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Autore: tyurru_chan    27/09/2015    1 recensioni
“Ehi, Arthur…”
Rabbrividì al suono del proprio nome, pronunciato con quel tono smaliziato contro il proprio orecchio. Non vi era abituato, per nulla. Per il suo popolo era il Re, mentre in quell’epoca lui era semplicemente un anima eroica di classe Saber.
Nessuno lo chiamava per nome, eccetto…
“Ti va di farlo ancora? Ne ho ancora voglia…”
Una proposta carica di voluttà, da parte di una regina il cui appetito carnale pareva insaziabile.
In risposta, emise un sospiro rassegnato il giovane, affondando le dita in quella lunga chioma dorata, così simile alla sua, ma più viva e accesa.
Un colore sgargiante, non dissimile dai preziosi orecchini placcati in oro che ella indossava.
Come aveva potuto, anche se solo per un istante, paragonarla alla sua Guinevere?
“Un’altra volta, Archer. Devo andare adesso.”
[Male Saber/ Female Archer]
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Gender Bender
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2.00 Am  Fuyuki City
[Five Holy Grail War]
 
 
“Sei proprio un pervertito, Seibah.”
Parole mirate rivolte nell’intento di provocarlo, tipiche di colei ad erigersi su ogni cosa, pronunciate ad un soffio dalle labbra del proprio amante; un sorriso malizioso, il respiro ancora ansante, ma il corpo soddisfatto da tale piacere carnale appena consumato.
Una camera sontuosa, un evento inaspettato, di contorno ad un avvenimento che normalmente li reclamava solo ed unicamente per combattere.
Un moto di stizza sopraggiunse dal Servant al fianco della donna, una smorfia di palese disappunto, ma nulla più di questo, beandosi della tiepida pace creatasi subito dopo la fine della tempesta.
Data la gran foga con cui si erano attorcigliati sotto quelle lenzuola, quasi strappandosi con brutalità i vestiti di dosso, iniziava a pensare che quella donna l’avesse deviato più di quanto si rendesse mai conto lui stesso.
“Come se ti fosse dispiaciuto…”
Prese infine parola, causando una risatina in risposta posta alla propria amante, il viso dell’antica regina di Uruk poggiato sul quel torace glabro, creando dei cerchietti immaginari sul petto del giovane, distrattamente.
 
“Ehi, Arthur…”
Rabbrividì al suono del proprio nome, pronunciato con quel tono smaliziato contro il proprio orecchio. Non vi era abituato, per nulla. Per il suo popolo era il Re, mentre in quell’epoca lui era semplicemente un anima eroica di classe Saber.
Nessuno lo chiamava per nome, eccetto…
“Ti va di farlo ancora? Ne ho ancora voglia…”
Una proposta carica di voluttà, da parte di una regina il cui appetito carnale pareva insaziabile.
In risposta, emise un sospiro rassegnato il giovane, affondando le dita in quella lunga chioma dorata, così simile alla sua, ma più viva e accesa.
Un colore sgargiante, non dissimile dai preziosi orecchini placcati in oro che ella indossava.
Come aveva potuto, anche se solo per un istante, paragonarla alla sua Guinevere?
“Un’altra volta, Archer. Devo andare adesso.”
La liquidò con poche parole, ignorando lo strusciare di quei seni prosperosi contro il proprio addome.
Ma era anche conscio, di quanto fosse problematico  scampare alle voglie di una donna così subdola e… disinibita.
E lui era pur sempre un  uomo, oltre che un Re appartenuto ad un epoca passata.
Quando le aveva concesso il permesso di incatenarlo in quell’intricata morsa da cui non trovava più alcuna uscita?
Nemmeno a dirlo, una mano sbarazzina si intrufolò tra le lenzuola, andando a stuzzicarne con ardore la virilità; dita esperte di una donna che sapeva fin troppo bene, come rendere un uomo schiavo del proprio primitivo desiderio sessuale.
“Allora, mio amato Re dei Cavalieri?”
Un ghigno vittorioso sul volto, derisorio, occhi color della brace negavano ogni vano tentativo di protesta, voluta o non.
Un sospiro di compiacimento, seppur contrariato, uno sguardo dal verde tenue si posò su di essa, incerto.
“Solo cinque minuti.”
Ottenne una risposta frettolosa, ma già ella ne pregustava i frutti della vittoria.
Amava tenerlo lontano da quell’odiosa piccola master inutile, e avvinghiarlo sempre più a sé, soddisfando tra quelle braccia toniche ogni voglia recondita di lui, ogni desiderio celato, sin dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su quel giovane cavaliere dagli sciocchi ideali utopistici.
Poiché ella, era la regina incontrastata di ogni cosa. Sin dall’inizio dei tempi.
Così era stato, e tale il suo ruolo dominante doveva restare immutato.
E nessuno più di lei poteva apprezzare il gusto soave di quella disperazione celata da uno sciocco sognatore, incapace di abbandonare il peso dei propri fardelli.
 
 
 
[Break]
 
“Va bene così?”
No… ancora.
Una supplica, le braccia avvinghiate alle sue spalle, stringendo con forza tra le dita il tessuto di quel giaccone in pelle, scuro.
Ogni protesta messa a tacere da baci per nulla casti e innocenti, si udivano solo sospiri e schiocchi di labbra, chiunque avrebbe potuto scoprirli in quel corridoio da un momento all’altro.
Mancanza di ossigeno li costrinse a separarsi, una scia di saliva colava da entrambe le parti, dividendone appena le rispettive metà.
“Non mi basta.”
Un ordine perentorio quello di lei, che con foga lo attirava nuovamente a sé, ancora in cerca di quella bocca deliziosa e fin troppo poco avvezza alla lussuria.
Stizzito, infatti, il cavaliere aveva scostato il viso, sfuggendole per qualche istante, il respiro ansante, lo sguardo puntato verso  il muro contro cui era poggiata lei.
Eppure nonostante questo, quello senza via di fughe pareva essere lui.
“Ma quanto Mana ti serve? Vuoi prosciugarmi per caso?”
“… E se anche fosse?”
Uno sbuffo contrariato; si era lasciato convincere per semplice cortesia, ma… come al solito la faccenda degenerava a suo discapito.
Uno scambio reciproco, tenuto segretamente celato agli occhi dei loro master.
Tuttavia, vi era pur sempre un limite che il cavaliere non amava superare, portandolo a spazientirsi.
 “In quel caso, dovrei poi rifornirmi di tale energia tramite il contatto con la mia master.”
Una provocazione volutamente mirata a colpire un punto scoperto, su cui lei era fin troppo volubile; La gelosia.
Gli occhi cremisi si chiusero ermeticamente in due fessure, le dita serrate in una morsa, mordendosi un labbro nervosamente, in preda ad un’ indecisione attanagliante.
“…Non oserai…”
“…potrei, invece.”
Un botta e risposta rischioso, un graffio sul collo in risposta, un gesto audace, dettato dalla crescente possessività avente su di lui.
“Tu sei solo ed esclusivamente mio. Non dividerò tale tesoro con la comune plebaglia, ricordatelo.”
Detto questo lo spintonò malamente, interrompendo controvoglia ogni effusione tra loro.
 
 
 
 
“Avevo detto cinque minuti”
Uno sbuffo stizzito da parte del Re dei Cavalieri, destatosi con fin troppo ritardo dal suo sonno, mettendo a tacere la sveglia posta sul comodino accanto a quel confortevole letto matrimoniale.
Per essere una Servant che conviveva con un uomo di chiesa, la dimora di quella donna era fin troppo agiata nel lusso.
Due braccia sottili erano ancora avvinghiate ai suoi fianchi, solleticandone appena la pelle, semi nascosta da un lenzuolo di lino dalla vita in giù, come a impedirgli ogni fuga premeditata.
“Buongiorno, mio Re.”
Una voce melliflua, familiare, le parole scandite con voluta sensuale malizia, un seno morbido a contatto con la propria schiena.
Un occhiata di rimando da parte del giovane sovrano, gli occhi smeraldini di un verde intenso, incrociato con quelli di fiamma della sua amante.
Era in perenne ritardo, e il pensiero di dover rincasare e dover trovare scuse vaghe con la propria master riguardo la sua assenza ingiustificata, lo innervosiva alquanto.
Non era in vena quindi di sorbirsi qualsivoglia smancerie mattutine, per cui in tacito silenzio abbandonò la propria confortevole postazione e si adoperò nel raccogliere i propri vestiti malamente sparsi sul pavimento, e rivestirsi.
Uno sguardo puntato su di sé da parte della donna, che continuava a crogiolarsi nel letto, contemplando ogni suo movimento con aria divertita e giocosa.
“Ti aspetta una bella sgridata dalla tua padrona? Sei un Servant davvero disobbediente.”
Rise, affondando il capo contro uno dei cuscini, le grazie in mostra senza pudore.
“Pfui… e per colpa di chi? Sembra quasi che lo fai apposta a tenermi lontana da lei.”
A quelle parole la sovrana di Babilonia riprese un contegno, lo sguardo serio, pronto a trafiggere.
“Può darsi…”
Uno sguardo perplesso quello dello spadaccino, tempo di un battito di ciglia, di un silenzio inquieto sceso improvvisamente nella stanza.
Ma non aveva tempo di indugiare nel tentativo di comprendere cosa passasse per la testa di quella donna.
Doveva rientrare, sperando che Ayaka ancora non si fosse svegliata.
 
 
 
[Home]
 
Uno scroscio d’acqua familiare destò la giovane maga oscura dal proprio sonno, portandola a stropicciarsi gli occhi assonnati e infine cercare i propri occhiali posti sul comodino.
“Ma che, ore… sono?”
Mormorò con voce impastata, sbadigliando appena, e abbandonando di malavoglia il proprio caldo giaciglio, strascicandosi per la stanza, scalza.
Un rumore di acqua corrente nel bagno, probabilmente che si fosse dimenticata di chiudere il rubinetto la sera prima?
Figurarsi, si sarebbe trovata casa allegata a quell’ora se così fosse stato.
Ma essendo ancora mezza addormentata la sua soglia vigile di lucidità era fin troppo carente, così come l’entrare in bagno, senza bussare o comunque rifletterci per qualche istante, non era stata una mossa degna di nota.
L’aveva scorto solo per un istante, la figura del proprio servant sotto la doccia; ciò motivava il rumore d’acqua scrosciante che aveva udito dapprima, ma… non quella delle nudità dell’uomo, che aveva impiegato un po’ a recepire la presenza di lei, e a coprirsi in un difensivo riflesso istintivo la zona a basso ventre, sbandierata ai quattro venti con così poca accortezza ad occhio attento.
Per sua fortuna il vapore le aveva appannato gli occhiali, impedendole una visuale chiara di ogni particolare di quel corpo maschile esposto. Ma ciò non lo salvò da un gridolino acuto da parte di lei, seguito da un rossore vergognoso e un disperato tentativo di fuga conclusosi con un imprevisto ruzzolone maldestro sul pavimento del bagno.
Un sospiro, l’asciugamano prontamente recuperato a nascondere le proprie nudità e andare in soccorso della propria master tanto impacciata.
"Non dovresti agitarti in questo modo, finirai per farti male."
Un rimprovero neutro, lo sguardo in cerca di possibile ferite o lividi in vista, sperando in cuor suo non ve ne fossero.
In risposta la giovane master in gesti affrentato quanto ammirevole, si drizzò sull'attenti, ignorando per quanto poteva il dolore alle proprie natiche per quel volo improvviso.
 
"I-io non ho visto nulla! L-lo giuro! Perchè mai avrei dovurto spiarti poi?"
 
Gli occhiali sistemati con le dita trementi al viso, un tremendo rossore tradiva quelle parole ricolme di imbarazzo.
Un cenno di dissenso da parte del proprio Servant, che scuotendo il capo la aiutò a rialzarsi, allacciando un braccio in vita alla ragazza, prima ancora di darle possibilità di protestare.
Un contatto per nulla malizioso, dettato più dalla semplice preoccupazione che altro. Eppure quella fanciulla stretta a sè in cerca di protezione davvero era motivo di tanto astio da parte di una certa dispotica di sua conoscenza?
Con questi pensieri sciocchi nella mente la accompagnò nella propria stanza, tra proteste, lamentele e... oggetti volanti in preda ad un impudica vergogna infantile.
 
 
 
[Sadness]
 
"Prediligi quella insignificante verginella, alla Regina di tutte le ere, la sovrana di ogni cosa in questo mondo!?"
Un sospiro da parte del servant a quell’affermazione in preda al loro ennesimo bisticcio, una mano posata sulla fronte come rassegnato.
Ogni volta era la stessa identica storia. Esagerava come sempre nei modi e nei gesti, pur di non ammettere semplicemente una punta di gelosia nei riguardi di Ayaka Sajyou, la propria master.
Tanto baccano solo perché le aveva dato buca ad un loro incontro per sbrigare una commissione con ella.
“Avrebbe potuto insospettirsi. Non posso sempre e solo passare il mio tempo con te, Archer.”
Un moto di stizza da parte della donna, che a quelle parole perentorie lo afferrò per il colletto attirandolo a sé.
“Gilgamesh. Ti ordino, di chiamarmi con il mio nome. Basta con queste stupide classi.”
Sibilò appena a denti stretti, la voce resa acuta e stidula dalla furia imminente che stava per scatenarsi senza riparo.
“Tu non sei solo un servant, sei il mio uomo, il mio futuro sposo, il mio Re. E non scendo a compromessi con una mocciosa che a malapena ha una vaga idea di come soddisfare un uomo in un letto.”
“Gil… ?”
“Sta zitto e ammettilo, te la scoperesti volentieri quella piccola odiosa con quell’aria da innocentina, non è vero?”
Parole cariche d’ira, l’ira funesta di una regina che non transigeva di spartire nulla di ciò che riteneva essere suo.
Ma non ottenne tuttavia l’effetto sperato. Sapeva quanto quell’uomo fosse fin troppo suscettibile ai suoi scatti d’ira, se questi poi avevano come movente principale la sua tanto amata padrona da lui tanto difesa.
“ Misura le parole. Non ti permetto di offenderla in quel modo…”
Una presa salda ai polsi di lei, lo sguardo carico di rimprovero, non vi scorgeva dolcezza in esso.
Presuntuoso… eppure adorabile.
“Sennò…?”
Una provocazione che non ricevette risposta, semplicemente, si ritrovò a rimirare le spalle di quello stolto di un cavaliere allontanarsi, senza altra replica.
"Credi forse che non sappia dei modi gentili e cortesi che riservi a quella piccola sfacciata?"
"...Adesso mi spii?"
Immobile, si fermò sul posto, senza voltarsi, le mani ben riposte nelle tasche del cappottone nero di pelle.
"Non vi è nulla che tu possa nascondere ai miei occhi, lo sai."
Un sogghigno languido, lasciando intendere con un gesto sfacciato delle dita, quel senso di appartenenza a cui mai lo avrebbe lasciato andare.
 
 
[End]
 
“Sei rientrato tardi, Saber.”
Una constatazione più che un accusa quella della maga dei Sajyou, rivolta con pacato candore al proprio Servant che ritornava a casa dopo chissà quale delle sue ronde notturne.
“Si, ho impiegato più tempo del previsto, ma non vi è nessun problema.”
Risposta neutra di rito, lo sguardo basso, dirigendosi in cucina così da adempiere ad uno dei doveri che aveva accettato di svolgere per lei da quando lo aveva evocato.
Ovvero; Cucinare.
Un’attività non proprio da sovrani, ma la cucina di quell’epoca era senza dubbio divertente.
Tuttavia, nemmeno quello riusciva distrarlo dai recenti avvenimenti a lui sfuggiti da ogni controllo.
Si era lasciato sedurre e usare da una donna presuntuosa ed egoista. Per la seconda volta.
A quanto pare dai propri errori commessi in vita non aveva proprio appreso nulla.
“Saber?”
Un richiamo gentile, una mano sottile a carezzare la stoffa del proprio indumento, purpureo come gli occhi di quella donna insopportabile da cui non riusciva a districarsi.
Un sorriso gentile rivolto alla propria master, come a dissipare ogni possibile preoccupazione a riguardo.
“Va tutto bene, sono solo un po’ pensieroso. Perdonami, sembra proprio che io non sia molto di compagnia stasera.”
Un cenno di dissenso, la chioma mora della liceale a scuotersi come a non accettare quelle parole vaghe.
Strinse appena a sé quel braccio da lei sfiorato, il capo chino, un velato imbarazzo a colorarne le guance morbide. Un gesto infantile di vicinanza, ma che in quel momento era ben accetto.
 
“Tu sei solo ed esclusivamente mio. Non dividerò tale tesoro con la comune plebaglia, ricordatelo.”
 
Eppure in cuor suo non era ciò che davvero cercava. L’avrebbe disprezzato se solo fosse venuto a conoscenza di ciò in cui era incappato?
Lasciò per un attimo i fornelli, avvolgendo quella minuta fanciulla al proprio petto , un gesto di reciproco calore che non aveva nulla a che fare con il dovuto scambio di Mana.
Incappare nell’ira di quella donna per la millesima volta è dunque questo che ricercava? Che avesse forse ragione?
“Saber, resterai al mio fianco fino alla fine, vero?”

“Finché avrò vita la mia spada sarà al vostro servizio, Master.”
Un lieve tocco casto fra le loro labbra, un bacio innocente, come a sancire quell’accordo da loro posto, senza convenevoli alcuni.
 
“Finché queste catene continueranno a serrarmi il petto, senza alcuna via di fuga”
  
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