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Autore: Luce_Della_Sera    10/10/2015    2 recensioni
Tratto dal testo: "Arrivata a poca distanza dal portone, iniziai a sentire rumore di passi: evidentemente, i tizi erano veramente due, e avevano trovato il modo di parcheggiare o quantomeno fermare l’automobile per venirmi dietro! Questo mi indusse a cercare di andare ancora più veloce, ma qualcosa non funzionò, e io caddi a terra".
Genere: Angst, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Corsa nella notte

Uscii dal locale, muovendomi a passo svelto per ostentare sicurezza. Avevo detto ai miei genitori che avrei passato la notte da una amica, e invece non era del tutto vero… volevo semplicemente uscire, e stare fuori fino a tardi come facevano tutti gli altri! Mentre procedevo nella notte, però, iniziai ad avvertire un filino di paura.
“Su, rilassati”, dissi a me stessa. “Tantissime ragazze lo fanno, perché dovrebbe succedere qualcosa di male proprio a te? Goditi la passeggiata, e basta! Sono solo le undici di sera, e ne hai di tempo prima di andare via! Ricordati che tutti si aspettano che tu resti fuori almeno dieci minuti, sennò perdi la scommessa: non puoi permetterti di fare la figura della bambina!”.
Un passo, poi un altro, poi un altro ancora: accanto a me, le macchine sfrecciavano normalmente sulla strada.
“Se cammino lentamente, non sarò costretta ad allontanarmi troppo dal locale, e di conseguenza potrò tornarci prima!”, mi dissi. Proprio mentre rallentavo, però, con la coda dell’occhio vidi che c’era qualcosa che non andava: mi girai, pur sapendo che era sbagliato farlo, e vidi una macchina che sembrava seguirmi.
“E’ la tua immaginazione”, mi dissi. “Certo, è strano che vadano così lentamente, ma magari una delle persone che è nell’auto abita qui vicino, e allora hanno deciso di rallentare! Non c’è nulla di strano, non fare la stupida!”.
Mio malgrado, allungai il passo: sentii che l’automobile però non accennava a fermarsi, e una veloce occhiata al finestrino di un’altra macchina parcheggiata confermò le mie peggiori paure: chiunque ci fosse là dentro, e da quel poco che ero riuscita a vedere dovevano essere almeno in due, mi stavano inseguendo. Avevano persino accelerato per tenermi dietro!
Esisteva ancora una concreta possibilità che il mio cervello stesse lavorando troppo di fantasia, ma la paura aveva ormai preso il sopravvento, e così, dimenticandomi dei miei amici e della scommessa, mi misi a correre. Una parte del mio cervello, che si ricordava dei consigli letti in un libro, sapeva perfettamente che in caso di presunto inseguimento la corsa non era l’ideale, specie per chi come me indossava scarpe con i tacchi… ma non potevo farci nulla: se anche avessi voluto, non sarei riuscita a fermarmi. Corsi a perdifiato, e quando individuai un palazzo, decisi istintivamente cosa dovevo fare. Avrei citofonato ad uno qualsiasi dei condomini, sperando che il prescelto fosse in casa, e mi sarei infilata nel portone: da lì, non sapevo proprio cosa avrei fatto, ma la mia priorità in quel momento era cercare un posto sicuro e quindi non me ne preoccupai.
Arrivata a poca distanza dal portone, iniziai a sentire rumore di passi: evidentemente, i tizi erano veramente due, e avevano trovato il modo di parcheggiare o quantomeno fermare l’automobile per venirmi dietro! Questo mi indusse a cercare di andare ancora più veloce, ma qualcosa non funzionò, e io caddi a terra. Le mie calze, seppure pesanti, non mi protessero dall’urto e iniziai a sanguinare: fu però proprio la vista del sangue, oltre al pericolo che avvertivo sempre più vicino, a farmi decidere.
Raccogliendo tutto il mio coraggio e facendo appello a tutta la forza della mia disperazione e del mio terrore, arrivai a destinazione e premetti freneticamente il primo campanello che mi capitò sotto mano.

 
Il citofono suonò, e io sobbalzai.
“Chi diamine può essere?”mi chiesi.
La televisione, che avevo acceso per guardare un film, non riportava l’ora: ma sapevo che era comunque tardi, le undici di sera o poco più.
Il suono continuava: sembrava quasi che, chiunque ci fosse al portone, volesse rompere il citofono tanta era la sua foga!
Pensai a mia figlia e per un attimo ebbi l’istinto di andare a controllarla, ma poi rinunciai; lei, pur avendo solo due anni, al contrario di sua madre, non aveva mai avuto problemi di sonno leggero!
Il suono non accennava proprio a smorzarsi.
 “Arrivo, arrivo!”, borbottai tra me e me mentre mi alzavo.
Automaticamente, schiacciai il pulsante apriporta senza neanche chiedere all’estraneo dall’altra parte di identificarsi: poi, per rimediare in parte all’errore che avevo appena compiuto, aprii l’uscio e sbirciai fuori. Mi aspettavo di vedere mio marito che rientrava dal lavoro stranamente in anticipo, o qualche parente venuto chissà per quale motivo a fare una visita notturna… invece, sentii il portone sbattere tanto violentemente da far tremare i vetri, e vidi una ragazzina di circa quindici anni che saliva trafelata le scale come se avesse l’angelo della morte alle calcagna.
“Che ti succede?”, le chiesi, allarmandomi.
“Due uomini…mi stanno inseguendo!”.
Repressi l’istinto di maledire i genitori della ragazza, che permettevano alla figlia di andare in giro da sola a quell’ora: non erano affari miei, dopotutto. Tutto quello che dovevo fare era cercare di rassicurarla, perché era comprensibilmente spaventata! Per un attimo, esitai: seppure fosse parecchio più giovane di me, era comunque una persona sconosciuta. Chi mi garantiva che non avesse inventato tutta la storia solo per rubare qualche oggetto dal mio appartamento? Poi la guardai negli occhi, che erano azzurri come quelli della mia bambina, e presi una decisione.
“Vieni dentro”.
Mi feci da parte, ed entrai dopo di lei.
“Siediti pure, sul divano o sulle sedie…dove preferisci. Ti va di dirmi cosa ti è successo esattamente? Bada però che poi dovrai telefonare ai tuoi genitori, e farti venire a prendere. Non posso tenerti con me, questo lo capisci bene”.
Volevo aggiungere anche un: “Anche perché, il mio trattenerti qui senza un valido motivo e oltre il tempo necessario equivarrebbe ad un rapimento di minore”, ma mi astenni, e restai in attesa.
La ragazza si accasciò sul divano e si passò le mani tra i riccioli biondi.
“Ero con i miei amici e loro avevano iniziato a prendermi in giro e dirmi che avevo paura di andare in giro da sola al buio; io ho negato e allora loro mi hanno proposto una scommessa. Dovevo uscire e girovagare per strada per almeno 10 minuti,e poi tornare… ad un certo punto però una macchina s’è messa ad inseguirmi, e io quindi mi sono messa a correre e sono arrivata qui. Non volevo cercare espressamente lei, capisce? Ho solo pensato di suonare al primo citofono che mi capitava a tiro”.
Annuii. Mi rendevo conto di avere davanti una dei tanti esemplari di adolescente insicura e desiderosa di compiacere i coetanei, e magari addirittura uno in particolare: invece di ammettere che aveva paura e ignorare le prese in giro, aveva scelto di infilarsi in una situazione che la terrorizzava e che si era rivelata anche pericolosa. Certo, per quel che ne sapevo poteva anche essere stata la sua immaginazione a giocarle un brutto tiro… ma decisi di crederle; provai anche a pensare alla mia bimba, e mi chiesi come mi sarei comportata, se al posto della ragazza che avevo accolto in casa ci fosse stata lei.
“Sì, capisco. Ti va di dirmi come ti chiami e quanti anni hai?”.
“Ho sedici anni e mi chiamo Giulia. Odio il mio nome, è troppo comune!”.
“Davvero?” ribattei, sorpresa. “Forse, ma è comunque bellissimo. Mia figlia si chiama così!”.
Non sapevo perché lo avevo detto: in fin dei conti, la cosa poteva avere una qualche importanza solo per me. Ma forse, quel mio commento poteva servire all’adolescente, per riprendersi almeno un pochino!
“Dice sul serio? E’ una bella cosa!”.
Non sapeva bene che dire, era evidente: era troppo presa dalla sua brutta avventura per pensare ad altro, compresi concetti banali come la frequenza di un nome. Del tutto comprensibile….in ogni caso, si sforzò di non pensarci troppo e mi fece una domanda, anche per mostrarsi gentile.
“Dov’è sua figlia adesso, signora?”.
“Nella mia camera, dorme con me questa notte. Mio marito ha il turno notturno, fa il pompiere…per questo hai trovato solo me in casa. Comunque, non chiamarmi signora e dammi del tu, ti prego: ho trentuno anni, mi fai sentire vecchia!”.
“Come vuole…cioè, come vuoi”.
Tra noi calò il silenzio, e io ne approfittai per andare a prendere un bicchiere d’acqua. Lo porsi a Giulia, e poi presi un bel respiro: l’avrei fatta sfogare ancora un po’, se voleva, e poi l’avrei convinta a chiamare i suoi genitori. Dopotutto, nelle situazioni come la sua il posto più sicuro è sempre la propria casa!
 

 
Bevvi l’acqua: ero ancora scossa, seppure lievemente meno di prima.
Mi sentivo bene lì, lontana da quanto mi era capitato…non so se per sfogarmi o per prendere ulteriore tempo, ma la mia bocca si spalancò di colpo e iniziai a parlare. Parlai e parlai, raccontando cose di me, della mia infanzia e della mia vita in generale che poco potevano interessare davvero ad una sconosciuta.
Le dissi che nella mia comitiva c’era un ragazzo che mi piaceva, ed era soprattutto per lui che avevo accettato la sfida. Poi le parlai dei miei problemi a scuola, del fatto che i miei genitori spesso sembravano preferire mia sorella maggiore a me, perché oltre ad essere sempre stata un genio in tutte le materie quando aveva la mia età, era anche più spigliata di me… e le dissi anche del mio piano per quella sera, che prevedeva lo stare con gli amici e poi andare a dormire dalla mia migliore amica. Avevo mentito per metà ai miei genitori, spiegai, ma solo perché volevo più libertà! Speravo mi capisse, visto che aveva passato l’adolescenza da tempo ma non così tanto da essersi dimenticata com’era viverla: ma purtroppo venni delusa.
“A proposito di genitori”, mi disse infatti la mia salvatrice, “Credo sia venuto il momento di chiamare i tuoi. Prima puoi avvisare i tuoi amici, se vuoi, ma poi devi comunque chiamare loro!”.
Sapevo che aveva ragione. Ma non potevo. I miei genitori mi avrebbero punita severamente, se avessero scoperto che non avevo detto tutta la verità! Cercai di farglielo capire.
“Senti…”.
“Emilia. Mi chiamo Emilia”.
“Senti, Emilia…non penso di poterlo fare. Cioè, chiamerò i miei amici, è chiaro, ma i miei genitori, non so…”.
“Hai paura che ti rimproverino perché non hai detto loro che andavi dalla tua amica sin da subito, e invece te ne sei andata in giro con i tuoi coetanei?”.
“Sì”.
“Lo faranno, sicuramente. Ma sai perché? Perché ti vogliono bene. Comunque, quando dirai loro cosa ti è capitato, forse rimproverarti sarà l’ultima cosa a cui penseranno”.
“Tu dici? Io non la penso così. Secondo me, proprio per il rischio che ho corso si arrabbieranno di più”.
“Potrebbe essere: ma è un rischio che devi correre. Devi affrontare la cosa”.
Aveva ragione anche su questo, naturalmente. Ma dimenticava che io avevo anche un altro problema piuttosto serio!
“E se i miei inseguitori fossero ancora di sotto? Tu non li hai visti, perché abiti al secondo piano, ma ti assicuro che c’erano: sono arrivati pochi istanti dopo che io ho chiuso il portone!”.
“Non preoccuparti: puoi chiamare i tuoi da qui, e li aspetteremo. Uscirai da questa casa con loro, non da sola!”.
La cosa mi rassicurò. Dopotutto, non era poi così scontato che una giovane madre di famiglia ospitasse una ragazza sconosciuta per tanto tempo! Guardai l’orologio: le undici e quarantacinque.
“Se ti ritieni adulta pur non essendolo ancora sul piano legale, comportati come tale. Prenditi le tue responsabilità!”, mi aveva detto qualche giorno prima mia madre durante una lite. Non avrei mai pensato che il momento potesse arrivare tanto presto…ma lo dovevo fare, non avevo scelta.
Quindi, allungai la mano verso la mia borsetta, che si trovava per terra perché lì l’avevo lasciata cadere quando mi ero seduta sul divano, e presi il cellulare.
 
 

Chiusi la porta, e pensai a quanto era successo.
Tutto mi sarei aspettata, tranne che una notte una ragazzina terrorizzata si attaccasse al mio citofono, per poi raccontarmi tutta la sua vita! Era stata la paura a farla parlare: le sue parole erano state come un viaggio nel tempo per me, e mi avevano ricordato tante cose della mia adolescenza. Mai come in quei momenti ero stata grata del fatto di aver superato da parecchio quell’età! Più volte ero stata sul punto di abbracciarla, di dirle parole di conforto… ma mi ero fermata in tempo: il fatto che avesse gli occhi azzurri come mia figlia e si chiamasse come lei, non mi autorizzava a farle da madre sostitutiva! Avevo fatto il mio dovere: l’avevo fatta parlare, avevo cercato di distrarla a modo mio, e poco prima che arrivasse suo padre, comprensibilmente preoccupato ed arrabbiato, l’avevo anche elogiata per la sua prontezza: poche ragazze, in una situazione come quella in cui si era trovata lei, avrebbero avuto la giusta lucidità per cercare aiuto!
“Spero tanto che sua madre le dica le stesse cose, e che magari le faccia conoscere alcune regole di autodifesa: se anche solo si pensa di essere seguite, mai voltarsi indietro, ma continuare a camminare e chiedere aiuto al primo negozio, bar o appartamento vicino; correre è vietato, specie se si è in inferiorità numerica e non si indossano le scarpe da ginnastica. Mai passare vicino a luoghi bui, e mai pensare di fare le piroette stile ninja da manga giapponese per spaventare gli aggressori: davanti a chi ci vuole aggredire, è meglio darsela a gambe e basta! Al massimo, si può colpire qualche punto sensibile, se si è uno contro uno, come ad esempio gli occhi, le rotule, lo stomaco o più in basso in caso si abbia davanti un uomo… ma dopo, si deve scappare, senza fare le eroine”.
Mi accorsi che mi ero fatta tutto il discorso nella mia testa immaginando di rivolgermi non alla Giulia che avevo appena lasciato, ma a quella che dormiva nella mia camera: solo che la mia bimba nella mia fantasia aveva l’età della adolescente! Prima che potessi pensare bene alla stranezza della cosa, mi sentii chiamare.
“Mamma?”.
La mia bambina si era piazzata a pochi passi da me, mi fissava con aria interrogativa: come al solito, non indossava le ciabattine, anche se io le avevo ripetuto parecchie volte quanto era importante che se le mettesse.
“Giulia, amore, che ci fai sveglia a quest’ora?”.
“Ho fatto un sogno brutto!”.
Guardai la mia piccolina, e mi sentii pervadere da una ondata di amore infinito.
La raggiunsi e la presi in braccio per coccolarla: mentre la riportavo nel lettone con la promessa che avrei vegliato sul suo sonno per impedire agli incubi di ripresentarsi, riflettei su quanto i problemi potessero essere diversi a seconda delle età: da piccoli c’erano gli incubi popolati da mostri, streghe e fantasmi vari, poi andando avanti con l’età si incontravano problemi con i coetanei, gli insegnanti, la famiglia, i colleghi di lavoro, il partner…ogni stadio della crescita aveva i suoi. Ed era giusto così! Ma da qualche parte nella città, in quel preciso istante, c’era una ragazza che aveva fatto una corsa rocambolesca nella notte… e da quella esperienza, avrebbe ricavato una lezione che non avrebbe di sicuro mai dimenticato.

  
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