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Autore: TakeruTakaishi    04/10/2015    1 recensioni
Sette ragazzi vengono risucchiati a Digiworld dove viene loro affidato l'incarico di evitare il ritorno dei temuti sette Signori Oscuri, che in passato erano riusciti a conquistare il Mondo Digitale, con l'aiuto delle forme reincarnate dei sette Paladini, i Digimon che in passato sigillarono nell'Area Oscura i sette Signori Oscuri e il loro capo.
Questa storia è già stata pubblicata su altri forum (sempre da me, che ne sono l'autore), ma se non volete rovinarvi la sorpresa, non andate a leggere il finale xD
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Episodio 1: Game on

 

14 settembre 2011 ore 23.43

Stati Uniti d’America, Pentagono

 

Si mosse veloce, nessun agente riuscì a vederlo. Buio. Le luci al neon che illuminavano il corridoio circolare del Pentagono tremavano accendendosi e spegnendosi come in balia di un imminente corto circuito e come se sapessero che in quella notte sarebbero accaduti quei fatti, sarebbe successo quell’evento, che avrebbe poi dato inizio a tutta la nostra storia.

Il rumore dei passi in corsa insospettì l’agente Johns che si girò di scatto. Un’ombra attraversò la stanza di corsa.

Who is there?” gridò. Log in! If you aren’t an agent, come out with your hands up!”

Nessuna risposta. Johns si avvicinava lentamente alla curva del corridoio consapevole della presenza di qualcuno. Un attimo. Il forte dolore alla testa lo fece svenire.

“Neanche il tempo di dare l’allarme… poveretto… non posso permetterti di intralciarmi.”

Si avvicinò a lui e staccò violentemente la tessera magnetica dal cinturone dell’agente Johns. Camminando lentamente, come se ormai nulla lo preoccupasse, si avvicinò alla sala del computer principale e, passando la card nella serratura elettronica, aprì la porta. Un’enorme portone di acciaio inox gli sbarrò la strada.

“Quanta protezione inutile…” pensò.

Digitò sul pannello alla sinistra del portone una serie di numeri e la porta si aprì. Ora davanti a sé aveva solo la sala, la sala in cui avrebbe trovato il suo “tesoro”. Entrò lentamente, evitando i laser che infestavano il pavimento, con la stessa bravura di un ballerino da “Teatro alla Scala”. Si avvicinò al computer principale.

“Enorme!” pensò.

Si chiese come mai non aveva trovato ancora un modo per disattivare il sistema di allarme di laser, ma poi tirò fuori da una tasca un CD dati. Lo infilò in una delle porte del computer e digitò dei numeri sulla tastiera. Lo tirò fuori e in quel momento comparve qualcosa di imprevedibile. Lesse e tradusse la schermata: “Digitare password”. Ecco quale doveva essere il sistema per non permettere ad anima viva di uscire di lì. Senza sapere la password nessuno sarebbe più uscito da quella porta e sarebbe scattato l’allarme. Silenzio. All’improvviso un botto. Un allarme in lontananza si faceva sempre più udibile.

Gli agenti della sicurezza dell’edificio si stavano tutti dirigendo verso la sala del computer principale.

“Avrei dovuto ucciderlo!” Pensò, ma ormai era troppo tardi, urtò senza volerlo uno dei laser. “Maledizione!” imprecò. Johns aveva dato l’allarme.

L’agente Rowan fece passare la tessera nel dispositivo e la porta si aprì. Digitò 2523532 sul display e la seconda porta si aprì.

In quel momento, con sorpresa di tutti, ogni singolo agente sbarrò gli occhi. Non c’era nulla nella stanza, se non il computer. Non anima viva. Nessun essere umano.

 

La mattina dopo, alle 6.30 del 15 settembre, in Italia una ragazza aprì pigramente gli occhi. Come ogni anno era arrivato il primo giorno di scuola anche per lei. Come era consuetudine ormai da cinque primi giorni dell’anno di scuole superiori, Sonia scagliò violentemente la sveglia contro il pavimento con tale forza da distruggerla in mille pezzi. Ormai i suoi genitori al piano di sotto non ci facevano più caso. L’unica preoccupazione di suo padre era che ne avrebbe dovuta comprare un’altra il giorno stesso. Si vestì rapidamente di viola, suo colore prediletto, si pettinò i capelli castani stando attenta a ricreare la piega finale verso l’esterno e si mise il cerchietto con in cima la rosa rossa e si mise gli stivaletti. Afferrò poi la borsa e se la mise a tracolla. Come ogni mattina ormai da cinque anni, si fece dare da suo padre i soldi per la merenda e per la colazione in un “lussuosissimo” bar del paese.

Scese le scale e uscì di casa salutando i suoi genitori e si diresse verso il suo panettiere di fiducia dove comprò la sua focaccia quotidiana.

“Che noia” sbuffò salendo sull’autobus delle sette.

Il traffico le impose di scendere alla fermata prima e di farsi a piedi i cinquecento metri che la separavano dal bar.

Appena ebbe messo piede all’interno dell’edificio scolastico erano le 8 meno cinque, il solito orario… Sonia prese il foglio su cui aveva stampato la cartine della scuola con la nuova disposizione delle classi e sbuffando salì le scale per il secondo piano.

Si soffermò davanti alle macchinette delle bibite fredde. La ragazza che inserì la moneta da un euro in essa le sembrava familiare. Anzi, di famiglia. Le tirò una pacca sulla spalla e, sorridendo come non mai, disse lei:

“Salve Sabry!!”

In preda allo spavento la ragazza bionda si girò e nel far ciò fece cadere la lattina di tè alla pesca che aveva appena comprato.

“Sempre la solita! Non l’avrai vinta finché non morirò!”

“Beh, a dire il vero mi chiedevo che cosa ci facessi qui. Non sai dov’è la tua classe?”

“No e ti sarei grata se tu mi dicessi dov’è, so che hai la cartina, ce l’hai ogni anno…” disse Sabrina girandosi verso il corridoio e imboccandolo. Sonia la seguì e la indirizzò verso il corridoio laterale destro indicandole perciò la locazione della 5°A del Liceo Scientifico Tecnologico Hongo. Sabry, prima di intraprendere i cinque metri rimanenti, si rivolse all’amica d’infanzia:

“Aaron e l’altro ragazzino che sta sempre con lui sono già in classe! Gli ho visti prima!”

“Grazie Sabry! Ci vediamo dopo!”

“Oggi pomeriggio a casa mia alle quattro! Ricorda!”

Dopo essersi congedate le due ragazze andarono ognuna per la loro strada. Sonia prese la cartina e la stropicciò. Girato l’angolo del corridoio, dove c’erano le macchinette delle bibite, la ragazza si trovò davanti alla 5°C. Il chiasso che proveniva dal suo interno era assordante. Sonia entrò e subito due o tre maschi le si accollarono.

“Ciao bella! Passate bene le vacanze?”

“Mi dicono che hai perso la…”

Questo non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò contorto con la testa e le braccia ripiegate tra le gambe, intermente nel bidone delle immondizie della classe. Nessuno si stupì della reazione della ragazza, la conoscevano tutti, Sonia era nota per la sua fama di maschiaccio. Non poteva tollerare le chiacchiere e i pettegolezzi stupidi e infondati. Una ragazza le si parò davanti. Riccia, bionda, esattamente il tipo di persona che Sonia detestava più di ogni altra cosa. Chiara Persi era nota per il suo carattere tipico delle ragazze che lei definiva come “gatte morte”, le classiche figlie di papà che si danno delle arie e credono di essere le più “cool” che mondo. L’unico “cool” che Sonia, però, notava in lei era la somiglianza della sua faccia ad un ben’altro “cul” e più precisamente alla Maialina Piggy dei celebri Muppets.

“Non ti azzardare a fare del male al mio gioiellino!” gridò come in preda al demonio.

Sonia la guardò con aria schifata ma calma, conscia della “situazione penosa” di vita in cui la sua compagna di classe si trovava. La guardò quindi sorridendo e le rispose con tutta la calma necessaria:

“Al posto che elemosinare la pietà di un povero ragazzino come una cagna randagia, chiamandolo ‘gioiellino’ e al posto di farti i cavoli della mia compagna di classe, – aggiunse riferendosi evidentemente a sé stessa – fossi in te, mi preoccuperei della tua faccia, che assomiglia più che altro, ad un camion dell’immondizia.”

Scocciata dalla risposta di questa, Chiara (o “Payass” come la chiamavano gli altri, senza un motivo apparente) fece per rispondere, ma venne interrotta da una voce maschile proveniente dall’altra parte della classe:

“Ha ragione Sonia. Se qualcuno ti accusasse di non essere più vergine alla tua età, tu non ti arrabbieresti?”

Il ragazzo castano, appoggiato al muro, rimase perfettamente immobile mentre diceva queste parole. Chiara invece rimase paralizzata dallo stupore di quella risposta. E si sorpresa ancora di più quando Sonia, che neanche si era girata per guardare in faccia il ragazzo che aveva parlato poco prima, aggiunse rivolgendosi al ragazzo, come se stesse parlando a lui solo:

“Chiaramente non si rimarrebbe scandalizzata più di tanto da un’affermazione tanto stupida, anzi, ne trarrebbe beneficio di tale ‘accusa’ per farsi pubblicità…” Poi cambiò tono e si rivolse ancora alla ragazza: “In fondo, tu non devi preoccuparti di questo, giusto Payass?”

Chiara la guardò. Il suo viso divenne rosso. Tutta la classe intratteneva le risate.

“E poi Aaron ha perfettamente ragione! Non dovresti neanche preoccuparti che qualcuno azzardi una cosa simile su di te… sta tranquilla, la tua faccia ti protegge perfettamente da ogni accusa di quel genere…!”

Tutti si misero a ridere alla battuta acida di Sonia, che, sogghignando, si girò verso Aaron raggiungendolo. Il ragazzo, dal canto suo, conosceva troppo bene Sonia e sapeva che sarebbe esplosa nuovamente se non fosse intervenuto lui. Aaron Saturn era, come molti, un ragazzo sul metro e ottantacinque con capelli castani semi-lunghi che gli arrivavano più o meno alla fine del collo. Indossava dei jeans che non erano né lunghi né corti, diciamo che gli arrivavano oltre il ginocchio, e una maglietta verde con disegnato un fumetto. Accanto a lui c’era un altro ragazzo all’apparenza sveglio e sorridente. Anche lui si alzò in piedi. Era poco più basso di Aaron ed era anch’egli castano. Era magro e indossava delle scarpe di marca bianche. Sonia gli si avvicinò e salutò con un sorriso:

“Aaron! Davide! Piacere di rivedervi!”

Davide era un ragazzo simpatico, la classica persona popolare in una classe. Nessuno si era mai chiesto come faceva ad essere tanto amico di un ragazzo così “strano” come Aaron, ma a lui non importava dei pettegolezzi. Odiava qualunque forma di cattiveria e praticava molto il calcio e il karate. Sonia era l’unica ragazza che temeva!

 

Giuly passò per il corridoio correndo, era in ritardo per il suono della campanella. Si diresse verso l’aula in cui in precedenza era entrata Sabry e vi entrò di fretta. Al suo ingresso la professoressa si girò e alzò lo sguardo in modo da inquadrare completamente il viso dell’alta ragazza riccia e mora. Ansimando chiese scusa e si diresse verso il suo posto, tenutole da Sabry stessa. La professoressa la interruppe nel suo tragitto:

“Giulia Rivers, stavo proprio per dire il tuo nome…!”

Giuly, che non era mai stata, come Sonia o Sabry, una ragazza impulsiva e qualche volta anche maleducata, chiese scusa e si sedette al posto a lei designato.

“Sei in ritardo Giuly! Dove sei stata??”

“Scusa Sabry, è che non trovavo l’aula e il pullman ha ritardato!!”

“Aha” annuì l’amica, poi proseguì: “ti sei persa la sclerata mattutina della Cerbi! Ha ripreso Alex per via del suo abbigliamento da bulletto!!”

Un ragazzo scuro e dai capelli quasi rasi, sentendosi tirato in ballo, si rivolse direttamente a Giuly:

“Uffa! Lo sai che quella si arrabbia sempre per tutto! È una alla vecchia maniera!”

“Oh! Taci Alex!”

Alessandro Nimbieri, detto “Alex il Nimber” dagli amici, era sempre stato un tipo alla moda, come Sabry. Indossava spesso la tuta a causa della sua – a detta di molti – eccessiva attaccatura allo sport e detestava quando qualcuno glielo faceva notare.

La lezione proseguì a lungo e alle due del pomeriggio ogni ragazzo era già a casa sua.

Alle quattro e venti il campanello di casa Bianchi suonò. Sabry, che d’altronde vi abitava, corse ad aprire la porta. Un ragazzino di media statura biondo entrò chiedendo il permesso gentilmente. Sabry lo guardò e rimproverandolo disse:

“Sei sempre in ritardo! Dovresti smetterla Theo!”

“Lo so Moonlight, non me lo devi ripetere ogni volta! È che ho perso il primo bus!”

“Non chiamarmi con quel nome!!” concluse la ragazza facendo strada a Matteo Bresciani per poi farlo accomodare in salotto insieme agli altri: Aaron, Dave, Sonia, Alex e Giuly si stavano già abbuffando di patatine e popcorn. Theo si avvicinò a Sonia che gli fece spazio.

“Come è andato il primo giorno di scuola?” chiese sorridendo.

“Oh… stamattina ho fatto una bella scenata a una ragazza!” Rispose Sonia fiera di sé.

“Questa non è una novità! Lo sanno tutti che perfino i professori stanno attenti a metterti voti bassi!!” Scherzò Aaron.

“Non è vero!!” Sorrise la ragazza che divenne rossa.

Sabry spalancò una porta e si gettò sul divano di pelle tanto rapidamente che Dave non fece neanche in tempo a scansarsi. Accese la TV.

“Avete portato tutti i vostri NDS (Nintendo DS)?” chiese poi non distogliendo neanche un secondo lo sguardo dal televisore.

“Si!” Esclamarono tutti in coro, tranne Alex che finse di non averlo portato in modo tale da provocare l’arrabbiatura di Sabry, che gli diede un colpo quando scoprì che in realtà ce l’aveva con sé.

La televisione era tuttavia non funzionante.

“Strano!” suggerì Sabry: “Fino a poco fa andava…”

Ma non fece in tempo a finire la frase. Qualcosa successe… qualcosa che i ragazzi non seppero spiegarsi subito. La televisione si accese di colpo e una luce abbagliante invase la stanza. Per un lasso di tempo, tempo che nessuno di loro avrebbe saputo contare, tutti quanti si sentirono leggeri. Poi tornò il peso e sentirono come un rimbombo. Poi il vento. Il vento trai capelli. Nessuno di loro aveva sentito mai una sensazione così bella. Sembrava quasi di volare. Il primo impavido che ebbe il coraggio di aprire gli occhi fu proprio Alex. Cacciò un urlo che fece spaventare tutti!

Nel vuoto! Stavano cadendo da migliaia di metri di altezza e sotto di loro una cascata circondata da un terreno che sembrava costituito da rocce. La paura li assalì all’improvviso.

Stranamente, tuttavia, la caduta non fu per niente dolorosa. Come se il dolore in quel posto non potesse esistere. Giuly fu la prima a domandare “dove siamo” e “come ci siamo arrivati”. La prima ipotesi, abbastanza agghiacciante devo ammettere, è stata quella della morte… ella aveva ipotizzato che, colpiti dal fascio di luce della televisione dell’amica, i ragazzi fossero tutti morti e finiti in paradiso.

La cosa che però aveva attratto di più Aaron, era stata lì davanti per tutto il tempo. Una sorta di torre altissima, che toccava le nuvole e le oltrepassava. Era blu come il cielo e perciò per vedere fin dove arrivava bisognava riuscire a distinguerla da esso. Il ragazzo guardò attentamente la porta che portava ad essa e, quello che sembrava, un ponte sopra la cascata.

“Passiamoci!” esultò. Non uno dei ragazzi ebbe il coraggio di seguirlo alla prima incitazione, ma poi la paura si tramutò nel desiderio di trovare qualcuno in quella torre che potesse spiegare loro qualcosa di quello che gli era successo.

Corsero per dieci minuti per superare il lunghissimo ponticello che, nonostante la piccola mole, sembrava reggerli tutti senza muoversi troppo. Theo fu il primo a scendere da esso e bussò forte sul portone che da lontano sembrava molto più piccolo. Lentamente, uno ad uno, ogni ragazzo arrivò davanti alla porta. Ogni tocco che uno di loro faceva per bussare rimbombava fortemente nei dintorni, producendo un’insolita eco.

All’improvviso un rumore di passi dall’interno, la porta si aprì leggermente e poi si spalancò. Immaginate voi la sorpresa e lo spavento del gruppo quando un drago aprì loro la porta e li chiese di seguirli!

Tenendo alta la guardia i ragazzi decisero di accontentarlo.

“Chi sei?” Domandò curiosa Giuly – e come biasimarla….

“Sono Majiramon.” disse calmo il drago proseguendo il cammino e non girandosi a guardare i ragazzi che lo seguivano silenziosamente.

Solo Giuly continuava a fare domande del tipo “Siamo morti?”, “Dove ci troviamo?”, domande a cui il drago si limitava ad annuire o a fare cenno di no. Nel primo caso Giuly si sentì sollevata perché il mostro scosse la testa, mentre per la seconda, Majiramon che si sentiva scocciato dalle ripetute domande della ragazza si girò per la prima volta, indicando il NDS di Giuly e chiedendole di tirarlo fuori. La ragazza obbedì: aprì la custodia e notò che esso si era messo a lampeggiare. Quando lo aprì sullo schermò apparvero delle scritte, Giuly le lesse ad alta voce:

“Majiramon, Digidrago Sacro, Livello Evoluto, Tipo Dati, Tecnica è “Frecce Incandescenti”“

Sonia proseguì: “Digidrago sacro? Cos’è un Digidrago?”

Il Digidrago pigramente si fermò davanti ad una porta e rispose:

“Oltre questa soglia troverete chi potrà darvi una risposta.” detto ciò aprì l’uscio e fece entrare i ragazzi.

Dall’interno una voce anziana, roca, calma e allo stesso tempo veloce rispose:

“Grazie Majiramon. Puoi congedarti.”

Al sentire di queste parole il Digidrago chinò il capo e si dileguò. La porta si chiuse lentamente e i ragazzi rimasero soli con la strana entità.

La voce parlò ancora, ma non si capì bene da dove proveniva…

“Spero che non vi siate spaventati alla vista di Majiramon, è un fedele maggiordomo, non vi avrà spaventati…”

“Certo che no… lui è un Digidrago” Disse Sabry ridendo sotto i baffi. Poi proseguì: “Ma dove sei? Noi non ti vediamo…”

“Sono ovunque in questa stanza…” sentenziò la voce rapidamente.

“Eh!?” Sussurrò Sabry davanti ad una risposta così sibillina…

“Penso che abbia ragione… guardatevi intorno…” Alex aveva capito il significato delle parole e indicò la stanza facendo girare il polso.

Sonia fu la prima a notarlo dopo di lui: un enorme e lunghissimo serpente trasparente occupava interamente la stanza tonda.

“Sono Azulongmon.” sentenziò poi il serpente. “Sono uno dei quattro Digimon che proteggono questo mondo digitale!”

“Che cos’è un Digimon??” Chiese Alex.

“Ah, che incosciente… avrei dovuto immaginarlo che voi non sapete…”

Si interruppe e abbassò l’enorme testone verso i ragazzi, invitandoli a seguirlo nella stanza accanto.

La porta si aprì da sola e i ragazzi poterono passare uno ad uno. Dopo che anche Azulongmon ebbe varcato quella gigantesca soglia, si avvolse su sé stesso e si fermò sull’altissimo soffitto della stanza. La luce nella stanza si spense all’improvviso.

“Io sono un Digimon, un Mostro Digitale composto di dati informatici. Noi Digimon viviamo qui, a Digiworld, quello che a prima vista sembrerebbe un mondo digitale pacifico e meraviglioso.”

“Un mondo digitale… quindi questa è una realtà virtuale!” Esclamò Dave tutto d’un tratto.

“Praticamente è così, solo che i vostri corpi sono realmente in questo mondo!” dopo che questa frase fu terminata, Azulongmon cambiò completamente tono del discorso:

“Abbiamo bisogno di voi! La profezia parla chiaro: sette umani avrebbero risvegliato i sette poteri dei Paladini e avrebbero salvato Digiworld dal loro ritorno!”

“Il ritorno di chi?”

Azulongmon si soffermò un attimo a pensare come se stesse architettando e pianificando le cose da dire loro. Poi la stanza assunse colori e forme. Dal buio scaturì la luce.
“Sono immagini olografiche…” riconobbe Aaron.

“Osservate bene quella che è la triste storia di Digiworld: un mondo che ha conosciuto una terribile battaglia tra bene e male.” mentre le immagini scorrevano Azulongmon iniziò a raccontare:

“Molti anni orsono Digiworld viveva un bellissimo periodo di pace e prosperità. Io e altri tre Digimon lo governavamo e ogni Digimon viveva felice e tranquillamente. Però, questo periodo ebbe subito fine quando i sette Digimon che si facevano chiamare “Signori Oscuri” ne presero il comando!”

“Signori Oscuri? Devono essere Digimon molto crudeli…” lo interruppe Sabry, ma Azulongmon non ci fece caso.

“Questi sette demoni sconfissero me e gli altri guardiani e ci sigillarono nelle profondità dell’abisso. Presero il controllo di Digiworld e lo ridussero sul ciglio della distruzione. Tuttavia, fortuna volle che comparvero i sette Paladini. Ognuno di essi riuscì a sigillare uno dei sette signori oscuri e a bandirlo nell’Area Oscura, il nucleo di Digiworld, covo di molti Digimon malvagi. Dopodiché ognuno dei sette paladini lasciò dietro sé un Digiuovo contenente l’erede digitale dei suoi poteri, ovvero il Digimon che quando rinascerà prenderà il suo posto. Queste Digiuova furono assegnate ai quattro Digidraghi Sacri.”

“Chi sono?” Chiese Sonia, che nel frattempo teneva d’occhio le immagini che si alternavano nella stanza.

“Quando mi liberai dall’abisso, per gli altri guardiani ormai non c’erano più possibilità, così mi unii ad altri quattro Digidraghi come me. Ecco come sono nati i quattro Digidraghi!”

“Aha” annuì Theo.

“Così prendemmo in custodia le Digiuova e le custodimmo fino ad ora. I sette paladini non lasciarono solo quelle. Predissero l’arrivo di sette umani e lasciarono per loro sette armi mortali racchiuse in sette ciondoli magici che andarono perduti…”

“Quindi i sette prescelti saremmo noi?”

“Esatto! Nella stanza a fianco sono deposte sette digiuova. Sono rimaste chiuse per molti millenni ed è giunto oggi il momento che si schiudano. Quando vi avvicinerete ad esse dovrebbe accadere il miracolo!”

“Non so… non credo sia reale tutto ciò…” disse Sabry

“Beh, se non lo è vivremo tutti un’avventura lo stesso!” Le rispose Sonia.

“D’accordo! Ci stiamo!” Esultò Dave.

“Ma perché ci avete fatti venire qui…?” Chiese a questo punto Aaron.

“Perché i sette Paladini prima di morire non predissero solo il vostro arrivo, ma anche… il loro ritorno!” L’aria nella stanza divenne fredda. Le immagini si spensero, le luci con loro. Poi si riaccesero.

“Il ritorno dei sette Signori Oscuri?”

“Esatto. Voi siete la nostra speranza. Neanche noi Digidraghi Sacri abbiamo il potere necessario a contrastarli. Sono Digimon che solo dei guerrieri sacri e puri possono combattere. Quando furono sigillati nell’Area Oscura, essa venne chiusa a sua volta da sette sigilli. Ognuno rappresentava uno dei sette vizi capitali. I sigilli vennero dispersi e affidati a dei Digimon segreti e misteriosi. Il cancello che separa Digiworld dall’area oscura si apre solo quando essi verranno riposti su quella porta. Temiamo che qualche Digimon loro accolito abbia intenzione di trovare i sigilli!”

“Ma è orribile! Così i signori oscuri si libereranno e Digiworld crollerà nuovamente nel caos e tanti Digimon soffriranno ancora!” Gridò Sabry nuovamente.

“E’ così. Avete accettato un compito che non vi sarà facile! Le digiuova sono nell’altra stanza, entrate e si schiuderanno!”

Lentamente i ragazzi varcarono la soglia della porta.

 

FINE CAPITOLO 1

 

  
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