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Autore: Cosmopolita    12/10/2015    7 recensioni
Quando scopre di aspettare un bambino, Vaniglia non ha alcun dubbio in merito: sarà Felì la fata-tata di suo figlio.
Ma ricordare il passato è davvero così facile come pensa?
"Sua moglie alzò lo sguardo e il suo sorriso si allargò ancora di più: era il ritratto della felicità.
E Jim capì che non erano lacrime di tristezza, le sue
-Ha accettato!"
[Questa storia si è classificata quarta al'"Head canon contest: fin dove si spinge l'immaginazione" indetto da Maiko_chan sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jim Burium, Pervinca Periwinkle, Vaniglia Periwinkle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sarà Felì



Aveva continuato a passarsi la piuma sul mento per minuti interi, le penne che le solleticavano la pelle e gli occhi fissi su un foglio immacolato.
Scosse la testa, come per evitare che la mente s’intorpidisse ulteriormente: doveva concluderla entro quel giorno, altrimenti -ne era sicura- non sarebbe riuscita a farlo mai più.
Intinse la punta della penna nell'inchiostro, prima di poggiarla delicatamente sul foglio.
Scrisse una sola parola: cara. Poi, lo scricchiolio della penna che scorreva sulla pergamena le fece dimenticare cosa volesse realmente scrivere.
Erano settimane che nella sua testa si affollavano, frenetiche come tante api in un alveare, le parole che avrebbe voluto riversare in quella lettera; eppure, il foglio di pergamena continuava a rimanere bianco, eccezion fatta per quel "cara" che aveva appena tracciato con grafia insicura.

Aggrottò le sopracciglia: non avrebbe mai pensato che potesse rivelarsi un impiego così difficile. Era come se i ricordi dell'infanzia, dolci e così lontani, prevalessero su tutto il resto: era una faccenda troppo importante per lei. Ecco perché faceva così tanta fatica anche solo a iniziare quella missiva.
Sentì la porta della sua stanza da letto aprirsi con un dolce cigolio, ma lei continuò a guardare la scrivania con aria assorta, la piuma ormai posata sul tavolo: non aveva bisogno di girarsi per comprendere chi fosse entrato.
-Sei riuscita a scrivere qualcosa?- la voce di suo marito Jim, così calma e roca, le fece dimenticare -anche se per poco tempo- qualsiasi pensiero precedente.
Lasciò che l'avvolgesse tra le sue braccia, che la sua testa si posasse per qualche minuto sull'incavo della sua spalla; i capelli neri le accarezzavano lievemente il collo.
-Non ancora- mormorò piano, la voce colma di delusione -E' buffo, no? Dovrebbe essere la cosa più facile del mondo, eppure non ci riesco.
Jim, d'altro canto, non si scompose più di tanto.
Le diede un piccolo buffetto sulla guancia -Non scoraggiarti, Babù: abbiamo ancora tanto tempo- la sua voce venne rotta da una risata che, alle orecchie di Vaniglia, parve semplicemente meravigliosa -Quasi otto mesi, a dirla tutta.
Anche lei, nonostante tutto, non riuscì a trattenere un sorriso: la voce di Jim, del suo Jim, era talmente emozionata e densa di aspettative, che il suo cattivo umore non sarebbe mai riuscito ad intaccarlo.
E, in fondo, era meglio così.
Non appena sentì il tocco delicato di suo marito sul suo ventre non ancora gonfio, dovette convenire con lui che, sì, avevano ancora tanto tempo.


Primo mese

-Io e Jim dobbiamo dirvi una cosa...
A quelle parole, tutti i presenti nel salotto di casa Periwinkle- Burium si voltarono per fissarla.
Vaniglia arrossì un po' e, scorrendo a tentoni sul tessuto del divano, cercò la mano calda e rassicurante di Jim.
Con lo sguardo esaminò i volti di ognuno di loro: sua mamma e suo padre si erano un po' allarmati -di certo la sua voce e i suoi modi di fare titubanti non erano stati i più rassicuranti-, il volto di sua sorella Pervinca, invece, era accesso d'interesse. Suo marito Grisam, d'altro canto, non era da meno: era seduto in precario equilibrio sulla sedia, dondolandosi un po', come se fosse sul punto di scattare, non sapeva neanche lui se per una notizia positiva o una negativa.
L'unica rimasta imperturbabile era stata sua zia: Tomellilla, non appena lo sguardo di Vaniglia si era posato su di lei, le strizzò l'occhio e le sorrise.
Che sapesse già qualcosa? In fondo, Babù sarebbe rimasta più sorpresa del contrario.
Si schiarì un po' la voce -Ecco...- strinse più forte la mano di Jim -Aspettiamo un bambino.
Non appena pronunciò quelle parole, sua madre si alzò dal divano per abbracciarla, non le aveva neanche dato il tempo di chiudere la bocca. La strinse forte, come se non avesse avuto la benché minima intenzione di lasciarla andare via. Come se, nonostante la sua ancora giovane età, non vedesse l'ora di diventare nonna.
-Un bambino? Tesoro, ma è meraviglioso!- sul volto di suo padre Cicero si era formato un sorrisetto e, malgrado fosse di norma sempre stata restia a certe manifestazioni, anche su quello di sua sorella.
Era felice, davvero felice. Perché era insieme alla sua famiglia, perché sua madre continuava a tenerla stretta tra le sue braccia e, soprattutto, perché aspettava un figlio da Jim.
Jim. Quanti anni lo aveva aspettato! Quanti anni aveva passato nel timore che lui non tornasse più, che si fosse dimenticato della loro promessa bisbigliata in fretta o peggio, che avesse smesso di credere in loro due.
Ma ne era valsa la pena.
Con la coda dell'occhio, lo guardò: aveva ancora l'aria di un cerbiatto spaesato, la stessa di quando lo aveva conosciuto quindici anni prima.
Si strinse ancora di più a sua madre: nulla avrebbe potuto rovinare un momento del genere.

Ci pensò Tomelilla a sollevare una questione che, in seguito, le avrebbe fatto passare ben quattro mesi di notti insonni.

La sera stessa, nella tranquillità della stanza degli incantesimi, senza la presenza dei suoi genitori e di sua sorella, sua zia la guardò dritta negli occhi. Uno sguardo talmente penetrante che Babù non riuscì a sostenerlo neanche per più di un secondo.
-Sarà Felì?
Non ci fu bisogno di chiedere altro, lei sapeva già cosa intendesse dire.
Senza esitare, alzò di nuovo lo sguardo verso sua zia: sorrideva, come se la risposta la conoscesse già.
-Sì. Sarà Felì.


Secondo mese

-E quindi... davvero non sei arrabbiata?
Pervinca alzò gli occhi al cielo: ne aveva evidentemente abbastanza di tutta quella storia -No, Babù, per la centesima volta!- sbuffò polemica.
-Senti, diciamo che lo avevo già messo in conto, va bene? Voglio dire, sai bene quanto io e Grisam ci riteniamo... ecco...- si fermò per cercare le parole giuste -poco adatti a fare i genitori. Al momento, intendo. Quello che sto tentando di dirti è che avevo previsto che la fata-tata di tuo figlio sarebbe stata Felì- Vaniglia riuscì a intravedere un piccolo sorriso spuntare sul volto di sua sorella -Un po' ci speravo, a dire il vero.

-Sul serio?
La lieve felicità di sua sorella si spense definitivamente, per lasciare posto alla sua solita, perenne irritazione -Babù, non cominciare, ti prego...
-E' che... non so, non vorrei rimanerne delusa, ecco.
Pervinca alzò un sopracciglio: evidentemente, nonostante il passare degli anni l'avessero resa molto più malleabile, alcune faccende per lei continuavano a rimanere illogiche e prive di senso -E perché mai, scusa?
Prese fiato, come se ciò che stava per dire si trattasse un concetto molto difficile da spiegare -E' passato tanto tempo, Vì... e se adesso fosse impegnata a essere la fata-tata ad altri bambini? O peggio, se per lei fosse troppo doloroso ritornare da noi e rifiutasse?
-Hai decisamente bisogno di rilassarti. Lo dico più che altro per il bambino, non vorrei mica avere un nipote come te!
Malgrado sua sorella l'avesse appena definita nefasta per la salute di suo figlio e non avesse compreso -o, in ogni caso, non lo avesse fatto apparentemente- i suoi dubbi, Vaniglia sorrise lo stesso -Meglio sensibile come me che acido come te!
Vì mosse bruscamente la mano verso l'esterno, come se volesse scacciare un'idea fastidiosa dai suoi pensieri e cambiò discorso -Quindi adesso immagino che, essendo la zia del pupo, dovrei essere io a scrivere a Felì, vero?- le strizzò l'occhio, -Sai che pacchia, Babù? Non so quanto pagherei per vedere la reazione della nostra fatina alla notizia che la vogliamo ancora tra noi.
Poi mise le mani a coppa, mimando la lettura di chissà quale mirabolante lettera -"Cara Felì, indovina? Il bel Jim ha capitolato e la nostra piccola Babù aspetta un marmocchio. Cosa aspetti a tornare?".
Invece di ridere con lei, Vaniglia abbassò lo sguardo, le guance le si erano a poco a poco colorate di un rosso brillante: era giunto il momento di darle anche quell'ennesima delusione.
-Vì... sai benissimo che ne sarei felicissima, ma...- esitò: forse c'era un modo più gentile di farglielo capire.
Alzò gli occhi, per osservare il viso di sua sorella mutare: le sue labbra si erano ammorbidite in un'espressione meno di scherno e i suoi occhi si erano accesi di una luce che Babù di rado le aveva visto. Era come se, improvvisamente, fosse diventata consapevole del reale significato della sua visita -Capisco, Vaniglia- disse soltanto.
-Non è per te, è solo che...
-Ho capito- ripeté, questa volta meno tesa. Aveva ripreso a sorridere -Ho capito, davvero. E' una cosa che vuoi fare da sola-, sogghignò maliziosa -Dopotutto, sei tu la scrittrice di famiglia.
Anche Vaniglia si concesse una risata. In fondo, sapeva che sua sorella, nonostante non l'avrebbe mai detto ad alta voce, avrebbe intuito il reale motivo che le aveva fatto prendere la decisione di voler scrivere da sé quella lettera.
Aveva sempre avuto un rapporto speciale con Felì. I primi anni, dopo che la fatina era andata via da Fairy Oak, era come se la sua presenza fosse rimasta tangibile ovunque in casa: nel cesto delle cortesie della domenica, nel profumo delle rose in guardino, sui suoi maglioni e nello studio di suo padre Cicero.
Felì era ovunque. Felì era rimasta inevitabilmente una di loro.
La sua mancanza era stata come perdere un pezzo della sua vita: le fiabe raccontate prima di andare a dormire, le corse per le campagne di Fairy Oak, le mattinate passate tra i banchi di scuola, i sogni ad occhi aperti... erano tutte cose che non sarebbero tornate mai più.
Tuttavia, con la vita adulta, era ritornato anche Jim. E allora i suoi maglioni avevano cominciato a sapere di lui e il profumo delle rose a ricordarglielo.
L'addio a Felì e la ricomparsa di Jim erano sempre apparsi, ai suoi occhi, due eventi che si equilibravano l'un l'altro.
Per questo doveva esserle lei a scriverle e nessun altro: perché solo Vaniglia Periwinkle era in grado di capire quanto fosse di vitale importanza, per lei, Felì.


Terzo mese

-Niente? Mi stai dicendo che non hai ancora scritto neanche uno straccio di riga?
Babù non aveva mai odiato sua sorella quanto in quel momento. La vide alzare gli occhi al cielo -Dov'è finita la tua brillante ispirazione da scrittrice promettente?
Sia Grisam che, invero, Jim, si voltarono per fulminarla con lo sguardo.
Pervinca si strinse nelle sue spalle -Che avete da guardare, voi due? Sapete benissimo che ho ragione: perfino io sarei riuscita ad imbastire qualcosa in tre mesi di tempo.
A quelle parole, Grisam trattenne a stento una risata -Vì, qui l'unica cosa che sappiamo è che tu a scrivere lettere decenti sei pessima.
Sua moglie, per tutta risposta, cacciò la lingua e storse il naso -Bada a te, Grisam Burdock, o stai pur certo che questa è la volta buona che ti trasformo in un rospo.
Per un singolo istante, il silenzio imperò nel salotto di casa Periwinkle.
In ogni caso, si ritrovò a pensare la futura mamma, per quanto sua sorella fosse stata brutale da quel punto di vista, doveva ammettere che aveva ragione: il tempo stava passando più in fretta di quanto pensasse e lei non aveva ancora la benché minima idea di cosa scrivere in quella lettera.
Le parole continuavano a danzare imperterrite nella sua testa per poi scivolare via, come tanti granelli di polvere, ogni volta che lei provava a fare ordine.

-Cunegonda. Cunegonda è un nome bellissimo, non trovi, Babù?- le parole di Cicero interruppero il fluire dei suoi pensieri; suo padre si era messo in testa che sua figlia (era anche del tutto convinto che sarebbe stata una bella femminuccia) sarebbe stata il suo riscatto: considerato che nessuna delle sue due figliole avevano avuto due nomi scelti da lui, ora che stava per diventare nonno, riteneva di dover essere lui a scegliere un nome degno per la sua futura nipotina.
A Vaniglia si raggelò il sangue nelle vene; per fortuna, ci pensò Pervinca ad intervenire -Per carità, papà: è terribile! E poi, sarà un maschio.
-Oh, certo, è arrivata l'erede di sua zia! Sentiamo, da cosa lo deduci che sarà maschio?
-Non lo deduco, me lo sento. In ogni caso, rimane un nome schifoso.
-Era il nome di una tua vecchia prozia, Vì, non vorrai offenderla in questo modo?
-Dico solo che ci tengo particolarmente a mio nipote, giacché dovrò essere la sua insegnante di magia, prima o poi.
-Che ne dite di Estrella, allora?
-Papà, sarà un maschio!
-Vostra nonna non si chiamava Violaciocca?- prese timidamente parola Jim, come se si fosse messo preventivamente l'animo in pace e avesse già capito che, per il resto della famiglia Periwnikle- Burdock, la sua opinione non aveva la benché minima voce in capitolo -Potremmo chiamarla così, no? Sarebbe carino.
-Ma per carità!- fece Pervinca, scuotendo la testa per enfatizzare ancora di più la sua indignazione -E poi, quante volte ve lo devo ripetere? Sarà maschio. M-a-s-c-h-i-o. Un bel maschietto, un Magico del buio proprio come sua zia.
Il silenzio calò su di loro ancora una volta. Vaniglia, in cuor suo, ringraziò chiunque avesse fatto in modo che quel tormento finisse. Non riusciva a concentrarsi con tutta quella confusione.
Ma aveva ringraziato troppo presto.
-Beh, se non ricordo male, avevo uno zio che si chiamava Romualdo.
-Papà!
-Senti un po', cara mia, non avrai mica intenzione di bocciare qualsiasi nome io proponga, spero.
Pervinca denegò con il capo, con l'aria di chi la sapeva lunga -Assolutamente no, papino. Ho solo intenzione di boicottare qualsiasi nome orrendo. E' solo un caso che li stia proponendo tutti tu.
Cicero si limitò ad assumere un cipiglio irritato e a incrociare le braccia al petto. In quanto a sua sorella, aveva impresso uno sguardo fiero: dopotutto, aveva appena vinto una battaglia piuttosto cruenta contro suo padre.
-A me l'unico nome che viene in mente è Giacinto.
A quel punto, perfino la stessa Vaniglia, che sembrava essere rimasta impassibile per tutto il tempo, assunse un'espressione disgustata. Con una mano strinse un bracciolo del divano e con l'altra strinse la mano di Jim: avrebbe voluto essere nella pace e nella tranquillità della sua camera, a pensare alle parole più adatte da scrivere a Felì. O meglio, al modo migliore per metterle su carta: perché in quanto a parole, oh! Di quelle ne aveva fin troppe.
-Grisam, facci un favore: stai zitto- dopodiché, una lampadina parve accendersi nella testa di Pervinca -Piuttosto, che ne dite di Helleborus? Helleborus Cicero Periwinkle. Wow, mi piace un sacco! Sembra uno di quei nomi fatti per incutere timore- si avvicinò a sua sorella per darle una leggera pacca sulla spalla, noncurante del fatto che la sua scelta era stata apprezzata tanto quanto le altre -Sarebbe carino se tu lo menzionassi nella tua fantomatica lettera: "Il bambino si chiamerà Helleborus e prima che ti complimenti con me, Felì, sappi che è tutta farina del sacco di Vì".
Non ne poteva più. Ne aveva decisamente fin sopra i capelli.
Vaniglia alzò dal divano, il gonfiore appena accennato della pancia, in posizione eretta, si notava ancora di più -Adesso basta, mi avete stufato tutti!- il viso acceso per l'agitazione la faceva sembrare ancora più infuriata.
Senza aggiungere nient'altro, marciò verso le scale a rifugiarsi nella sua camera, sotto gli sguardi perplessi di tutti.

-Volevamo solo aiutarti, Babù.
La voce calma e posata di Jim la faceva sentire, semmai fosse stato possibile, ancora più in colpa: era come se un macigno si fosse attanagliato nel suo stomaco. E il bambino non c'entrava nulla in quel caso.
Sentì la mano di suo marito posarsi sulle sue spalle, per poi scendere, attraversando tutta la schiena. Non poteva vederlo a causa del buio ma, ormai lo conosceva bene, Babù poteva giurare che stesse sorridendo.
Si girò dall'altra parte del letto, supina -Pervinca ce l'avrà a morte con me, immagino.
-No, non così tanto- suo marito ridacchiò divertito -Ma non ti sorprendere se nei prossimi giorni blatererà qualcosa a proposito di "Non aiuterò più nessuno d'ora in poi"- disse leggermente stridulo, quasi volesse imitare i toni di sua sorella.
Anche Vaniglia rise e lasciò che Jim l'avvolgesse tra le sue braccia; senza stringerla, come se non volesse farla accorgere della sua presenza.
E lei, per un po', si lasciò cullare in silenzio, senza dire nulla, senza dare voce ai suoi timori più celati: arrivati a quel punto, era certa che Jim li conoscesse tanto quanto lei.
-Sono passati quasi quattro mesi, Jim. So che c'è ancora tantissimo tempo ma... non so, è come se non mi sentissi all'altezza. Eppure, io lo volevo così tanto.
Sentì le braccia di suo marito avvolgerla ancora di più: il suo mento quasi le toccava i capelli -Babù, tu sei all'altezza. Lo sei e lo sai perfettamente. So quanto è importante per te Felì, so cosa significherebbe averla di nuovo qui.
Sciolse l'abbraccio. Benché fosse buio, la donna poteva comunque riuscire a distinguere un luccichio negli occhi di Jim -Ma smettila di pensare a come scrivere quella lettera. Pensa piuttosto al perché la stai scrivendo.
A quelle parole, Vaniglia trasalì un po': non aveva mai pensato a una cosa del genere, prima di allora. Lo aveva sempre dato per scontato, era un dettaglio che aveva sempre posto in secondo piano: il perché, lei, lo sapeva.
Ma ora che suo marito glielo aveva fatto notare, aveva capito che le era sfuggito qualcosa fino a quel momento.
E allora sorrise: forse, aveva cominciato ad intravedere la luce alla fine del tunnel.


Quarto mese

Mia cara Felì,
Non immagini neanche quanto io sia emozionata -e, lo confesso, piuttosto nervosa- all'idea che tu presto leggerai questa lettera.
Se devo essere sincera, non so neanche da dove cominciare: ho talmente tante cose da dirti! Potrei parlarti di cosa è cambiato qui a Fairy Oak a dieci anni dalla tua partenza, ma ritengo (o almeno lo spero) che avremo abbastanza tempo per parlarne, con calma, senza fretta.
Solo una cosa ho intenzione di rivelarti subito, poiché è proprio per questo che ho deciso di scriverti.
Sto per diventare madre, Felì. Aspetto un bambino. Sinceramente, non so se sarà un maschietto o una femminuccia, ma il dottor Chestnut e Pervinca sono convintissimi della prima ipotesi. Quel che più è importante, però, è questo: fra tutte, non riesco ad immaginare nessuna fata-tata adatta per lui, se non tu.
Ora che finalmente vedo queste poche parole scritte, mi viene quasi da ridere: tu non lo sai, ma è stata una vera e propria impresa riuscire a mettere su carta tutto questo.
Sono rimasta per ben quattro mesi in bilico, incerta su come dirtelo: avevo milioni di parole per la testa, ogni giorno ne saltava fuori una nuova, ma nessuna di loro aveva il coraggio di trasformarsi in una frase vera e propria.
E poi, qualcuno di molto importante per me (avrai benissimo intuito di chi si tratta, se mi conosci almeno un po'), mi ha fatto capire una cosa fondamentale.
Per tutto questo tempo, mia dolce fatina, avevo paura di scriverti. Questo, ovviamente, l'avevo già intuito da me, ma non riuscivo bene a comprendere il motivo: credevo fosse il timore che tu fossi diventata la fata-tata di altri bambini, nonostante il Gran Consiglio mi avesse garantito il contrario.
Ma poi ho capito davvero: tu sei la mia infanzia, Felì.
Sei stata un pezzo consistente della mia vita. Per quindici anni mi hai vista crescere, hai osservato ogni minimo mutamento mio e di Vì. Hai assistito all'esordio dei miei sogni.
Il problema è che non sei riuscita ad assistere alla loro realizzazione.
Tremo di paura al solo pensiero che io possa averti delusa. Presa com'ero a rincorrere il mio avvenire, mi sono dimenticata completamente di te. Ora che ho davvero bisogno, temo che tu ritorni qui per trovarmi profondamente diversa e in qualche modo, peggiore.
Non voglio che la mia infanzia sia delusa dalla me adulta, Felì. Neanche un po'.
Sai, ho sposato Jim. Non poteva essere altrimenti: è davvero una persona speciale e sono contenta che lui stia al mio fianco.
Semmai dovessi scegliere un qualche rappresentante della mia vita adulta, ecco: quello sarebbe proprio Jim. Mio marito.
A volte non penso sia un caso che, lo stesso giorno in cui sei andata via tu, sia arrivato lui.
I tempi dei giochi sono andati via insieme a te, ma con Jim è arrivato qualcosa di completamente nuovo, che mi ha travolta e che -almeno spero- non mi abbandonerà mai più.
Voglio che sia tu la fata-tata del mio bambino (pensavo di chiamarlo Elianto se le previsioni si riveleranno corrette, anche se il nome per ora piace solo a Jim), perché voglio per lui la stessa fortuna che è capitata a me: di certo non posso prevedere che tipo di persona diventerà e onestamente, non sono io a doverlo sapere. Quel che è certo è chi vorrei che fosse accanto a lui a guidarlo.
Non so se accetterai questo incarico o se non te la sentirai di riprendere a essere la fata dei Periwinkle (anzi, a dire il vero Burium), come io temo. Ma sappi questo: qualunque cosa deciderai, io te ne sarò grata, perché mi hai fatto capire quanto speciale possa essere un punto di riferimento.
Per quanto riguarda la durata del tuo incarico, dovresti saperlo bene: sarà di quindici anni e sarai compensata con tre panetti al burro alla settimana più un vasetto di miele.
Spero di ricevere una risposta da parte del Gran Consiglio al più presto e -neanche a dirlo- che tu sia di nuovo una di noi.

Vaniglia Burium

P.S: qualunque cosa Pervinca abbia scritto nella lettera che mi ha chiesto di allegare a questa, non darle troppo peso: il mio bambino non si chiamerà mai Helleborus.

Posò la piuma d'oca, gli occhi erano quasi lucidi per l'emozione.
Finalmente!, era l'unica parola che era rimasta a ronzarle in testa.


Quinto mese

Jim la ritrovò seduta sul letto a gambe incrociate. Da quella posizione, la pancia di Vaniglia sembrava più gonfia del solito.
Il loro bambino. Più ci pensava, più non vedeva l'ora che quel giorno si avvicinasse. Nella sua testa aveva già un volto e un nome: Elianto.
Si sarebbe chiamato Elianto Burium, sebbene Pervinca si fosse battuta fino all'ultimo perché ci ripensassero ("E' un nome troppo gioioso... diventerà un Magico del buio, non un girasole!"), ma a mamma Dalia e, soprattutto, a Cicero, era piaciuto molto.
Fece un altro passo verso di lei; continuava a tenere gli occhi immobili su una pagina scritta in una grafia minuta e compatta.
Un altro passo ancora.
Piangeva.
Sua moglie stava piangendo.
Il suo cuore perse un battito; no! Sentì urlare dentro di sé.
Se stava piangendo, voleva dire una sola cosa.
-E'... è del Gran Consiglio?- le bisbigliò, non accennando minimamente a muoversi. Avrebbe voluto abbracciarla, consolarla per tutto quanto, ma non fece nulla. Rimaneva in attesa della brutta notizia.
Vaniglia annuì, si passò una mano per asciugarsi le lacrime che le erano scivolate dagli occhi. Poi, con sorpresa di Jim, alzò lo sguardo e sorrise: era praticamente il ritratto della felicità.

E capì che non erano lacrime di tristezza, le sue.
-Ha accettato!







Elianto è il nome di un genere di piante tra le quali è compreso anche il girasole.
Spero proprio che vi sia piaciuta questa storia. E' la prima che pubblico in questa sezione <3
Ringrazio la giudice Maiko_chan per avermi permesso di scrivere su un fandom che, lo ammetto, avrei dovuto esplorare anche prima.
A presto,
Cosmopolita

   
 
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