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Autore: argentmist    28/09/2015    1 recensioni
[Malec AU ispirato al webcomic Starfighter]
Non potevano trovargli nome in codice più adatto, pensai considerando come la sua postura, la sua intera persona emanassero un’aria di vibrante energia e quando si accorse di essere osservato ammiccò divertito verso la mia direzione. Distolsi lo sguardo sperando vivamente che il calore che si andava diffondendosi sul mio viso non fosse troppo evidente ed irritato per la facilità con cui era successo.
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Of Names and Destiny

 

Il giorno in cui venni trasferito e venni assegnato al mio nuovo navigatore fu il giorno in cui tutto ebbe inizio, anche se ancora non potevo saperlo.

Mentre il capitano mi introduceva, potevo sentire l’uomo scrutarmi con un malizioso luccichio felino negli occhi dal taglio orientale e quando parlò la sua voce risuonò calda ed avvolgente.

Caos.

Non potevano trovargli nome in codice più adatto, pensai considerando come la sua postura, la sua intera persona emanassero un’aria di vibrante energia e quando si accorse di essere osservato ammiccò divertito verso la mia direzione. Distolsi lo sguardo sperando vivamente che il calore che si andava diffondendosi sul mio viso non fosse troppo evidente ed irritato per la facilità con cui era successo.

Una volta raggiunta la stanza assegnataci, spartana esattamente come mi aspettavo che fosse, iniziai a sistemare i pochi oggetti personali che venivano concessi portare con sé a bordo mentre invece il mio compagno di stanza si eclissò silenziosamente in bagno.

Riemerse poco dopo, con un asciugamano legato in vita ed un altro ad asciugare i capelli bagnati e per un momento il mio sguardo rimase catturato dal sinuoso percorso delle gocce d’acqua che scendevano lungo il suo torace e rilucevano contro la sua carnagione scura. Mi riscossi e distolsi lo sguardo prima che potesse accorgersene e per rompere quel silenzio imbarazzante decisi di commentare sarcasticamente:

“Quando avrai finito di metterti in mostra vorrei poter usare il bagno, Caos” calcando la dose di sarcasmo in particolare sul suo nome.

“Come se non ti stessi godendo lo spettacolo” ribatté sogghignando ed infine spostandosi dall’entrata del bagno che aveva occupato fino a quel momento e sottolineando diverto, con un gesto della mano che la via ora era libera.

Non sapendo come ribattere perché colto in flagrante, decisi che un’uscita di scena in silenzio era la cosa migliore da fare per salvare almeno quello che rimaneva della mia dignità.

Ma feci l’errore di perdermi nei mei pensieri ed una volta raggiunta la soglia, non mi accorsi che alle mie spalle l’asiatico mi aveva raggiunto; poggiando una mano contro lo stipite della porta mentre l’altra si andava a posare sulla mia spalla per fermarmi con una presa salda ma gentile.

Potevo sentire il calore proveniente dal suo corpo, poco distante dal mio, indugiare sulla mia pelle come il fantasma di una carezza ed unito al fatto che era stato colto di sorpresa non riuscì a far altro che rimanere pietrificato in attesa di una sua prossima mossa; che non tardò ad arrivare.

Quando chinò la testa, sentì il suo respiro tiepido solleticarmi un orecchio e percepì un lieve profumo di patchouli e sandalo. Infine con un tono di voce basso, il cui sensuale mormorio mi mandò un fremito lungo la schiena, sussurrò:

“Vista la tua disapprovazione verso il mio nominativo, tra queste mura puoi chiamarmi Magnus.

E come se nulla fosse, senza aspettare una reazione da parte mia, chiuse la porta del bagno e si allontanò.

Magnus.

Dire che quella rivelazione mi aveva colpito era dire poco. Una delle più importanti regole che vigevano a bordo era il divieto assoluto di rivelare il proprio nome, mentre lui lo aveva appena candidamente rivelato al suo nuovo combattente che conosceva giusto da un paio d’ore.

Magnus.

Continuò a domandarsi quale motivazione potesse averlo spinto a tale rivelazione ed assaporando la musicalità di quel nome proibito nel sicuro riparo della sua mente, non osando pronunciarlo ad alta voce.

Si tolse infine i vestiti e sgusciò dentro la doccia, cercando di rilassarsi sotto il getto d’acqua calda chiudendo gli occhi.

Magnus.

 

*

Dopo quella prima sera non sollevò più la faccenda del suo nome, comportandosi come se nulla fosse accaduto o forse aspettando il momento in cui lo avrei usato, cosa che però non osavo fare.

Nelle settimane successive iniziai ad intravedere i tanti lati della sua personalità, momenti in cui la sua esuberanza lasciava il posto ad una vena riflessiva e quasi malinconica o momenti in cui lasciava trasparire la sua vulnerabilità, come quando una notte parlando di quello che avevamo lasciato indietro sulla Terra, mi disse che ciò che gli mancava di più era il suo gatto.

Sentendo poi le chiacchere in mensa o nei momenti dopo le simulazioni ed allenamenti, scoprì che era ammirato e rispettato per le sue doti nel volo. Rispetto che si era guadagnato anche dopo essere stato coinvolto in alcune risse durante i  suoi primi tempi e delle cui vittorie si parlava ancora.

Ovviamente non si lasciava mai sfuggire un’occasione per provocarmi ma ben presto imparai a rispondergli a tono e la cosa infine divenne quasi una sorta di rituale giornaliero che scandiva le giornate che trascorrevano uguali con tranquillità.

Questo fino a quando giunse la nostra prima missione e tutto ciò che ne derivò.

 

 

*

Quella che doveva essere una semplice missione ricognitiva si rivelò invece essere un devastante fallimento.

Il nemico ci aveva teso un’imboscata e ci trovammo circondati prima che potessimo avere il tempo di reagire e ci trovammo di fronte ad una evidente inferiorità numerica che non ci lasciava altra scelta che ritirarci.

Mentre ripiegavamo verso la nave madre, la navetta di pattuglia assieme alla nostra venne colpita al motore sinistro e con solo più un motore funzionante venne presto raggiunta ed abbattuta dal fuoco nemico.

Rimaneva solo più la nostra, su cui si concentrarono i colpi delle navi nemiche ma che grazie alle manovre del mio navigatore riuscimmo ad evitare riportando solo qualche lieve danno e distanziarci sfruttando l’agilità consentita dalle piccole dimensioni della navetta.

Eravamo ormai fuori dalla loro portata di tiro quando d’un tratto ci si parò davanti una navetta nemica, probabilmente piazzata li come retroguardia, che iniziò a far fuoco. Mentre la nostra navetta compiva una brusca manovra per cercare di evitare il colpo, risposi al fuoco mirando prima ai motori ed infine abbattendola.

Il pannello di controllo mi informò che la cabina di pilotaggio del navigatore era stata danneggiata e contattai immediatamente Caos per avere notizie sull’estensione del danno.

Rispose dopo il mio secondo richiamo dicendo che non si sarebbe lasciato fermare da un graffietto del genere, anche se nonostante il tono sicuro di sé trasparivano tensione e un certo affaticamento.

Riuscimmo infine a rientrare alla base senza ulteriori intoppi e una volta uscito dall’ abitacolo della navetta, vidi con i miei occhi il danno che avevamo subito e rimasi senza parole. Chiamare graffietto la ragnatela di crepe che si diramava dal centro del vetro dell’abitacolo era stato alquanto riduttivo da parte del navigatore e fui colpito dal fatto che fosse riuscito ad arrivare fino a destinazione con la pessima visibilità data dal vetro ridotto in quelle condizioni.

Stavo per congratularmi con lui per l’ottimo lavoro, quando notai che con una mano si puntellava contro alla navetta che ci separava, in cerca di stabilità e con l’altra si stringeva la spalla sinistra mentre tra le dita avevano iniziato a scendere rivoli di sangue.

Un brivido freddo mi attraverso quando capì che era rimasto ferito nell’ultimo attacco.

“Ti avevo detto che non mi sarei fatto fermare da un graffietto” cercò di minimizzare, parlando con voce strascicata, vedendo come il mio sguardo osservava con preoccupazione la sua ferita. Provò anche ad accennare un sorriso che però venne deformato da una smorfia di dolore, prima che il colore defluisse dalle sue guance e non perse i sensi per la perdita di sangue.

Scattai verso di lui pur sapendo che era inutile, cercando di trattenere l’impulso che si faceva sempre più forte di chiamarlo per nome, quel nome confidato con un sussurro e conservato gelosamente al sicuro dal resto del mondo, chiamarlo e vederlo sorridere e parlare con la sua solita esuberanza…

Venne portato via dalla squadra medica e non potei fare altro che osservarli allontanarsi, sentendomi come pietrificato mentre una sensazione di gelo improvviso si espandeva.

Mi portai una mano alla gola.

Il nome che avevo quasi rischiato di pronunciare davanti a tutti ora pesava come un macigno che quasi mi ostacolava il respiro, mentre mi invadeva il timore che quella avrebbe potuto essere l’unica occasione che mi veniva concessa per poterlo usare.

 

*

Erano passati tre giorni da quando era stato ricoverato in infermeria, tre giorni in cui non mi era stato concesso di vederlo neanche una volta e di non sapere in che condizioni si trovasse.

Tre giorni praticamente insonni ad attendere notizie che non arrivavano, dove l’attesa era diventata un dolore al petto costante.

Tre giorni di solitudine…

…Quattro, mi corressi quando lo sguardo mi cadde sulle cifre luminose dell’orologio digitale che scattavano a segnare la mezzanotte.

Le notti passate insonne ora presentavano il conto, sentivo le palpebre farsi pesanti e i miei pensieri come ovattati e nonostante cercassi ostinatamente di rimanere sveglio, il mio corpo alla fine cedette e ben presto mi ritrovai a sonnecchiare.

Mi svegliai di soprassalto quando sentì il bip della porta automatica che si apriva e del pannello che scorreva, che indicava qualcuno era entrato nella stanza.

Mi tirai su dal letto sfregandomi gli occhi e nonostante la penombra della stanza, riconobbi subito la figura che si stagliava davanti alla porta.

Era lui. Ed era vivo.

Sentì tutta la tensione dei giorni precedenti svanire ed al suo posto eruppe un’euforia che, complice della carenza di sonno, mi spinse ad agire senza pensare alle possibili conseguenze.

Lo raggiunsi e facendo attenzione alla fasciatura alla spalla, gli afferrai il volto e lo baciai cercando di riversare in quel bacio tutto quello che provavo e che non sarei riuscito ad esprimere a parole.

Dopo un primo momento dove colto di sorpresa non reagì, lo sentì poi sorridere ed infine ricambiare con passione, avvolgendo le sue labbra calda sulle mie ed afferrandomi per la vita con un braccio e facendo combaciare i nostri corpi mentre l’altra sua mano si perdeva tra i miei capelli.

 Quando infine ci staccammo eravamo entrambi a corto di fiato. Appoggiai la mia fronte contro la sua e tenendogli il volto tra le mani, inspirai profondamente e sussurrai:

“Puoi chiamarmi Alec…Magnus.

L’espressione che ebbe quando mi sentì non solo pronunciare finalmente il suo nome ma anche condividere il mio, fu soverchiante; la dolcezza nei suoi occhi e tutti i sentimenti che ne traboccavano mi fecero sentire amato come mai prima d’ora e mentre finimmo sul letto più vicino, tornai a baciarlo; assaporando ed esplorando lentamente ogni particolare fino a quando non ci addormentammo, le nostre gambe intrecciate ed il suo braccio intorno alla mia vita.

 

  
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