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Autore: Betsy Gravestone    10/10/2015    1 recensioni
Dopo essersi scambiati per lungo tempo opinioni in merito a film e libri dell'orrore, un gruppo di ragazzi sconosciuti accomunati solo dalla passione per l'orrido e da un gruppo Facebook, decidono di trascorrere una nottata nella casa ribattezzata "degli orrori". La decisione avventata e sciocca segnerà per sempre le loro esistenze.
Cosa è accaduto veramente dietro la seconda porta a sinistra del secondo piano? Cosa è sopravvissuto dietro quelle pareti?
Buona lettura!
Genere: Horror, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kathy Salsbury spense la radio della sua auto prima ancora che la città di Cripple Creek le desse il benvenuto col suo pittoresco cartello. Pensò per un istante di fare dietro front e tornarsene da dove era venuta, e si pentì di aver mentito ai suoi genitori sulla reale destinazione di quella gita fuori porta di due giorni. Quella che le era parsa all'inizio un'idea folle ma elettrizzante, pericolosa ma allettante per sfuggire alla monotonia di un temperato mese di settembre, adesso le sembrò avventata e sciocca.

Una Ford nera la superò, azzardando un pericoloso sorpasso. Kathy pigiò la mano sul clacson e rivolse qualche parola poco colorita al conducente della vettura, che per tutta risposta accelerò aumentando la distanza.

Il sole stava calando e doveva decidere in fretta se andare fino in fondo o se accostare e rigirare la macchina. Kathy alla fine sospirò, e imitando la Ford scura accelerò ricoprendo in una manciata di minuti i chilometri rimasti. Due secondi. Due secondi impiegò il suo cervello per suggerirle l'idea di arrivare a Cripple Creek, solo due miseri secondi.

Affianco al cartello di benvenuto della città vide parcheggiate già alcune macchine, tra le quali la stessa che poco prima l'aveva superata. Avrebbe dovuto immaginarselo. Kathy accostò cercando di studiare i presenti, e non appena s'accorse che tra il gruppetto composto da circa quattro o cinque persone c'erano anche due ragazze, allora spense il motore della macchina. Se lo era ripromesso fin dall'inizio: nel caso non ci fossero state altre ragazze della sua età, allora avrebbe rinunciato a quel raduno. Si sistemò velocemente la frangetta nello specchietto retrovisore e scese. S'avvicinò alla piccola comitiva e disse a voce alta, sentendosi a dir poco ridicola:
«Dichiarare la propria viltà può essere un atto di coraggio!»

Pronunciata la parola d'ordine, una delle citazioni più famose di Poe, attese la reazione dei presenti col cuore che le batteva fortissimo nel petto tanto che temette le avrebbe fratturato qualche costola. Se avesse scambiato quei ragazzi per altra gente che poco c'entrava col raduno, per l'imbarazzo si sarebbe molto volentieri scavata una fossa nel cemento della strada da sola, a mani nude. Uno dei ragazzi si staccò dal resto del gruppo e le andò incontro. No, non si era sbagliata; ma non seppe se esultare per questo.

«Benvenuta!»
Il ragazzo le tese una mano. Kathy prima di stringerla lo studiò: non ricordava di aver visto il suo viso in uno degli avatar del gruppo di Facebook, quel piccolo angolo virtuale segreto dove assieme ad altri sconosciuti parlava di film, serie tv e libri dell'orrore. In quello stesso gruppo era nato l'evento del “I raduno di amanti dell'occulto e storie macabre”, un'occasione per conoscersi, scambiare quattro chiacchiere e trascorrere una nottata da brividi, immersi letteralmente in una leggenda metropolitana da loro tutti conosciuta.

Il ragazzo sembrava poco più grande dell'età che doveva avere realmente; aveva capelli lunghi fino alle spalle, occhi scuri e un piercing all'angolo sinistro del labbro inferiore. Non attese a presentarsi, vista l'esitazione di Kathy.

«Io sono Dark McEwan, l'organizzatore dell'evento.»
Kathy a quel nome si rilassò. Dunque aveva finalmente il piacere di conoscere di persona il giovane che aveva creato il gruppo, e che ogni giorno lo alimentava con informazioni relative a film libri e molto altro ancora. Con lui aveva scambiato numerose battute virtuali, sebbene non facesse parte della sua lista di amici.

«Kathy Salsbury.» rispose lei stringendogli la mano e regalandogli un sorriso timido.

«La Kathy con la quale ho avuto un battibecco sui film di Romero?» s'intromise un altro ragazzo facendo qualche passo verso di lei.

Kathy spostò lo sguardo su di lui e alzò un sopracciglio. Dark McEwan lasciò la sua mano, e la ragazza aggrottò la fronte tentando di ricordare quell'episodio. Si, c'era stato una sorta di battibecco nel gruppo qualche mese addietro sui film di George Romero, e mentre tutti o quasi esaltavano i lavori del regista americano, lei e un altro paio di ragazze affermavano invece la loro riluttanza a guardare pellicole del genere. E Kathy si era “scontrata” con un tizio in particolare, il quale poi l'aveva contattata tramite un messaggio privato per porgerle le sue scuse, e assicurarsi di non essersi guadagnato la sua antipatia.

«Si... proprio io.» fece eco lei «Ma ora mi sfugge il tuo nome.»
«Peter McGhee. Il mio avatar è quello che rappresenta il grande Cthulhu. Non lo cambio oramai da settimane.»
Kathy assentì con la testa. Si, ora anche lui aveva un volto. Tutti quei nomi e quelle immagini di profili adesso avevano una consistenza umana; era come incontrare vecchi amici coi quali già si ha avuto modo di parlare e confrontarsi, e riscoprirli di nuovo. Nessuno di loro era come Kathy si aspettava che fosse, e il gruppetto restò qualche attimo in silenzio a studiarsi a vicenda.

Oltre a Dark McEwan, Peter McGhee e le due ragazze che si tenevano per mano parlottando piano tra di loro, c'era un altro membro che restò fermo vicino alla Ford scura e che perse subito interesse nell'esaminare il resto della comitiva per osservare prima il cartello di benvenuto della città, e poi volgere lo sguardo verso la strada che portava all'interno. Sembrava a disagio, o più semplicemente impaziente di dare inizio a quell'avventura affinché finisse presto.

«Aspettiamo ancora qualche minuto, poi ci spostiamo.» parlò Dark McEwan «L'appuntamento era per le sei, ma se tardiamo rischiamo di sistemarci all'interno della casa con il buio.»
«Non arriverà nessun altro.» aggiunse Peter «In quanti avevano aderito all'evento?»
Dark McEwan si sfilò un foglietto dalla tasca. Aveva stampato tutti i nomi dei partecipanti al raduno, che contò passandoli in rassegna con un indice.

«Trentadue.» rispose con tono serio.

Peter sghignazzò e affondò le mani nei pantaloni.

«Certo, dietro uno schermo è facile accettare certe sfide. Ma metterle in atto è tutt'altra cosa. Li sfotteremo pubblicamente online.»

Kathy annuì a quelle parole. Già. All'evento creato nel gruppo ricordava che molti erano stati i consensi e le approvazioni. Ma si aspettava un assenteismo del genere. Solo i pazzi come lei potevano aderire a incontri simili: Dark McEwan aveva sfidato i membri del suo gruppo a trascorrere una notte in quella che venne ribattezzata “la casa degli orrori”, una vecchia abitazione in disuso da anni poco distante da Cripple Creek nella quale si era consumato un fatto di cronaca dei quali i giornali dello stato del Colorado parlavano ancora con timore e disgusto. L'idea era stata subito osannata da tutti, tanto da spingere McEwan a stabilire giorno ora e luogo d'incontro. In questo modo non solo avrebbero sperimentato sulla loro pelle quelle storie che giornalmente si raccontavano dietro un computer; ma dopo mesi trascorsi in chat di gruppo e a “parlare” attraverso commenti e scambi di link, avrebbero potuto finalmente conoscersi dal vivo.

«Staremo più larghi.» commentò McEwan ripiegando il foglietto.

Kathy poté giurare di aver visto sul suo volto un'espressione corrucciata e arrabbiata. Il ragazzo doveva essere deluso e irato; aveva definito nel dettaglio quell'evento accolto con entusiasmo, e ora si sentiva preso in giro. D'altronde che cosa ci si poteva aspettare da persone mai viste se non in qualche scatto virtuale?

«Mettiamoci in macchina.» aggiunse iniziando a dare disposizioni «Seguitemi, e che il raduno abbia inizio.»
Kathy fu l'ultima a muoversi. Osservò di nuovo i presenti uno ad uno, e poi si domandò ancora per quale folle motivo aveva accettato quella stupida sfida. Rinchiudersi in una casa che si diceva maledetta con “amici” dei quali conosceva appena le generalità e i gusti in fatto di film. Ma in fondo si trattava solo di una notte. L'evento prevedeva che alle prime luci dell'alba si sarebbe fatto ritorno a casa. Doveva solo sperare che quelle ore passassero in fretta.

 

Parcheggiarono le auto lungo la via deserta. La sterpaglia cresceva alta e fitta, sia sul ciglio della strada che attorno alla casa. Le foto che circolavano in internet non le rendevano giustizia: dal vivo quell'abitazione incuteva ancora più paura. Forse perché sapevano quali atrocità vi erano state consumate all'interno, o forse perché lo stato d'abbandono e degrado superava ogni loro aspettativa.

«Sicuri che non ci cadrà in testa stanotte?» domandò Peter che fissava come tutti gli altri i muri di mattoni scrostati, le finestre buie e prive di imposte, e il tetto spiovente al quale mancava qualche tegola qui e là.

La casa contava due piani, e la sfida del gruppo era quella di trovare la stanza dove erano avvenuti gli omicidi e passarvi la notte. Una sfida davvero orribile e macabra. Se ne resero conto solo in quel preciso momento.

«Ma se fingiamo di esserci stati, e ci troviamo un altro posto dove andarci a divertire? Nessuno lo verrà mai a sapere. Scattiamo qualche foto e ce la filiamo via.» propose una delle due ragazze, quella coi capelli biondi legati in una coda di cavallo.

La sua idea fece gola a tutti.

McEwan, dopo un breve istante d'incertezza, si sistemò meglio il suo sacco a pelo sulle spalle e senza rispondere s'avviò verso gli scalini del portico. Aveva dato inizio alle danze, e toccava a lui continuare a ballare. Se fossero davvero scappati via e la cosa si fosse venuta a sapere, l'intero gruppo e non solo avrebbe sparlato alle sue spalle, deridendolo pubblicamente. C'aveva messo la faccia oramai, e in un mondo virtuale dove proteggere la privacy era pressoché impossibile, non poteva permettersi il lusso di rimangiarsi la parola data. Tutti gli altri fecero un ragionamento simile e accettarono di seguirlo. Nel gruppo si sarebbe parlato di quella notte per mesi, e nessuno di loro voleva recitare la parte del codardo.

Kathy lanciava delle occhiate sospettose e curiose alla casa col sacco a pelo che le pesava in una mano, e la sacca di cibo e acqua nell'altra. Era così assorta nei suoi pensieri che quando una voce parlò vicino al suo orecchio la fece sobbalzare.

«Non riesco ancora a capire perché mi sono lasciato convincere.»
La ragazza si voltò. Il giovane che fino ad allora se n'era rimasto in disparte, fissava come lei quell'abitazione diroccata. Era carino. Capelli chiari, corti, occhi azzurri e fisico di chi si mantiene facendo ore di palestra o lunghissime corse.

«Scusami, tu nel gruppo sei...»
«Nessuno.» rispose lui. «Io accompagno il mio amico, Peter. Mi ha promesso in cambio dei soldi se resto con lui fino a domani mattina.»
Il ragazzo sorrise e posò gli occhi su Kathy.

«Siete dei pazzi.» aggiunse «A fidarvi l'uno dell'altra e a entrare là dentro.»
Kathy non rispose. Le sue parole in parte la offesero. Lui doveva appartenere a quella schiera di persone, esigua oramai, che di social network non ne voleva sapere e che giudicava sociopatici o asociali chi li frequentava.

«Per la cronaca, i film di Romero non piacciono nemmeno a me.» disse ancora prima di seguire Peter che lo incitava con un cenno della mano a raggiungerlo sugli scalini del portico.

Kathy seguì con lo sguardo il ragazzo che non si era nemmeno presentato, e accennò un sorriso.

«Carino, vero?» le domandò un'altra voce alle sue spalle.

La ragazza bionda con la coda di cavallo e l'altra col caschetto scuro, si piazzarono al suo fianco.

«Io sono Sue Corey, ma tu mi conosci come Carrie White.» continuò per poi indicare la ragazza col caschetto. «Lei è Samantha Becker, ma per tutti Sam B. Nel gruppo e su Facebook credo tu sia una delle poche a chiamarti col tuo nome reale.»

I nome fake in effetti stavano diventando una moda oramai. Kathy avrebbe molto volentieri approfondito subito la loro conoscenza, ma McEwan le richiamò sollecitandole a muoversi. Kathy le precedette e quando salì il primo gradino, che si lamentò sotto la suola della sua scarpa, la sgradevole sensazione che lei non doveva trovarsi lì in quel posto e in quel momento la sorprese come un pugno nello stomaco.

«Ricordate cosa dicono le storie su questo posto?» domandò Dark McEwan una volta che tutti furono al suo fianco, davanti alla porta d'entrata che sperava non fosse chiusa a chiave.

«Qualcosa è sopravvissuto qui dentro.» rispose Kathy prima che potesse farlo qualcun altro.

Vide Sue e Samantha prendersi per mano. Peter e il suo amico ridacchiarono. McEwan li rimproverò con lo sguardo, e poi spostò la sua attenzione su Kathy.
«Esatto. Un punto per te.»
«La storia dei punti allora è vera?» s'informò Peter.

L'evento includeva anche una sorta di gara, dove chi conquistava più punti attraverso risposte esatte e prove di coraggio, allora aveva diritto a un buono omaggio per acquistare libri e dvd online. Una sciocchezza che però avrebbe reso l'incontro ancora più divertente e proficuo.

«Chi apre la porta ed entra per primo quanti punti riceve?» chiese ancora Peter.

«Dieci.»
Peter fece scrocchiare le dita delle mani e s'avvicinò all'entrata. Nessun altro lo fece, dunque non doveva temere che quei miseri punti gli venissero sottratti. Il ragazzo allungò una mano incerta verso la maniglia, ma dopo una breve esitazione iniziale la girò e la porta s'aprì all'istante sotto la sua lieve spinta. Peter si voltò a lanciare un'occhiata veloce ai suoi compagni d'avventura, e strizzò l'occhio in segno d'intesa. Ancora qualche attimo e quei punti sarebbero stati suoi. Superata quella prima prova di coraggio immaginò che le altre sarebbero state facili da vincere, eppure un brivido gli percorse la schiena quando varcò la soglia.

La casa non era totalmente immersa nel buio; la luce che filtrava dalle finestre prive di persiane e tende metteva in fuga le ombre, che in situazioni simili potevano sempre giocare dei brutti scherzi all'immaginazione.

«Punti miei.» affermò Peter, che attese di essere raggiunto dagli altri.

Dark McEwan fu il primo a seguirlo. Il ragazzo carino, del quale Kathy non conosceva ancora l'identità, fece cenno alle ragazze di precederlo.

«Prima le donne e i bambini.» disse.

Kathy gli rivolse un sorriso accennato e poi entrò nella casa degli orrori, seguita a ruota da Sue e Samantha. Lui si guardò attorno prima di imitarle; scosse la testa e si gettò anche lui in quel gioco folle.

 

Stentava ancora a crederci. Quando aveva letto per la prima volta l'evento sul gruppo di facebook, Kathy non vi aveva dato peso per il semplice fatto che non lo credeva possibile da realizzare. Un gruppo di sconosciuti che si ritrovano in una casa considerata maledetta solo per il gusto orrido di vivere di persona un'esperienza reale, non consumata quindi solo davanti allo schermo di un computer. Una sorta di convention del macabro, un raduno organizzato non in una piazza in un hotel o in un semplice bar, ma in un luogo dove l'orrore era accaduto davvero. Tanto per restare nelle tematiche che giornalmente si trattavano nel gruppo virtuale. Ricordava che all'inizio fu indetto un sondaggio per scegliere la location stregata dove ritrovarsi, ma ognuno aveva fatto nomi improbabili sparsi per tutto il globo. Alla fine era stato proprio Dark McEwan a indicare la casa di Cripple Creek come la più facile da raggiungere per la maggior parte di loro. Gli iscritti nel gruppo, se Kathy non ricordava male, erano più o meno 147. In 36 avevano risposto all'evento. In 5, tolto l'organizzatore, si erano presentati. Poteva andare peggio.

Anzi, sarebbe andata sicuramente peggio di così.

«E qui ci sono fantasmi o che altro?»

Kathy, ferma immobile nell'ingresso della casa a lanciarsi attorno occhiate curiose e intimorite, fece spallucce. Il ragazzo carino le si era avvicinato, e come lei osservava il posto polveroso e in disordine con l'aria di chi voleva trovarsi ovunque tranne che lì.

«Io mi auguro di trovarci solo ragni stecchiti.» rispose lei. «Tu non credi in queste cose, vero?»
«Perché tu si?»
Kathy rispose di nuovo con una scrollatina di spalle. Si, credeva nei fantasmi. O meglio, le piaceva credere all'idea che esistessero i fantasmi.

«Mi chiamo Ryan. Ryan Thiel.» aggiunse il ragazzo.

Era ben disposto a parlare con lei, e Kathy ne fu lusingata. Ma Dark McEwan prese la parola, interrompendo così sul nascere ogni possibile dialogo tra i due. Guardò i presenti uno a uno con aria seriosa, come chi sta per iniziare un importante discorso. Quel tipo aveva preso sul serio la gitarella nella casa maledetta, quasi fosse un fatto di vitale importanza.

«Ricordate le regole vero?»

Questa volta Peter fu preceduto da Sue.

«Restare nella casa fino a domattina. Chi vuole può anche andarsene prima, ma perderebbe tutti i punti acquistati e la sua partecipazione verrebbe annullata. Non si importunano gli altri presenti, non siamo qua solo per socializzare. Ci siamo ritrovati per passare la notte nella stanza dove accadde il fattaccio per poi vantarcene su facebook. O almeno io lo farò...»

Sue ridacchiò, ma a tutti i presenti sembrò una risata forzata e nervosa. Non lo avrebbero mai ammesso, ma ciascuno di loro aveva paura. La casa sembrava un luogo comune, abbandonato a se stesso, ma non si poteva dimenticare quello che vi era accaduto all'interno. Fu Kathy a prendere la parola e a ricordare a tutti cosa si era consumato tra quelle mura.

«In una di queste stanze, precisamente nella seconda a sinistra del secondo piano, la notte del 31 ottobre 2015, un gruppo di quattro ragazzi attirarono con l'inganno una loro coetanea. Iniziò tutto come un gioco; un po' come stiamo facendo noi. Ma i ragazzi avevano in realtà oscure intenzioni. Volevano praticare una sorta di antico rito, qualcosa trovato in un forum d'occultismo girovagando in internet. Una bravata, una stupidaggine, che si è trasformata in tragedia. I giornali hanno detto che tre dei ragazzi sono morti qui dentro, mentre uno è deceduto in ospedale e farneticava di ombre e voci. Il corpo della ragazza invece non è stato mai ritrovato, sebbene questo posto sia stato passato al setaccio. Non si sa bene come sia accaduto, alcuni dicono che il gruppetto voleva violentare la ragazza, altri dicono che uno di loro deve essere impazzito e ha ucciso gli altri. Nelle pagine web gira voce che un certo Anthony Lewis o Dewis, non ricordo bene, è passato di qui qualche tempo fa e giura di aver visto qualcosa aggirarsi nella casa. Sua è la frase “Qualcosa è sopravvissuto qui dentro”.»
A quel racconto fin troppo dettagliato seguì un istante di silenzio. La casa taceva con loro. Kathy si strinse nelle spalle, il borsone e il sacco a pelo che ancora le pesavano nelle mani ma che non trovava il coraggio di posare a terra.

«E va bene. Alzi la mano chi è qui per compiere un rito e sacrificare qualcuno!»

La battuta di Peter non fece ridere né sorridere nessuno.

«Queste sono tutte stronzate.» parlò Ryan tentando di smorzare la tensione che si era creata «Nessuno può sapere cosa è successo quella notte. Stiamo giocando con la morte di ragazzi della nostra età, e non è etico. Volete passare una notte qui dentro? Ok. Ma lasciate le favolette dell'orrore per i vostri raduni virtuali. Questa è la vita reale.»

Dark McEwan non tollerò quelle parole. Ma non rispose; considerando che Ryan era fisicamente quasi il doppio di lui e non sembrava un tipo pronto al confronto, lasciò cadere l'offesa. Kathy guardò prima l'uno poi l'altro, e iniziò ad avvertire del malessere. Voleva andarsene. Non le piaceva il posto, e nemmeno la compagnia. E non le piaceva nemmeno il modo in cui aveva raccontato la storia della casa, il tono lugubre e serio ma distaccato che aveva utilizzato, come se di quelle morti non le interessasse. Ryan poteva aver ragione. Non stavano affrontando le cose nella maniera giusta.

«Sue a te vanno sei punti.» disse McEwan muovendosi per chiudere la porta «Kathy a te otto, e sei così a nove. Chiunque voglia andarsene è libero di farlo adesso.»
Dark McEwan rivolse quelle parole in direzione di Ryan. Quest'ultimo non si mosse, né lo fece qualcun altro. Il sole sarebbe tramontato a breve e dovevano iniziare a sistemarsi per la notte in quell'abitazione ancora sconosciuta; non c'era altro tempo da perdere.

«Bene. Mettete mano alle torce allora. Si comincia.»

McEwan, dopo aver pronunciato quelle parole, richiuse la porta. E non riuscì ad ammettere nemmeno a se stesso che l'idea di scappare da lì lo aveva sfiorato con insistenza più e più volte.

 

«Se avete sul cellulare la connessione a internet segnalate pure la vostra posizione, ma solo nel gruppo. Non vorrei ritrovarmi la polizia qua fuori che ci costringe a sgomberare.»

McEwan si raccomandò poi di spegnere i telefoni. Ryan fece per obiettare ma alla fine ubbidì. Quel tizio col piercing proprio non gli piaceva; era un esaltato, o forse soffriva così tanto la solitudine da costringerlo a organizzare raduni simili. Lui non frequentava molto il mondo virtuale, aveva un profilo facebook ma vi accedeva di rado. Peter, il suo amico, al contrario vi passava le ore e quando gli aveva chiesto di accompagnarlo in quell'impresa all'inizio aveva rifiutato, sbottando a ridergli in faccia. Se voleva passare una nottata a conoscere gente e ragazze nuove soprattutto, avrebbe saputo indicargli due o tre locali più adatti a quello scopo di una catapecchia “maledetta”. Si era lasciato convincere dalla somma di denaro che Peter gli promise, somma che non avrebbe poi accettato. Magari per ricambiare quella sua cortesia si sarebbe fatto offrire un paio di birre.

Non andarono all'esplorazione del piano inferiore, ma salirono subito le scale per cercare la seconda porta a sinistra. Come McEwan aveva suggerito, si armarono di torce poiché iniziava a fare buio. Le torce, come il sacco a pelo, erano comprese negli oggetti da portare sulla lista compilata nel gruppo. McEwan aveva pianificato tutto nel dettaglio; o almeno ci aveva provato. Salirono in fila indiana, e Peter per acquistare altri punti decise di mettersi a capo. Kathy era la penultima e Ryan chiudeva la fila. Il ragazzo puntava la torcia ora sugli scalini per non inciampare, ora sulle caviglie di Kathy.

«Sei venuta qui da sola.» le disse «Coraggiosa.»

«O incosciente.» gli rispose lei senza voltarsi. «Se i miei genitori sapessero quello che sto facendo mi ucciderebbero!»

«Al massimo ti toglierebbero il computer.» scherzò lui.
Un fruscio. Un lieve fruscio fu ciò che li fece bloccare a metà della scalinata. Uno strofinio appena accennato, come se qualcuno avesse poggiato una mano guantata di aghi sul muro e lo percorresse con le dita provocando un rumore flebile.

«Cosa è stato?» domandò Samantha, dimostrando così che anche lei possedeva l'uso della parola.

Kathy la vide cercare la mano di Sue che strinse con forza e tremore.

«Nulla. Questa è una casa vecchia. Le case vecchie fanno sempre dei rumori.» tentò di spiegare McEwan.

«Certo, in quale libro idiota l'hai letto?» lo rimbeccò Ryan, deciso a riprendere il ragazzo ogni volta che avrebbe pronunciato frasi del genere. Kathy si voltò e puntò la sua torcia sul volto di Ryan come segno di rimprovero. Nello spostare il fascio della sua luce le parve di notare qualcosa muoversi nell'oscurità, giù al piano inferiore. Sussultò e puntò la torcia in quella direzione, ma non vide nulla se non un mobile vecchio e delle ragnatele che addobbavano il soffitto come se fosse un albero di Natale. Ryan, notando quella sua reazione, la imitò e assieme rischiararono una buona porzione dell'ingresso constatando che tutto era immobile e deserto.

«Mantieni i nervi saldi almeno tu, Kat.»

Kathy abbassò la sua torcia e spostò gli occhi su quelli chiari del ragazzo.

«Non chiamarmi Kat.» lo riprese «E i miei nervi sono a posto.»

Ryan le rivolse un sorriso di rassicurazione e McEwan li incitò a proseguire. Nel suo tono di voce si percepì una nota di nervosismo. Il buio, l'odore di chiuso e polvere, l'assenza di qualsiasi rumore giocavano al cervello umano scherzetti ambigui che potevano portare al delirio. O quanto meno all'alterazione dei sensi e quindi a una tensione palpabile. Sul secondo piano della casa si potevano contare ai lati quattro porte chiuse e una finestra murata alla fine.

Seconda porta a sinistra. Il gruppo si fermò e ciascuno fece vagare la sua torcia tutt'intorno, per studiare il posto. Ebbero come la sensazione che il rumore del silenzio fosse prodotto da dietro una di quelle porte. La sera era oramai scesa ma del tramonto lassù non vi sarebbe stata comunque visione vista la mancanza di finestre, a parte quella occultata da mattoni scuri e calce che sembrava ancora fresca. E se il primo piano della casa era parso loro un luogo apparentemente normale e tranquillo, fatte le scale le sensazioni cambiarono.

   
 
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