Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover
Segui la storia  |       
Autore: nainai    29/09/2015    2 recensioni
Rose rosse. Ambizioni. Desideri.
...il bisogno di attingere alla vita per essere vivi davvero.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Placebo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sei come porcellana.
Fragile e bianca.
 
14 Febbraio 1996
Zurigo (Svizzera) – Hallenstadion
 
I fan sembravano impazziti. Avevano ricoperto il palco di stupidi pupazzetti di peluche. Erano dappertutto!
Brian guardava David mentre salutava e ringraziava il proprio pubblico: sorriso smagliante, inchino profondo, quell’attimo di commozione che appariva quasi sincero. Fece perfino lo sforzo di raccogliere un paio di quei giocattoli inutili da terra, ignorando elegantemente i molto più appetibili reggiseni in pizzo che spuntavano qua e là. Un altro inchino, si voltò dopo aver presentato la band con un ampio gesto delle braccia e lasciò rapidamente la scena a loro e ai tecnici venuti a smontare l’attrezzatura.
Brian lo vide sfilare in direzione dei camerini.
Si lasciò scappare una smorfia. Dalla cena a Lione, quattro giorni prima, loro due non si erano più visti o parlati. L’unico dato positivo era stato che anche Eno sembrava aver perso interesse in Brian e la sua band e li lasciava lavorare in pace. Con l’aiuto di Levi, il terzetto dei Placebo aveva raggiunto un ottimo livello di esibizione e la risposta del pubblico era andata migliorando di spettacolo in spettacolo. Lione, Ginevra e, quella sera, Zurigo… Stefan aveva superato la ritrosia iniziale per quel tour e si era lanciato a capofitto nel lavoro, impegnandosi con un entusiasmo che aveva travolto in fretta anche Steve.
Brian rispondeva con più svogliatezza; ai concerti continuava a preferire gli after show e la compagnia di Eric e delle sue “scorte personali”, elargite sempre con una certa generosità, e in un paio di occasioni si era ritrovato chiuso in bagno, prima o subito dopo l’esibizione, a vomitare per il nervosismo che gli attanagliava lo stomaco.
Adesso stabilì di potersi concedere una sigaretta prima di raggiungere gli altri alla discoteca dove si sarebbe tenuta la festa di quella sera. Uscì indisturbato sul retro del palazzetto e si appoggiò ad uno dei camion del tour, al riparo dagli occhi della piccola folla di curiosi che, lì fuori, attendeva l’uscita del proprio idolo. Brian sapeva che Jeff avrebbe portato via David utilizzando una strada alternativa, la sicurezza che sorvegliava quell’ingresso era uno specchietto per le allodole; gli venne l’infantile desiderio di andare da quei ragazzi e spiegare loro come raggiungere Bowie. Sorrise.
-Cosa c’è da ridere?
Brian si voltò.
Poco più a sinistra, vicino a lui, un’ombra filiforme e più scura si nascondeva, accucciata al suolo, nell’ombra tozza del rimorchio.
Qualcosa si allungò nella sua direzione, la pelle pallida di un polso balenò nello spazio illuminato di fianco al camion, una cicatrice quasi trasparente segnava il punto in cui quel polso si congiungeva ad una mano lunga, che si aprì con il palmo rivolto nella sua direzione.
-Offrimi una sigaretta.- ordinò la stessa voce di prima.
Brian rimase interdetto.
Era una ragazza. Doveva essere anche abbastanza giovane, perché la sua voce era fresca e pulita. Ma c’erano nel suo tono una perentorietà ed una sicurezza che lasciavano poco spazio ad esitazioni. Si ritrovò a mettere mano alla tasca dei jeans ed al pacchetto quasi senza rendersene conto.
-C’è da ridere- rispose avvicinandosi a lei per offrirle quanto richiesto.- che resteranno a prendersi freddo lì fuori per niente.
-Oh, lo sanno.- ritorse lei quietamente. Le dita spettrali afferrarono con delicatezza il filtro, sfilando la sigaretta dal pacchetto con grazia. Poi la mano tornò a sparire nel buio fitto.- Non è importante.- aggiunse.
Brian fece scattare l’accendino. Quando lo avvicinò a lei, intravide un volto allungato, capelli nerissimi e lisci, occhi di un colore indecifrabile che lei socchiuse rapidamente impedendogli di leggere la sua espressione. Avvicinò le labbra dal rossetto nero, già ornate dalla sigaretta, alla fiammella tremolante, accese e spirò il primo tiro quasi nello stesso momento.
Lui spense l’accendino e lei scomparve di nuovo.
-Sei una groupie?- chiese sfrontatamente.
-Che cos’è? un club segreto per adepte del cazzo e della chitarra?- ribatté lei. Il tono asettico svuotava le sue parole di qualsiasi volgarità.
Poi, lui non era certo il tipo che si scandalizzasse per così poco! Si appoggiò con la spalla al rimorchio del camion e appuntò lo sguardo nella sua direzione.
-No, era solo un modo per capire se sarei riuscito a scoparti.- confessò in tono piano.
-Per una sigaretta, mi pare un po’ eccessiva come richiesta.
Non sembrava offesa.
Brian finì di fumare e schiacciò il mozzicone sotto la suola degli anfibi.
-Comunque, sembri più te il tipo che preferisce cazzo e chitarra.- commentò lei blanda.
Lui rise ma non la smentì.
 
David Bowie fumava seduto in un angolo del privè che gli era stato riservato. Dalla sua posizione poteva sorvegliare quasi per intero la sala davanti a sé e sicuramente aveva libera visuale sull’ingresso e sulla pista da ballo. Aveva già individuato da un po’ il batterista dei Placebo che si scatenava in pista con un paio di ragazzine di almeno dieci anni più giovani di lui e, dopo qualche minuto, aveva intercettato anche il bassista, seduto come lui in un angolo del locale, beveva nervosamente e fissava con ansia evidente il lungo corridoio che portava alla hall all’ingresso della discoteca.
Evidentemente non era l’unico a stare aspettando…
Sbuffò il fumo. Fece girare la sigaretta accesa sull’orlo del bicchiere, la cenere cadde nei resti del suo mojito. La rossa che gli sedeva affianco disse qualcosa di spiritoso che sentì solo in parte, rise piano per educazione, socchiudendo gli occhi. Quando tornò ad aprirli sulla sala, era tutto uguale a prima; la rossa parlava con Eno e lui incrociò di nuovo nel proprio campo visivo la figura lunga e magra del bassista dei Placebo.
Era stato sinceramente indeciso su come comportarsi con Brian Molko per giorni.
La loro ultima conversazione gli aveva fornito elementi in più su di lui, ma gli aveva anche detto molto su di sé e sull’interesse che provava. Con quel ragazzino era fin troppo facile perdere il controllo. Quando lo aveva visto la prima volta e, cautamente, gli si era avvicinato in una progressione lenta, David era convinto che Brian Molko sarebbe stato il gioco stuzzicante di qualche settimana, forse un paio di mesi. Il fascino che l’altro esercitava – innegabile – lo rendeva una preda appetibile e, senza dubbio, da non poter liquidare con una scopata veloce come avrebbe voluto Eno. Ma sicuramente, quando aveva iniziato a corteggiarlo, la sua attenzione per l’altro non si spingeva oltre una sana curiosità ed un indiscusso desiderio.
Dopo quell’ultima cena “di coppia”, invece, si sentiva molto più che curioso. Provava l’impulso fastidioso di conoscere qualcosa in più della vita dell’altro. Quell’istinto di protezione che aveva avvertito la sera della cena e qualificato come un seccante strascico dell’età non era sparito come avrebbe voluto. Se si era tenuto a distanza di sicurezza da Brian, del resto, era stato soprattutto per fare chiarezza con se stesso; temeva un po’ che cercare di schiarirsi le idee sarebbe stato impossibile con quegli occhi cangianti fissi nei suoi e pronti a giudicarlo ad ogni minimo errore…
La rossa si stava alzando e con lei la buona parte dei suoi “invitati”. David rivolse loro brevi cenni di saluto e sorrisi vuoti, di circostanza, tornando subito a scrutare con avidità la figura magra e nervosa di Stefan Olsdal in lontananza. In pochi minuti lui e Brian Eno rimasero soli, con la compagnia esclusiva l’uno dell’altro e di una bottiglia di brandy semivuota.
-Che succede?- lo interrogò immediatamente il produttore, intuitivo come sempre.
David storse il naso, stizzito. Per una volta avrebbe preferito non avere con lui tanta familiarità. Si voltò a guardarlo per scoprirlo impegnato a versare da bere ad entrambi.
-La tua preda è scappata?- ridacchiò ancora Eno. Gli porse il bicchiere pieno con un’occhiata di paziente attesa, accettando implicitamente che lui non rispondesse alla sua domanda.
E questo lo convinse che non c’era nulla di male ad essere sincero.
-Non ne ho idea!- sbuffò senza celare affatto il proprio malcontento.- Non l’ho visto da quando è finito lo show…
-Pare che sia uscito a fumare. Un paio di ragazzi lo hanno visto andare via con Emily.- lo informò l’altro.
David non fece nulla per mascherare la sorpresa.
-Con Emily?- ripetè, sillabando quel nome come se avesse difficoltà a pronunciarlo.- E chi gli ha presentato Emily?
-Non c’è stata alcuna necessità di presentarli. Il tuo ragazzetto è perfettamente in grado di rimorchiare da sé una groupie, non ha bisogno di assistenza al riguardo.- Eno finì in un sorso solo il proprio brandy, facendo poi roteare nel bicchiere i resti di un paio di cubetti di ghiaccio mentre studiava attento le reazioni sul viso dell’amico.- Peraltro, se ce ne fosse stata necessità, immagino che Eric avrebbe provveduto a fare le dovute presentazioni.- aggiunse.
Lo stupore di David si trasformò in qualcosa di molto simile a rabbia trattenuta.
-…Eric.- sfiatò basso.
-I vizi del ragazzino sono del tipo che Eric ama.- spiegò Eno.
-Come mai sei così informato?- scoccò gelido Bowie.
-Perché, a differenza tua, tengo occhi e orecchie aperti riguardo Molko.
David si raddrizzò sulla poltrona, così da fronteggiare lo sguardo dell’altro.
-E perché non hai ritenuto di dirmi prima queste stesse cose?
-Perché non sembravi interessato a conoscerle e perché, comunque, non ritengo utile per te curarti troppo di quel ragazzino.
-Questo dovresti lasciarlo decidere a me.
-Che è il motivo per cui mi sono deciso a dirtele.
Un silenzio pesante e rancoroso scese tra i due a quell’ultima affermazione. David spostava lo sguardo da Eno ad Olsdal, indeciso su come comportarsi. Capiva fin troppo bene che l’amico si era mosso nel suo esclusivo interesse e che non sbagliava nel dirgli di non stare troppo vicino a Brian ed alla fonte inesauribile di guai che sembrava rappresentare.
Ma forse era un po’ troppo tardi per porsi il problema.
Posò il bicchiere di brandy senza averlo toccato e si alzò in piedi, battendo rumorosamente le mani contro le cosce fasciate dai jeans chiari e sdruciti. Eno lo osservò attraversare a grandi passi la sala da ballo, fendendo una folla che, adorante, gli si stringeva addosso ma non osava nemmeno sfiorarlo. Lui sorrideva a tutti, vuoto e falso ma apparentemente così partecipe da lasciarli incantati, ed il produttore si ritrovò ad ammirarlo per l’ennesima volta. Era un’incredibile bestia da palcoscenico, quell’uomo!
David Bowie approdò incolume di fianco al separé che ospitava parte dei musicisti del suo show e vide gli occhi enormi e stupiti di Stefan sollevarsi ad incrociare i suoi.
-Stef, giusto?- chiese educatamente.- Ti va di fare due chiacchiere?
 
-E così sei una groupie.
A differenza di qualche ora prima, stavolta non era una domanda.
Lei rise.
Brian aveva scoperto, con la luce dei lampioni per strada, che aveva capelli nerissimi, che era magra, alta e spigolosa – più alta e più spigolosa di lui – che aveva poche tette, che vestiva di jeans, che lo smalto sulle unghie era screpolato come il suo dopo un concerto, che il rossetto nero aveva un sapore orrendo, che il suo corpo era sempre teso, come se dovesse spiccare un salto, anche quando lo accarezzavi, che le sue gambe ti si attorcigliavano attorno ai fianchi e sembravano volerti stritolare. Ma queste ultime cose le aveva scoperte in ascensore mentre salivano nella sua camera. E poi le aveva confermate a letto.
Non aveva scoperto come si chiamava.
-E tu sei un musicista.- ritorse lei.
-Non ero un adepto di cazzo e chitarra anche io?- sorrise Brian, cattivo.
La cosa che più gli piaceva era che lei riusciva a sostenere il suo sguardo senza esserne minimamente impressionata. Negli occhi azzurrissimi che lo affrontavano non c’era niente. Non c’era ammirazione, né soggezione, né curiosità. Erano disinteressati. Lo guardava come avrebbe guardato un programma noioso alla televisione, senza prestargli alcuna attenzione.
Si chiese perché fosse andata a letto con lui, ma non fece lo sforzo di domandarlo a lei perché era certo che non avrebbe ottenuto risposta.
-Le due cose non si escludono. E tu lo sai bene.- disse lei.- Offrimi un’altra sigaretta.- ordinò poi.
Brian ubbidì silenziosamente, esattamente come aveva fatto solo qualche ora prima. Si allungò oltre il bordo del letto e cercò tra i propri vestiti fino a trovare i pantaloni e, nella tasca, il pacchetto e l’accendino. Le porse entrambi.
Lei si rigirò tra le coperte, assestandosi con la schiena contro la spalliera del letto. I capelli, leggermente arruffati, umidi, ricaddero a ciocche sul suo petto nascondendo i capezzoli scuri. Posò il filtro tra le labbra, accese e fece un tiro, passandogli poi la sigaretta che Brian accettò. Poi accese per sé. Il pacchetto e l’accendino furono posati sul comodino di fianco al letto, lei guardò la punta della sigaretta bruciare e fece il secondo tiro.
-Come mai eri nel backstage?
-Che cazzo di domanda è?- piatta.
Brian si corresse.
-Chi ti ha fatto entrare?
-Mi fanno entrare tutti. David ha detto loro che io posso andare dove voglio.
Silenzio.
Lei si voltò verso di lui.
-Sei stupito?
-…un po’.
-Non sei l’unico ad avere qualcosa che gli interessa.
-Non ho mai pensato di esserlo.
Lui aveva di nuovo perso interesse agli occhi di lei. La osservò sbuffare una nuvola densa con voluttà, assaporava il fumo come non aveva assaporato i suoi baci mentre scopavano. C’era qualcosa di incredibilmente attraente in lei…
-Come hai fatto?
-A fare che?
-A farti desiderare da lui.
Per la prima volta gli occhi di lei lo videro davvero. Lo fissò con un misto di curiosità autentica e di derisione bruciante, ma lo vide. Brian la osservava da sotto in su, steso su un fianco, la mano a sorreggere la testolina bruna e la sigaretta abbandonata lungo il fianco coperto dal lenzuolo.
-Che vuoi dire?
-Che non lo capisco.- ammise Brian piano, a voce bassa.- Che non so cosa voglia.
-Perché te lo chiedi?- ritorse lei.- Non dovrebbe interessarti.
Brian non ribatté. Effettivamente, si disse, non avrebbe dovuto interessarlo. Quello che voleva, lo aveva ottenuto: lui li aveva presi con sé in tour, i Placebo stavano facendo faville e la gente lo guardava ad ogni show con lo stesso sguardo stupito e adorante. La risposta del pubblico era l’unica cosa che avrebbe dovuto risvegliare il suo interesse, in quel momento, e quella della critica, che pure li stava accogliendo positivamente a giudicare dalle recensioni che circolavano già sui giornali musicali.
Eppure continuava a volergli…piacere. Sì, voleva che fosse lui a guardarlo con ammirazione e desiderio e si riscopriva disposto a mettersi in gioco una volta di più pur di ottenere il proprio risultato. A mutare nuovamente pelle al solo scopo di apparire anche per lui qualcosa che potesse volere per sé.
Lei dovette intuire i suoi pensieri nonostante non li avesse espressi ad alta voce. La semplice domanda che le aveva posto l’aveva già allertata. Nel suo sguardo lesse una punta di compassione che la vide soffocare in fretta ma che, comunque, risvegliò in lui l’orgoglio. Si scostò bruscamente da lei, scalciando via le coperte e tirandosi in piedi con gesti nervosi.
-Comunque che diavolo lo chiedo a fare, a te?!- sbottò aspro, raccogliendo dal pavimento i propri vestiti.- Non è che ci voglia molto a capire perché tu possa averlo interessato.
Le scoccò un’occhiata veloce da sopra la spalla mentre tirava su ed agganciava il bottone dei jeans. Lei aveva nuovamente quell’espressione disinteressata e piatta con cui lo aveva affrontato per tutta la sera.
-Sei uno svuota-coglioni come un altro.- affermò a quel punto, volutamente cattivo. Infilò la maglietta e si diresse a passi veloci verso la porta della stanza.- Vedi di non farti trovare per quando sarò tornato.- ordinò uscendo.
 
-Sei innamorato di lui.
Non era una domanda. Non avrebbe dovuto rispondere. Però si voltò a guardarlo, smarrito, lo stesso.
David gli offrì una delle sigarette nel pacchetto che aveva con sé, Stefan l’accettò dopo un momento di esitazione e lasciò che lui gliela accendesse.
-Del resto…innamorarsi di lui non deve essere poi troppo complicato.
-Lo è enormemente, invece.- borbottò Stefan, senza guardarlo.
David si spostò nuovamente verso il locale, accomodandosi su uno dei pochi gradini che congiungevano la porta di servizio, utilizzata da lui e Stefan per uscire, con l’interno di un corridoio buio e rumoroso. Stefan gli andò dietro e si sedette un gradino più in basso, fumando in silenzio e fissando davanti a sé la strada immersa nella notte.
-Brian è incredibilmente complicato.- spiegò breve.
-Sì, lo avevo intuito.
-Averci a che fare può essere devastante. Insomma…lui non è come appare…non è… Lui è molto più fragile di come sembri.
-Sembra fragile.
Stefan si voltò. Bowie era la prima persona, a parte lui e Steve, a rendersi conto a pelle di come dietro la maschera “Brian Molko” ci fosse, in realtà, un’anima incredibilmente delicata e che rischiava, da un momento all’altro, di spaccarsi in mille pezzi. La maggior parte delle persone credeva che anche quello facesse parte del personaggio, che quando Brian cantava il proprio dolore stesse semplicemente recitando la parte che aveva scritto per sé.
-Non dovrei dirti queste cose.- considerò lo svedese a voce bassa.
David rise sommessamente.
-Non stai svelando nessun trucco, tranquillo. E comunque, non pensavo di dirgli di questa nostra chiacchierata. Sono quasi certo che ne sarebbe geloso e tu ne pagheresti il prezzo.
Strappò al ragazzo più giovane un sorriso sincero, anche se incerto.
-In ogni caso, volevo parlarti di una cosa.
-Riguarda Brian?
-Riguarda Brian.- annuì Bowie- O meglio…riguarda alcune frequentazioni di Brian, di cui sono stato informato stasera.
-Eric?- chiese Stefan con intuito ammirevole.
David lo soppesò con lo sguardo, poi assentì con un cenno silenzioso del capo.
-Non è colpa di Eric se Brian è com’è o fa le cose che fa.- lo giustificò Stefan, stringendosi nelle spalle.
-Non sto dicendo questo. Ma sicuramente non avere Eric attorno farebbe a Brian un gran bene. Il resto della crew è più o meno pulito,- spiegò David pazientemente.- trovarsi in un ambiente abbastanza sano potrebbe essere positivo per lui.
-Se vuoi tenerlo lontano da Eric, devi pensarci tu.- ritorse Stefan spiccio.- A me non da ascolto, non ho nessun ascendente su di lui.
-…perché pensi che io lo abbia?
-Perché sei la ragione per cui siamo qui.- si strinse nelle spalle Stefan, semplicemente.
 
Ed io sono pazzo di te.
Giuramelo.
Sono pazzo di te.
 
Stefan camminava nel corridoio facendo attenzione a non fare rumore. Gli sembrava che i propri passi, sebbene attutiti dalla moquette, dovessero rimbombare contro le pareti e trovava quegli spazi troppo angusti, soffocanti. Si ripeteva meccanicamente che l’intero piano dell’hotel era stato riservato allo staff dell’Outside e, quindi, non c’era davvero il rischio di svegliare qualcuno: chi non era ancora al party after-show, era comunque troppo ubriaco o fatto per rendersi davvero conto di qualsiasi cosa.
Lui stesso non si sentiva troppo in sé.
Dopo che David Bowie era tornato a rifugiarsi nel proprio angolo privato, lui era andato nuovamente a sedersi, aspettando inutilmente la comparsa di Brian. Per ingannare il tempo aveva trangugiato senza troppe domande ogni bicchiere che, solerte, gli era stato messo davanti. Adesso sentiva la testa leggera, un vago senso di nausea che non sapeva se ricondurre al dispiacere o alla sbronza e la voglia infinita di infilarsi sotto una doccia per lavare via il senso di disgusto che provava per se stesso.
Inserì a tentoni la chiave nella serratura, sbagliando almeno un paio di volte prima di riuscire nell’intento. La porta cigolò sinistramente ruotando sui propri cardini, si chiese, ozioso, se lo avesse fatto anche quel pomeriggio ma non riusciva a ricordare niente delle ultime ventiquattro ore se non il senso di vuoto che gli sembrava di provare da sempre. Non accese la luce. Avanzò nella stanza utilizzando come unica indicazione la sottile lama che l’illuminazione del corridoio produceva, rischiarando le assi del parquet fino al letto. Ignorando il fatto di stare lasciando la camera aperta, si spostò lungo il muro per raggiungere la porta del bagno e lì, finalmente, si decise ad accendere la luce.
Lo specchio gli rimandò un’immagine di sé che trovò più spettrale del solito: magro, pallido e sfatto. Distolse lo sguardo immediatamente.
Si spogliò accatastando i vestiti per terra di fianco alla doccia, aprì l’acqua ruotando il rubinetto fino ad ottenere un getto gelato e ci si infilò sotto con una risoluzione cocciuta ed ostinata. Il freddo lo scosse fin dentro le ossa. Era una sensazione dannatamente positiva, lo svegliò di colpo, cancellando con un gesto deciso ogni residuo di quel torpore velenoso che strisciava nelle vene con l’alcool.
Quando fu certo di aver riacquistato completamente il controllo di sé e delle proprie emozioni, Stefan tirò su il viso, regolò la temperatura e cercò il bagnoschiuma che aveva lasciato sul piatto della doccia prima di uscire per il sound check. Si concesse perfino il lusso di canticchiare tra sé e sé il ritornello del loro ultimo singolo, sorridendo perché eguagliare la voce di Brian era impossibile.
Quando si rese conto di essere riuscito a pensare all’altro senza che questo gli provocasse una fitta dolorosa allo stomaco, capì di potersi permettere anche una dormita decente. Chiuse l’acqua ed uscì dalla doccia, avvolgendosi nell’accappatoio e tornando in camera da letto. Lasciò aperta la porta del bagno perché fosse la luce in quella stanza a dirigerlo. Chiuse il battente che dava sul corridoio, facendo scattare la serratura, e frizionò i capelli con un asciugamano mentre si avviava a piedi nudi verso il letto.
Fu alzando gli occhi sul materasso che la sensazione di piacevole rilassatezza lasciatagli dalla doccia svanì con la stessa rapidità con cui era arrivata.
Brian dormiva raggomitolato tra le sue coperte.
Stefan immaginò che fosse entrato mentre era in bagno, approfittando della porta aperta.
Il suo primo ed immediato istinto fu quello di cacciarlo fuori di peso: afferrarlo per il collo della maglietta, tirarlo in piedi e lanciarlo in corridoio per chiudergli la porta in faccia e non occuparsene più fino al giorno dopo. Si disse che questo sarebbe stato giusto e corretto nei propri confronti. Brian non poteva semplicemente rubargli ogni singolo istante di serenità che lui riusciva a ritagliarsi.
Chiaramente, quel primo istinto non arrivò mai a prendere la consistenza di un’azione concreta.
Stefan sospirò pazientemente. Lasciò cadere l’asciugamano umida sul comodino e, con ancora l’accappatoio addosso, si ritagliò un minuscolo spazio a sedere sul materasso, proprio di fianco al cuscino ed al volto addormentato dell’altro.
Brian mormorò qualcosa nel sonno, rannicchiandosi più strettamente attorno al guanciale.
-…Bri.- lo chiamò Stefan a mezza voce.
Non ottenne risposta se non un sospiro profondo, mentre il corpo magro del cantante si rilassava progressivamente sotto i suoi occhi.
Stefan allungò una mano a sfiorargli la spalla.
-Brian.- ripeté con maggiore decisione, scuotendolo appena.
Questa volta gli occhi grigi si aprirono su di lui, socchiusi e acquosi, e lo misero a fuoco con difficoltà.
-…’ef.- mormorò Brian riconoscendolo. Si premette una mano sulla tempia, mugolando nel rigirarsi tra le coperte per voltarsi sulla schiena.- Malditesta.- borbottò soffocato con una smorfia di dolore.
-Hai preso qualcosa?- lo interrogò Stefan, osservandolo criticamente.
Brian soppesò la domanda prima di rispondere. Lasciò ricadere la mano sullo stomaco con un tonfo leggero, spalancando, poi, gli occhi sul soffitto. Il suo sguardo brillava nel buio, il riflesso della luce che scivolava attraverso la soglia del bagno si rifletteva pigramente nelle iridi chiare, le pupille dilatate. Stefan non ebbe davvero bisogno di una risposta.
-Eric.- annuì Brian, comunque.
Il bassista sospirò.
-Bri…- esitò. Si morse le labbra, contando mentalmente fino a dieci.- Quel tizio non mi piace.- si decise ad ammettere.
Brian lo scrutò in silenzio.
-E’ a posto.- ritorse spiccio, senza nessuna inflessione. Di Eric non gliene fotteva un cazzo, ma della roba che gli passava sotto banco sì e non intendeva farne a meno.
-Non hai bisogno di quella merda…- mormorò Stefan senza troppa convinzione.
Lo sguardo dell’altro si allargò a dismisura, rendendo la sua espressione grottesca e ridicola perfino nella semioscurità della stanza, e Brian scoppiò a ridere istericamente, rotolandosi tra le coperte in modo scoordinato.
-Che cos’è?!- sbottò all’improvviso riportando su di lui uno sguardo acceso e folle.- Ti sei bevuto il cervello tutto in una volta, Olsdal?! Certo che non abbiamo bisogno di quella merda,- ribatté divertito, tirando volutamente in mezzo Stefan. Lui si ritrasse d’istinto, colpevole, ma Brian finse di non accorgersene e proseguì nello stesso modo – possiamo smettere quando vogliamo!- sogghignò- Se prendiamo quella roba, è solo perché ne abbiamo voglia. Ed Eric è a posto.- ribadì con più forza.
Stefan annuì meccanicamente, sconfitto. Non che si aspettasse qualcosa di diverso, era più o meno consapevole della propria sudditanza psicologica nei confronti di Brian e, se aveva detto a Bowie che era meglio che ci pensasse da sé a tirare fuori l’altro da un certo giro di frequentazioni, era in virtù di quella consapevolezza.
Brian gli sorrideva, adesso. Il suo sorriso aveva una sfumatura lasciva che gli fece accapponare la pelle sotto l’accappatoio umido. Vide come a rallentatore la mano dell’altro risalire lenta lungo la sua gamba, accarezzandolo da sopra la stoffa.
-Perché, invece di dire stronzate e pensare ad Eric, non ti togli questa roba di dosso?- mormorò il cantante rocamente.- Non vorrai prendere un brutto raffreddore?!
Stefan deglutì a vuoto.
-…non avevi malditesta…?- replicò a mezza voce.
Il sorriso di Brian divenne più ampio, tanto ampio che sembrò divorare per intero il suo volto nascosto tra le ombre della camera.
-Dicono che le endorfine fanno benissimo al malditesta.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover / Vai alla pagina dell'autore: nainai