti a mettere in ordine prima del mio ritorno!- esclamò, sorridendo e avvicinandosi alle due. Reo uscì dalla stanza e si avvicinò al gruppo. –Quasi quasi, quando tornerà, chiedo al signor Mizoguchi se vi assume come camerieri.-
-Noi qui abbiamo finito, senpai!- disse Rina, andando a sistemare le cose nello stanzino. –Se non ti dispiace, io inizio ad andare, anche se abito qui vicino!-
-Va bene!- rispose lui, iniziando a spegnere le luci. –Reo, se vuoi puoi andare anche tu!-
-Grazie, senpai! Ci vediamo domani!- Il ragazzino, dopo aver salutato, uscì dal locale. Canon notò che il cielo si era annuvolato.
-Sta per piovere…- mormorò. Rina uscì dallo stanzino, pronta ad andarsene.
-Non preoccuparti, ti accompagno a casa!- esclamò Kazuki, sorridendo. –Passando di fronte a casa mia ci mettiamo poco.-
-Oh!-
Canon e Kazuki si voltarono verso Rina che, dopo aver fatto quel verso, aveva le mani giunte e il sorriso malizioso di qualche attimo prima.
-Che c’è?- chiese il ragazzo, non capendo il perché di quella reazione.
“Scema! Perché lo hai fatto?” pensò Canon, guardandola in cagnesco.
-Oh, niente! È che mi sono ricordata una cosa…-
-Rina!-
-Beh, io vado, prima che inizi a piovere! Buona notte!-
Come passò accanto a Canon, le si avvicinò all’orecchio.
-Poi raccontami come è andata!- sussurrò, andandosene e chiudendo la porta.
“Scema, scema, scema, scema!” pensò Canon. Dall’imbarazzo stava andando a fuoco, tant’è che la sua pelle aveva lo stesso colore dei suoi capelli.
-Continuo a non capire…- disse Kazuki, mordicchiandosi il labbro inferiore. –Sarà qualcosa che c’entra con i cosiddetti “discorsi tra ragazze”?-
-N-non proprio!- sbottò Canon, aprendo la porta e uscendo col capo chino. “Se evito il suo sguardo, non vedrà che sto morendo di vergogna. Quella cretina! Doveva comportarsi così proprio di fronte a lui?!”
Il freddo pungente della sera le entrò nelle ossa. Lei rabbrividì e provò a scaldarsi le braccia strisciandoci sopra le mani.
-Hai freddo, vero?- le chiese Kazuki, chiudendo la porta del locale e poggiandovi di fronte la lavagnetta con la scritta “Chiuso”.
-Un pochino…- rispose lei. Non aveva pensato di tardare così tanto. Solitamente, a quell’ora, era già a casa, al caldo. Inoltre le grandi nubi scure non promettevano nulla di buono. Kazuki le poggiò qualcosa sulle spalle. Lei si voltò e vide che era la sua camicia.
-Ma non avrai freddo con solo la maglietta?!- gli chiese, imbarazzata. Lui sorrise.
-Non preoccuparti, Canon.- ribatté, iniziando ad andare in direzione di casa sua. –Sto bene! Forza, andiamo prima che inizi a piovere.-
“Oddio, che situazione!” pensò, annuendo e raggiungendolo di corsa.
 
Camminarono per qualche minuto in silenzio. Averlo accanto le dava un enorme senso di imbarazzo, ma allo stesso tempo di sicurezza e protezione. Forse Rina aveva ragione. Forse le piaceva. Le piaceva essere in sua compagnia, sapere che lui era vivo e che era lì per lei. Inoltre, lui è stato il primo ad averla salvata. Ad averla salvata da se stessa, dall’essere brutale che stava diventando, dall’azione che avrebbe compiuto e che avrebbe rovinato tutto. Lei, quel giorno di circa cinque anni prima, si era fidata di lui. Si fidò di lui, nonostante provasse una sorta di astio e disgusto nei suoi confronti: lo vedeva come un debole, un essere inutile che l’isola usava come batteria per il Mark Elf, unità che lei e Michio sottomisero senza troppa difficoltà. Ma, quella volta, lui voleva salvarla: aveva addirittura disobbedito agli ordini impartiti. Gli avevano ordinato di bloccarla, anche a costo di combattere contro di lei, di farla fuori. Ma lui non lo fece. Sapeva che sarebbe riuscito a scavare dentro la sua anima, che dietro la corazza da soldato integerrimo si nascondeva una ragazzina fragile che non sapeva quasi nulla sul mondo. Conosceva il mondo come un posto dove la guerra e la sopravvivenza della razza umana erano al vertice di tutto. Forse il mondo è davvero così. Questo lei non lo sapeva ancora.
Ma quell’isola, il posto che l’UN tanto non sopporta, era forse l’unica cosa più simile ad un paradiso che lei avesse mai visto. Un paradiso dove le persone la accolsero. Accolsero quella sconosciuta, colei che fino ad un attimo prima stava per premere quel bottone che avrebbe fatto saltare in aria tutto, e per la prima volta venne trattata come una persona. L’unico che ci provò, prima di tutti, fu Michio, ma lei lo vide solo come un commilitone, un superiore che le dava ordini, tant’è che lei vedeva ogni suo consiglio come un ordine. Fin da bambina era stata trattata come una macchina da guerra, uno strumento di morte e distruzione. Ma Kazuki riuscì a vedere dentro di lei. A vedere il suo animo puro e gentile, nonostante fosse sepolto da strati e strati di finta arroganza e rabbia.
-Cosa succede? Oggi ti vedo strana?-
Quella domanda interruppe il flusso di pensieri che la attanagliavano.
-Nulla, non preoccuparti!- rispose lei, cercando di sorridere. –Sono solo un po’ stanca…-
Kazuki sorrise. –Tranquilla, manca ancora un po’ ma faremo in tempo a…-
Non finì neanche la frase e sopra di loro si scatenò un diluvio. Dopo qualche secondo, entrambi erano bagnati fradici.
-Accidenti!- esclamò Kazuki, afferrando Canon con un braccio e mettendole una mano sulla testa, quasi come se fosse un ombrello. Canon sentì il cuore batterle all’impazzata. L’unica cosa da fare era aggrapparsi a lui e cercare di andare più veloce possibile.
-Dobbiamo fermarci a casa mia, sperando che il tempo migliori!- esclamò il ragazzo, raggiungendo la porta di casa e trascinando la ragazza con se.
“Ho pensato così tanto che non mi sono accorta che eravamo quasi a metà strada?” pensò lei, tenendosi aggrappata alla sua maglietta.
-Va bene.- sentenziò, mentre Kazuki aprì la porta ed entrò.
I due si lasciarono il diluvio alle spalle. Erano così tanto bagnati che, per quei secondi che rimasero fermi accanto all’uscio, attorno a loro si generò una pozzanghera grande quanto un lago. Kazuki, ansimante e con i capelli grondanti di acqua piovana, chiuse la porta.
Canon, nel frattempo, si era tolta i sandali, lasciandoli da parte, in modo da non sporcare il pavimento. Kazuki le afferrò un braccio e la portò nel salotto.
-Togliti questa, altrimenti ti prenderai qualche malanno…- disse, sfilandole via la camicia. Canon annuì e si sedette per terra, evitando di bagnare i cuscini attorno al tavolino. Kazuki andò verso il bagno e uscì con un asciugamano. Si avvicinò, si chinò di fronte a lei, poggiandoglielo sulla testa e massaggiando, in modo da asciugarle i capelli, o per lo meno per togliere la maggior parte dell’acqua. Lui aveva ancora la maglietta addosso che, fradicia, aveva assunto un colore molto più scuro. Era così attaccata al suo torace che Canon riuscì a vedere tutte le pieghe di ogni muscolo. Abbassò lo sguardò, ma tre secondi dopo lo distolse da dove stava guardando e arrossì, continuando ad asciugarle i capelli. Canon fece altrettanto, cercando di capire il perché di quella sua reazione, e sgranò gli occhi: la maglietta era diventata così trasparente e aderente che le si vedeva tutto, nonostante indossasse il reggiseno.
-ODDIO!- esclamò, prendendo l’asciugamano dalle mani di Kazuki e portandolo al seno per coprirsi.
-I-io non ho visto niente!- commentò il ragazzo, arrossendo. –Io non volevo guar…-
-Non è successo niente, non preoccuparti!- esclamò lei, continuando a stringere l’asciugamano al petto. Kazuki arrossì ancora di più.
“Adesso pensa che io creda che lui sia un pervertito!” pensò, alzandosi in piedi.
-Aspetta, vado a prenderti roba pulita. Puoi usare il bagno, se vuoi…- disse, alzandosi e mostrandole il vano. Lei annuì timidamente e lo seguì. Raggiunta la porta, le spiegò dove poteva trovare gli asciugamani e dove poteva mettere la roba bagnata.
-Dovrò darti dei miei vestiti.- disse, prendendo alcuni asciugamani per sé. –Spero che non ti stiano troppo larghi o troppo scomodi. Fai con calma e asciugati bene.-
Lei annuì. Quando Kazuki chiuse la porta, iniziò a spogliarsi e ad asciugarsi. Mise la roba nella cesta che lui le aveva indicato. Restò in mutande, forse l’unico indumento asciutto che aveva, e si avvolse con l’asciugamano per potersi asciugare il più possibile. Si guardò allo specchio. I capelli erano arruffati da come Kazuki aveva provato ad asciugarli. Erano ancora umidi, ma sempre meglio di come li aveva prima.
-Canon?- Kazuki bussò alla porta. Lei si sistemò meglio l’asciugamano, in modo da coprirsi bene e aprì.
-Ti ho portato i vestiti.- disse, porgendole un paio di pantaloni lunghi e una maglietta blu scuro. –I pantaloni sono di quelli che non mi stanno più, sei abbastanza magra per indossarli; l’unica maglietta che avevo a disposizione per te era questa.- Canon notò che anche lui si era cambiato e asciugato, ma aveva ancora i capelli bagnati.
-Grazie…- disse, sorridendogli. Lui sorrise in risposta.
-Nel caso ti serva qualcosa, sono nella stanza accanto.-
Canon annuì e, dopo averlo ringraziato nuovamente, chiuse lentamente la porta del bagno.
Finì di asciugarsi e iniziò a vestirsi. Si infilò i pantaloni. Le stavano leggermente larghi, ma meglio di niente. Poi indossò la maglietta. Le stava grande, tanto che le maniche le coprivano i gomiti e parte dell’avambraccio e il bordo inferiore le copriva metà coscia. Appena indossò quei vestiti, venne pervasa dal suo profumo. Non era proprio un profumo, ma lei gradiva quell’odore.
La pioggia continuava a battere violentemente contro il vetro, ma ora erano al sicuro. Le girava un po’ la testa. Forse era per il freddo. Oppure per l’emozione e l’imbarazzo.
Dopo aver sistemato tutto, uscì dal bagno, lasciandolo pulito come lo aveva trovato.
-Hai già finito?- le chiese Kazuki dal salotto. Lei entrò e lo vide seduto vicino al tavolino. Aveva un asciugamano in testa e si massaggiava i capelli, cercando di asciugarli con scarsi risultati, dato che li stava arruffando e basta.
-Fermati, altrimenti ti si annodano i capelli!- esclamò lei, inginocchiandosi e togliendogli le mani dall’asciugamano. Glielo tolse dalla testa: i capelli scuri, una volta lisci, erano così tanto arruffati da sembrare un cespuglio trascurato. Canon scoppiò a ridere.
-Ho fatto un macello, vero?- le chiese, sorridendo. Canon cercò di pettinarglieli usando le mani e le dita, poi prese pian piano le ciocche e le asciugò una ad una con l’asciugamano.
-Non hai fatto nulla di irreversibile.- disse lei, sorridendo. Guardò dritta nei suoi occhi ambrati. Non li aveva mai osservati così da vicino. Quegli occhi cerchiati da folte ciglia nere che spiccavano sulla sua carnagione che, con il passare degli anni, si faceva sempre più bianca. Notò che le sue guance erano colorate da un lieve rossore.
Il tutto venne interrotto da un rumore assordante e da una luce che illuminò la stanza.
Canon urlò e balzò in avanti, gettandosi su Kazuki e aggrappandosi a lui. Aveva il cuore in gola, non si aspettava che un tuono così forte arrivasse in quel momento. Restò qualche secondo con la faccia che sprofondava nel suo petto.
“Ma che sto facendo?!” pensò, alzando lentamente lo sguardo. Kazuki la fissava con aria sorpresa. Poi sorrise.
-Era solo un tuono…- commentò, abbracciandola. –Qui, con me, sei al sicuro.-
“Lo sono sempre stata…” pensò, mettendosi meglio. Lui le accarezzò i capelli. Quella situazione inizialmente imbarazzante, la rendeva tranquilla. Era piacevole stare tra le sue braccia. Passò le braccia attorno al suo torso e si avvinghiò a lui, quasi come se non volesse lasciarlo andare. Le guance le divennero rosse come dei semafori, ma in quel momento non le importava. Voleva stare con lui.
-Forse dovrei avvisare mia madre.- disse, provando a staccarsi da lui. –Nel caso non dovesse smettere di piovere…-
Kazuki sorrise e annuì, continuando a tenerla stretta al suo petto.
-Grazie…- Canon poggiò la guancia destra sul suo petto. –Posso rimanere in questa posizione per un altro po’?-
-Certo.- rispose lui, accarezzandole i capelli rossi.
“Se fosse possibile…” pensò, chiudendo gli occhi. Una piccola lacrima scese dalle sue lunghe ciglia “Non ti lascerei mai… Mai e poi mai… Kazuki.”
   
 
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