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Autore: Omega85    12/10/2015    1 recensioni
On the road. Perché vivere per strada, non vuol dire essere barboni o poveri, vuol dire sapersela cavare in ogni situazione, vuol dire avere la forza di andare avanti senza stancarsi mai, vuol dire avere fegato, vuol dire saper viaggiare.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~ON THE ROAD
Mi dicono che devo piangere, piango. Mi dicono che devo ridere, rido. Mi dicono che devo correre, corro. Mi dicono che devo scrivere, scrivo. Ed eccomi qui, davanti ad una pagina completamente bianca, da riempire con queste piccole linee di inchiostro che ora si spessiscono, ora si bloccano, ora si ingarbugliano con tanti fronzoli rotondi che paiono quasi una decorazione. Da riempire con queste piccole e semplici parole che nascondono un significato non troppo chiaro alla luce del sole. On the road. Questo è il titolo della storia che andrò a raccontare. Perché vivere per strada, non vuol dire essere barboni o poveri, vuol dire sapersela cavare in ogni situazione, vuol dire avere la forza di andare avanti senza stancarsi mai, vuol dire avere fegato, vuol dire saper viaggiare. Viaggiare. Già perché viaggiare è forse la cosa più importante e libera della nostra vita. Viaggiare, senza una meta chiara e precisa, viaggiare, solo per il gusto di farlo.

Ore otto, nuovo giorno, palloso come al solito.
 Questo è lo spirito con cui intraprendo l’inizio di una nuova giornata. La solita orribile giornata. A scuola, circondato da compagni sfigati con gli occhiali e la faccia piena di brufoli, a casa con mia madre che mi urla dietro e mio padre che non si muove da quel dannatissimo schermo del computer. Questo, in linee generali, è lo scorrere della mia vita. Eccomi adesso davanti al cancello della scuola. Lo odio. Triste come ogni ragazzo che ne varca la soglia. Potevano almeno metterci un colore squillante e allegro come l’arancione, no! Vedi che ti vanno a scegliere proprio il grigio. Chissà perché poi sono tutti fissati con il grigio, così monotono, così brutto, forse perché adorano farci soffrire. Attraverso piano il cortile infestato da piccoli odiosi ed eccitati primini saltellanti, la scuola è iniziata da poco, per questo sono così felici. Guardo le loro facce, i loro zaini, tutti così allegri e carini. Poi guardo me,  almeno ci provo per quanto sia possibile, e mi vedo. Rozzo, malandato e arrogante. Poi arriva il momento peggiore: la classe. La nostra classe è piccola, storta e stretta, somiglia parecchio alla professoressa di francese (vi lascio intendere). I banchi tutti storti, e mezzi scassati, ma la cosa che mi fa più pena di tutte sono i miei compagni. Non capiscono nulla. Pensano solo alla scuola oppure al calcio. Sono ancora in quella fase infantile che non sopporto. In ogni caso come avrete capito non mi trovo bene. Mi siedo, solito banco leggermente staccato dagli altri perché non li sopporto più, solita accoglienza con quella scritta nera enorme che c’è sulla sedia: “ciao merda”, solita ansia che arriva e ti travolge per l’interrogazione di letteratura. Solita prof che entra e dice tutta contenta “Sorpresa! Interrogazione.” Come se fosse per davvero una sorpresa. Ed ecco che così passano piano le ore della giornata, lente e inesorabili. Poi finalmente uno stacco, una piccola pausa chiamata SALVEZZA. Nell’intervallo posso finalmente uscire da quel manicomio di pazzi ambulanti  andarmene tutto solo in giro per i corridoi. Mi ricordo per i primi tempi che i miei compagni trovavano insolito che andassi in giro tutto solo e allora venivano lì da me a chiedermi se avevo qualche problema o altro, ma visto che non hanno mai capito perché gli rispondevo in modo così piccante, alla fine hanno smesso, e oramai non mi caga più nessuno. Così vago, tra quella gente inutile, guardandoli tutti e salutando di tanto in tanto qualche faccia amica. Vago pensando a qualche scusa o fortuna che possa riuscire a trascinarmi fuori da qui. Poi ecco che arriva sempre la guastafeste. Dobbiamo tornare dentro. Ed ecco che rincomincia quella che potrebbe definirsi una vera e propria carneficina di studenti impreparati. La prof di geografia, Bianchi, è una vera e propria canaglia. Dice che non interroga e poi lo fa, dice che non facciamo nessuna verifica fino alla fine del quadrimestre e poi la vedi che prepara segretamente tutte le domande da metterci dentro. Sembra quasi che il suo obbiettivo non sia farci studiare, ma sia coglierci con le mani nel sacco, beccarci quando non sappiamo nulla e darci una sfilza di quattro interminabile. Poi si lamenta di noi alle riunioni di classe, ma dico, si è mai vista? Eccomi finalmente a casa, finalmente si fa per dire, apro appena la porta e non faccio in tempo ad entrare che mia madre inizia: “Quanti compiti hai?” “Devi farti la doccia oggi lo sai vero?” “Vieni a mangiare che poi ti aiuto con matematica”… e avanti di questo passo fino a che non riesco a convincerla che sto studiando chiuso in camera. Anche qui mi fermo e rifletto, cerco sempre un appiglio, un qualcosa che mi porti via e che mi regali finalmente un po’ di pace. Non ho nulla da fare per tutto il pomeriggio, se non la doccia e i compiti, che la maggior parte delle volte non faccio. Non amo lo sport o l’attività fisica, e poi non sono uno che mantiene gli impegni, se facessi per esempio calcio andrebbe a finire che salterei tutti gli allenamenti e al loro posto me ne andrei in giro a non fare nulla per la città. Così rimango tutto il giorno in casa, e ho modo di seguire bene anche la vita dei miei genitori. Dovrebbe essere bello potersi intrufolare nelle loro vite, ma non è così nel mio caso. Papà non fa nulla se non telefonare e imprecare davanti al suo computer portatile e la mamma sta tutto il giorno in cucina a pulire e ripulire i fornelli e a preparare cene e pranzi con anche otto giorni di anticipo. Alla fine tra un’imprecazione e l’altra e tra uno strofinaccio e l’altro arrivano all’ora di cena. La cena è sempre noiosa, nessuno sa mai cosa dire e si creano sempre momenti di silenzio imbarazzante. Così va a finire che si mangia velocemente e poi ognuno va per i fatti suoi. Papà torna davanti al computer, mamma torna a sparecchiare e pulire pentole e fornelli e io mi guardo un po’ di tele. Dopo un po’ mi stufo e vado a letto, è sempre così, non cambia mai.
Ore otto, nuovo giorno, palloso come al solito.






Ciao a tuttiiiiii!!! Prima storia! Spero vi piaccia e spero che abbiate la voglia di mettervi a scrivere su quei pesanti tasti neri per lasciare una recensione! Anche se negativa! :) vi saluto e spero abbiate voglia di sapere come andrà avanti e soprattutto che cosa centri il titolo on the road!!
   
 
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