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Autore: PandOwl    07/10/2015    1 recensioni
Racconto della Battaglia del Trasimeno del 217 a.C, durante la Seconda Guerra Punica, combattuta presso le sponde settentrionali del lago.
Il luogo dove si svolse, per la quantità di sangue versato durante lo scontro, prende ora il nome di Sanguineto.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Antichità greco/romana
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Gli ufficiali sfilarono uno dopo l’altro fuori dalla tenda del console, che rimase solo, con l’unica compagnia di una lampada ad olio ancora accesa sopra il basso tavolino di legno dove aveva appena mostrato il piano d’attacco. Sarebbero avanzati alle prime luci dell’alba e avrebbero sorpreso i cartaginesi nell’accampamento, ignari dell’attacco romano che sarebbe piombato su di loro.
Gaio Flaminio avvertì un brivido di eccitazione lungo la schiena, a quel pensiero. Annibale, il nemico più temuto di Roma, colui che appena un anno prima era penetrato in Italia e aveva sconfitto le truppe romane prima sul Ticino e poi sulla Trebbia, ora era solo a poche miglia da lui. Poteva già immaginare la vittoria, sentirsi acclamare imperator e vedersi sfilare in trionfo nell’Urbe. Il suo nome avrebbe acquistato un prestigio non indifferente e sarebbe diventato il salvatore della Repubblica, colui che aveva debellato la minaccia cartaginese, riuscendo là dove Scipione prima e Longo poi avevano fallito.
Sogghignò compiaciuto all’idea, spostandosi ad una delle casse contenenti i propri averi e tirandone fuori un otre della propria scorta personale. Lo stappò e il profumo dolciastro del Falerno gli riempì le narici. Lo versò nel proprio calice fin quasi all’orlo, prima di riporlo, e lo tracannò con un sol sorso brindando alla vittoria dell’indomani.

***

Il sole non era ancora sorto del tutto quando i corni suonarono l’adunata e l’intero esercito, venticinque mila uomini circa, si schierò davanti ai cancelli dell’accampamento per iniziare l’avanzata. Il passaggio era stretto, tanto da consentire la marcia di soli tre uomini allineati, ma era l’unica via che li avrebbe portati dritti alla piana dove si era accampato il nemico, e da lì avrebbero potuto facilmente schierare le legioni ed attaccare in forze.
Il centurione Quinto Sergio Baculo, in testa ai propri uomini, volse lo sguardo a sinistra, dove uno strapiombo di circa duecento metri si affacciava sul lago, addolcendosi più avanti man mano che il terreno si faceva più pianeggiante. Intanto una nebbia sempre più fitta si stava innalzando da quelle acque, ma la marcia continuava senza sosta.
«Che cazzo ha intenzione di fare il console, vuole farci dar battaglia a tentoni??» Sbottò contrariato tra sé, continuando a seguire la colonna. Si voltò indietro, senza fermarsi, facendo cenno al proprio optio di raggiungerlo. Dal fondo della centuria, il giovane affiancò il suo superiore.
«Signore?»
«Raggiungi il tribuno, chiedi perché non ci fermiamo. Sarà impossibile combattere con questa nebbia, ammesso che nessuno cada in acqua prima di arrivare a valle!»
Il ragazzo annuì, stringendo il proprio bastone e avanzando verso la cima della colonna, passando accanto ai legionari.
«Cosa c’è ora?»
Chiese seccato Lepido, vedendo sopraggiungere l’optio.
«Signore.» salutò lui, iniziando poi a riferire «Il centurione Baculo chiede perché la colonna continua ad avanzare con questa nebbia. Ritiene che sia pericoloso per gli uomini dar battaglia in queste condizioni e con così poca visibilità.»
«Rispondi al tuo centurione che gli ordini del console sono stati chiari, e che lui deve limitarsi ad eseguirli.» Rispose stizzito, squadrando il giovane dall’alto del proprio cavallo. Poi dovette pensare che una tale reazione fosse ben giustificata, date le condizioni atmosferiche di quel luogo, e pensò bene di rispondere riportando quanto Flaminio aveva riferito loro la sera precedente.
«Se ci fermiamo o rallentiamo la marcia per spedire una colonna in avanscoperta rischiamo di essere avvistati dal nemico prima ancora che noi possiamo avvistare lui. Perciò proseguiremo, raggiungeremo la piana e lì apriremo lo schieramento circondandoli ed attaccandoli prima che possano organizzare un contrattacco. E ora torna alla tua centuria e fai il tuo dovere, optio.» Concluse, congedandolo frettolosamente e tornando a rivolgere lo sguardo avanti a sé, fin dove la vista consentiva, continuando a far muovere l’avanguardia mentre il giovane ufficiale tornava indietro a riferire a Baculo.

La marcia continuò instancabile per diverse ore, ma la nebbia non accennava a disperdersi. Si era anzi infittita ulteriormente ed ora ricopriva la valle come una densa nube di fumo bianco, tanto che gli uomini riuscivano a malapena a distinguere la fila di commilitoni avanti a loro.
L'avanzata si era quindi fatta più lenta e insicura. Il nemico era vicino ormai, ma in quelle condizioni sarebbe stato difficile coordinare un attacco e tra le file di legionari la tensione era palpabile.
Fu in quel momento che un urlo squarciò l’aria, seguito da altre decine, centinaia di voci feroci che gridavano lanciandosi all’attacco contro le legioni romane e abbattendo i primi uomini, ancora troppo sorpresi da quell’imboscata per realizzare cosa stesse accadendo.
«FORMAZIONE!! SOLLEVATE QUEGLI SCUDI, CI VENGONO ADDOSSO!!!» ordinò Baculo a pieni polmoni, imitato dagli altri centurioni, mentre assieme agli uomini cercavano di ricompattare le file e organizzare una qualche difesa. Dall’avanguardia il console e i tribuni cercavano di manovrare le operazioni, ma le condizioni erano avverse e i nemici piombavano verso di loro dai colli a sinistra, chiudendoli tra loro e il lago, attaccandoli dal fianco, da fronte e da tergo contemporaneamente in una caotica accozzaglia di colpi e fendenti.

Solo diverse ore dopo la nebbia iniziò lentamente a diradare, ma ormai era troppo tardi. Nel caos generale molti soldati avevano già perso la vita ed ora i loro corpi erano calpestati senza riguardi dai fanti spagnoli e cartaginesi, che salivano su di loro per arrivare ai compagni. Altri indietreggiavano verso il lago e cercando la salvezza si gettavano nelle acque con tutto l’armamento addosso, affondando però nella melma ancor prima di raggiungere il largo. Nel migliore dei casi venivano raggiunti dai nemici e trucidati senza pietà, ma molti incontravano una morte più lenta nell’annegamento.
Nel frattempo un distaccamento di cavalieri celtici aveva puntato Flaminio, ed ora attraversavano alla carica la valle agitando le lance, pronte a scagliarle contro il console. Già ferito in diversi punti, il comandante strinse le redini nella sinistra e colpì i fianchi dell’animale con i talloni, scagliandosi verso di loro.
Non ne sarebbe uscito vivo in ogni caso. Tanto valeva portarne con sé in Averno quanti più possibile.
Mulinò la spada, conficcandola poi nella scapola di un Gallo che rimase con la propria ancora sollevata e pronta a colpire ed un’espressione feroce in volto, prima di accasciarsi in avanti appena il console tirò indietro la propria lama, rovinando a terra sopra altri corpi. Fece dunque voltare il cavallo, pronto ad attaccare nuovamente quando una fitta alla schiena lo fece immobilizzare, soffocandogli un grido di battaglia in gola e lasciandolo con le labbra ancora spalancate. In un attimo i suoni attorno a lui si ovattarono, e la testa si fece pesante. Abbassò lo sguardo al petto, dove la punta di una lancia gli sbucava dal torace, rossa di sangue. Delsuo sangue, che ora colava lungo la lorica.
Era giunta la fine.
Non si accorse dei cavalieri celtici che lo circondarono. L’ultima cosa di cui si rese conto, prima dell’oblio, fu la sua testa venir tirata indietro dall’elmo e la lama di una lunga spada gallica recidergli il collo.

Baculo sentiva la morte alitargli sul collo, tanto era ormai vicina la sua ora.
La valle era disseminata di corpi e il sangue impregnava il terreno sotto i suoi piedi. Con alcuni suoi uomini rimasti era indietreggiato fino al canneto, continuando a battersi strenuamente senza sosta mentre i nemici sembravano soverchiarli da ogni lato.
Una ferita alla gamba, particolarmente profonda, bruciava a contatto con l’acqua, costringendolo a muoversi lentamente. Fu in quel momento che alcune grida di esultanza, provenienti dalla valle, richiamarono per un breve istante l’attenzione dei nemici, e voltandosi a sua volta riuscì a scorgere un cavaliere celta sollevare in aria un elmo romano.
Dentro, sotto una maschera di sangue, intravide il volto del console Flaminio.
«Pietà!!»
Sentì allora una voce alle sue spalle. Si voltò adirato a tale implorazione e vide un soldato, presso il litorale, gettare in acqua il proprio gladio, che affondò con un tuffo sordo, e sollevare le mani in segno di resa. Subito ne seguì un altro, e poi un altro ancora.
«Brutte merde che non siete altro!!!» Tuonò loro contro, biasimandoli con ogni fibra del proprio essere. «Non avete nemmeno le palle per morire con dignità!!»
I nemici più vicini non si lasciarono perdere un’occasione di vittoria tanto facile, certamente non frenati da sentimenti di compassione per uomini ormai già sconfitti, e avanzarono verso i più vicini affondando le proprie spade e lance sui loro corpi e inseguendoli fin dentro l’acqua, massacrandoli senza pietà.
Poi si voltarono verso i rimasti, riprendendo ad avanzare.
Baculo osservò la furia cieca nei loro occhi, e decise che nessun nemico avrebbe avuto vittoria su di lui. Afferrò il proprio gladio con entrambe le mani, posizionando la punta appena sopra la lorica, dove nient’altro che una stoffa grezza separava la lama dalla sua pelle.
«Guardate come muore un vero romano, bastardi!»
Urlò contro quei barbari, ormai vicinissimi, e con un gesto secco affondò la lama contro il proprio corpo.
Ricadde in acqua, ormai inerte.
Gli ultimi si guardarono, e incoraggiandosi a vicenda imitarono il suo gesto.

Quando il sole fu alto nel cielo, e la nebbia diradata ormai del tutto, delle legioni di Gaio Flaminio Nepote restava ormai soltanto il ricordo.
Il corpo del console, fatto cercare su ordine di Annibale, non fu mai ritrovato.
  
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