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Autore: Ignis_eye    06/10/2015    0 recensioni
Non esiste solo un mondo, ce ne sono parecchi, o meglio, ce ne sono tanti raggruppati in uno solo, dove gli umani trascorrono tranquillamente la loro esistenza e dove le creature magiche vivono in armonia e talvolta si fanno la guerra.
Gli esseri magici svolgono le loro faccende quasi con normalità, tenendole nascoste agli uomini, ma... che cosa succederebbe se un terribile segreto venisse rubato e due razze si scontrassero?
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appena uscirono dal castello, mano nella mano, con il Necronomicon in bella vista, tutti si voltarono a guardarle lasciando perdere quello che stavano facendo.
Nessuno si mosse, anche la brezza che fino ad allora aveva mosso le fronde degli alberi si fermò.
«Beh?» domandò Elsa «Il mannaro vi ha mangiato la lingua?».
Un brusio ruppe il silenzio. Tutti parlavano tra loro indicandole e guardandole con incredulità.
«Mi aspettavo un’accoglienza diversa» confessò Elsa a Sefora, sussurrandole all’orecchio.
«Abbi pazienza, dai loro un po’ di tempo» rispose tranquillizzandola.
Chan si fece strada verso le due e senza dire una parola abbracciò Elsa fino a stritolarla.
«Maestro, anche io sono felice di essere viva, ma se non mi lasci finirò nel mondo spiritico per l’ultima volta» gli disse ridendo.
«Quanto ho avuto paura! Quando vi ho viste entrare nel castello ho temuto di non rivedere più nessuna di voi!».
La ragazza si divincolò e si allontanò di un passo.
«Maestro, cosa è successo?» domandò senza mostrare più l’allegria di prima «E sii chiaro».
Lui sospirò.
«Forse è il caso che andiamo in un posto più… tranquillo» disse alludendo agli sguardi inquisitori dei licantropi.
«Va bene, andiamo là dietro» propose indicando una parete crollata del castello «dovremmo poter discutere in pace».
Chan annuì; guardò i licantropi e poi si rivolse a Sefora:
«Vieni anche tu».
Non gli andava di lasciarla sola tra le grinfie degli altri e, sebbene Elsa non avesse detto nulla, sapeva che gli era grata per averlo fatto.
Camminarono fin dietro la parete e si sedettero all’ombra di essa. Elsa notò con un certo disgusto che a pochi metri da loro c’era una mano tra l’erba. Allungò il collo per vedere se fosse di un mannaro o di un vampiro ma si accorse che il resto del corpo mancava.
«Maestro, voglio sapere tutto riguardo il dono. Dall’inizio alla fine, senza tralasciare nessun dettaglio».
Lui annuì, si grattò il mento e cominciò.
«Quello che viene comunemente definito “il dono”, non è altro che la capacità di scindere corpo e spirito. Mi spiego meglio: normalmente lo spirito delle persone è nel loro corpo e lì resta fino alla morte; è vero che attraverso i sogni l’anima trova il modo di espandersi verso il mondo immateriale ma è una situazione temporanea e incontrollabile. Tu, contrariamente a tutti, o quasi tutti, non hai questo limite. Quando sei stata messa sotto pressione da Gaspare e non ce l’hai più fatta a resistere allo stress mentale, il tuo spirito è “evaso” dal tuo corpo. Hai incontrato il Gran Maestro e, sfruttando il tuo potere, hai plasmato a piacimento il mondo in cui ti trovavi, vero?».
«Sì».
«Bene. Questo significa che il tuo potere è molto forte».
«Ma io non sapevo come fare, accadeva tutto senza che io potessi controllarlo».
«E’ normale: non hai mai fatto pratica, per te era tutto nuovo. Nonostante ciò, sei riuscita a vincere contro il Gran Maestro per ben due volte».
«Sì, ma come ho fatto?».
«La prima volta, nel mondo degli spiriti, hai modellato l’energia che lo compone per distruggerlo; non chiedermi altri dettagli perché non li conosco, nessuno li conosce».
«Prima» intervenne Sefora «Elsa stava per essere bruciata viva, invece si è illuminata di bianco e oltre ad aver preso il Necronomicon è guarita in un secondo da tutte le ustioni».
«Questo è successo perché il suo spirito si è espanso per penetrate la corazza energetica della mummia e curare le sue ferite».
«Maestro, come è possibile?».
«Non so nemmeno questo: il dono è assai raro e non abbiamo molte informazioni a riguardo, mi dispiace».
La guardò negli occhi e tutta la sua curiosità insoddisfatta gli pesò parecchio, sebbene non fosse colpa sua.
Strappò un ciuffo d’erba e si mise a giocherellarci, deciso a raccontarle qualcos’altro che potesse interessarle.
«Ricordi quando da bambina mi parlavi di sogni particolarmente vividi? O quando Sefora si metteva in contatto con te mentre era prigioniera dei lupi mannari?».
Lei annuì.
«Nemmeno il mago cercatore più bravo avrebbe potuto collegarsi così facilmente a te se tu non fossi predisposta a ciò. Tutti i tuoi sogni ti sembrano così reali perché per te lo sono: quando dormi il tuo spirito esce quasi completamente dal tuo corpo ed entra in contatto così profondamente con il mondo onirico e spirituale che ti pare di essere lì fisicamente».
«Questo però non spiega come mai anche Sefora fosse così reale nei miei sogni. Intendo dire che lei non dovrebbe ricordare nulla di quello che accadeva in sogno perché lei non ha il dono».
«E’ qui che ti sbagli».
Elsa si voltò di scatto per guardare l’altra e non poté non vedere quanto quell’affermazione la spaventasse.
«Chan, sputa il rospo».
«Anche lei ha il dono. Non è sviluppato come in te, certo, ma lo ha comunque. Ci ho messo parecchio a capirlo, a differenza di tuo padre che l’ha scoperto subito».
«Cosa?!» esclamò allarmata «Maestro, spiegati! E come fai ad essere così calmo?!».
Tutta la tranquillità di Chan la innervosiva. Involontariamente affondò le unghie nella copertina del Necronomicon e improvvisamente si ricordò di averlo ancora in mano.
Insospettita, lo appoggiò a terra e subito si sentì meglio.
Maledetto libro, era quello a renderla così aggressiva.
Stava per scusarsi ma Chan, che aveva già capito, le sorrise comprensivo.
«Adesso vi spiego tutto. Quando hai cominciato a fare gli incubi, tuo padre è venuto da me per parlarne. Mi ha descritto cosa sognavi ogni notte e mi ha chiesto in prestito un libro sull’argomento. Quando l’ha riportato era evidentemente scosso ma non mi ha voluto dire niente, ha fatto finta che andasse tutto bene. Curioso e preoccupato, l’ho letto anche io e quello che ho trovato… non me lo sarei mai potuto immaginare».
Non sapeva come andare avanti, in un certo senso si sentiva quasi in imbarazzo.
«Vai avanti» lo esortarono in coro le due ragazze.
«Ecco… c’era un capitolo in cui si parlava di “anime complici” o “anime complementari”. Il testo sostiene la possibilità che due persone con il dono, incontrandosi in determinate situazioni di stress emotivo e psicologico, possano instaurare un legame che le unisce per l’eternità».
«Ah» disse Elsa avvampando «Tipo…».
«Sì, tipo l’amore. Pensando a come hai conosciuto Sefora, alla vostra improvvisa amicizia, ai sogni che vi univano, a tutto quanto… lui l’ha capito, forse anche prima che lo capiste voi due».
Ci fu un minuto di silenzio nel quale Elsa provò a immaginare suo padre che, leggendo quelle righe, ne rimaneva sconvolto e incredulo. Nella sua mente, Fulvio si asciugava la fronte e scuoteva la testa cercando di eliminare quello che aveva scoperto senza però riuscirci.
Si sentì improvvisamente triste.
Una mano delicata si posò sulla sua spalla e quel contatto la fece sentire subito meglio.
«Chan, hai altro da dirmi riguardo il dono?».
«Nulla che io sappia».
«E hai qualcosa da dire a Sefora?».
«Solo che il suo potere è latente e non potrà mai usarlo al massimo, come te».
«Bene, se è tutto qui, direi che abbiamo un’altra faccenda da sistemare».
Si alzò: in una mano stringeva il Necronomicon, nell’altra la mano di Sefora. Con passo sicuro si diresse verso lo spiazzo aperto dove gli altri confabulavano aspettando il loro ritorno, forse per schernirle e offenderle, forse per discutere.
Elsa li guardò uno ad uno e sfidò i loro sguardi senza timore.
«Oggi io ho sconfitto il Gran Maestro e recuperato il Necronomicon! Io sono riuscita dove altri hanno fallito!» urlò con enfasi «Tuttavia, non sembrate contenti di me. Chiedo di essere giudicata pubblicamente!».
Tutti si guardarono tra loro, increduli.
«Elsa, cosa stai facendo?» sussurrò allarmata la cercatrice «Cos’è questa storia?».
Le strinse la mano e la guardò cercando di nascondere l’angoscia sempre crescente.
«Lascia fare a me».
Sefora non lo sapeva, ma in quel momento Elsa aveva fatto una scelta dalla quale non si poteva più tornare indietro.
Chiedendo di essere giudicata pubblicamente, sarebbe stata sottoposta alle domande degli anziani presenti che l’avrebbero considerata degna o indegna di vivere tra gli i licantropi.
Sperava che questo permettesse sia a lei sia a Sefora di poter vivere di nuovo in tranquillità con gli altri, sempre che tutto andasse per il meglio, in caso contrario… non voleva nemmeno pensarci.
Cinque licantropi si fecero avanti e si presentarono come gli anziani di un clan o come loro rappresentanti.
Tra loro mancavano però le Desdemoni e i Mercanti che sarebbero potuti essere di parte.
Uno dei cinque, il più esperto di certe faccende, fece un passo verso di lei e le pose le domande di rito.
«Come ti chiami?».
«Elsa Desdemoni».
«Perché hai chiesto un pubblico giudizio?».
«Per essere giudicata meritevole o meno di vivere assieme agli altri licantropi».
Sentiva crescere la tensione, più si andava avanti e più la storia si faceva seria; poi, come se non bastasse, il sole cocente picchiava sulle loro teste facendo sembrare l’aria già afosa ancor più soffocante.
«Di cosa sei accusata?».
Non sapeva che rispondere, perché nessuno le aveva esplicitamente puntato il dito contro.
«Ancora di nulla, ma pare che certi miei comportamenti non piacciano alla comunità».
I cinque i giudici annuirono, non c’era bisogno di altre parole.
«Spiega perché saresti degna di vivere ancora con noi».
Adesso era il momento di sfoderare tutti gli assi nella manica.
«Ho sempre tenuto nascosta la mia natura agli umani, non ho mai messo in pericolo la segretezza della nostra esistenza; ho imparato a controllare la metamorfosi e ora posso usare anche il dono. Ho scoperto l’identità del traditore, l’ho sconfitto; ho lottato contro il Gran Maestro per ben due volte sebbene non sapessi usare il dono ma ce l’ho fatta comunque. Ho recuperato il Necronomicon e grazie a me la battaglia contro i vampiri e i mannari è stata vinta».
Prese un secondo di pausa per studiare le facce dei giudici e di tutti gli altri ma sui loro visi pensierosi si leggeva solo indecisione.
Sentì che Sefora le stringeva la mano per infonderle coraggio.
Deglutì e disse le sue ultime parole.
«Nel corso della mia vita ho sempre aiutato le persone a cui voglio bene e ho sempre rispettato la mia famiglia e la comunità. Se amare qualcuno può cancellare tutto ciò che di buono c’è in me, allora mi allontanerò dal gruppo, purché mi condanniate senza mezzi termini e mi diciate in faccia tutto quello che pensate di me».
La sua voce aveva tremato dicendo quell’ultima frase, sentiva le lacrime bagnarle gli occhi ma si morse la lingua per non piangere.
Guardò sua madre e suo padre, abbracciati l’uno all’altra, sul punto di scoppiare a piangere, e tutti gli altri che avevano allungato il collo e spalancato gli occhi per vedere meglio.
Il groppo allo stomaco era ormai insopportabile, credeva che avrebbe vomitato.
I cinque confabularono tra loro, combattuti: parlottavano e poi guardavano il pubblico, bisbigliavano e lanciavano qualche occhiata all’imputata. Spesso si grattavano la testa e alzavano le spalle, quasi fossero confusi e non riuscivano assolutamente a decidersi.
Dopo qualche minuto di agonia, passato a cuocere sotto il sole rovente, gli anziani parvero decisi.
Sempre lo stesso uomo che aveva posto le domande espresse il verdetto.
«Elsa Desdemoni» disse a voce alta «Questo consiglio ha esaminato il tuo caso».
Si voltò per l’ultima volta verso il pubblico prima di annunciare il verdetto, poi fece due passi avanti.
«Nella tua vita hai mostrato rispetto per tutta la comunità, sebbene tu sia stata una bambina e poi una ragazza un po’ turbolenta. Hai mostrato di avere grande forza e coraggio, ma…».
Elsa serrò le mascelle in preda alla nausea. Sentiva la bocca secca e le mani le sudavano tremendamente. Perché si era fermato? Cosa non li aveva convinti?
“Sono condannata… siamo condannate. Ed è tutta colpa mia”.
«Ma ci hai chiesto di giudicarti quando nessuno ti ha accusata di alcunché».
“Cosa?”.
Era confusa. Si voltò verso Sefora e si rese conto che la ragazza era spaesata almeno quanto lei.
L’uomo fece un paio di passi verso il pubblico.
«Qualcuno dei presenti vuole puntare il dito contro Elsa Desdemoni?» domandò.
La licantropa trattenne il fiato e una goccia di sudore le scivolò lungo la tempia.
Nessuno fiatò.
Attese ancora qualche secondo ma il silenzio non lasciò spazio alle parole.
«Allora noi non ti giudichiamo. Elsa Desdemoni, sei libera di vivere nel tuo clan e nella tribù Italicum come hai sempre fatto».
Riprese a respirare ma non si accorse di essere imbambolata come una stupida fino a quando una mano dalle dita affusolate la strattonò per il braccio.
«Elsa, che cazzo è successo?».
«E’ la prima volta che ti sento dire una parolaccia, credo» disse ridacchiando dal nervosismo.
Chan le raggiunse.
«Ragazze, meglio di così non poteva andare!» disse sorridendo, quasi con le lacrime agli occhi «Non avete sentito? Nessuno vi accusa!».
«Vuoi dire che non hanno nulla contro di noi?» domandò Sefora con un sussurro.
«Perché dovremmo?».
Le due si voltarono: era il padre di Sefora.
«Papà!» urlò abbracciandolo al collo senza riuscire a trattenere lacrime di gioia «Oh papà, i vostri sguardi arrabbiati, le vostre occhiatacce… pensavo che tu e mamma mi odiaste!».
«No, non potremmo mai odiarti. È solo che ci hai preso alla sprovvista… non lo immaginavamo e… scusami, perdona me e la mamma se ti abbiamo fatto credere una cosa simile!».
Elsa distolse lo sguardo, sentendosi quasi di troppo in un momento così intimo.
Pensò ai suoi genitori e soprattutto a suo padre che la guardava da qualche decina di metri di distanza.
“Perché non viene da me come Matteo ha fatto con sua figlia?”.
La tristezza la invase mentre gli occhi castani scorrevano su tutti i presenti.
“E mamma? Nemmeno lei è qui con me”.
Guardò Chan che le stava qualche passo dietro, serio in viso. Sapeva cosa le passava per la testa.
“E Damiano? Come la prenderà Damiano?”.
Le lacrime le annebbiarono la vista e fu costretta a passarsi le dita sugli occhi per asciugarli maldestramente.
Sentì la mano di Chan posarsi sulla sua spalla per darle conforto. Gli allungò il Necronomicon: quel trofeo non le sarebbe servito con i suoi genitori.
«Prima o poi dovremo parlarne» disse con voce tremolante «meglio battere il ferro finché è caldo, no?».
Le parve quasi che quella mano grande e forte le desse un spinta verso i suoi genitori.
Camminò lentamente ma senza esitazioni mentre Sefora e i suoi genitori erano stretti in un abbraccio, in un mondo tutto loro. Anche lei avrebbe voluto un lieto fine, ma adesso andava a prendersi il suo finale, decisamente meno roseo.
Perché tutti dovevano guardarla? Non stava già abbastanza male?
“Smettetela di fissarmi” pensò “lasciate che almeno per un momento il mio dolore sia mio e mio soltanto”.
Ma i presenti la seguivano con falsa disattenzione mentre camminava verso suo padre, scuro in volto.
Si fermò davanti a lui e le parve che la terra, prima così solida, le mancasse sotto i piedi.
«Papà…».
Non fece in tempo a dire altro che lui, con uno scatto fulmineo, le fu addosso prima che potesse anche solo pensare di schivarlo.
Provò un attimo di terrore così intenso da pietrificarla.
La stringeva così forte da farle male.
«Bambina mia…».
Erano lacrime quelle che sentiva sulla pelle? Sue o di suo padre? Non riusciva a distinguerle in quell’abbraccio tanto sgraziato quanto desiderato.
«Papà… ti voglio bene…» singhiozzò nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
«Anch’io, non sai neanche quanto».
Le infilò le dita nei capelli riccioluti e la strinse a sé ancora di più, se possibile.
Elsa non seppe dire quanto tempo rimasero così, sapeva solo che non si era mai sentita così bene dopo uno screzio con suo papà.
Sciolsero l’abbraccio e si asciugarono le lacrime che avevano arrossato i loro visi.
Non lo aveva mai visto piangere, mai in tutta la sua vita. Non pensava nemmeno che ne fosse capace ma tutta quella storia doveva aver messo a dura prova i suoi nervi.
«Elsa, perdonami per quello che ho fatto. Io… io… sono stato preso dalla paura» ammise «Sarei dovuto stare zitto, non erano affari miei, ma ero arrabbiato e le parole mi sono uscite di bocca da sole».
La ragazza annuì: non aveva la forza di parlare senza piangere ancora.
«Sappi che io non ho nulla contro la tua relazione con Sefora, non volevo alzare questo polverone. Scusa».
Lo abbracciò ancora.
Ma dove era sua madre?
Gioia la strinse all’improvviso da dietro, cingendola delicatamente tra le sua braccia.
«Mamma» sussurrò voltandosi.
«Elsa, mi dispiace per quello che hai passato. Io e il papà non volevamo farti tanto male».
Cercava di parlare scandendo bene le parole ma l’emozione le faceva tremare la voce.
«Non fa niente» bisbigliò «l’importante è che stiamo tutti bene, giusto?».
Gioia guardò gli occhi lucidi della figlia, ripensando a tutto quello che aveva dovuto patire e sopportare. Era troppo giovane ma ce l’aveva fatta, aveva resistito fino in fondo, non si era fatta spezzare da niente e nessuno.
Una vera Desdemoni.
«Giusto, l’importante è che stiamo tutti bene».
Quell’esperienza li aveva portati al limite, li aveva provati, ma il loro rapporto ne era uscito rafforzato.
Elsa guardò Sefora e per un secondo ne incrociò lo sguardo.
Adesso, anche lei aveva il suo lieto fine.
  
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